Cap
7
La
mattina delle visite colse
tutti impreparati.
E
portò una scintilla di
malinconia in chi, come Fiamma, non vedeva la sua famiglia da quasi un
anno. Il
ricordo della giornata dell’anno precedette le
scaldò il cuore mentre indossava
la tenuta nera e acconciava i capelli in un’alta e tirata
coda di cavallo.
Si
guardò allo specchio,
cercando di ritrovare qualcosa della sedicenne che era stata prima
dell’iniziazione. L’aspetto esteriore era lo
stesso, forse solo il viso si era
assottigliato un po’ di più e aveva messo in
risalto gli zigomi già
naturalmente marcati. Dentro di sé però era
cambiata. Più dura, più simile al
freddo acciaio dei pugnali che tanto le piaceva lanciare. Non sapeva
ancora se
questa sua perdita di emotività le piacesse oppure no.
Tirò
su la zip del giubbotto di
pelle, scacciando via quei pensieri. Gli intrepidi erano come squali
pronti ad
attaccarti al minimo segnale di paura e lei non poteva mostrarsi
debole, non
ora che la sua relazione con Eric l’aveva portata
più che mai sotto i
riflettori.
Si
richiuse la porta della
stanza alle spalle, percorrendo il lungo corridoio che la separava dal
Pozzo.
Nicole le si affiancò poco dopo, il fiato corto per la corsa
che aveva appena
fatto.
-
È strano sapere che i nostri
cari non ci saranno, vero? –
Annuì.
-
Immagino che ormai ci si
consideri degli adulti in tutti i sensi, perciò forse non
è il caso di
rimuginarci su. –
Nicole
si accigliò, guardandola
in modo strano.
-
Che c’è? –
-
La vicinanza con Eric ti ha
trasformata in una tipa tutta dovere e freddezza, probabilmente non te
ne rendi
conto. –
Piccata,
si fermò di botto per
fronteggiarla.
-
Da quando è un problema il
comportamento di Eric? – chiese, aggressiva.
-
Da quando scatti come un
cobra non appena qualcuno ne parla male. Forse non l’hai
notato, ma non sono in
molti a stravedere per lui. –
-
Non è un mio problema, e
francamente neppure tuo. Perché non raggiungi Zeke?
– aggiunse poi, un po’ più
brusca di quanto avesse voluto.
La
verità era che in una
giornata come quella sentire attaccare l’unica persona che
ancora faceva parte
a tutti gli effetti della sua famiglia la faceva arrabbiare. Eric era
tutto ciò
che aveva e a lei andava bene così, quindi perché
gli altri dovevano
impicciarsi?
Nicole
tentennò, abbassando lo
sguardo.
L’immagine
di come dovevano
sembrare, un aggraziato e pericoloso dobermann pronto a scontrarsi con
un
piccolo e agguerrito cocker, le fece capire
l’assurdità della situazione.
-
C’è qualche problema con
Zeke, vero? –
L’amica
non disse nulla, ma
dalla postura rigida e lo sguardo perennemente fissato sul pavimento si
capiva
che era così.
-
Una settimana di problemi … ho
sette giorni di ritardo – sussurrò,
così piano che per un attimo Fiamma si
chiese se l’avesse detto davvero.
Prima
ancora di pensare a cosa
stesse facendo, la strinse in un abbraccio spaccaossa. Improvvisamente
l’acidità di Nicole aveva un senso: era
spaventata.
-
A lui l’hai già detto? –
Scosse
la testa: - No, non ne
ho avuto il coraggio. Zeke è fantastico, ma … -
-
Ma non è molto maturo –
concluse per lei.
-
Magari non è nulla, potrebbe
essere solo un ritardo. –
-
Non voglio pensarci, Fi.
Piuttosto, scusami se sono stata così stronza prima, ma
è il nervosismo che
parla. –
Sciolse
l’abbraccio, scrollando
le spalle: - Ehy, non me la sono presa. Forza, andiamo a vedere quanti
trasfazione scoppieranno a piangere rivedendo i genitori. –
-
Seriamente, Eric accresce la
tua vena sadica – rise, lasciandosi condurre via.
Erano
arrivate al Pozzo quando
Fiamma lo vide.
Eric
era appoggiato a una delle
balaustre e fissava un punto imprecisato davanti a sé con
un’espressione che
non prometteva nulla di buono. Lo raggiunse, seguendo la direzione in
cui
puntavano i suoi occhi e capendo all’istante quale fosse il
problema. Poco
lontano da loro c’era un terzetto di Eruditi.
L’uomo assomigliava molto a Eric,
mentre la madre aveva gli stessi colori di Alex; il terzo componente
era un
ragazzo che doveva avere all’incirca la loro età.
Fece
scivolare la mano nella
sua, attirandone l’attenzione.
-
I tuoi genitori? –
-
Già. Non credevo che
sarebbero venuti – disse.
La
voce era fredda, glaciale,
come quando si sforzava di fare finta che la cosa non lo toccasse
minimamente
mentre dentro si sentiva morire.
Poteva
capirlo. Anche lei
avrebbe reagito in quel modo se avesse saputo che sua madre era andata
a
trovare Kyran ma non lei.
-
Magari non sarà terribile come
pensi. –
-
Già, sarà molto peggio. –
Okay,
tanti saluti al tentativo
di risollevargli l’umore. A maggior ragione perché
Alex non era ancora arrivata
al Pozzo e i signori Murter avevano appena puntato il loro primogenito
e
camminavano verso di lui con l’aria intellettualoide che
contraddistingueva i
membri della loro Fazione.
-
Eric, sei pieno di piercing e
tatuaggi – cominciò suo padre, scrutandolo
dall’alto in basso con aria
contrariata.
-
Da queste parti siete voi
quelli strani, non io – ribattè, proprio mentre
sua madre rivolgeva uno sguardo
incuriosito verso Fiamma.
-
È una tua amica? –
-
È la mia ragazza – precisò.
-
Ma non fa parte della
famiglia, quindi magari potrebbe lasciarci un po’ di tempo
per noi – concluse
il signor Murter, lanciandole una di quelle occhiate raggelanti che di
solito
Eric utilizzava quando voleva intimidire qualcuno.
Peccato
solo che lei fosse
abituata a gestire situazioni come quelle, quindi resse bene il
confronto e
lanciò un’occhiata interrogativa al fidanzato. Non
era certa che Eric fosse in
grado di gestire in modo tranquillo quell’incontro, ma se ne
sarebbe andata se
lui le avesse chiesto di farlo.
-
Lei resta – ribattè Eric,
rinserrando la presa sulla sua mano.
-
Eric, questo è un incontro di
famiglia … -
-
Forse non ti sei guardato
attorno, papà, ma gli ordini qui li do io. Siete qui per
parlare con Alex, non
con me, quindi non fingere neanche per un attimo che le cose stiano in
modo
diverso. –
Il
terzo Erudito se ne stava in
disparte, visibilmente a disagio, finchè non vide Alex
avanzare rapidamente
verso di loro.
Evidentemente
aveva fiutato il
problema, perché appariva piuttosto contrita.
Eric
colse la palla al balzo
per defilarsi.
Fiamma
lo vide allontanarsi
lungo il corridoio, incurante della voce di Max che lo invitava a
unirsi a loro
per un pezzo di torta.
-
Cosa è successo? – chiese
Alex, con un tono talmente glaciale da poter fare invidia a quello del
fratello.
-
Tuo fratello è il solito
testardo irascibile, ecco cosa – spiegò il signor
Murter.
Quella
fu la goccia che fece
traboccare il vaso.
-
Quindi sarebbe colpa sua se
l’avete sempre fatto sentire un fallimento? Se in
quest’anno non vi siete mai
presi la briga di mettervi in contatto con lui? Se durante la giornata
delle
visite dell’anno scorso non vi siete degnati di farvi vedere?
Ma che razza di
genitori siete, voi? – esplose, incurante
dell’attenzione generale che aveva
catalizzato su di sé.
La
signora Murter sembrò
turbata dalle sue parole, e a dirla tutta piuttosto imbarazzata, mentre
il
marito la fissava furente.
-
Ascoltami bene, signorina. Io
non so cosa tu creda di sapere, ma mio figlio è sempre stato
un piantagrane;
non sono stato sorpreso di sapere che aveva scelto gli Intrepidi,
è la Fazione
adatta a gente della sua risma. –
-
Eric è problematico, è
irascibile e testardo … questo lo sanno tutti qui in
Fazione, ma se lo hanno
scelto come nostro capo un motivo c’è.
È forte, è temuto e rispettato, è una
persona molto migliore di quanto possa esserlo lei. –
L’uomo
scosse la testa,
indignato, e le voltò le spalle.
-
Andiamo, Marise, ce ne
andiamo. –
La
donna esitò e per un attimo
Fiamma pensò che se ne sarebbe andata con lui, ma la
sorprese decidendo di
rimanere.
-
Tu vai, se vuoi, io voglio
rimanere. Christopher, resti anche tu? –
Il
giovane in disparte annuì.
Il
marito andò via furente.
-
Immagino che non sarà un bel
rientro a casa – considerò Fiamma. Improvvisamente
quella donna aveva
cominciato a piacerle, o quantomeno stava guadagnando qualche punto.
-
È vero quello che hai detto
sul mio Eric? È davvero un grande Intrepido? –
Annuì.
-
È un grandissimo Intrepido.
Sarebbe stata fiera di lui se l’avesse visto durante
l’iniziazione. –
Marise
si tormentò le mani con
fare nervoso.
-
Puoi parlargli tu al posto
mio? Non credo che voglia vedermi e non lo biasimo per questo, ma so
che a te
darà ascolto. Eric si fida di te, si è aperto e
non lo fa mai. Deve amarti
davvero – concluse, stringendole una mano. – Lo
farai per me? Digli che mi
dispiace, che gli voglio bene malgrado lui pensi che non sia
così. –
-
Lo farò. La lascio con sua
figlia – concluse, districandosi dalla presa e percorrendo il
corridoio.
Sapeva
bene dove cercarlo. Ogni
volta che qualcosa non andava Eric si rinchiudeva nel poligono. Sparare
aveva
su di lui lo stesso effetto che per lei avevano i coltelli.
Entrò
nella stanza,
raggiungendolo e abbracciandolo da dietro.
Eric
si tolse le cuffie,
puntando gli occhi d’acciaio su di lei.
-
Se ne sono andati? –
-
Solo tuo padre. Tua madre è
rimasta a parlare con Alex. Mi ha chiesto di dirti che ti vuole bene,
anche se
sa che pensi non sia così, e che le dispiace per come sono
andate le cose. –
-
Non mi interessa. –
-
Non è vero, Eric, e lo sai.
Tu fai finta che non t’interessi, ma non è
così. –
Rinserrò
la presa sul calcio
della pistola, come se fosse la sua coperta di Linus. – Anche
se m’importasse
non avrebbe importanza. La Fazione prima del sangue, ricordi?
–
Ecco,
quando faceva così la
irritava oltre ogni dire.
-
Perché per una volta non puoi
semplicemente dire che sei arrabbiato e che ti senti ferito dal
comportamento
della tua famiglia?–
Si
voltò completamente verso di
lei, scrutandola con intensità.
-
Perché se lo ammetto mi sento
debole e non ho intenzione di permetterlo. Sono un Capofazione, devo
essere
forte sempre e comunque. –
-
Hai paura. Pensi che
ammettere di soffrire ti faccia apparire debole agli occhi degli altri,
ma non
è così. Soffrire non rende deboli, solo umani.
–
Non
disse nulla, limitandosi a
fissarla come se fosse diventato una statua di ghiaccio. Si stava
allontanando,
estraniando, tornando a essere quell’Eric che non le
permetteva di avvicinarsi
e di capire cosa gli passasse per la testa.
-
Non ne voglio parlare –
disse, annullando la distanza che li separava e chinandosi a baciarla.
Fu un
bacio rabbioso, disperato, che lasciava intendere tutto ciò
che a parole
sembrava incapace di confessare.
Lo
ricambiò, abbracciandolo
invece di limitarsi a cingergli il collo come al solito, stringendolo
con tutta
la forza di cui era capace.
-
Io ci sono, non me ne vado da
nessuna parte, hai capito? – gli sussurrò
all’orecchio, continuando a
stringerlo a sé.
-
Tu lo dici, ma io non posso
saperlo con sicurezza. –
Il
pizzico di fragilità che era
trapelato con quella dichiarazione venne scacciato prontamente e
lasciò il
posto a quella rigidità innaturale.
-
Siamo una squadra, ricordi?
Noi due contro tutti – gli rammentò, utilizzando
le stesse parole che aveva
pronunciato dopo averlo aiutato a uscire dal suo scenario della paura.
-
Non voglio parlarle. –
Quel
“non voglio” suonava
tremendamente come un “non posso”.
-
Non ti sto chiedendo di
farlo. –
Gli
prese la pistola dalle
mani, depositandola sul bancone e attirandolo verso l’uscita.
-
Non credo sia una buona idea
rimanere qui, non sei l’unico che si sfoga al poligono
– gli fece notare,
dirottandolo lungo il corridoio che portava alle camere dei
Capofazione.
Si
chiuse la porta alle spalle,
lasciandosi cadere sul letto del ragazzo e battendo la mano accanto a
sé per
invitarlo a raggiungerla.
Si
rannicchiarono sotto le
lenzuola, una abbracciata all’altro, rimanendo in silenzio
per un tempo che
sembrò interminabile.
-
Perché lo fai? – le chiese d’un
tratto, la fissava come se davvero ci fosse qualcosa che andava oltre
la sua
comprensione.
-
Perché faccio cosa? –
-
Mi stai vicino e mi sopporti
anche se non faccio nulla per renderti le cose facili, anzi. Non sono
comunicativo, né particolarmente dolce o affettuoso, quindi
perché hai scelto
proprio me? –
La
domanda la colse di
sorpresa.
-
Perché ti sei preso cura di
me, seppure a modo tuo, mi hai mostrato un Eric diverso rispetto a
quello che
ti piace tanto sbandierare in giro. E mi sono innamorata di
quell’Eric, anche
se molto spesso mi porta al limite della pazienza. –
Abbozzò
un sorriso divertito.
-
Ti porto al limite della
pazienza, eh? –
-
Già – confermò, intervallando
ogni parola con un piccolo bacio a fior di labbra, - mi porti al limite
della
pazienza, ma va bene così. –
-
Disse l’ex Candida incapace
di usare un filtro tra ciò che le passa per la testa e
ciò che dice – ironizzò,
dandole un lieve buffetto sul naso che le fece arricciare le labbra in
un
sorriso.
-
Va meglio adesso? –
Annuì
lentamente. – Andrebbe ancora
meglio se … - non continuò la frase, lasciando
che fossero le sue azioni a
parlare per lui. Le cinse i fianchi al di sotto della maglietta,
accarezzandole
la pelle nuda con bramosia e baciandola con passione. Stava cominciando
a
vagare verso zone decisamente più erogene quando le mani
sottili di Fiamma
fermarono la sua corsa.
-
Niente sesso, scordatelo –
disse, sorridendo.
Le
baciò il collo,
mordicchiandole la pelle in corrispondenza della clavicola.
-
Sicura? –
Trattenne
un gemito. – Sicura. –
-
Solo perché ho fatto l’odioso?
Che Intrepida severa – rise, baciandola con leggerezza e
passandole un braccio
attorno alle spalle.
Fiamma
assunse la sua solita
posizione preferita, con la testa poggiata sul petto muscoloso del
ragazzo, e
si rilassò nella sua stretta.
-
Severissima, quindi farai
meglio a comportarti bene, Capofazione – lo
redarguì, puntandogli un dito
contro con aria fintamente minacciosa.
- Agli ordini – replicò, beffardo.
Spazio
autrice:
Visto
che le vacanze natalizie a quanto pare mi ispirano aggiornamenti ultra
rapidi,
ecco il nuovo capitolo. Probabilmente domani avrete anche il nuovo di
“E se
Romeo e Giulietta fossero stati Divergenti?” così
recupero un po’ del tempo in
cui vi ho fatto attendere inutilmente nella speranza di un
aggiornamento.
Chiedo scusa se ci sono degli errori nel capitolo, ma sono stanca
morta. Fatemi
sapere se vi è piaciuto questo capitolo Eriamma (?). Alla
prossima.
Baci
baci,