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Autore: Fidaide    10/11/2008    2 recensioni
Corre l'anno 1955... Qualcosa di strano accade a Malfoy Manor.
"La tensione crebbe palpabilmente. Pensieri tumultuosi mulinarono nel cervello di Hilda, che, abbrancata da una fitta di paura, si voltò di scatto, mentre il viso del maggiordomo, ritto dinnanzi a lei, sembrava essersi impietrito. Nelle loro vene il sangue fluiva veloce e raggelato.
Alla servitù non era concesso di entrare nella stanza delle armi, la camera preferita dei signori Malfoy, Abraxas e Lysiart, che conteneva una sfilza di stemmi e fucili Babbani, insieme con un mucchio di stampe antiche provenienti da tutte le parti del globo. Ma l’infermiera, colta dal terrore e dall'ansia, dimenticò ogni divieto. Afferrò la maniglia e spalancò la porta della sala sfarzosa. Ai suoi occhi si presentò uno spettacolo agghiacciante..."
Scritta a quattro mani da Fidia e Alaide.
Genere: Drammatico, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XXXII

Come aquile in picchiata, le pupille di Abraxas saettarono per la camera, sondandola in tutta la sua ampiezza, piantandosi poi come frecce sulla porta chiusa attraverso il cui spiraglio avevano scorto di sfuggita il viso di Adolar Malfoy. Passarono appena due secondi, tanto carichi di tensione che l’aria sembrò rarefarsi, e nella loro memoria l’immagine del vecchio degente, che ambulava senza sedia a rotelle manifestando una lucidità spiazzante, prima di sparire nell’andito debolmente illuminato, riemerse all’improvviso. Nella mente di Charlotte, quell’immagine vorticò con una tanto folle vivacità da mutarsi rabbiosamente in una visione onirica.
«Aspettami qui.» proferì Abraxas, mentre la bambinaia, col cuore in gola per effetto della sorpresa, stringeva l’indice fra le pagine del libro fin quasi a farsi male, e teneva fermo il piccolo Lucius, che, ormai mezzo sveglio, voleva ribaltarsi fra le sue braccia.
Non riusciva a raccogliere le idee in maniera coerente e, anche quando il suo amante fu uscito e si ritrovò da sola a pensare all’accaduto, ebbe come l’impressione di essere precipitata da un mondo di illusioni nella realtà, e l’impatto era stato molto violento. Senz’altro l’assurdità di quel momento era acuita dalla recente scoperta che aveva fatto in compagnia di Abraxas, ma solo in una certa misura.
Nell’attesa dell’amante, la bambinaia poggiò fra le gambe un giornale locale da poco uscito. Quello che la stampa aveva definito il “caso dei delitti orientali” era ancora l’argomento prediletto dai reporter, che adesso si riferivano a Zephyrus MacNiemand come a un assassino sadico e astuto.
Si accennava al movente degli omicidi nelle prime righe, inevitabilmente ornate con iperboli, su cui di tanto in tanto spiccava la dicitura “ragazza irlandese”, descritta con connotati, pensava Charlotte, alquanto caricaturali e irrealistici.
Per un attimo trasalì quando, ad un’attenta lettura, si concentrò sul nome del giudice. Se la memoria non la ingannava, era il fratello del notaio Further, nonché lo zio di Cordelia.
Charlotte aveva sentito parlare innumerevoli volte di Marcus Further. Un individuo duro, privo di scrupoli, con un concetto di giustizia alquanto peculiare che non di rado lo portava a vagliare troppo inflessibilmente la reità della gente.
“Potrebbe ricevere il bacio dei Dissennatori.” rifletté con angoscia. “Come compatisco quel pover’uomo, che si spegnerebbe con l’accusa di aver perpetrato quattro omicidi di cui non è pienamente colpevole!”
Anche adesso, pur essendo ogni cosa limpida come un lago di cristallo, la mente di Charlotte, forse fin troppo radicata nel caos, era inabissata in un oceano di pensieri che, come onde impetuose, si scavalcavano tra loro, caparbiamente restii a instaurare un legame.
Rammentò le parole di Deirdre, la storia di Svenson, la sua maledizione. Sempre più si convinse che risolvere il caso non era stato semplice. Ma Rosamund Jameson aveva arrestato la persona sbagliata, e presto, molto presto, il mondo l’avrebbe saputo.
Abraxas tornò con la notizia che suo padre era riuscito, per ragioni inspiegabili, a lasciare la sedia. Quanto all’imprecazione, ne aveva parlato con Laureen, che si era detta scettica sulla sua veridicità. Abraxas concluse il discorso in maniera laconica, promettendo a Charlotte delle imminenti delucidazioni.
L’angelo del silenzio passò sul Manor mentre i raggi del sole inutilmente provavano a squarciare le nuvole. Le mani intrecciate dietro la schiena, il padrone di casa diede uno sguardo oltre la finestra, mentre Charlotte, ancora seduta, sentì un tremore scuoterla da capo a piedi e trasmettersi anche a Lucius.
«Se ogni cosa andrà secondo i miei piani, stanotte, appostati nella stanza delle armi, vedremo il vero assassino, e dimostreremo a Rosamund che Zephyrus è innocente. – disse Abraxas, lo sguardo fiero e inflessibile, voltandosi verso l’amante. – Abbi fiducia in me, Lotte.»


A notte fonda, il campanile di St. Martin Abbey lanciò tre rintocchi sottili che raggelarono il sangue nelle vene degli abitanti. Una falce di luna risplendette nel cielo, offrendo uno spettacolo di memorabile bellezza mentre le nuvole panciute sembravano dissolversi. Erano le tangibili avvisaglie della sospirata stagione calda. Le ultime tracce del temporale che si era abbattuto sul borgo e sui luoghi vicini scomparivano inghiottite da una bruma inconsistente. Il clima, non del tutto freddo, ma velato da una nota di calore, favoriva finalmente il sonno. Più d’un uomo era scivolato in un quieto dormiveglia, quella buia sera d’estate, senza quasi rendersene conto. Ma il Manor non dormiva. Due figure, nascoste nell’ampia stanza delle armi, al secondo piano, vegliavano chete, in attesa che il vero assassino si mostrasse ai loro occhi, dopo essere caduto nella trappola che Abraxas aveva tessuto con molta astuzia. Il tempo passava, tanto lentamente che Charlotte sentiva a volte la testa ciondolare per la noia e la sonnolenza. Ma la curiosità e una strana tensione avevano sempre la meglio in lei. Sapeva perfettamente chi avrebbe visto in quella stanza, e non si trattava di Zephyrus MacNiemand, arrestato per un tragico concorso d’eventi, seppur colpevole di uno dei quattro omicidi, quello di Loreley. Gli assassini erano due, l’uno sciocco e pavido, l’altro sagace e furbo.
Proprio quest’ultimo, a quell’ora, gioiva nell’ombra, ignaro del piano che in quel momento si attuava a sua insaputa.
Suonarono le tre della notte. Sfilacci di nebbia danzarono dietro la feritoia, avvolgendo gli alberi ed il prato attorno al Manor.
«Sei sveglia, Lotte?»
Quella voce non era più forte di un sussurro. Ed un mormorio altrettanto sommesso fece eco al primo.
«Sì.»
«Non uscire allo scoperto prima del segnale.»
Charlotte annuì nella penombra, ma Abraxas non poté vederla. Solo i fregi dorati di qualche arazzo luccicavano fra le tenebre a tempi alterni, sfiorati da un raggio di stelle.
Cinque, dieci, quindici minuti ancora trascorsero senza che nulla accadesse. Charlotte sentì il cuore battere con crescente rapidità. Le stava a cuore la sorte di Zephyrus, benché fosse consapevole della sua natura crudele. “Il bibliotecario ha ucciso Loreley perché mosso da un folle impulso.” pensò, umettandosi le labbra. E quando ripensò al vero assassino, sentì nel profondo del cuore un dolore lacerante. La cattiveria è tanto più potente quando si annida nell’animo delle persone intelligenti, poiché lì viene acuita dall’ingegno. Non era certo quello il caso di Zephyrus MacNiemand, un uomo senz’altro spregevole, ma quanto mai sciocco, di cui la bambinaia aveva pietà. Simili pensieri turbinavano nella mente di Abraxas, che li scacciava infastidito. Era stato arduo capire che, nel “caso dei delitti orientali”, gli omicidi erano due, e non uno solo. Era stato arduo capire che Zephyrus aveva uccise Loreley, la sua sorellastra, perché l’aveva ostacolato in amore. Era stato arduo capire che, in quella faccenda, a nessuno importava l’eredità di Adolar Malfoy. Alle quattro, non era ancora successo niente. Si respirava un’aria molliccia e greve, e insetti viscidi s’erano insinuati dalle fessure per posarsi sulle armi della stanza. Era ancora buio pesto, qualche cicala sbatteva le ali, tutti dormivano. Charlotte stringeva i pugni, decisa a non addormentarsi. Abraxas attendeva freddamente che l’assassino gli si rivelasse.
Le quattro e un quarto. Si udì un leggero scricchiolio. I due amanti, avvezzi al silenzio, smisero di respirare, guardando in direzione del camino, mentre l’uno sentiva il cuore dell’altro battere e temeva, più d’ogni cosa, per la sua salute piuttosto che per la propria. Lo scricchiolio si ripeté, stavolta più forte e chiaro, e se in un primo momento Abraxas e Charlotte avevano avuto dei dubbi, essi furono parossisticamente spazzati via. Scattarono dei meccanismi all’interno della parete, il signore di Mictlan si inchinò grottescamente di scatto, rivolgendo le dita al pavimento levigato. E poi, rumore di dischi dentati rudimentali, e passi ovattati. Né Abraxas né Charlotte ebbero bisogno di dire che quello era il momento che stavano aspettando.
La cappa del camino scomparve, rimpiazzata da un quadrato di nero. Una figura china aveva azionato il passaggio segreto, e adesso entrava, a passi felpati, nella stanza delle armi.
La prima cosa che i due amanti percepirono fu un’ondata di profumo, intenso e stordente come una droga. Quindi, videro sullo sfondo buio un’ombra che si muoveva in direzione del gelsomino in fiore. Era l’omicida di Lysiart, Patrick e Megan. Era la talpa. Abraxas sentì una scarica di adrenalina, fredda come ghiaccio, percorrergli la schiena e poi le braccia. Le gambe gli cedettero e riconobbe le avvisaglie di una crisi epilettica. Si frenò, costringendosi a rimanere alzato. Nessuna crisi epilettica. Solo molta, troppa tensione.
Charlotte guardava l’omicida con sguardo compunto. Non riusciva a vederne i lineamenti, ma le sembrava di coglierli ugualmente con l’immaginazione. Il filo di un arazzo collegava il nascondiglio di Abraxas da quello di Charlotte, a tre metri da lui. Il padrone di casa lo scosse leggermente. Era il segnale.
Due bacchette si illuminarono, annullando il buio, e quando Abraxas e Charlotte fecero un passo, sul volto dell’omicida, a tre metri di distanza, si dipinse un sorriso strambo e capriccioso.
«Sapevo già tutto. – disse Abraxas. – E’ inutile continuare a fingere.»
«Deponga la bacchetta. – disse Charlotte. – Siamo due, e la circondiamo. Faccia una mossa affrettata, e la precipiteremo a terra.»
Una risata sguaiata proruppe dalle labbra della figura incappucciata che odorava di rose e gelsomino. Non si mostrava impaurita, ma più tenace di quanto non lo fosse stata durante la fase delle indagini.
«Avevo immaginato che mi si tendeva una trappola. – disse. – Ma non sono pentita d’essere venuta.»
Il cappuccio scivolò via dalla testa, scoprendo il volto vispo di Rosamund Eustacia Jameson.
«Sapevo che avrebbe abboccato. Era un piano sciocco, ma, lo avevo detto a Lotte, sicuramente efficace.» esclamò Abraxas, tra gli sguardi interrogativi della bambinaia. Ci fu un attimo di silenzio.
«Non ho creduto a tutte le parole della missiva. – disse Rosamund. – Ma per precauzione, sono dovuta venire.»
«Ha portato la lettera con sé? Non ho ancora detto a Charlotte cosa c’era scritto.»
«L’ho portata.» disse Rosamund, annuendo, per poi trarre da una tasca del mantello un pezzo di carta stropicciato che gettò ai piedi della bambinaia.
Charlotte lo colse e lesse a voce alta la grafia di Abraxas:

Signorina Jameson,
le scrivo per comunicarle che ho trovato una poesia di Lysiart, in cui si dice di guardare oltre l’eleganza. Non riesco a decifrarla, ma indagherò. Le sarei grato se volesse aiutarmi a risolvere quest’ultimo enigma.

Abraxas Malfoy

«Oltre l’eleganza?» ripeté Charlotte, senza capire.
«Come ti ho spiegato, Lotte, era tutto un piano. Ho scritto stamattina questa missiva. Lysiart aveva disseminato il nome della signorina Jameson da per tutto, nella magione. E la signorina Jameson sapeva che il gelsomino è simbolo di eleganza, mentre credeva che io non lo sapessi. Ho finto di aver scovato questa fantomatica poesia perché sapevo che lei si sarebbe precipitata a controllare che non ci fosse nessun indizio che potesse andare a suo discapito dietro la stampa del gelsomino in fiore, oltre l’eleganza, appunto.»
«Ebbene, mi sono fatta in parte cogliere di sprovvista. Ma non del tutto. Ho pensato che il rischio era troppo grande. Lysiart poteva aver nascosto qualcosa dietro il gelsomino che parlasse di me. Dovevo controllare.» ammise Rosamund.
«Allora, non c’è più dubbio. Lei era l’amante di mio fratello Lysiart.»
«Proprio così. – Rosamund sorrise. – Quel povero disgraziato di Lysiart. È forse meglio che non pensi a quello che gli ho fatto. Provo un misto di ribrezzo e cinico piacere. Una pratica affascinante e insieme truce, quella dell’harakiri. Rifarei ciò che ho fatto, se potessi. E’ stato esaltante, ed inebriante. »
Abraxas rispose a quell’asserzione con atteggiamento impassibile, mentre Charlotte chiuse gli occhi.
«Non sono riuscito a ricostruire la faccenda nei minimi dettagli. – disse Abraxas. – Di certo non le dispiacerà spiegarmi come sono andate le cose.»
«Sarà un piacere rievocare i momenti più belli della mia vita, signor Malfoy. Lo faccio senza remore e tristezza, poiché, come le ho detto, provo tutto fuorché rimorso. E poi, ha dimostrato, incastrandomi con quella missiva, di meritare le mie spiegazioni. Vorrei nondimeno sapere quali indizi l’hanno portata a scoprire che c’ero io, sotto ogni assassinio.»
«Ne parleremo a tempo debito.»
L’Auror annuì, assumendo un’aria posata, riflessiva.
«Mi accingo dunque a spiegarvi quello che è successo, ma dovreste averlo intuito. Una mente che riesce a beffare Rosamund Jameson sicuramente rimetterà in piedi con facilità la dinamica di un delitto. Non avevo mai incontrato, dal momento in cui nacqui, una persona più profonda e interessante di suo fratello, signor Malfoy. – esordì l’assassina sorridendo. – Fu in occasione di un viaggio in Persia - gliene avevo accennato – che le nostre vite si incrociarono. Io ero partita per diletto, così, perché la vita mi annoiava. Eh, sì, la vita è noiosa, signor Malfoy. E lui, Lysiart, era venuto solo, senza la moglie tra i piedi. Per uno scherzo della sorte, ci incontrammo in un bazar, sedemmo insieme all’ombra di un bersò e bevemmo fino alla mezzanotte. La prima cosa a colpirmi di lui furono gli occhi. Capii dalla loro debolezza che erano stanchi, ma desiderosi di splendere. Indagando, scoprii che era un Malfoy. Dapprima fummo sorpresi di provenire dallo stesso luogo. Dicemmo che il mondo è piccolo, per poi ridere di questo mediocre luogo comune, e riconoscere una reciproca affinità di sentimenti. Solo dopo quella risata capimmo che il Fato ci aveva fatti incontrare.
«Mentre mille voci di mercanti si miscelavano tra loro e noi eravamo uniti dal linguaggio comune, Lysiart mi parlò di Rachele, della propria frustrazione, delle poesie, di ciò che pensava a proposito della vita, dell’uomo, della natura, dell’arte. Io gli dissi che facevo l’Auror, che ero una cara amica di Megan – cosa che lo stupì –, che la mia vita era cambiata molto, negli ultimi tempi, e che andavo alla ricerca del brivido. Ci dovemmo salutare per quella sera, ripromettendo di vederci per la colazione. Tornai in albergo, dove alloggiavo in quel periodo, con una nuova sensazione in corpo. Si respirava un’aria satura di profumi orientali, balsami freschi e frutti esotici. Il letto aveva un lenzuolo leggero e ruvido, in cui mi avvolsi, sognando orizzonti lontani di avventura e romanticismo. Dalla finestra giungevano canti in una lingua strana, e guardando la strada mi sembrava di scorgervi Lysiart. Era dappertutto, specie in quelle stelle luminose che in Persia paiono sfolgorare più luminose che in Inghilterra, dove l’ambiente è poco selvaggio, piatto e banale.
«Lessi Verlaine e Rimbaud, prima di addormentarmi, e diversi componimenti trobadorici che portavo sempre in valigia. Ma non smettevo di pensare all’uomo che quel giorno avevo conosciuto. Seppi che avevo aperto il mio cuore per accogliere Lysiart, la prima e l’unica persona che mi avesse mostrato luoghi immaginari tanto fascinosi. Ma era un amore strano e indefinibile, fatto di passione e possessione. Andai da lui, quella notte, e gli chiesi di lasciare sua moglie, di stabilirsi con me a Venezia, città che mi ha da sempre affascinato. Rifiutò, sebbene, notai, avesse lottato come un matto prima di deliberare. Ciononostante, ebbe inizio una lunga storia tra noi.
«Tornammo in Inghilterra dalla Persia, e cominciammo a vederci sempre più spesso. Dato che Lysiart non aveva voglia di scandali, il nostro rapporto doveva rimanere segreto. “Segreto”, una parola così affascinante per una donna che cerca l’avventura…
«Eppure, egli voleva mostrarmi Malfoy Manor, le sue poesie, i profumi cui lei, signor Malfoy, lavorava nella stanza segreta del laboratorio, e farmi vedere qualche abitante di nascosto. Mi disse, allora, che suo padre, Adolar Malfoy, gli aveva rivelato un tempo l’esistenza di un passaggio segreto che si apriva qui, nella stanza delle armi, e collegava all’esterno. E’ lo stesso varco per cui adesso sono passata. Lysiart mi stava dicendo, con un giro di parole, di entrare nella sua abitazione quando e se lo avessi voluto, all’insaputa di tutti, per incontrarlo.
«Quando seppi dell’esistenza di questo passaggio, divenni incontenibilmente felice, perché la nostra tresca amorosa, oltre che ardente, si faceva affascinante. Il passaggio segreto, dicevo, collega la parte esterna del Manor con la stanza delle armi. Basta premere un pulsante nascosto fra le scanalature della parete di fuori, e si apre un percorso ripido che conduce qui. Naturalmente anche questa è opera di Svenson. Quanto mi fu utile, senza saperlo, quel povero matto!
«Venivo sempre con maggiore assiduità qui al Manor, utilizzando il passaggio che porta al camino. Io e Lysiart ci mettevamo d’accordo sugli orari. Alle due di notte, lasciava il suo letto matrimoniale e veniva qui, ad accogliermi. Scattavano gli ingranaggi, uscivo fuori dal camino, gli gettavo le braccia al collo e indugiavamo un po’ assieme, lontani da tutti. A volte stavamo ore e ore coricati sotto la stampa del gelsomino in fiore, sullo stesso tappeto su cui adesso cammino. Altre volte, riutilizzando il passaggio segreto, uscivamo in giardino e vagavamo senza meta, o ci inoltravamo nelle radure.
«Vi ho detto che il nostro era un amore indefinibile, fatto di passione e possessione. Quest’ultimo elemento era senz’altro quello predominante. Forse aveva capito che ero pericolosa. E infatti, al mio cospetto Lysiart si fece d’improvviso timoroso e incerto. Un atteggiamento che inizialmente mi diede sui nervi, ma da cui, più tardi, trassi dei benefici. Cominciai a chiedere a Lysiart di favori, appellandomi alla sua gentilezza. Piano piano, lo schiavizzai.»
«Lo schiavizzò? – ripeté Abraxas. – Che significa?»
«Significa che lo costrinsi più volte a fare ciò che desideravo. – ribatté Rosamund, rivolta più a Charlotte, che a suo giudizio poteva capire meglio faccende di quel tipo, che al padrone di casa. – Arrivai a dirgli di trattar male Rachele, solo per vedere se era disposto a farlo. Ovviamente rispettò il mio ordine.
«Quella scalognata di Rachele aveva gli occhi bendati, ma infine capì che Lysiart aveva un’amante. Forse glielo disse lui, sta di fatto che il 14 novembre dello scorso anno, appresi da Lysiart che sua moglie si era tolta la vita.
«“E’ salita sul balcone, l’ho sentita gemere, poi si è lasciata cadere. Ho provato rimorso, Rosamund” mi disse lui due giorni dopo.
«“Rimorso?” gli risposi. “Tu non sai cos’è il rimorso, Lysiart. Non l’hai mai saputo. Per te esiste solo l’amore. E allora amami, Lysiart, amami con tutto te stesso, perché non ti rimango che io.”
«Riuscii a vincere anche in quell’occasione. Sebbene Rachele fosse morta, ci incontravamo, e sempre più spesso. Lysiart cominciò a sentirsi oppresso da me, considerandomi la causa della morte di sua moglie, e più me ne rendevo conto, più lo opprimevo. Non chiedetemi perché. Sapevo solo che dovevo farlo, e che difatti lo feci.»
«Ecco il significato delle sue poesie. – intervenne Charlotte. – L’oppressione, le catene invisibili, la prigione. Tutto per causa sua.»
«Tutto per merito mio. – disse Rosamund. – Non si crucci, Charlotte. Non c’è ragione per farlo. Di Lysiart non resta che una futile salma.»
«Ma perché lo uccise?» domandò Abraxas con freddezza.
«Per cinismo, e perché non voleva più obbedirmi. Dopo la morte di Rachele, Lysiart era diventato inutile. L’omicidio accadde, come sapete, il 12 Aprile di questo stesso anno. Era sera, e avevo usato il passaggio segreto per trovarmi qui, nella stanza delle armi, assieme a lui. Stavano tutti cercando il vecchio Adolar Malfoy, ed era rischioso, per me, rimanere con lui e mantenere la segretezza. Lysiart sembrava molto agitato, forse per paura che suo padre non venisse trovato, quando mi disse: “Non ti amo più, Rosamund, ed anzi nego di averti mai amato.”
«“Non è vero.” replicai con calma apparente, ma nel mio cuore si agitava un mostro, direi quasi un angelo nero. Il rumore dei passi che si spandevano nella magione arrivava alle mie orecchie. “Tu sei perdutamente innamorato di me. Su, dimostramelo.”
«Lo vidi tremare, e all’improvviso mi scacciò e mi disse che non voleva più saperne di me. Non tollerai quello sgarbo.
«Nella mia mente si fece spazio un pensiero allettante. Mi ricordai all’improvviso delle daghe del trisavolo. Lysiart me le aveva mostrate, dicendo che erano un importante cimelio di famiglia. Aprii in un attimo il compartimento segreto, prelevai una daga e lo uccisi, praticando l’harakiri. Una prassi affascinante, eseguita dai samurai che dovevano espiare una colpa. E Lysiart aveva la sua colpa da espiare.
«Adesso dovevo ripulire le impronte, ma non ne avevo il tempo. Il sistema di allarme impediva che la daga rimanesse per tre minuti lontana dal compartimento segreto. Oltretutto sentivo delle voci sempre più vicine alla stanza delle armi. Vivamente terrorizzata, riposi la daga e mi nascosi nel camino. Speravo di poter ripulire la daga in futuro. Non l’avrebbero presa immediatamente, o almeno così pensavo.
«In quel momento, la porta di destra, non quella che dà sulle scale, ma quella rivolta al disimpegno, si aprì. Entro lei, signor Malfoy, tutto trafelato. Vide suo fratello morto e fu colto da una crisi epilettica. Quasi simultaneamente, tutti gli altri abitanti erano qui. A quel punto, al mio terrore si sostituì l’esaltazione.
«Ascoltai parte della vostra disamina sul cadavere, poi ebbi nuovamente paura ed essendo già nel camino azionai il passaggio segreto e fui fuori dal Manor, dicendomi che avrei trovato il modo di lavare via le impronte se e quando fossi stata chiamata per indagare. Nessuno avrebbe toccato niente prima dell’arrivo degli Auror. Era la prassi.»
«La parte di discussione che udì, signorina Jameson, la indusse a commettere uno sbaglio in seguito. Uno sbaglio che le costò caro. – disse Abraxas. – In occasione di un nostro incontro, ricorda?, mi disse qualcosa che non poteva sapere se non fosse stata presente nella stanza delle armi subito dopo il delitto. Mi disse, precisamente, che Hilda mi aveva chiamato per nome, sostenendo che ero stato io a rivelarglielo.
«Errore! Io non le avevo mai detto nulla in proposito. E che motivo avrei avuto? A dire il vero, avevo quasi dimenticato quel dettaglio. Mi chiesi come lei facesse a saperlo, e alla fine dovetti concludere che, evidentemente, ero stato io a dirglielo. Guardavo a lei solo come a un’Auror, lo capirà. Ma mi restò comunque un dubbio.
«Inoltre, signorina Jameson, quando veniva al Manor per indagare, non di rado mi dava motivo di pensare che conoscesse fin troppo bene l’abitazione. A volte accelerava il passo, e mi superava addirittura, perfettamente cosciente del luogo in cui stava recandosi.»
Rosamund annuì.
«Ho commesso i miei errori. – fu la sua risposta. – Comunque, per molto tempo seppi come giostrare il mio ruolo. Quando rilevammo le impronte della daga, non c’erano che le mie e le sue.
«Fui io a lanciare l’incantesimo Obscurus. Fui io a ridurre al silenzio Adolar Malfoy, quando, tutti assieme, ci trovavamo nella sua camera. E lo feci perché, nel suo delirio, Adolar era lì lì per pronunciare qualcosa di compromettente. Non potevo certo essere sicura che Adolar non avesse inteso, per caso, la mia colpevolezza. Nonostante la sua follia, aveva sprazzi di lucidità. E se in uno di quei momenti mi avesse visto e avesse sospettato di me? Dovetti per forza addormentarlo.
«Se non sbaglio, fu quello stesso giorno che venne rinvenuto, in camera di Lysiart, un fazzoletto femminile. Avrete capito che apparteneva a me. Lo avevo donato a Lysiart, che voleva avere sempre a portata di naso il mio profumo. Fu così sventato da lasciarlo incustodito, e voi lo trovaste.
«C’erano quattro fiori sul fazzoletto. Una rosa, un’orchidea, una salvia e un’erica. Patrick non riuscì mai a identificarli. Le iniziali di questi quattro fiori davano l’abbreviazione del mio nome, “Rose”.»
Abraxas arcuò le sopracciglia, mentre Charlotte ascoltava con attenzione le parole dell’assassina.
«Le cose si complicarono quando lei, signor Malfoy, trovò il diario di Lysiart. – continuò quest’ultima. – Lysiart non faceva mai il mio nome, ma le righe erano piene di rischiose allusioni. Fu una fortuna che quella gazza, attratta dal dorsetto dorato, provò a rubarlo senza esito. Lavorò a suo modo per non far ricadere i sospetti su di me, collaborò, certo senza saperlo, a mantenere segreto l’omicidio. Non era un Animagus, ma ne approfittai per farlo credere. Per il suo aiuto sono grata a quella gazza.
«A casa, lessi tutto il diario di Lysiart. Impiegai diverse ore, ma fu piacevolissimo, e non solo perché seppi che Lysiart aveva davvero sofferto per causa mia. Avevo fatto bene a prenderlo. C’erano numerosi accenni a una tresca, e molte altre informazioni di cui le parlerò tra poco.
«Poiché lei avrebbe potuto reclamarlo, signor Malfoy, inscenai la storia dell’individuo misterioso che lo aveva rubato in mia assenza. In realtà, nascosi il diario nel mio armadietto, al Quartier Generale degli Auror. E rimase lì per tutto il tempo.
«Nascosto il diario, per sviare ancora un po’, come se ce ne fosse bisogno!, inventai la storia della lettera che mi era stata recapitata, in cui mi si diceva che l’assassino si nascondeva al Manor. La lettera l’avevo redatta personalmente, prima di mostrargliela.»
«Sappiamo anche che lei non ha ucciso Loreley.» disse Abraxas, compunto.
«Certo che no! E perché avrei dovuto farlo? – disse Rosamund. – E’ stato Zephyrus MacNiemand a uccidere la sua sorellastra, per i motivi che ho addotto prima di arrestarlo. Era vera la storia d’amore con Deirdre, era vera l’opposizione di Loreley.»
«Quanto al certificato di nascita, avrà capito perché lo nascosi. In primo luogo temevo di essere incastrato. Fu un atto un po' vigliacco, lo ammetto. Ma soprattutto, volevo vederci chiaro nella faccenda, senza spargere subito la voce a proposito della vera identità della mia sorellastra. A quel tempo seguivo la pista dell'eredità.»
«La capisco perfettamente. E posso spiegarmi perché Zephyrus uccise Loreley in quel periodo. Aveva meno possibilità di essere scoperto, perché tutti avrebbero addebitato allo stesso omicida sia il delitto di Lysiart, sia il suo. Lo compì nel padiglione cinese per una straordinaria coincidenza. Anche il secondo omicidio aveva dunque un elemento orientale. Lysiart era morto con l’harakiri. Loreley in un contesto pure orientale.
«L’elemento levantino giocò a mio favore. Anche a me conveniva che tutti gli omicidi venissero addebitati a una stessa persona. Avevo finalmente un compito, oltre che mentire: dovevo scoprire chi aveva ucciso Loreley e incastrarlo, farlo arrestare al posto mio. Compii anche gli altri delitti con armi orientali: il kriss, ed il manzanillo. Infine, come avete visto, ho sbattuto Zephyrus in prigione, facendo credere che fosse colpevole di tutti gli omicidi.»
La macchia di sangue sulla stampa del gelsomino sembrò rifulgere.
«Non ci ha ancora spiegato come e perché uccise Patrick.» disse Abraxas.
«Sapete dunque pochissimi dettagli. – disse Rosamund. – Sarò contenta di rivelarveli.
«Patrick cominciò a capire che dietro gli omicidi c’ero io. Forse risolse la faccenda del fazzoletto, forse riconobbe il mio profumo. Fatto sta che gli venne in mente di aprire il mio armadio per cercare indizi. Nel mio armadio trovò il diario di Lysiart (vi avevo detto che l’aveva nascosto lì). Stando a ciò che avevo detto io, il diario doveva essere stato trafugato. Se Patrick lo aveva trovato, senz’altro era stato capace di ricostruire ogni cosa, di comprendere che avevo mentito.
«Quando mi accorsi che il diario non era più nel mio armadietto, fui colta dal panico. Ebbi uno scatto di paura e dissi che, a causa della stanchezza, dovevo lasciare assolutamente il Quartier Generale. Patrick acconsentì, e permisi anche a lui di andarsene via.
«Avevo chiesto, durante le deposizioni del giorno precedente, che apponesse la sua firma, signorina Zurrey. La sua grafia poteva sempre tornarmi utile. E infatti fu così.
«Il giorno in cui Patrick scoprì la storia del diario, decisi di rivolgermi a un calligrafo, che scrisse una lettera firmandosi “Charlotte Zurrey”. La grafia era identica alla sua, signorina Zurrey. Se avessi usato un incantesimo per copiarla, sarebbe forse stato scoperto. Ma col calligrafo la faccenda era diversa.
«Allora credevo che lei, signorina Zurrey, avesse ucciso Loreley Malfoy, per sposare Abraxas e prendere poi l’eredità del vecchio Malfoy. E proprio su di lei volevo far ricadere i sospetti. Era sicuramente più giusto che venisse arrestato l’omicida di Loreley, piuttosto che un innocente.
«Recapitai la missiva firmata “Charlotte” a Patrick, chiedendogli un incontro a Nocturn Alley. Lo stolto ci cascò in pieno. Ero stata previamente nella stanza delle armi, passando per il camino, e avevo rubato il kriss malese (vi sarete accorti che tutte le armi venivano dal Manor). Patrick giunse nel quartiere malfamato, credendo che Charlotte sarebbe arrivata, e lì lo assassinai.
«Dopodiché, mi infiltrai in casa sua e ripresi il diario di Lysiart. Lo aveva portato con sé dopo averlo scovato nello stipo.»
Charlotte trattenne a stento un singulto. Rosamund intercettò il segnale e rise crudelmente.
«Poi, ci fu la storia di Megan, che voleva parlarmi. – continuò imperterrita. – Aveva capito, in base ad alcuni miei atteggiamenti e ad una particolare poesia di Lysiart, che ero l’amante di suo cognato, e voleva spiegazioni. «Non sarebbe servito negare l’evidenza. Aveva prove schiaccianti. Così ammisi di essere l’omicida. Megan mi conosceva benissimo dai tempi di Hogwarts. Capiva se e quando mentivo. Mentre discutevo con lei nella radura, Zephyrus venne a spiarci, temendo che sua moglie, signor Malfoy, facesse il nome di lui. Comunque non credo che riuscì ad udire Megan che pronunciava il mio nome. Ero al sicuro. Senza contare che quel suo spiare poteva tornarmi utile. Restai ancora nell’ombra.
«Adesso dovevo uccidere Megan prima che mi denunciasse. Innanzitutto le dissi che, se fosse stata mia complice, avrei fatto incastrare lei, signorina Zurrey. Megan avrebbe riavuto suo marito. Divenne allegra come una Pasqua e subito accettò.
«“Farei di tutto pur di liberarmi di Charlotte” mi disse.
«Povera illusa! Come potevo fidarmi delle sue parole? Se per esempio lei, signorina Zurrey, se ne fosse andata di sua libera scelta, Megan avrebbe avuto tutte le buone ragioni per denunziarmi. In breve, Megan non poteva rimanere viva.
«“Trova il modo di strappare due capelli alla Zurrey.” le dissi. “Con una Polisucco, potrò incastrarla facilmente.” Megan me li fece avere quasi subito.
«Invece di rispettare la promessa, il giorno dopo, la uccisi. Potete immaginare come. Certo non sapevo che voi sareste andati a teatro, o avrei scelto un momento più opportuno. Lei, signorina Zurrey, aveva indubitabilmente un alibi di ferro. E io dovevo utilizzare la Polisucco per prendere le sue sembianze in un momento in cui era potenzialmente dentro la magione. Ma non c’era tempo di organizzarsi. Comprai la Polisucco a Nocturn Alley, ci misi dentro il capello che Megan aveva rubato per me e divenni un’ineccepibile Charlotte Zurrey. Azionai allora il passaggio segreto nel pomeriggio, mi infiltrai nella magione e, non vista, sgattaiolai fino al laboratorio.
«Lysiart stesso mi aveva mostrato la stanza segreta del laboratorio, ve lo avevo detto. La conoscevo prima che lei me ne parlasse, signor Malfoy. Certo dovevo assaporare i profumi a cui lì dentro lei lavorava. Quando Lysiart me ne accennò, volli sperimentarli. Io adoro i profumi. Sono la mia vita, la mia droga.
«Mi facevo accompagnare da lui nella stanza segreta una volta tanto. Lì godevo dell’effluvio di rose, freschissimo e ottundente, che si trovava nelle boccette. Avevo già visto, una di quelle volte, i manzanilli.
«In occasione dell’omicidio di Megan, sapevo quindi cosa fare. Colsi con l’equipaggiamento adatto un frutto velenoso – ce n’erano molti – e mi richiusi alle spalle la porta della stanza segreta. Nessuno dovette vedermi. Ma se anche qualcuno intercettò la mia figura, sicuramente non le prestò la dovuta attenzione.
«Col manzanillo in mano, fu semplicissimo poi utilizzare le scale di servizio per raggiungere il primo piano, dove, nascostamente, prima feci rumore per attirare gente, dopo sostituii una mela col frutto mortifero.
«Ottilia Zurrey, che mi vide di spalle, fu meravigliata, e stava per raggiungermi. Credeva naturalmente che fossi a teatro. Prevenendola, uscii nel balcone e disparvi. Ottilia dovette cercarmi, per poi credere d’essersi sbagliata. Al momento opportuno ritornai nella stanza delle armi, dove misi in moto il passaggio segreto ancora una volta. E il gioco era fatto. Quando Megan avesse mangiato la sua mela, fissa che coltivava dai tempi di Hogwarts, sarebbe morta.»
«E’ stata lei! – esclamò Charlotte. – Lei ha utilizzato la Polisucco, non il bibliotecario! E ha finto durante tutto l’interrogatorio, mentre io e mia sorella soffrivamo sotto i suoi occhi.»
«Cos’altro dovevo fare, signorina? Rivelare tutto? Sarebbe stato da sciocchi, vista la lunga strada che avevo percorso. Non potevo tirarmi indietro. Stetti dunque al gioco. Si starà chiedendo allora che ci faceva il suo capello nella stanza di Zephyrus, e cosa il foglio con i pigmenti e la sigla del mio nome! La risposta è semplice. Glieli collocai personalmente.
«Era il giorno del funerale di Megan. Chiamai Green per farmi scortare nella camera di Zephyrus. Avevo deciso di incastrarlo, e di porre fine alla mia lunga attività di attrice. Avevo con me sia un suo capello, signorina Charlotte, che il foglio coi pigmenti, preparato a casa con grande cura. Conoscendo la casa, precedetti il maggiordomo, entrai nella stanza del bibliotecario, lasciai cadere in un attimo il foglio di carta appallottolato con l’elenco dei pigmenti. Quando entrò il maggiordomo, che mi seguiva, finsi di prestare la mia attenzione al libro che stava sullo scrittoio e inscenai il ritrovamento del capello, che in realtà avevo portato con me da casa. Avevo intenzione di allestire una messinscena per il rinvenimento del foglio appallottolato, ma non ce ne fu bisogno. Quel tonto di Green lo vide e me lo passò. Fui molto fortunata, lo ammetto.»
«E l’harakiri? – domandò Charlotte. – La parola “harakiri” era sottolineata sul libro di Zephyrus. E’ stata lei a evidenziarla, dico bene?»
«No. – replicò placidamente l’assassina. – Non sono stata io. Lo stesso Zephyrus, dopo la morte di Lysiart, doveva essersi documentato, mettendo in risalto sul libro il termine “harakiri”. Fu una coincidenza. Un altro punto a mio favore!»
«Così, arrestare Zephyrus non fu per lei un problema.» interloquì Abraxas.
«Al contrario, potrei definirlo un vero divertimento. Questo è stato il caso più esaltante dell’intera mia vita. Come un serpente che insegua la sua coda, sono andata alla ricerca di me stessa. Ma non potevo mai trovarmi. O meglio, non volevo farlo.
«E se non fosse stato per la sua intelligenza, signor Malfoy, per la trappola che mi ha teso, astuta, non c’è che dire, sarei ancora un’assassina nell’ombra. Ripeto, Lysiart poteva benissimo aver nascosto tracce sulla mia colpevolezza dietro il gelsomino. Sarebbe stato sciocco non venire a controllare, con un passaggio segreto che dava direttamente dinnanzi alla stampa. Con quella sua missiva ha fatto un ottimo lavoro, signor Malfoy. Una tagliola esemplare, lo ammetto, benché l’animale braccato sia io.»
«A sua insaputa, - disse Abraxas, - Lysiart aveva disseminato nelle sue poesie la traccia di un amore adulterino. Ricostruendo i pezzi del mosaico, sono riuscito ad arrivare a lei, signorina Jameson.»
«Questo vorrei capirlo meglio. Cos’è successo esattamente?» disse Rosamund, accigliata per la prima volta.
«Ho decifrato due delle sue poesie. Erano giochi di parole che davano il suo nome.»
Abraxas trasse di tasca un pezzo di carta, e lo mostrò all’omicida.

«Distrutta riposa
Nella mia oscura prigione
Umida e sotterranea
Mortale e avvelenata
Solitaria
Opprimente
Nostalgia dell'eterna
Mia assoluta
Illusione.»


«Ebbene?» domandò Rosamund.
«Ebbene, - ripeté Abraxas, - sembra che un serpente di lettere si snodi per la poesia. Legga le parole in quest’ordine: Riposa, Oscura, Sotterranea, Avvelenata, Mortale, Umida, Nella, Distrutta. La successione delle iniziali dà Rosamund. Ma il genio di Lysiart non si fermò qui. Legga, ancora, Illusione, Assoluta, Mia, Eterna, Solitaria, Opprimente, Nostalgia. Iameson. E’ il suo cognome.»
«Geniale! – Rosamund prese a ridere. – Non ci avevo fatto caso, benché avessi notato qualche anomalia. Erano così tante le poesie di Lysiart! Come avrei fatto a capire?»
«C’è dell’altro.» la interruppe Abraxas, traendo dalla tasca una seconda poesia.

11 Aprile 1955

Audace saturnismo

L’infausta rovina,
il triste segreto.
La Burattinaia
si cela qui dietro


«La data è indicativa: il giorno prima dell’omicidio. Lysiart temeva ormai qualche gesto avventato da parte sua, e disperdeva il suo nome ovunque, signorina Jameson. Chiaramente è lei la Burattinaia. Ma “Audace saturnismo” altro non è che “Rosamund Eustacia” anagrammato. La Burattianaia si celava letteralmente dietro le righe.»
«L’avevo già intuito! – disse Rosamund. – Lysiart ci sapeva fare coi giochi di parole. Straordinario!»
Abraxas strizzò gli occhi. Calò il silenzio nella stanza delle armi.
«In vari altri scritti, Lysiart accennava alla rivale della regina. Cercai su Notizie aneddotiche dei re d'Inghilterra, da Enrico II a Enrico VIII, ed anche su altri libri storici, delle informazioni dettagliate su questa figura misteriosa. Ne venne fuori che l’amante di Enrico II d’Inghilterra si chiamava Rosamund Clifford, particolare che vagamente ricordavo dai tempi in cui seguivo un corso di Storia Babbana. Stamattina ho mostrato questo nome, riportato sul libro, a Charlotte.
«L’altro giorno, dietro la stampa del gelsomino in fiore, ho trovato un quadro rappresentante Rosamund Clifford che si affacciava alla finestra. Non ho avuto più alcun dubbio. Lysiart l’aveva forse commissionato per donarglielo. Quel quadro fu la riprova.
«Ci fu anche il caso della scultura. Le dita di Megan, dopo che era stata uccisa, puntavano a una statuetta che, lo ricordai, le era stata donata da lei, signorina Jameson, in occasione del diploma di mia moglie. E perché Megan aveva indicato la statuetta, se non per puntare contro di lei il dito accusatore?
«Quanto al passaggio segreto nella stanza delle armi, - disse Malfoy, - non lo conoscevo. Ma la signorina O’Connor, studiando la casa, ne scoprì l’esistenza, e me lo mostrò. Allora mi sorse un dubbio: avrebbe potuto, qualcuno estraneo alla famiglia, entrare nel Manor attraverso il passaggio e uccidere gli abitanti? Evidentemente sì.»
Nessuno osò fiatare. Rosamund Jameson aveva detto tutto il necessario. Ogni cosa era finalmente al proprio posto. Charlotte pensava al potenziale pericolo delle relazioni extraconiugali, ma era talmente sicura che Abraxas la amasse che sentì un brivido di calore lungo la schiena. Stettero in attesa, tutti immersi nei propri pensieri. Due minuti più tardi, fu il padrone di casa a rompere il silenzio.
«Siamo alla resa dei conti, signorina Jameson. Com’è naturale, offrirò agli Auror le prove necessarie per farla arrestare. Ce n’è abbastanza per il bacio del Dissennatore.»
«No.» disse Rosamund, scuotendo la testa, poi sorridendo.
Charlotte guardò Abraxas con una nota di preoccupazione.
«No?»
«Non verrò arrestata, non verrò processata. Perlomeno, non da sola.» disse Rosamund.
«Mi sembra di non capire.» rispose Abraxas pacatamente.
Rosamund, le mani dietro la schiena, camminò un po’ per la stanza, fischiettando un’aria inquietante.
«Ho scoperto qualcosa sul suo conto che farebbe esplodere la stampa, signor Malfoy. Il “caso dei delitti orientali” verrebbe confinato in seconda pagina, e il suo nome campeggerebbe nella prima.»
Abraxas alzò un sopracciglio.
«Lei, signor Malfoy, - continuò Rosamund tra gli sguardi attoniti di Lotte, - è responsabile di un omicidio e di un’aggressione.»
Mai nessuno aveva visto tremare a quel modo Abraxas. Il suo viso si era contratto. Aveva portato le mani alla fronte e si sarebbe detto che era sull’orlo del pianto. L’Auror rimaneva impassibile a quelle manifestazioni di sgomento.
«Cosa sta dicendo? – gridò Charlotte, sfoderando la bacchetta. – Lei mente! Vuole mettere nei pasticci Abraxas!»
«Le risponda lei, signor Malfoy.» disse Rosamund tranquillamente.
Dopo una breve pausa, il padrone replicò: «E’ tutto vero.»
Charlotte scosse la testa, come un animale selvaggio colpito al cuore da una freccia. «Tu… sei un assassino?»
«Vorrei dirti di no, Lotte. Sono un uomo che ha commesso degli sbagli irreparabili, e che ha dato la sua vita per espiare la sua colpa.»
«Non posso crederci! Di cosa stai parlando?» chiese Charlotte.
«Io ho aggredito mio padre, costringendolo sulla sedia a rotelle. E mia madre non è deceduta per vecchiaia. L’ho uccisa io. – rispose Abraxas. – E’ stato tutto un tragico sbaglio. Quattro anni fa, avevo avuto una discussione con mio padre. Poco tempo prima ero venuto a sapere che lui aveva collaborato all'aggressione al Ministro, atto che ritenevo ingiusto e turpe. Mi ero opposto a lui, dapprima in modo pacato, poi sempre più violentemente. Non so nemmeno io dove volessi arrivare. Forse intendevo fargli ammettere la sua colpevolezza. Tentava di giustificarsi in ogni maniera, e il suo comportamento falso mi irritava. Come poteva giustificare un attentato alla salute del Ministro? La nostra lite sfociò in un’aggressione.
«Ci trovavamo nella piccola libreria del primo piano. Lui era debole, quantunque coloro che lo conoscevano non si sarebbero meravigliati di vederlo capeggiare un battaglione. Urlammo entrambi come matti, io dicendo che era un delinquente, lui affermando che dovevo pensare agli affari miei. Nella stanza accorsero mia madre e l’elfa Hatty.
«Tentarono di farmi ragionare, ma la mia collera esplose, dato che mia madre non poteva capire la questione, e sembrava sostenere la causa di mio padre. Mi scagliai fisicamente contro di lui, ma Nadine Malfoy si frappose, con l’intento di sedare la mia ira. Dopo la caduta, mia madre morì, e a causa del terrore Adolar Malfoy rimase invalido per la vita. Tutto ciò avvenne in un contesto di totale caos, tra gli strilli di Hatty e le urla di mio padre.»
Rosamund annuì. «Sono belle parole per descrivere un brutto assassinio. – rispose. – Si chiederà come ho fatto a scoprire tutto. Semplicemente ho letto la storia sul diario di Lysiart, cui era stata raccontata da lei, signor Malfoy. Poi, non so se ricorda, ho interrogato l’elfa Hatty, chiedendole un resoconto di ciò che era accaduto quel giorno nella piccola libreria. La creaturina non si è opposta. Mi conosceva di vista, perché sapeva del rapporto adulterino che Lysiart aveva instaurato con me.»
Abraxas sbarrò gli occhi. «Ma certo! – si zittì all’improvviso, poi, evidentemente sotto l’effetto di un ricordo, ripeté: «“Hatty non voleva dissobedire, signor Malfoy, signore. Padron Lysiart ordinava ad Hatty di venir ad aspettare che persona uscisse dal muro, signore.”»
«Temo di non capire» disse Rosamund.
«Queste parole esatte mi furono dette da Hatty tempo fa. Le ho segnate su un taccuino, senza riuscire mai a capirle. La persona che usciva dal muro, quindi, era lei, signorina Jameson, quando utilizzava il passaggio segreto.»
«E chi altri? Spesso Hatty si faceva trovare insieme con Lysiart nella stanza delle armi. Conosceva la mia identità, ma non penso mi abbia mai collegato agli omicidi. La mente degli elfi è così ristretta!»
Mentre l’assassina pronunciava queste parole, Abraxas cinse la vita di Charlotte.
«Te l’avrei detto. – sussurrò. – Non potevo nascondertelo per troppo tempo.»
«Patetico! – commentò Rosamund, scrollando la testa. – “Te l’avrei detto! Non potevo nascondertelo per troppo tempo.” Che scuse accorate! Frattanto, signor Malfoy, suo padre è irrecuperabilmente malato e sua madre morta.»
«La demenza di mio padre non è irrecuperabile. – disse Abraxas. – Si tratta di una malattia psicologica piuttosto che fisica. Tante volte lo abbiamo visto vagabondare per la magione, persino stamattina. Ciò è avvenuto perché i suoi arti funzionano alla perfezione, ma la sua mente crede che il corpo non sia capace di reggersi in piedi. Inoltre, tante volte ha sprazzi di lucidità, come nei primi tempi, quelli in cui riconobbe Loreley, e in cui le disse di nascondere il certificato di nascita per evitare uno scandalo.»
«Sta giustificando l’aggressione.» disse Rosamund, rivolta a Charlotte.
«Non tutti gli assassini sono crudeli, disumani, insensibili, spietati come lei, signorina Jameson. Sono pentito dei miei sbagli. Lei non lo è.»
Ancora una volta, Rosamund soffocò una risata.
«Signor Malfoy, cosa è il pentimento? Su, risponda! I deboli si pentono, i veri uomini perseverano. Quando scegli una strada, guai a tornare indietro!»
«Molte cose della vita non le sono chiare, signorina Jameson. Lei sconosce il Bene, e mi dispiace. Ha commesso tre omicidi, ha ferito tanti cuori. Ma immagino non le importi di veder soffrire gente che le aveva dato fiducia. Questa non è malignità! Questa è pazzia!»
«Pazzia, pazzia, pazzia! – disse Rosamund, quasi canticchiando. – Sta di fatto che se lei osasse denunziarmi, io farei lo stesso. Potrei parlare agli Auror non solo dell’aggressione e dell’omicidio, ma anche delle sostanze tossiche e illegali che utilizza nella stanza segreta. Passerebbe tutta la vita ad Azkaban, lontano da Charlotte Zurrey.»
«E’ un ricatto!» sbottò Abraxas, imporporandosi.
«E’ un compromesso. – rispose Rosamund serenamente. – Se lei non mi denunzierà, me ne andrò via da qui, comprerò una casa a Venezia e vi starò per sempre. In caso contrario, dica addio alla sua amante.» E indicò con la punta del naso Charlotte.
«Non posso accettarlo. – disse Abraxas. – E’ qualcosa di spregevole.»
«Insisto. Non si possono richiamare in vita i morti, signor Malfoy. Ma si può salvare un amore.»
Gli occhi di Charlotte luccicarono, e stille di pianto corsero lungo le guance. La bambinaia si gettò fra le braccia dell’amante, affondando il viso sulle sue spalle, singhiozzando poi come un animale in fin di vita. Nello stesso momento, il viso di Abraxas si irrigidì. Le lacrime lo ferirono alle palpebre, scorsero dagli occhi, prima di perdersi fra i capelli della giovane donna. Rosamund osservò impassibile la scena melodrammatica.
«E lei mi assicura che se ne andrebbe a Venezia per sempre?» disse Abraxas, col viso in fiamme.
«Non avrei motivo di restare. Questa vita è pesante. E sappiamo che il peccato nasce dall’eterna monotonia dell’essere.»
«Quand’è così, se ne vada immediatamente, e non metta più piede in questa casa.»
Rosamund rise a fior di labbra. «Questo è un addio, signor Malfoy. Le auguro una vita molto felice, benché dubito che l’avrà. Io gliel’ho rovinata, e ne sono fiera.»
Né Abraxas né Charlotte risposero. Scoccarono un’ultima occhiata all’assassina che dava loro le spalle ed entrava nel camino, per poi azionare gli ingranaggi. I due amanti rimasero abbracciati fino a che non videro sparire Rosamund Jameson, ed altri minuti ancora. I loro cuori battevano all’unisono. Mai come adesso Charlotte aveva dato prova del suo amore.
Sulla strada sterrata, vicino all’antico acquedotto, l’omicida camminava a passo tardo, respirando l’aria salubre dei primi albori, lasciandosi dietro non solo Malfoy Manor, ma anche il suo passato di orrori, passioni e follie. La testa reclinata non le conferiva un’aria trionfante: Rosamund Eustacia Jameson appariva, al contrario, come una donna senza speranze o gioie nel cuore, distrutta, stanca e sfiancata; come una donna che, capitolando, ha perso la lotta con la vita.


Ecco a voi un altro capitolo. L'ultimo, come credo immaginerete. A questo seguirà un epilogo che chiuderà la fic. Ma, probabilmente, troverete qualcosa di nuovo di nostro sul sito. Stiamo lavorando infatti ad un nuovo progetto.

Un grazie particolare a:

Thiliol: Ti ringraziamo per la tua recensione! Cosa pensi di questo chap! Come vedi Zeph è stato colpevole di un solo delitto. Mentre vi erano altri assassini in giro per il Manor. Cosa pensi del vero colpevole? E di Abraxas?

Vekra: Bellissima la tua recensione come sempre. Come vedi tutte le tue domande trovano risposta nel capitolo e sai finalmente chi sia il colpevole (per lo meno il colpevole di tre dei quattro delitti...Zeph uno l'ha commesso comunque). Sappici dire cosa ne pensi. Ti è piaciuta come soluzione? O qualcosa ti ha deluso?

Moony Potter: Speriamo di non deluderti con la rivelazione finale, con la scoperta dell'omicida di Lysiart, Patrick e Megan. Ti ringraziamo ovviamente per la tua spledida recensione! Sappici dire cosa pensi di questo capitolo!


Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

  
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