Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: lyssa    22/12/2014    2 recensioni
❝ Il bias di conferma (Confirmation Bias) è un fenomeno cognitivo al quale l'uomo è soggetto. È un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità, a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono. Il fenomeno è più marcato nel contesto di argomenti che suscitano forti emozioni o che vanno a toccare credenze profondamente radicate. ❞
Sherlock Holmes, unico consulente investigativo al mondo, ha bisogno di un coinquilino. Dopo settimane intere di infruttuose ricerche e convivenze dalla durata massima di settantadue ore, James - brillante mente criminale ed ex professore di matematica - risponde all'annuncio, rivelandosi il coinquilino ideale.
[Ovviamente sheriarty || AU || il rating salirà man mano || possibili accenni a ship minori.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo tre;



 

Sono passati diversi giorni da quando ha sentito la parola “Moriarty” per la prima volta. Da allora il nome non lo ha più abbandonato, è rimasto una costante, un’idea fissa e impossibile da scacciare, così come l’urlo agonizzante del tassista, diventato oramai il sottofondo a quasi ogni pensiero. Moriarty non è tuttavia presente solo nella sua mente, egli segue Sherlock ogni momento e situazione. Si trova ovunque: un basso e fioco sussurro che si cela dietro ad ogni caso di cui recentemente il detective si occupa, un’invisibile e impalpabile nube tossica che rilascia crimini in tutta Londra (e non solo), un abile burattinaio che agisce nell’ombra, in grado di muovere alla perfezione le proprie marionette ed orchestrare uno spettacolo senza precedenti, invisibile al mondo intero ma in qualche modo manifesto agli occhi di Sherlock Holmes. 

Il detective non ha alcun dubbio che tutto quello sia diretto a lui personalmente. Non è un caso se quel nome continua a tornare, mostrandosi giorno dopo giorno in mille modi diversi, come un tetro avvertimento. Sherlock tuttavia non ne è spaventato. La possibilità che al mondo esista qualcuno di tanto geniale e brillante –  qualcuno come lui, in grado di tenergli testa – è sufficiente a farlo sorridere e tremare, preda di un'eccitazione e di un entusiasmo che non ricorda di aver mai provato nel corso della sua vita. 

Moriarty è una Distrazione con la D maiuscola, è quello svago e quella sfida che Sherlock ha cercato per tutta la sua esistenza, senza però riuscirci. Moriarty è meglio di ogni altro criminale con cui si è scontrato ed è per questo che  preferisce pensarlo come un individuo piuttosto che come un’organizzazione: il pensiero che una mente tanto abile, imprevedibile ed intelligente si trovi in un corpo solo è intrigante e porta con sé un fascino a cui Sherlock, suo malgrado, si trova soggetto. 

Negli ultimi giorni non è riuscito a pensare ad altro. Ha passato ore a sfogliare i dossier di Scotland Yard alla ricerca di nuove informazioni, a leggere giornali ed articoli su internet per provare a collegare puntini ed avvenimenti ancora sconnessi. Niente da fare. Tutte le ricerche si sono rivelate prive di significato. La cosa, anziché scoraggiarlo, ha finito unicamente per accendere il suo entusiasmo. Certo, avrebbe potuto chiedere aiuto a Mycroft, ma l’idea è stata scartata nel momento in cui è nata, accartocciata e gettata via come uno schizzo mal riuscito, non degno di vedere la luce. Suo fratello potrebbe forse dare contribuiti non del tutto inutili alla sua causa, ma Sherlock non è disposto a condividere Moriarty con lui. Ne è in qualche modo geloso, come se fosse un giocattolo troppo bello con cui nessuno può giocare, perché sa che questo fantomatico criminale – definirlo un semplice assassino è non solo errato, ma persino denigratorio – si è mostrato a lui e a lui soltanto. Sherlock è consapevole di quanto stupido e pericoloso sia questo suo attaccamento, ma la cosa non riesce a tangerlo particolarmente. 

L’unico con cui ha condiviso alcuni dettagli e pensieri al riguardo è Jim. 

Jim è una persona strana. “Strano” non è un aggettivo che porta una connotazione negativa nel vocabolario di Sherlock, esso sta ad indicare un individuo diverso dalla norma, particolare e – proprio per questo – non noioso. L’irlandese è un uomo intelligente, con un modo di pensare che esula dagli schemi e dalle convenzioni – Sherlock riesce a capire perché, tra tutte le materie, egli abbia insegnato proprio matematica, una disciplina astratta in grado di aprire la mente e spronare a cercare strade alternative ad un unico problema – ed è incredibilmente piacevole passare del tempo in sua compagnia. Non vi è tra di loro il bisogno di riempire i silenzi con chiacchiere noiose e senza significato e ciò rende le loro conversazioni sempre stimolanti e degne di nota.

Jim si è inoltre adeguato senza problemi al particolare stile di vita di Sherlock. Lo accompagna sulle scene del crimine–  a volte però si separano e indagano in modo indipendente, altre invece Jim ritorna all’appartamento e Sherlock conclude il caso da solo – e cerca di aiutarlo in qualche modo, per quanto l’apporto da lui dato sia stato praticamente pari a zero. Jim si limita a dire cose a cui Sherlock ha già pensato, fa ragionamenti che già hanno preso vita nella mente del detective, narrando teorie che già ha preso in considerazione. Eppure, nonostante la scarsa utilità, Sherlock non né infastidito, al contrario. 

Jim è in grado di star dietro alle sue deduzioni, segue il flusso dei suoi pensieri e – nonostante non aggiunga nulla di nuovo – Sherlock è già contento così, perché in tutta la sua vita non ha mai incontrato qualcuno in grado di farlo, perché è bello parlare essendo consapevoli che qualcuno possa capirti, perché in fondo è piacevole ascoltare un’altra voce – anche se più morbida, musicale e dall’accento diverso – dare vita ai propri pensieri. Lo fa sentire meno solo al mondo.

Sherlock si stiracchia appena, stacca la schiena dallo schienale della poltrona e allunga le braccia, producendo un mugolio che fa sollevare il volto di Jim dai fogli che sta consultando. L’irlandese lo guarda, appena perplesso, gli rivolge un piccolo sorriso e riabbassa poi il capo, continuando a fare quello che stava facendo in precedenza. 

Moriarty non si fa sentire da un po’ e Sherlock ha deciso di approfittare della cosa per risfogliare dossier di casi ormai archiviati alla ricerca di un nome, un pattern, una qualunque cosa che possa portarli più vicino al criminale. Si tratta di un operazione lunga e piuttosto noiosa, probabilmente inutile, ma è sempre meglio che stare con le mani in mano in attesa della prossima mossa di Moriarty. 

Jim si trova seduto sulla poltrona opposta a quella di Sherlock, con un plico di fogli sulle ginocchia e una normale penna bic, la cui estremità viene occasionalmente mordicchiata, tra le dita. 

È diverso da quando Sherlock l’ha visto per la prima volta. Ha cambiato il suo abbigliamento: quando è in casa non indossa completi costosi, ma semplici t-shirt, solitamente con sopra giochi di parole e battute riguardo la matematica – quella che indossa al momento è blu scuro e ha stampato su il grafico di una funzione asintotica, accompagnato dalla frase “can’t touch this”. Le differenze del vestiario sono però le meno significative. Jim è stanco e non serve essere attenti ad ogni dettaglio per rendersene conto. I capelli, prima meticolosamente tirati indietro, sono ora scompigliati e gli ricadono sul volto in modo disordinato in tante piccole ciocche scure che fanno sembrare la pelle ancora più chiara e pallida di quanto non sia in realtà. In contrasto con il candore del volto sono anche le occhiaie marcate e violacee, evidenti sotto gli occhi stanchi. Non dorme da almeno un paio di giorni ed è strano perché è da 72 ore che Moriarty non si fa sentire e persino Sherlock si è concesso il lusso di qualche ora di sonno. Probabilmente è dovuto all’insonnia che l’irlandese ha accennato quando si sono incontrati. 

«Hai visto qualcosa che ti piace?» 

Sherlock si rende conto di star fissando Jim da un tempo più o meno indefinito unicamente quando il capo di quest’ultimo si solleva ancora, permettendo ai loro sguardi di incontrarsi. Sorride Jim, con quel sorriso vagamente malizioso che accompagna la metà delle frasi che fuoriescono dalle sue labbra e le iridi scure e calde puntate su quelle decisamente più fredde dell’altro. 

«Non proprio. Quella maglietta è orribile.»

Jim ride, ma il suono che fuoriesce dalle sue labbra viene interrotto da un rumore assordante. Uno scoppio sordo, seguito immediatamente da uno dalle tonalità più alte ed acute. Avviene tutto così rapidamente che nessuno dei due fa in tempo a muoversi e a realizzare completamente la situazione: la pioggia di vetri della finestra si scaglia nella loro direzione, atterrando fortunatamente una decina di centimetri prima delle due poltrone. Nessuno dei due è ferito e nulla di particolarmente grave è avvenuto. Sherlock sposta rapidamente lo sguardo su Jim, che incredulo e scioccato continua a fissare le schegge sul pavimento, prima di osservare la finestra rotta. Si alza dal suo posto e inizia a muovere qualche passo verso di essa, per poter osservare la situazione al di là del cornicione. Parte dell’edificio di fronte al loro è letteralmente esploso. 

«Finalmente!» La voce fuoriesce dalle sue labbra più allegra e contenta di quanto si aspettasse. «Forza, mettiti la giacca e muoviti. Dobbiamo andare da Geoff!» Aggiunge, con il sorriso ancora dipinto sulle labbra. 

Jim lo guarda, sospira e si passa velocemente le mani tra i capelli, in modo da fargli assumere un aspetto quantomeno accettabile e presentabile anche senza utilizzare il gel. Il risultato non è ben riuscito e dopo poco l’irlandese rinuncia. «Greg!» Risponde solo, mentre allaccia i bottoni della giacca e si prepara a seguire Sherlock fuori dall’appartamento.  «Il suo nome è Greg.»

***

«Sherlock, Jim! State bene?» 

La voce di Lestrade è la prima cosa che sentono quando mettono piede nel commissariato. Sul volto dell’ispettore è presente una preoccupazione genuina che l’uomo non si premura di nascondere in alcun modo. Greg è sempre stato così: facile da leggere sì, ma sincero ed onesto, una persona sostanzialmente buona sempre disposta ad ascoltare ad aiutare, possessore di quelle qualità che oramai sono sempre più rare all’interno del corpo di polizia. Un poco noioso, non brilla per intelligenza – non perché sia stupido ma perché per Sherlock quasi tutti hanno un QI poco sviluppato – ma Sherlock non può negare di essergli in qualche modo affezionato. Greg lo ha aiutato in momenti difficili e lui gli è davvero grato, per quanto non abbia mai espresso il sentimento a parole. Gli deve molto.

«Siamo qui, risponditi da solo.» La risposta arriva fredda e sarcastica, nonostante l’importanza del loro legame. Lestrade non sembra farci caso, ormai abituato, e non reagisce in alcun modo. «Cos’è successo?»

«Esplosione. Fatta per sembrare un normale incidente.» 

«Qualcuno ha piazzato lì una bomba.» Jim mormora e avanza un poco, in modo da intromettersi nella conversazione. 

«Esattamente. »Greg annuisce, lo sguardo fisso sull’irlandese. Sherlock può vedere il poliziotto aggrottare le sopracciglia e lanciare un’occhiata vagamente preoccupata a Jim – probabilmente ha notato le occhiaie profonde e lo stato in cui si trova – ma tempo un paio di secondi e l’attenzione di Lestrade si sposta nuovamente su di lui. «E Sherlock…» La voce è un poco tentennante. Qualcosa lo preoccupa. «C’era qualcosa per te.»

Senza dire altro si allontana verso la propria scrivania, solo per estrarre una busta da uno dei cassetti, quello tenuto sotto chiave, e fargli cenno di avvicinarsi. 

«Abbiamo già analizzato il pacchetto, non dovrebbe contenere nulla di pericoloso.» Annuncia, con un tono che vuole sembrare convinto ma che fallisce miseramente nell’intento. 

Sherlock rotea gli occhi, seccato da quella sceneggiata e afferra la busta, con cautela ma senza mostrare una reale preoccupazione. Non è spaventato. Se il mittente voleva ucciderlo, avrebbe potuto farlo tramite l’esplosione. 

«Solo una persona potrebbe inviarmi posta qua alla centrale.» 

Il mormorio di Sherlock è basso, un semplice sussurro che fuoriesce da un paio di labbra rosee sollevate verso l’alto. Si tratta di Moriarty, pensa, mentre fa passare il pollice sulla carta e ne tasta la trama. Carta boema, costosa, di classe. Il nome “Sherlock Holmes” è stato scritto con una stilografica blu – al detective basta osservare la traccia dell’inchiostro per un paio di secondi per riconoscere il modello – in una calligrafia femminile. Solo una volta conclusa quella prima analisi si decide ad aprire la busta.

«Oh.»

Un cellulare. Rosa. 

Solo guardandolo, Sherlock sente il battito del cuore accelerare e il sangue pompare con più forza e velocità nel sangue. 

«Sembra il cellulare del nostro primo caso.» Jim fa capolino dalla sua spalla, sporgendosi per poter osservare meglio l’oggetto. È talmente vicino che Sherlock può quasi sentire il suo respiro caldo sulla propria pelle, ma ormai non ci fa caso: il concetto di spazio personale è qualcosa di alieno tanto a lui quanto a Jim.

«Sembra è la parola giusta. Non è lo stesso, ma chi ha mandato il messaggio ha fatto il possibile per renderlo uguale all’altro.» 

«Il mittente potrebbe averti lasciato qualcosa.» Si intromette Greg, incrociando le braccia, gli occhi puntati sul telefono. 

Sherlock preferirebbe osservare il telefono in totale solitudine, in modo da poter analizzare il regalo di Moriarty da solo, senza tanti occhi addosso e irritanti commenti nelle orecchie. Il loro gioco ed inseguimento è qualcosa di personale e importante; gli dà quasi noia scorrere nella galleria e nei messaggi di fronte a così tante persone, perché sente di star condividendo qualcosa che dovrebbe rimanere non nascosto, ma comunque riservato. Purtroppo, ora non ha alternative. 

“Hai un nuovo messaggio vocale.”

***

Il messaggio contenuto nel cellulare era, per così dire, muto. Nessuna voce, solo quattro “bip” seguiti immediatamente da una foto di una stanza spoglia e abbandonata. Il locale aveva un’aria vagamente familiare, un qualcosa in grado di scaturire una sensazione di “l’ho già visto ma non ricordo dove” nella mente di Sherlock. Gli ci vollero cinque minuti per rendersi conto che la stanza non apparteneva a nient’altro che al 221c di Baker Street, un appartamento che la signora Hudson gli aveva mostrato prima che decidesse di trasferirsi dove abita attualmente.

Lestrade ha seguito lui e Jim fino a lì. Sherlock non capisce perché lo abbia fatto, il suo aiuto è completamente inutile. Decide tuttavia di non farglielo notare perché davvero, non vuole ulteriori interruzioni, e non lo degna di uno sguardo, deciso ad entrare nell’appartamento.

Il soggiorno è identico a quello raffigurato nella foto. L’unica cosa ad apparire fuori luogo sono un paio di scarpe da ginnastiche, disposte sul pavimento al centro della stanza e con le punte rivolte verso la porta da cui sono entrati.

Sherlock si volta indietro e i suoi occhi incontrano quelli di Jim, che annuisce appena. È strano. Il detective non riesce a capire perché si sia girato, perché abbia sentito il bisogno di cercare l’irlandese con lo sguardo prima di avanzare. Non vuole chiedergli un permesso – anche perché non ce ne sarebbe motivo, senza contare che non valuta così tanto l’opinione altrui – e non ha neanche bisogno di essere rassicurato o motivato, eppure l’ha fatto comunque. Ormai la presenza di Jim ha modificato piccoli comportamenti ed abitudini e ne ha aggiunti altri; Sherlock se ne rende conto solo in quel momento e la cosa lo stupisce. Lo fa sentire confuso, strano.

Decide di non pensarci e focalizzarsi sul paio di scarpe che stanno di fronte a lui, in attesa solo di essere osservate. I passi sono cauti mentre si avvicina ad esse – non è preoccupato, ma la prudenza non è mai troppa – e si abbassa, in modo da avere una visuale migliore.

Lo squillo del telefono è talmente improvviso che Sherlock quasi fa un salto. Facendo finta di nulla e comportandosi come il suono non l’abbia preso di sorpresa, infila rapidamente le mani in tasca ed estrae il cellulare, che continua a trillare. Numero sconosciuto, pensa, accettando la chiamata e portandosi l’oggetto all’orecchio, può essere solo lui.

“C-ciao sexy.”

La voce che raggiunge il suo orecchio è femminile, tremante e mal si sposa con le parole appena pronunciate.  La donna sta piangendo, si rende conto Sherlock, aggrottando le sopracciglia.

«Chi parla?»

“Ti ho mandato un piccolo puzzle per salutarti…” La persona al di là del cellulare non risponde. Ignora completamente la domanda postagli e continua imperterrita nel proprio monologo, senza fare pause o permettere a Sherlock di rispondere. Le labbra del detective si aprono, pronte a chiedere qualcos’altro, ma si richiudono immediatamente, prima che una qualsiasi parola abbia la possibilità di prendere vita e liberarsi nell’aria. Sarebbe tutto inutile. Quella che hanno adesso non è una conversazione: la donna probabilmente legge qualcosa e si attiene a un ruolo – dimostrandosi un’attrice decisamente poco capace – sotto minaccia. Sherlock dunque rimane in silenzio, per una volta deciso ad ascoltare senza interrompere. “Dodici ore per risolvere il mio indovinello, Sherlock… O diventerò così cattivo…”

La chiamata termina subito dopo.

Jim si avvicina e gli si accosta, senza dire una parola. Solamente dopo una manciata di secondi solleva il capo – in modo da far incontrare nuovamente i loro occhi – e lo guarda, con quello che sembra un piccolo broncio stampato sulle labbra ora arricciate.

«Ha detto che sei sexy. Potrei essere geloso.»

***

«Moriarty.»

La parola lascia le labbra di Sherlock in un sussurro talmente leggero da non essere quasi udibile. Non che qualcuno avrebbe potuto sentirlo in ogni caso, Sherlock è completamente solo in uno dei laboratori del St. Barts, l’unica compagnia quella di un paio di scarpe appartenenti a un bambino con i piedi decisamente grandi per la sua età.

«Moriarty.»

Ripete il nome, questa volta lo trascina un poco di più, in modo da poterne sentire il sapore sulle labbra. Gli piace come suona, esso porta con sé un intrinseco senso di pericolo che Sherlock non può fare a meno di apprezzare. Il caso si sta rivelando una sfida piuttosto dura e quindi decisamente apprezzata: il puzzle lasciatogli non può essere in alcun modo paragonato ai crimini di cui solitamente si occupa. È ad un livello infinitamente superiore.

La porta si apre e Sherlock non si degna neanche di sollevare gli occhi dal microscopio. È probabilmente Molly, pensa, regolando la messa a fuoco. Inizia a prendere in considerazione altre possibilità solo quando sente il ritmo dei passi, che appare meno timoroso e più familiare del previsto.
Le sopracciglia di Sherlock si aggrottano. Jim non dovrebbe essere lì.

«Ehy. Trovato qualcosa?»

Domanda stupida. Ovviamente ha trovato qualcosa. A volte Jim parla troppo.

«Beh, puoi parlarmene dopo. Devo andare via di nuovo.» A quelle parole Sherlock solleva lo sguardo dalla strumentatura. Ci sono due tazze di caffè nelle mani di Jim e Sherlock si allunga per prenderne una. Il bicchiere di carta non è bollente, ma dispensa comunque un calore piacevole.

«Avevo dieci minuti liberi e un bisogno impellente di caffè, quindi ho pensato di portartene un po’.» Aggiunge, con il solito piccolo sorriso a solcargli le labbra.

«Grazie.» Sherlock beve un sorso della propria bevanda e fa un piccolo cenno verso il microscopio. «Vuoi dare un’occhiata?»

Solitamente Sherlock non permette ad altre persone di intromettersi nel suo lavoro e di controllare l’andamento dei propri esperimenti. In parte questo comportamento è dovuto alla sfiducia che il detective prova nell’intelligenza delle persone che lo circondano, in parte nasce per un puro ed infantile fastidio che sente crescere ogni qualvolta che qualcuno tocca qualcosa che è suo. Con Jim però è diverso. Sherlock gli ha raccontato e lo ha coinvolto nei propri esperimenti – ricorda perfettamente la notte in cui Jim si è seduto di fianco a lui e lo ha osservato per ore maneggiare diversi campioni di tessuto – e oramai gli viene spontaneo coinvolgere l’irlandese nelle proprie indagini.

«Non questa volta, tesoro.»

Jim usa spesso dei nomignoli. “Sherl”, “tesoro”, “mio caro”, “dolcezza” sono parole che stanno diventando ogni giorno più presenti nel vocabolario di Jim. All’inizio la cosa era irritante e, ogni volta che sentiva uno dei soprannomi, Sherlock non poteva fare a meno di torcere le labbra in una smorfia, ma ora si sta abituando. Certo, la cosa suona ancora strana e poco piacevole alle proprie orecchie ma, finché non lo chiama “Sherly”, Sherlock ha deciso di non lamentarsi.

Vengono interrotti dal suono della porta che si apre nuovamente.

«S-Sherlock!»

Molly varca la soglia della stanza e Sherlock sposta il suo sguardo su di lei: la patologa ha in braccio diversi plichi di fogli, ma neanche per un secondo Sherlock pensa di aiutarla. Si limita a fissarla e seguire pigramente i suoi movimenti con gli occhi chiara, guardandola mentre appoggia tutto il materiale su uno dei tavoli poco distanti. Nel momento in cui Molly nota Jim, qualcosa nella sua espressione cambia e il sorriso che prima aleggiava sulle sue labbra – troppo sottili, dovrebbe indossare un rossetto – scompare.

«Oh.»

«Non fare caso a me, me ne sto andando!» Jim si affretta ad aggiungere, avvicinandosi a lei. «Solo, non dire a nessuno che ero qui, okay? Non penso neanche di poter essere in questi laboratori...» Jim parla con una voce così melliflua e gentile che Sherlock non può fare a meno di roteare gli occhi al cielo, visibilmente seccato. È una scena così patetica da fargli venire la nausea, pensa, bevendo un altro sorso di caffè. Di fronte alle moine e alle lunghe ciglia scure, Molly annuisce e Jim la ringrazia con quella voce morbida e permeata dall’accento irlandese che lo caratterizza, prima di allontanarsi verso l’uscita.

«Mio caro, noi due ci vediamo tra poco.» Aggiunge infine Jim, prima di fargli un occhiolino e chiudere la porta dietro di sé.

Subito dopo, cade un silenzio imbarazzante. È così diverso dai silenzi che solitamente aleggiano tra lui e Jim, quando Sherlock è piegato sul microscopio e Jim è sdraiato sul divano o quando si siedono semplicemente vicini, apprezzando l’uno la compagnia dell’altro senza usare parole non necessarie. Questo silenzio è teso, scomodo e si intromette negli ingranaggi della mente di Sherlock, impedendogli di pensare lucidamente.

«Devi dire qualcosa?» Chiede seccato, senza rivolgerle uno sguardo e tornando sul microscopio. «Dillo ora, perché non riesco a lavorare se non lo fai.»

«Chi era?» Le parole fuoriescono dalle sue labbra un po’ troppo velocemente. Sherlock non reagisce in alcun modo di fronte a quella fretta, ma Molly cerca di recuperare e rialzarsi da quello scivolone, passandogli rapidamente uno dei plichi. Come se la cosa potesse rendere la situazione meno imbarazzante, pensa Sherlock, accettando comunque i fogli. «Comunque, qui c’è la roba che mi hai chiesto…»

Sherlock sfoglia le pagine, occhi azzurri che corrono rapidamente sulle parole, alla ricerca dell’informazione desiderata. «Si chiama Jim. Viviamo insieme e mi ha portato il caffè.» Non appena trova quello che cerca, un piccolo ghigno compare sul suo volto. «Non c’è tempo di parlarne ora! Ho cose più importanti a cui pensare.»

Con quello, la conversazione termina.












Note dell'autore:

Scusate il ritardo! Purtroppo tra università e robe varie non ho avuto tempo di scrivere. Inoltre mi è venuta la brillante idea *sarcasm* di cambiare un po’ quello che avevo pensato: tanto per intenderci, inizialmente il terzo capitolo doveva aprirsi con la scena del laboratorio e da lì proseguire, ma ho deciso di rallentare un po’ le cose. 
Ho notato che il secondo capitolo ha quasi le stesse visualizzazioni del primo e la cosa mi fa piacere, perché vuol dire che diversi lettori hanno deciso di andare oltre al primo! Sono molto contenta uwu 
EEE nulla, non ho molto altro da dire se non ringraziarvi tutti e scusarmi per il ritardo. Ovviamente, come tutti avete notato, ora la fic sta seguendo il corso degli episodi e capisco che la cosa può sembrare un po’… noiosa, ma è temporaneo. Seguirò la serie solo fino a quando Sherlock non scoprirà la verità su Jim e Moriarty, poi il canon e questa fic si divideranno. Quindi vi prego di portare pazienza. Il prossimo aggiornamento… boh. Non sono brava a darmi scadenze, ma cercherò di darmi una mossa, lo prometto!
Stavo inoltre pensando di fare una pagina autore su FB dove parlare e dirvi a che punto sono o boh, condividere idee e pensieri con voi. Non ne sono ancora sicura però quindi boh, magari ditemi se l’idea vi piace ;;

EDIT: alla fine ho creato la pagina. A chi interessa è qui.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: lyssa