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Autore: Gobbigliaverde    21/12/2014    2 recensioni
- Possibile che ho passato tre anni della mia vita a cercare di credere alla magia, e ora tutti mi dicono l'inverso? -
C'è chi perde la persona che ama, chi perde la strada, chi la famiglia, e chi la memoria. In questo mondo c'è di tutto. Ma siamo qui tutti assieme, su questo pianeta, per aiutarci a vicenda a ritrovare quel pezzettino di noi che abbiamo perso. In questa vita l'unica regola è rompere le regole... e queste regole sono dettate dalla magia.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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REALTÀ O MAGIA

 

 

Un pugno nello stomaco, ecco cos’è. Non è vero. Non può amarmi così tanto. Non deve amarmi così tanto. Io non lo amo così tanto… o forse sì. Sono confusa. Mi ha detto che mi ama e che vuole venire a vivere da me, dopo praticamente il nostro secondo bacio se contiamo anche quello all’Isola che non c’è. Chiaro che per lui è tutto più semplice, lui ha dei ricordi. Non so nemmeno se mi posso fidare o no, ma perché deve essere tutto così complicato? Perché? Questa dannata stanza di ospedale mi da letteralmente i nervi. Cosa ci faccio io qui? Dovrebbe esserci Regina, in questo dannato mondo è lei sua moglie, è lei la madre di Henry e io non sono proprio nessuno.
    Sto per andarmene senza dire nulla, sono senza parole. Uncino mi afferra il polso. — Lo vedi? Fai sempre così. Quando qualcosa è fuori dai tuoi piani tu te ne vai — sibila.
    — Non è “fuori dai miei piani”, come faccio a sapere se stai mentendo? — gli dico alzando un po’ troppo la voce.
    Killian alza gli occhi al cielo, poi mi guarda sbuffando. — Usa il tuo super potere.
    Io aggrotto la fronte. Chi mi dice che il mio super potere funziona anche in questo mondo?
    — Chi ti dice che il tuo super potere non sia condizionato dalla tua folle paura di amare? — risponde lui. Il suo sguardo è così caldo che potrei sciogliermi nei suoi occhi.
    — Io non… — provo a sillabare, poi scuoto il capo. Non perderò un minuto di più con queste cose. Devo trovare Neal, trovarmi un lavoro, mantenere una famiglia, rompere quello che sembra un sortilegio e riabbracciare il mio Henry. Non ho tempo anche per le bugie. Sono di nuovo in procinto di andarmene, ma Killian salta giù dal lettino e si para di fronte a me. Giuro che se riesco a uscire da quella porta…
    — Swan, Swan, aspetta. Io posso anche abitare da te solo per un periodo, fino a quando non trovo una mia sistemazione… — sussurra, tenendosi la fronte. Il balzo dal letto gli ha fatto girare la testa.
    Giuro che gli farò pagare questi suoi stupidi giochetti. — No — sputo fuori, poi mi incammino verso la porta, schivando il suo braccio che tenta di afferrarmi nuovamente.
    — Aspetta, non andare via! Devo divorziare da Regina, e giuro che combatterò per Henry a tutti i costi. Se io vengo a vivere con te e ottengo Henry, tu avrai la possibilità di vivere anche con lui — mi dice.
    Mi blocco sulla soglia. Il mio cuore ha preso a battere velocemente. Ora non posso dire di no. — Va bene. Ma solo per mio figlio.

Ebbene, ho detto di sì a questa folle storia. Non è la cosa più ragionevole, ma ho detto sì. Ora devo solo chiamare la baby-sitter per avvertirla che sto per tornare. Digito il numero sul telefono, e subito una vocina stridula risponde.
    — Salve, sono Emma Swan, volevo solo avvertirla che stavo tornando… e dica ai bambini che oggi dobbiamo ospitare un… un amico. Grazie — sussurro, mentre la ragazza dall’altra parte ha già messo giù.
    Fatto. Killian mi guarda in un modo strano.
    — Cosa c’è? — domando.
    Solleva le spalle e sorride. — Non credevo che fossi tipa da lasciare i tuoi figli con una baby-sitter.
    Cosa avrei dovuto fare? Portarli all’ospedale con me? Che affermazione stupida, penso, ma non dico nulla di tutto ciò. Mi limito a mordicchiarmi l’interno della guancia e a rispondere: — Non commentare le mie scelte e preparati, dobbiamo andare.
    Lancio sul lettino un paio di jeans e una camicia, lui storce il naso. Faccio spallucce e esco dalla stanza, anche se è uno stile che poco gli si addice sono pur sempre i suoi vestiti, in questo mondo.
    Tutto l’atrio è in subbuglio. Regina deve aver chiamato tutti i parenti a quanto sembra. Me la svigno prima che qualcuno possa fermarmi, vedersela con loro è compito di Uncino. Corro giù per la rampa di scale che porta al parcheggio, e aspetto lì fino a quando non lo vedo sbucare trafelato. Sale in macchina sistemandosi il colletto della camicia azzurra, infastidito, mentre io metto in moto. In pochi minuti arriviamo di fronte alla porta di casa.

Suono al campanello, ho dimenticato le chiavi dentro. Sento un rumore di passi, e poi il chiavistello arrugginito che funziona a fatica. Dalla fessura della porta compaiono gli occhi spaventati della mia piccola.
    — Gemma, ti ho mai detto che devi chiedere chi è prima di aprire la porta? — le domando con fare severo.
    Scuote la testa.
    — Beh, allora te lo dico adesso — rispondo un po’ imbarazzata. Killian penserà che sono una madre disastrosa, il ché è vero.
    Entro in casa seguita da Uncino, che appena vede Gemma le corre in contro e la abbraccia. Lo fulmino con gli occhi, ma lui sembra non farci caso. Ora tocca solo a me, devo fidarmi. Mi guardo attorno. È tutto sotto sopra… Che cosa è successo?
    — Gemma, dov’è Angelea? — le chiedo a bassa voce.
    Lei continua a guardarmi con gli stessi occhioni azzurri del padre. È andata a cercare Henry — sussurra.
    Killian mi guarda stranito. — La baby-sitter si chiama Angelea?
    Vorrei incenerirlo con lo sguardo. — Non è questo il punto… Cosa vuol dire che è andata a cercare Henry? — continuo a chiedere a Gemma.
    Gemma sospira, e risponde come se fosse una cosa ovvia. — È scappato.
    Il cuore mi si ferma in gola. L’atmosfera sembra congelarsi di colpo. Aveva ragione lui. Avrei dovuto fidarmi solo di me stessa. Invece ho delegato il mio compito. Senza dire una parola prendo la mia giacca e corro in strada.

A New York un ragazzino come Henry se lo mangiano. Come può essere sparito? Non può essere andato lontano, è a piedi, è notte, ed è praticamente un bambino. Non so nemmeno se sta bene!
    Corro per la quarantesima volta in poche ore alla stazione di polizia. Anche se è sera tardi non dovrebbe essere chiusa. Infatti le luci sono tutte accese, ma qualcosa mi blocca dall’entrare. Sulla porta dell’uscita infatti, vedo una ragazza che conosco fin troppo bene. Angelea. Mi affretto a bloccarla.
    — Come hai fatto a perdere mio figlio?! — la aggredisco.
    — Io… Io non… — Sembra davvero spaventata, è sul punto di piangere, così cerco di mostrarmi meno severa.
    — Calmati, se è scappato non è colpa tua — le dico, poggiandole una mano sulla spalla.
    Mi guarda ancora più spaventata. — La porta era chiusa a chiave, capisci? A chiave! L’unica chiave l’avevo io, e quando sono uscita per cercarlo, la porta era ancora chiusa! Sembra sparito nel nulla, e alla polizia mi prendono per pazza, e mi dicono che non esiste nessun Henry Cassidy!
    Singhiozzando si appoggia sulla mia spalla. Io avrei una spiegazione da darle, ma sono certa che non la accetterebbe troppo facilmente. — Ok, ora tu stai calma, lo troveremo, però basta lacrime, va bene?
    Annuisce, e ci avviamo verso casa.
    Entriamo in salotto, stanche e preoccupate. Killian sta dormendo con Gemma tra le braccia sul divano. Fa uno strano effetto. In questo momento mi fa quasi tenerezza. Appoggio la giacca, e noto che la baby-sitter si è bloccata sulla soglia. Sembra molto stupita.
    — Killian — dice in un sussurro. Lui apre leggermente gli occhi, la guarda abbozzando un sorriso, poi dice, con la voce impastata dal sonno: — Angie, questo è un sogno.

  
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