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Autore: flyingangel    10/11/2008    1 recensioni
"Amarti, il mio incubo. Che cosa nascondi dietro ai tuoi occhi?"
Chey è una ragazza come tante, ma qualcosa dietro l'angolo sconvolgerà la sua vita, e le farà vivere l'esperienza più eccitante, dolorosa, e pericolosa che abbia mai immaginato.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- SEDICESIMO CAPITOLO -

*

Loud mi guardò, ancora preoccupato per me, dopo aver messo a posto la finestra. Non so che cosa aveva
armeggiato, ma cercò di tranquillizzarmi.
Mi strinsi nelle spalle. Antoine e Jen avevano raggiunto la mia cucina per preparare qualcosa.
“Ci sono rimasto male anch’io. Che cosa voleva, si può sapere?”
Mi irrigidii alle sue parole. Scossi la testa, non sapendo cosa rispondere. Ci fu un attimo di silenzio.
“Forse voleva farmi del male” feci una pausa. “A quanto ho capito, ha un’avversione contro di me, non mi sopporta”.
Loud mi lanciò un’occhiata perplessa. “Spero non ritorni più, non vorrei mettermi in guerra con lui”.
“E cosa potresti fargli?” chiesi, stupita. “Non puoi mica ucciderlo. Mettersi contro un licantropo non è cosa da
poco. è pericoloso”.
“Non ti preoccupare” mi guardò e io fremetti. Attese un secondo. “Lo so”
Annuii, lanciandogli un’occhiata. “Come faccio a far sì che non mi uccida?” chiesi, alzando le sopracciglia.
Ero davvero sconcertata, anche per la mia stessa domanda.
Mi guardò e poi spostò gli occhi oltre me. “Ci penserò io ad aiutarti. Ci penseremo noi”.
Con “noi” capii che intendesse anche Antoine, e forse qualcun altro.
“Ma non sono sicura comunque. E poi voi potreste farvi male”. Rabbrividii.
Loud scosse la testa e mi prese per mano. “Non ti preoccupare per noi” la mia mano sudata scivolò sulla sua
liscia pelle fredda.
“è una parola” mormorai a denti stretti.
Lasciai la sua mano. “Sarà meglio che mi compri delle valide “sicure” per porte e finestre”.
Loud sorrise. Allora alcune battute le capiva.
“Sta’ tranquilla, ora” mi sussurrò all’orecchio.
“Non te ne vai, vero?” mormorai, guardandolo in quegli occhi profondi.
Ricambiò il mio sguardo, dandomi un buffetto sulla spalla. “Rimango se hai bisogno”.
“Pareva ti conoscesse” dissi, fissandolo perplessa.
Loud alzò un sopracciglio e stette in silenzio qualche secondo. “Non lo conosco, so solo che è meglio stargli alla larga”.
“Pareva avesse un’avversione anche contro di te” continuai a tenere il mio sguardo fisso sui suoi occhi.
Lo ricambiò e fremetti. “Probabile. Chissà che non gli stiamo entrambi antipatici”.
Cercò di sorridermi e io cercai di ricambiare.
“Ehm” ci interruppe Jen, entrando dalla cucina al salotto. “Abbiamo preparato qualcosa”.
Ci sedemmo a tavola, io e Jen, mentre Loud e Antoine rimasero in piedi.
“Noi abbiamo già mangiato” bofonchiò Loud, guardando Antoine e poi noi, con sguardo innocente.
Annuii e presi a mangiare, dopo tutta quella tensione accumulata.
Fu un sollievo riempirmi finalmente lo stomaco.
La sera passò piuttosto in fretta, al contrario di quello che avevo immaginato.
“Ce ne andiamo allora, grazie anche per la cena” disse Loud, entrando in cucina.
“Ma se non avete mangiato nulla” biascicai, riponendo i piatti appena lavati, consumati da me e Jen.
Lui fece spallucce. “Non importa, siamo stati bene” fece un sorriso di sbieco e mi venne vicino.
“Allora ci sentiamo” borbottai, imbarazzata per la sua vicinanza.
“Puoi contarci” levò una mano all’altezza della fronte e io roteai gli occhi, mentre uscì, abbandonando la stanza.
Riposi i piatti nella credenza e mi voltai, quando Jen entrò nella stanza.
“Tutto bene?” mi chiese lei, dandomi un’occhiata da lontano.
Annuii. “Certo e tu?”
Lei fece di sì con la testa. “Sono stata bene” ora sorrise.
“Fa’ strano avere quei due per la casa, non trovi anche tu?” alzai un sopracciglio e lei continuò a sorridere.
“Smettila di trovarlo strano, io lo trovo… bello, jolie..”
“Non credo jolie sia adatto usato anche per un aggettivo maschile” sorrisi, guardandola di sbieco.
“Ma smettila” sbuffò lei, aiutandomi a riordinare la tavola.
Il giorno dopo c’era il sole. Ma dopo qualche ora, mi accorsi che il cielo era diventato grigio ed era infangato
di nuvole da far venire male.
Raggiunsi lo sgabuzzino dove sapevo di trovare Loud e bussai, quasi stupidamente con un mezzo sorriso
stampato in faccia.
“Ehi” dissi entrando.
Lui si girò, prima mi dava la schiena, e proferì un sorriso. “Buongiorno, Chey”.
“Ciao, come stai?” alzai un sopracciglio, squadrandolo.
“Bene” sorrise ancora.
Mi voltai indietro e vidi un sacco di studenti che si accalcavano verso le loro aule. “Credo sia suonata, devo
andare” levai una mano. “Se ti va ci vediamo, da qualche parte.”
Lui annuì, salutandomi.
Tenni saldi i libri tra le braccia, mentre raggiungevo la mia prima aula di quella mattina: scienze.
Una palla.
Ma mi ero preparata. Eh, già. Ero riuscita a studiare prima di ieri, almeno mezz’ora. Perciò, forse ne avrei
cavato una sufficienza, utile a riportarmi in superficie.
Qualcuno mi guardò da lontano, ne avvertii il fastidio addosso. Non ci detti peso; tutti guardavano tutti in
malo modo, se li giudicavano senza nemmeno conoscerli.
Proseguii verso l’aula. Qualcuno mi si avvicinò, teneva i suoi occhi puntati su di me; mi sentivo in imbarazzo.
Lo urtai accidentalmente, mentre tenevo i libri in mano, ma non era colpa mia.. secondo me. Alzai lo sguardo
e fui stupita. Il licantropo che mi aveva attaccato mi guardò, era a un centimetro da me, i suoi occhi profondi e seri… poi passò oltre.
Ebbi paura di voltarmi indietro, perciò attesi qualche istante. Contai mentalmente qualche numero e poi mi
voltai a constatare la sua presenza in quel corridoio.
Lo vidi di spalle, mentre se ne andava verso un’altra direzione.
Decisi di non pensarci, o almeno di pensarci il meno possibile.
Al pomeriggio, subito dopo l’ultima lezione, ero rimasta tra le ultime per uscire. Ero talmente stanca…
riposi i miei libri nello zaino e poi me lo misi in spalla.
Mi affrettai verso la porta e la richiusi. Sentii un rumore e guardai a terra. Un piede aveva fatto sì che la porta
non si chiudesse. Spalancai gli occhi verso di lui. Il licantropo. E rabbrividii. Mi diede una leggera spinta verso
 l’interno dell’aula, dove non c’era più nessuno, se non noi due.
Mi fece arretrare verso la parete, accanto alla lavagna e diede uno strattone al banco della cattedra, facendolo
spostare. Il rumore provocò un leggero stridio contro il pavimento.
Ero attaccata al muro. Fremetti, spaventata. Che cosa mi voleva fare? Voleva uccidermi?
Cercai di dire qualcosa, ma non mi uscì nulla; tremavo troppo, ero troppo agitata per parlare.
Mi scostò il viso, premendomi la mano contro e mi costrinse a guardarlo negli occhi.
“Adoro il modo in cui mi eviti” mi disse, e il suo alito soffiò tra i miei capelli e mi provocò un brivido.
Lo fissai negli occhi. “Non ti evito, non riesco a capire cosa vuoi da me” biascicai, e non mi accorsi che una
lacrima scese dai miei occhi, spaventati.
Mi guardò, fisso. “Tu mi eviti. Hai capito che ti faccio paura. Io ti faccio paura” mormorò e digrignò i denti
verso il mio orecchio. “Ma non devi averne”
“E perché, se tu me ne metti?” cercai di infondermi un po’ di coraggio; ma in realtà non mi sentivo così coraggiosa
in quel momento.
Sentivo il suo corpo magro contro il mio, era vestito completamente di nero, e i suoi capelli alla
casaccio, castani, avevano dei riflessi al sole che era rientrato a brillare contro le finestre dell’aula.
I suoi occhi grandi dalle ciglia lunghe non persero il movimento dei miei; faticavo a non tremare contro di lui e ciò
mi metteva ancora di più in agitazione. La sua faccia, così vicino alla mia, era bellissima, nella sua rudezza pareva quasi angelica.
Che cosa mi avrebbe fatto?
“Tu hai idea di chi frequenti, almeno?” mi prese alla sprovvista.
Di chi frequento chi? Che idea dovevo averne?
“Scusami, che stai dicendo?” proferì, avvertendo un altro brivido percorrermi la schiena, contro la parete bianca.
Alzò un sopracciglio.
“Lo so io chi frequento, e non mi pare il momento di parlarne. Piuttosto, tu che sei un licantropo, dico un licantropo!
vaghi a zonzo per la nostra scuola, come se nulla fosse! Ma dico, ti pare normale questo?” alle mie parole arretrò
di un passo, sempre tenendo la sua mano a sbarra accanto alla mia testa, contro il muro bianco.
“Questo non ti da il diritto di giudicare” mormorò, a denti stretti, evidentemente offeso.
“Oh, non voglio offenderti, ma sai è pressoché strano il tuo comportamento e il fatto che sei… bè sei un animale
e continui a non dirmi che cosa ti ho fatto, che cosa vuoi da me… non capisco” biascicai, mentre lui prendeva a
riavvicinarsi a me di un passo, provocandomi ancor più agitazione di prima.
“Non importa” mi disse soffiandomi accanto all’orecchio, dandomi poi le spalle.
“Sì che importa” affermai.
Alzò un sopracciglio, rigirandosi verso di me.
Fremetti, contro la parete. “D’accordo, allora se mi lasci andare, me ne vado” biascicai, cercando di non piangere.
Lo superai e poi mi affrettai richiudendo la porta dietro di me e camminando velocemente verso l’uscita; la scuola era
deserta.
All’esterno, c’era ancora qualcuno che chiacchierava e raggiunsi la mia bicicletta, montandola e avviandomi verso casa,
senza voltarmi più indietro.

*


un grazie entrambe ragazze, che mi commentate!!!

valevre: non ti preoccupare, grazie per essere passata ancora!, e… si scoprirà chi è leo…

alexis: ma che dici! non dirò che non voglio più i tuoi commenti, anzi grazie per postarli! mi fanno molto piacere, e vediamo che cosa ne pensi anche in questo chap del licantropo… apprezzo la tua curiosità ; ) ehhhh Loud :=)
  
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