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Autore: Phoebus    24/12/2014    2 recensioni
Sette anni dopo la feroce battaglia, Dublino.
Un viso conosciuto, visto e accarezzato mille volte.
O semplice fantasia? Mera illusione?
Un solo obiettivo: ricordarti.
Genere: Drammatico, Erotico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Famiglia, Weasley, Il, trio, protagonista, Minerva, McGranitt, Neville, Paciock | Coppie: Ginny/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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“A cosa pensi? Sei così serio…” – la giovane donna lo abbracciò, ancora calda, ma con dolcezza non più rimandabile.
Ne avevano bisogno. Avevano bisogno di loro stessi, della vicinanza delle loro anime e dei loro corpi. La pelle non può attendere oltre i confini del cuore.
Si erano avuti, dopo essersi in mille giorni cercati.
Era una follia, era irrealizzabile, impensabile. Si erano promessi di non ricaderci più; era stato un errore: uno sbaglio bellissimo, ma da non ripetere.
Poi era risuccesso. C’erano caduti ancora, uno nelle braccia dell’altra, come ogni volta che stavano insieme.
E poi ancora.
E ancora fino a diventare l’abitudine più ricercata, fino a perdersi in quel labirinto di pensieri e moniti non ascoltati.
E capirono che non era per ripicca, né per mancanza di chi non c’era più: era solo per amore.
Inaspettato e sorprendente amore, inatteso come quei fiocchi di neve che, silenziosi e abbondanti, sorpresero Ron in quell’attimo tiepido.
E lui serio lo era davvero: guardava fuori dalla bassa finestra incastonata nel legno di quella piccola casa e aveva lo sguardo tra il sognante e il malinconico.
 
Accanto alla Tana dei Weasley, più di dieci anni prima, era stata costruita una piccola e accogliente abitazione, che in realtà, per l’amore che racchiudeva, somigliava più ad una reggia.
Tra quelle mura erano passate solo anime innamorate della vita e di ciò che essa può dare, nel bene e nel male.
E di male ce n’era stato tanto, tanto da far piangere per giorni interi. Da far male sempre: qualcuno se n’era andato troppo presto, strappato da quella casa senza il tempo di un saluto, senza il tempo di un ultimo “ti amo” a lei e alla loro piccolina.
E forse, era proprio questo a rendere Ron troppo serio in quel letto, proprio dopo averci fatto l’amore.
 
“Nulla. – a sentirla sul suo petto, Ron si voltò a lei – A te. Penso a te…”
“Solo?”
“Sì.”
Gli occhi azzurro lucente dell’uomo nascondevano mille pensieri. Non c'era solo lei.
Fleur lo sapeva bene, ma non voleva farlo soffrire più di quanto già gli costasse.
Voleva dirgli qualcosa che lo placasse, qualcosa che gli facesse capire che non doveva. Non doveva farsi così male solo perché era innamorato.
Solo perché si era innamorato di lei, della moglie di suo fratello Bill.
E così Fleur decise di non dire nulla. Decise di poggiare la testa sull’ ampio petto di Ron e restare così lì, assorta, dove finalmente aveva trovato una nuova pace, una nuova possibilità.
Un nuovo amore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il lungo corridoio in pietra era percorso da tre oscuri personaggi.
Al centro, svettava un’immacolata camicia bianca su cui si posava morbido il solito gilet di tessuto nero. Alex si sistemò nel taschino l’orologio, senza nemmeno guardarlo.
Seth e Jacob erano due Mangiamorte come lei, ed ora la scortavano tenendola sotto il tiro delle loro bacchette.
Erano stati incaricati di portarla da lui, dal loro Signore, affinché lui potesse parlarle in privato nella sua dimora. Sembrava un richiamo urgente: lui non chiamava mai per fare due chiacchiere.
Il portone della stanza rettangolare si spalancò; Alex l’aveva aperto con un leggero ed impercettibile movimento delle dita. Il suo potere era al culmine della forza.
Poteva uccidere con un mano.
Poteva salvare la vita con una mano.
Poteva avere ai suoi piedi maghi e streghe, poteva soggiogarli, poteva torturarli, senza sforzarsi troppo. Bastava la sua mano e un movimento. Un gesto.
La sua mano era la sua bacchetta: Lord Voldemort le aveva donato un potere estremo, in grado di far tremare, sotto il suo tocco, chiunque osasse contraddire lui o lei.
Ma adesso lui ne chiedeva il conto.
Alex sapeva che sarebbe stato salato, forse troppo.
Forse anche più di quanto lei avrebbe potuto sopportare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Eccoti, mia devota.”
La voce serpentina dell’Oscuro Signore la raggiunse come un vento gelido.
Non era proprio una voce, era più uno strisciare lento.
 
“Mio Signore.” – l’elegante ragazza chinò appena il capo.
 
Lui ne fu estasiato. Amava essere riverito dai suoi seguaci, soprattutto da lei che era la più potente e la più rispettata tra i suoi.
E, allo stesso modo, amava sottomettere le loro menti al suo volere.
 
 
 
“Voi due potete andare. – congedò senza esitazioni i Mangiamorte che avevano scortato Alex e poi si voltò appena – Lucius.”
 
 
 
 
 
 
Dietro Voldemort, Lucius Malfoy si ergeva in tutta la sua aura minacciosa.
Indossava anche lui un abito di elevato pregio, nero e con camicia in bavero settecentesco.
Alex rise tra sé: sapeva che Malfoy non abbandonava mai il suo gusto retrò. I lunghi capelli chiarissimi erano raccolti una coda morbida, tenuta da un laccio argento. Era un conte di un altro secolo e vedeva se stesso come il proseguimento di una linea genealogica estremamente lunga ed altrettanto pura. Da mantenere incontaminata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Ora che sei qui, Alex – bisbigliò ancora Voldemort – possiamo finalmente sapere il punto della situazione.”
 
Malfoy alzò indispettito un sopracciglio: non sopportava la stima che Alex vantava davanti al loro capo. La invidiava, ma sapeva che non sarebbe durato per molto. Lei stava fallendo. Stava crollando su macerie appuntite.
“Se permettete, mio Signore, vorrei ricordarvi…”
 
“Zitto, Malfoy. Ti ho forse chiesto di intervenire?”
 
“Scusatemi.” – l’uomo biondo si morse la lingua ed arretrò nell’intento.
 
“Tu sarai il testimone. – la voce dell’Oscuro era subdola e viscida, come il suo viso magro e incavato – Il testimone dell’operato della mia più fidata ancella. Allora… - si rivolse ad Alex - …l’hai uccisa? Dov’è il suo sangue?”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il volto della ragazza era impassibile, ma i suoi occhi furono attraversati da un’emozione palpabile.
“No.”
 
 
“No?” – il tono di Voldemort si fece ostile, con una sola sillaba.
 
“Ve l’avevo detto, mio Signore…” – bisbigliò ancora Malfoy, sfidando il precedente rimprovero.
 
 
 
 
Alex lo guardò incenerendolo.
Avrebbe voluto alzare un dito e distruggerlo. Sarebbe bastato un cenno di mano.
 
 
 
 
 
“Non sono riuscita ad avvicinare Minerva McGranitt, mio Signore. Era sempre costantemente protetta. – un’inclinazione particolare della sua stessa voce la sorprese – Ho bisogno di più tempo.”
 
 
 
 
 
 
 
L’Oscuro Re la guardò con fare volutamente leggero.
“Non c’è tempo, Alex. – gli occhi, fessure di rettile, divennero lentamente fuoco – Siamo pronti, ormai. Attaccheremo noi. E la finirò io stesso.”
 
Voldemort aveva un debito con la Preside di Hogwarts. Era lei che voleva.
Era lei che lo aveva quasi ucciso sette anni prima.
Minerva era l’unica strega a conoscerlo in ogni sua inclinazione: lo aveva visto da bambino, lo aveva osservato da adolescente ed ora lo temeva da uomo. Conosceva i suoi poteri e poteva provare a contrastarli.
Solo lei, solo lei rimaneva da abbattere. E poi tutti i suoi sostenitori sarebbero caduti con lei e per sempre.
Una volta per tutte.
 
 
 
 
 
“Datemi ancora una settimana! Solo una settimana.” – la richiesta di Alex riecheggiò nel salone.
 
 
 
 
 
Voldemort si alzò dal suo trono di pietra cinerea.
“La mia bacchetta. – Malfoy, da servo fedele com’era sempre stato, passò al suo re l’arma da lui richiesta – Una settimana, quindi?”
 
“Sì. Solo una settimana, mio Signore.”
 
 
Lucius sogghignò.
 
 
 
 
“E per fare cosa, Alex? – Voldemort era a pochi passi da lei e la guardava come si guarda l’oggetto della propria collera – Cosa riusciresti a fare in una settimana se fino ad ora non hai fatto nulla?”
 
 
“Mio Signore, non credo che…”
 
Ma lui la interruppe brusco, rivelando la sua rabbia.
“Nulla. Non hai fatto nulla.”
 
 
Alex sentì un brivido percorrerle la schiena.
Per la prima volta ebbe paura. Sentiva che Malfoy stava vincendo uno a zero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Ve l’ho detto, non sono riuscita ad avvicinarla da sola. Ma con più tempo ci riuscirò, credetemi.”
 
“Non ci sei riuscita? Davvero? Commovente. Veramente commovente. Questo allora cos’è?” – Lord Voldemort agitò a mezz’aria la bacchetta con violenza e una nebbia densa riempì lo spazio intorno a loro.
Una scena di film si propose davanti ai loro occhi.
 
 
 
Una scala ed Alex al suo culmine, intenta a discenderla svogliatamente.
“Signorina Weasley, finalmente! – alla base della scalinata la Preside Minerva McGranitt l’attendeva con cipiglio altero – Temevo non arrivasse più.”
Era la sera del Ballo di inizio inverno.
Alex, dalle scale, sollevò gli occhi dal gilet che indossava fino ad incrociare quelli scuri della donna, finendo di discendere con charme e leggerezza la scalinata.
Erano sole.
Totalmente sole.
“Mi scusi se ci ho messo tanto. Non sono molto pratica del vostro castello con scale così impertinenti. Per quale motivo cambiano continuamente direzione?” – era alquanto infastidita, ma la Preside non se ne curò.
“Dovrebbe saperlo.”
“No, non lo so! E, detto sinceramente, non capisco perché io debba partecipare a questa pagliacciata.”
L’anziana donna, avvolta nel suo lustro abito verde bottiglia, stava per controbattere duramente ma si frenò proprio prima di pronunciare cattive parole; si limitò ad accennare un sorriso, anche se forzato.
“Finché non sarà guarita, signorina Weasley, credo che non sia un bene farla tornare a Dublino. Inoltre, questa serata potrà essere per lei molto propizia. – la donna esaminò la giovane da capo a piedi – Bene, vedo che ha trovato un vestiario adeguato. Mi segua.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ad Alex tremò l’anima. Sentiva che non era finita lì.
Sentiva che lui non l’avrebbe finita lì.
 
 
 
 
 
 
 
“Allora, Alex? – la bacchetta di Voldemort si abbassò sotto la mano agghiacciante – Non eravate forse sole in questo ricordo?”
 
“Sì.” – capì che negare non sarebbe servito a nulla.
 
 
“E qui?” – la bacchetta risputò caligine bianca.
 
 
 
 
 
 
Infermeria di Hogwarts, qualche settimana fa.
“Finalmente! – la voce della Preside l’accolse al risveglio – Finalmente signorina Weasley! Ben svegliata.”
“Dove mi…” – Alex scansò gli occhi dalla ragazza sulla porta e provò a riformulare la sua domanda sospesa.
“Stia tranquilla e non si agiti. Penserà a tutto Madama Chips! – la donna dal lungo mantello smeraldo sembrava realmente sollevata nel vederla sana e salva – Come lei ben ricorderà, è la nostra migliore curatrice al castello e, con i giusti infusi e medicinali, saprà come rimetterla in sesto in men che non si dica.”
“C…Ca…castello?”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Alex insorse, facendo scomparire la scena fuligginosa.
“Qui non eravamo sole! C’era la responsabile dell’infemeria e… - si fermò, non voleva dirlo, ma dovette farlo - …e un’altra professoressa.”
 
 
Voldemort evitò quel discorso. Non era ancora il momento.
Ma i suoi occhi erano ancora ira liquida.
 
“Ah, capisco. Non eravate sole. – la sua voce divenne una ridicola lagna apposita – Certo, come avresti potuto fare? Tu non hai mica un potere mortale. Non hai la forza di mettere fuori gioco una stupida curatrice e una inutile sanguemarcio, non è vero?”
 
 
 
 
Il sangue di Alex ribollì.
Era inoltre sicura di aver scorto un ghigno sul viso di Malfoy. Due a zero.
 
 
“Una settimana. Vi chiedo ancora una settimana e avrete la testa di Minerva McGranitt.”
 
 
 
 
 
 
 
Voldemort ammirava il coraggio di quella ragazza.
Osava ancora chiedergli qualcosa nonostante sapesse che non c’era più tempo.
 
 
 
 
 
“Sai, - ormai erano vicini, a distanza di bacchetta e lui gliela puntò contro – sei sempre stata coraggiosa, Alex. Sempre. Sei proprio una vera Grifondoro.”
 
Disse quella parola con astio infinito. Alex sgranò gli occhi: possibile che lui avesse capito tutto?
Come poteva fare a sapere?
Ma non ebbe la forza di dire nulla e lui proseguì.
“Avrei dovuto capirlo molto tempo fa, anni fa… - i dubbi della ragazza stavano diventando certezze – Tu hai finto. Hai sempre finto, vero Alex? O forse, dovrei dire…Ginevra.”
 
Era in trappola.
In balia del suo destino.
E del suo patto col diavolo.
Con Lui.
 
“Come…” – non riuscì a dire nulla.
 
 
 
Voldemort poggiò la sua bacchetta sul volto di Ginevra e lo percorse, dalla fronte alle labbra, con freddezza controllata.
“Non è importante come. Lucius ti spiegherà tutto. Ma adesso… - un crescente desiderio di vendetta accartocciava le sue parole - …adesso devo ripristinare l’ordine. Tu mi appartieni. Tu mi appartieni dal giorno in cui io ti ho ridato un corpo, salvandoti da morte certa ed unendoti a me e alla magia nera. Sei mia e non osare, nemmeno per un momento, deludermi ancora o provare a fregarmi di nuovo. Il nostro patto è ancora valido, anche se hai tentato di nascondermi la verità.”
 
“Non l’ho fatto per…”
 
“Non mi importa per cosa l’hai fatto. Il tuo sangue mi appartiene. – fermò la bacchetta sul collo della ragazza – Tutto di te è legato a me da una maledizione senza tempo. Lucius?”
 
 
L’uomo biondo si fece vicino.
“Sì, mio Signore.”
 
 
“Ti ho detto, tempo fa, che due furono le profezie della Camera dei Segreti.”
 
“Sì, mio Signore. Lo ricordo.” – rispose lui ed Alex ebbe un conato di vomito a tanto servilismo.
 
 
“Il potere diviso unisce i discepoli. E voi siete uniti a me nel mio potere. Bellatrix non c’è più, ma non importa. – si fermò un attimo. La bacchetta ancora puntata - Non ricordo esattamente le parole, ma è così che mi sembra di ricordarla…”
 
Agitò la bacchetta, allontanandola momentaneamente da Ginevra, e dirigendola intorno a loro.
Un fulmine prese forma lesto e l’aria fu invasa da denso fumo scuro che delineò nel nulla dell’aria la profezia, la seconda profezia della Camera dei Segreti con calligrafia di altro tempo.
 
 
 
 
 
 
Due innesti puri alla morte occorrono.
Una bacchetta e un potere estremo.
Senza ricordo del futuro alla fine del sentiero.
Nessuna mano umana o ibrida spezzerà il manto
e il potere vivrà finché viva sarà la sua fonte
d'incenso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Adesso, Malfoy e Ginevra avevano lo stesso sguardo: incredulo e incerto.
Nessuno di loro due aveva mai realmente creduto che ci fosse una profezia e che li riguardasse.
L’oscuro Signore li aveva chiamati così, i suoi due innesti puri.
 
“E adesso… - riprese Lord Voldemort, godendo della loro incredulità - …adesso che sapete, colpiremo l’impudicizia. Adesso ho voi due e tutto il vostro potere, legato a me dal nostro patto di sangue, vita e morte. Insieme, sconfiggeremo una volta per tutte il marcio e il meticcio della magia. Ma prima… - riadagiò piano la bacchetta sul collo di Ginevra - …prima voglio che tu, Ginevra Weasley, strega purosangue, capisca l’importanza di questo corpo che io ti ho donato, sottraendoti sette anni fa alla morte. E quindi, Crucio.”
 
Una scarica elettrica avvolse il corpo della ragazza: i suoi occhi si capovolsero divenendo bianco perlato e la ferita, sul fianco, si riaprì sradicando i punti di sutura. Tre a zero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Molly adorava cucinare.
Sapeva preparare a puntino tutte le pietanze preferite della sua nipotina, della bambina che da sola valeva ogni sua fatica.
Quella bambina era stata una benedizione per la Tana: ricordava ancora quel giorno, di anni ed anni fa, quando Bill e Fleur le annunciarono felici fino alle lacrime di aspettare un bambino.
Molly riteneva quel momento il più bello di tutta la sua vita. C’era la gioia, la gioia vera, c’erano tutti i suoi figli, tutti e c’era suo marito. C’era la sua famiglia e quella nuora che le stava offrendo il regalo più bello.
Il più prezioso.
Victorie la guardava assorta mentre lei avviava il forno con la bacchetta e pensava che sua nonna dovesse proprio avere una eccellente qualità: il dono di far felici, con i suoi piatti prelibati, chiunque transitasse per quella casa.
A volte la nonna si straniva, si perdeva in un mondo tutto suo, un mondo lontano e Victorie non sapeva a cosa stesse pensando, non sapeva dove fosse. Ma bastava una sua carezza, bastava che le si avvicinasse e sul viso della donna riaffiorava un dolcissimo sorriso.
Le vacanze di Natale erano iniziate da alcuni giorni e Vicky le trascorreva quasi tutte lì, al fianco della madre di suo padre che, ancora giovane e in forze, la adorava. Letteralmente.
 
“Mm…ci siamo quasi, tesoro! Il pasticcio di fegato di drago e cosciotto di lepre selvatica è pronto. Tu hai preparato la tavola?”
“Sì, nonna!”
La donna la guardò curiosa.
“E quanti posti hai messo, sentiamo! Ricordi che stasera saremo tutti?”
 
La piccolina di casa sbuffò: non le piaceva essere presa per una “dimentica-cose”.
 
“Nonna, non sono così sbadata come credi! Ci siamo io e te, mamma, zio Ron e la professoressa Granger.”
“Brava tesoro! Abbiamo anche Hermione ospite da qualche giorno e ne sono proprio contenta. – si fermò, riflettendo ad alta voce – Peccato che Harry non abbia potuto essere dei nostri. Sono sicura che sarebbe stato felice di rivedere Ron e Hermione. Sai, loro tre sono amici fin dai tempi della scuola.”
 
La ragazzina annuì, lo sapeva bene.
Si sistemò la lunga chioma bionda sulle spalle, liberandola dalla castigata treccia. Amava portare i capelli liberi, come libero era il suo spirito, non sopportava imposizioni o chiusure di alcun tipo.
 
“Vicky! La tua bella treccia!” – la nonna la rimproverò appena con lo sguardo.
Ma alla bambina non importava.
“Nonna, non mi piace la treccia. Non mi piace e basta!”
 
 
 
“Peccato, ti sta così bene…” – una melodiosa voce scese dalle scale in legno della Tana.
 
 
Vicky si voltò per vedere a chi appartenesse e subito divenne rossa rossa.
“Professoressa! – non sapeva cosa dire. Anche se Hermione era una giovanissima insegnante, le incuteva comunque rispetto. Nonostante questo, sentiva che Hermione Granger era da sempre parte di quella famiglia, di quella grande famiglia – Ehm…vede io…non amo molto le…le pettinature difficili…”
 
Hermione rise raggiungendola per poi salutarla calorosamente: quella bambina era l’esatta copia di suo zio Ron, buffa nella timidezza e profondamente rispettosa.
“Stai benissimo anche così, Vicky. – poi si rivolse alla donna addetta ai fornelli – Non è forse vero, Molly?”
 
“Oh, ma certo Hermione cara! Solo che, a volte, sarebbe richiesta una certa formalità! – rispose fintamente adirata la donna – Cosa che la nostra bella Vicky non ha! E pensare che sua madre ci tiene tanto.”
 
“Si vede che ho ripreso da papà. A lui non piacevano queste cose! Me lo dice sempre la mamma.”
 
Hermione e Molly risero tra loro: la ragazzina aveva ragione.
Bill era sempre stato particolare, fuori dagli schemi. Amava portare i capelli lunghi e arruffati fin da ragazzino e a nulla erano serviti i mille rimproveri di sua madre.
Faceva di testa sua, sempre. Ed era questa la sua profonda bellezza: era un’anima pura ed indomita.
Mentre erano ancora intente a chiacchierare e controllare il pasticcio pronto in forno, la porticciola d’ingresso si aprì rivelando una donna tutta imbacuccata di bianco.
Aveva sciarpa, guanti, un cappello di pelo. Tutto totalmente bianco. Fuoriuscivano solo ciocche biondo cenere.
 
 
“Mamma!” – Vicky volò incontro alla nuova arrivata e le si buttò tra le braccia.
“Amore! – lei, dal canto suo, la strinse forte. Ma forte davvero – Hai fatto la brava e hai aiutato la nonna, vero?”
“Sì. E vedrai che buono quello che abbiamo preparato! Ti piacerà moltissimo!” – sprizzava gioia da tutti i pori.
“Sono proprio curiosa di assaggiarlo! – la donna si spostò dall’abbraccio, giusto per poggiare cappotto e soprabiti vari, finché non scorse l’altra ragazza in casa – Hermione!”
“Ciao Fleur, come stai?” – anche la professoressa era felice di rivedere la donna francese.
 
Fleur si avvicinò all’ospite della Tana e la abbracciò calorosa.
“Bene, molto bene. E tu? Pensavamo che saresti rimasta ad Hogwarts, Vicky ci aveva detto così.”
 
Sul volto della professoressa si dipinse un’espressione evasiva.
Di colpo, fu a disagio.
“Dovevo ma…le cose sono…come dire, cambiate. E non…non mi è stato possibile.”
 
“Capisco, magari ne parleremo dopo se vorrai. – qualcosa distrasse Fleur – Ma cosa…brr…”
Una volata di aria gelida le raggiunse.
La porta si era aperta di nuovo e stavolta per accogliere dentro un uomo rossiccio che, di spalle, trascinava dentro a fatica un lungo tronco.
 
“Accidenti, Draco, mettiti dritto. Così rischiamo di romperci la schiena!”
Ron, conoscendo la strada, entrò sicuro di schiena e spinse dentro il grande tronco; all’altra estremità un ragazzo biondissimo e con un perfetto doppiopetto fece il suo ingresso, non proprio come avrebbe voluto.
“Ah, finalmente! – sospirò il ragazzo, sistemandosi l'abito una volta poggiato il tronco – Buona sera a tutti! Spero che ci sia posto per un commensale in più!”
 
“Draco!” - Hermione spalancò gli occhi. Era felice di vederlo, iniziava ad affezionarsi a quell’aristocratico giovane.
 
“Signor Malfoy! – Molly si avvicinò all’ingresso e strinse energicamente la mano del ragazzo – Venga pure, è un piacere averla qui!”
“La ringrazio, signora Weasley. Ma la prego, mi chiami col mio nome. – salutò tutt’intorno, stringendo a sua volta la mano a Fleur e alla piccola Victorie, guardandola con finta serietà – Tu devi essere Victorie, la nipote tanto lodata del mio amico Ron, non è così?”
 
La bambina lo guardava assorta.
“Sì…”
 
Malfoy estrasse la sottile bacchetta dal cappotto nero.
“Allora aspetta un attimo, signorina. Accio donos.” – il ragazzo pronunciò l’incantesimo e, in men che non si dica, un pacchetto colorato ed una bottiglia con una coccarda rossa raggiunsero le sue mani.
 
“Wow…” – Vicky lo guardava sbalordita. Il ragazzo biondo l’aveva già conquistata con i suoi modi eleganti.
 
 
 
 
Intanto Hermione bisbigliava a Fleur.
“Sapevo che avrebbe fatto qualcosa del genere, e' proprio nel suo stile." – Hermione conosceva Draco. Sapeva che voleva farsi benvolere e lo avrebbe fatto con la sua ironia sottile e la garbata gentilezza dei suoi gesti. Voleva, così, pulire le sue colpe passate e non essere etichettato come semplice e freddo figlio di suo padre.
 
 
Draco parlò risoluto e con tono affabile.
“Signora Weasley, mi permetta di omaggiare la sua ospitalità con una bottiglia di buon vino. – la porse alla donna – Viene dalla mia personale cantina e sono sicuro che qui sarà ben spesa. E in ottima compagnia.”
“Grazie Draco, non dovevi.” – Molly ne fu piacevolmente colpita.
“E’ solo un piacere, mi creda.” – poi prese il pacco tutto colorato e si avvicinò a Victorie.
 
 
 
L’atmosfera era calda e sorridente.
Da dicembre. Pronta alla festa per eccellenza.
 
Ron osservava la scena soddisfatto per aver invitato l'inaspettato ospite; sapeva che sarebbe stata un’ottima idea e sorrise tra sé.
Accorgendosi però che nessuno più badava a lui, mise un broncio talmente plateale che subito si intuì quanto fosse fittizio.
Tossì piano, nessuno parve prestargli ascolto.
Tossì una seconda volta: Vicky lo aveva notato, ma fu subito riassorbita dalla fine cortesia del ragazzo biondo che, come un cavaliere, le stava porgendo il regalo.
Ron tossì di nuovo e stavolta, per lo sforzo, ne venne fuori un vero starnuto!
 
“Ron, figlio mio! – intervenne sua madre - Perché non ti copri di più? Non senti che sei tutto infreddolito!”
Uno stormo di risate si alzò nell’aria.
Si preannunciava una piacevole e allegra serata dicembrina.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La cena era agli sgoccioli, ma la compagnia aveva ancora voglia di stare insieme e non pensare a cosa accadeva fuori. C’è sempre bisogno di uno spazio lontano dal mondo che scorre inesorabile.
 
“E così lavori al Ministero? Complimenti, Draco. Davvero!” – Fleur sedeva di fronte al biondo incravattato e ascoltava la descrizione del suo lavoro, assorta.
“Sì, diciamo che mi occupo di controllare tutto il materiale didattico che può giungere nelle nostre scuole. Devo valutarne il valore e la conformità a certi standard decisi dal Ministero.”
“Capisco, sembra interessante.”
“Puoi scommetterci, Fleur. Lo è davvero!”
 
Fleur sedeva tra Ron ed Hermione. La piccola di casa era già corsa sul divano, accanto la cucina, a provare la nuova collezione di trucchi magici regalatele da Draco Malfoy e ne era entusiasta. L’aveva conquistata definitivamente con quell’azzeccatissimo regalo!
Molly sedeva accanto al ragazzo biondo, ma era più il tempo che passava avanti e indietro trasportando piatti e pietanze.
“Ti aiuto Molly, ai piatti ci penso io.” – Hermione si alzò e prese tutti i piatti dei commensali. C’era bisogno di prepararsi per il dolce.
“Lascia stare, cara. Resta pure seduta!”
Ma la professoressa continuò, rispondendo con un solare sorriso e abbandonando la stanza dietro la padrona di casa con le braccia colme di piatti.
 
In sala rimasero Draco, Ron e Fleur.
I due uomini discussero animatamente dei piani del Ministero, ora che le cose nel mondo magico iniziavano a mettersi male.
Non volevano affrontare l’argomento ma sapevano che era inevitabile, come nascondere la testa sotto la sabbia per evitare di scorgere il mare.
Alla Tana, proprio quel pomeriggio, era giunto un gufo express da Hogwarts, quello per le comunicazioni d'urgenza, che avvisava e ordinava ai Weasley di avere la massima attenzione: molti Mangiamorte si aggiravano nelle cittadine magiche e non ci si poteva fidare di nessuno che non fosse strettamente conosciuto. Il pericolo era alle porte e finché i Dissennatori non li avessero scovati tutti, non si poteva stare tranquilli.
Ron era molto preoccupato, credeva poco nei Dissennatori e nella loro buonafede; Malfoy cercò, come poteva, di rasserenarlo.
 
“Ce l’abbiamo fatta sette anni fa, Ron. – il biondo sorseggiò lento il vino – Sono sicuro che possiamo farcela anche stavolta.”
“Ma stavolta Tusaichi ha un esercito vero. Hanno una forza immensa che prima non avevano.”
“Io credo che gliene rimangano pochi di seguaci. Ne ha persi molti, tra cui...” – si fermò giusto in tempo.
“Draco ha ragione. – intervenne Fleur – Non devi abbatterti così, Ron. Tua madre conta su di te, sei la sua forza. Ed anche la mia.”
 
L’ultima frase della donna fu un sussurro, udito solo dall’orecchio di Ron che però non rispose.
Draco spalancò gli occhi, aveva letto qualcosa di molto interessante nel pensiero di quei due giovani. E parlò non collegando cervello e bocca.
“Immagino che tua madre ne sarà stata contentissima, Ron! E anche Victorie!”
Proprio in quel momento, rientrarono in sala Hermione e Molly: la prima con piattini puliti e la seconda con una torta alle stalattiti di cacao.
“Contenta di cosa, caro?” – Molly non aveva seguito il discorso e, sorridendo, si rivolse al ragazzo biondo.
 
Hermione temette il peggio.
 
“Magari per diventare ancora nonna è un po’ presto, ma immagino che lei, signora Weasley, sia contenta di vedere Ron e Fleur insieme ed innamorati. Sì, se lo meritano proprio tanto dopo quello che hanno sofferto! Bravi ragazzi.”
 
Hermione avrebbe voluto fulminarlo o riempirlo di schiaffi. Le sarebbe anche bastato piantargli nel petto uno di quei piccoli coltelli da dolce.
E non perché Molly non ne sapesse nulla: Hermione conosceva bene la madre di Ronald e sapeva che sicuramente sarebbe stata dalla loro parte, li avrebbe capiti e forse li avrebbe anche benedetti.
Hermione avrebbe voluto schiaffeggiarlo perché, proprio in quel momento, dalla porta era sbucata la testolina bionda di Victorie. E lei aveva capito, aveva capito tutto.
E i suoi occhi divennero fessure lucide.
 
“Oh, Merlino dimmi che non ho fatto quello che penso.” – si disse Draco.
Hermione esplose.
“Come è possibile? Come?! Hai un dono così forte, tu…tu leggi il pensiero, possibile che non sapessi che qui dentro nessuno ne sapesse niente?” – Hermione aveva davvero gli occhi incandescenti.
“Chiedo scusa io non…”
 
 
“Bambina mia, aspetta!” – Fleur si era alzata per raggiungere la figlia, ma non era servito.
Victorie aveva lasciato cadere i suoi trucchi; il recipiente di vetro degli smalti si frantumò sul pavimento e lei era corsa su per le scale, rifugiandosi in una delle camere del primo piano e sbattendo energicamente dietro di sé la porta.
Qualcosa si era rotto dentro di lei.
E, forse, per sempre.
 
“Fleur, andiamo a parlarle.” – Ron, alzandosi a sua volta, poggiò una mano sulla spalla della donna.
Lei lo ammutolì con uno sguardo e le parole furono semplice conseguenza.
“Io vado a parlarle. - si rivolse agli altri, non notandoli nemmeno più - Scusatemi.”
 
Anche la donna francese sparì sulle scale, con la speranza di non aver perso la fiducia di sua figlia.
Ron rimase immobile, pietrificato.
 
 
 
 
 
 
 
 
Molly capì che doveva intervenire. Lo doveva alla sua famiglia. Lo doveva a suo figlio.
Poggiò senza altri pensieri la torta sul tavolo e raggiunse il suo unico figlio sopravvissuto.
In quel momento, in quel breve tragitto che lo separava da lui, capì che Ron aveva sempre vissuto con dolore il fatto di essere sopravvissuto, di essere stato l’unico a restare in vita dei suoi fratelli.
Su lui gravava ogni peso, ogni ricordo, ogni speranza.
Non meritava tutto questo, non meritava che il barlume di felicità che aveva finalmente agguantato scomparisse così, per un peso che gli gravava dentro.
 
“Ron. – la madre lo chiamò, ma lui non riusciva nemmeno a guardarla. Fissava un punto indefinito del pavimento – Ronald, guardami.”
 
Il rosso alzò gli occhi alla donna: erano lucidi e pieni di paura.
Paura di aver perso la fiducia di sua madre, deludendola.
Paura di aver perso sua nipote, sostituendosi al suo vero padre.
Paura di aver perso la donna di cui si era innamorato, mettendola davanti ad una scelta in cui lui poteva solo perdere. E perdere tutto.
Non riusciva a parlare, non riusciva a dire niente.
 
“Ron, non hai fatto niente di male. Vedrai che anche Vicky lo capirà, devi darle tempo.”
 
A quelle parole, il cuore di Ron tornò a battere e i suoi occhi ripresero il colore del mare.
“Mamma… - era incredulo - …tu…puoi…puoi accettare…”
 
“Io non devo accettare niente, se non la felicità che tu e Fleur potete darmi. – Molly accarezzò il viso cresputo di suo figlio, la sua barba era incolta e rossiccia - Non me lo aspettavo, è vero, ma non hai niente di cui vergognarti. Sei innamorato di lei e vuoi farla felice, io so che puoi farcela. E so che te lo meriti…Tuo fratello non tornerà. Purtroppo non tornerà e tu hai diritto di vivere, non devi chiuderti nel passato. Anche lui ti direbbe così, ne sono sicura. Bill vorrebbe vederti felice. E vorrebbe che lo fosse, finalmente, anche lei.”
 
Ron fu talmente sollevato, ma talmente tanto che pianse sulla spalla della madre tutte le sue paure fatte di lacrime.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Hermione e Draco si allontanarono di qualche metro, per dare a madre e figlio quell’intimità di cui avevano bisogno.
“Ti rendi conto di cosa hai combinato??” – Hermione era ancora nera di rabbia verso quelle parole pronunciate senza riflettere dall’amico.
“Ho letto dentro di loro che la loro storia va avanti da molto tempo ormai. E ho dato per scontato che lo avessero detto agli altri.”
“Beh, sappi che hai fatto proprio un bel macello!”
La ragazza incrociò le braccia al petto e distolse lo sguardo da lui. Non riusciva neanche a guardarlo. Sentiva che se lo avesse avuto ancora sotto tiro lo avrebbe schiaffeggiato davvero.
“Prendo la giacca e vado, ne ho già fatte fin troppe stasera. Non vorrei proseguire nel…”
 
Nessuno seppe mai cosa Draco non volesse proseguire.
Un boato assordante giunse dal camino davanti a loro e una densa fuliggine si sparse tutta intorno.
Qualcosa era sceso dal camino. Qualcuno.
Anche Molly e Ron interruppero ogni discorso e piombarono accanto ai due ragazzi, con le bocche aperte per lo stupore.
 
“Che succede?” – Ron si rivolse ai due.
“Non lo so, non si vede granché.” – Draco aveva ragione: il soggiorno fu invaso da cenere che si sparse senza permettere di mettere a fuoco quello che ne usciva.
 
“Qualcuno si è materializzato nel nostro camino.” – Molly intuì la verità. La sua esperienza superava quella dei ragazzi.
 
Ma non avrebbe mai potuto immaginare chi si trovasse ora in casa sua.
Non avrebbe mai potuto capire chi era quell’anima sola che, ora seduta lì a terra, si puliva alla bene e meglio la camicia chiara ormai irrimediabilmente stropicciata.
La nera figura si passò una mano tra i corti capelli che, spolverati, divennero di un castano molto scuro.
Hermione ebbe un tuffo al cuore. Possibile che fosse proprio lei?
 
“Credo proprio che tu abbia ragione.” – Draco parlò rispondendo al dubbio dell’amica ed estrasse la bacchetta.
 
Molly non capiva ancora e Ron rimase impassibile finché non vide quegli occhi, quegli occhi chiari ma scuri di tonalità, esattamente come i suoi.
Furono gli occhi a rivelare a Ronald Weasley che chi si era materializzato nel camino della Tana era proprio lei, sua sorella.
O colei che il Wizengamot considerava sua sorella.
 
 
“Hermione, mamma! Allontanatevi subito!” – anche Ron prese la sua bacchetta dalla credenza vicino. E la puntò, insieme a Malfoy, sulla figura ancora inginocchiata e dolorante, ordinando alle due donne di farsi da parte.
 
 
 
 
 
“Ron, lasciala stare.” – gli urlò di rimando Hermione.
 
 
 
Ma il ragazzo non accennava a calar la bacchetta, così come Draco.
Anzi, circondarono la giovane accasciata sul pavimento innanzi al camino e ne sfiorarono il corpo con le loro bacchette.
“Alzati. – ordinò Ron alla ragazza che non pareva ascoltarlo – Alzati o te la vedrai con noi.”
 
 
“Non…” – un lamento uscì dalle labbra di Ginevra. Era dolore, era estremo dolore fisico.
Solo in quel momento Ron, Draco, Hermione e Molly videro il sangue che scorreva sul fianco della giovane.
Hermione aveva già visto quella ferita, durante la loro notte, la loro notte d'amore. Ma era sicura che fosse rimarginata: ora sanguinava di nuovo e come se fosse fresca.
 
“Ti ho detto di alzarti!” – Ron la colpì con uno schiantesimo facendola accasciare totalmente a terra.
 
 
 
Hermione non ci vide più e non resistette oltre.
Non le importava di niente ora: sarebbe andata contro i suoi amici, contro il Ministero, contro il Wizengamot, contro tutti ma non l’avrebbe abbandonata al suo destino. Non così.
La professoressa estrasse la bacchetta dal golfino grigio che indossava e la punto verso i due uomini.
 
“Lasciatela stare ho detto! – la sua voce era sicura, come il suo cuore – E’ ferita, non lo vedete?”
 
 
“Hermione – Ron non intendeva lasciare che l’amica si mettesse in guai più grandi di lei e perderla – dobbiamo spedire questa Mangiamorte nell'unico posto che le spetta, Azkaban. E se non vuoi seguirla anche tu, dovresti lasciarla a noi. Dobbiamo avvisare i Dissennatori.”
 
“E’ tua sorella!”
 
 
Molly ascoltò quelle parole e le mancò il respiro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Hermione ascoltaci tu, Ron ha ragione. – Draco intervenne ed era estremamente serio – E’ una Mangiamorte. Dobbiamo contattare le autorità, potrebbe ucciderci con una facilità che nemmeno immagini.”
 
 
 
 
 
Hermione superò i ragazzi e si frappose tra loro e la giovane a terra.
“In nome della carica di docente che rivesto e di organo ausiliare del Ministero della Magia inglese, vi ordino di poggiare le bacchette ed allontanarvi da lei o dovrete rispondere per altro tradimento e disubbidienza ad ufficiale ministeriale incaricato.”
 
Draco e Ron si guardarono: poteva davvero farlo? Si rendeva conto, davvero, di cosa stava facendo?
Il Wizengamot l’avrebbe accusata di favorire una Mangiamorte e quindi il ritorno del Signore Oscuro. Poteva essere condannata ad Azkaban per questo.
Ne era davvero consapevole?
 
 
 
“Hermione, non sai cosa stai facendo.” – Ron non accennava a placarsi.
 
 
 
 
 
 
“Basta…” – sua madre intervenne.
 
“Mamma, non lasciarti convincere, lei non è…” – ma non lo lasciò finire.
 
 
 
 
“Hermione ha ragione…ha ragione...” – Molly superò i due ragazzi ed Hermione.
Raggiunse quella strana ragazza ripiegata a terra su se stessa e si inginocchiò al suo fianco.
Non riusciva a dirle nulla, perché non c’era nulla che valesse la pena di essere detto in quel momento. Nulla.
 
Tutte e tre le bacchette si piegarono davanti allo strazio di quella immagine, di quella nuova natività.
Draco si fece indietro, Ron non capiva ancora: come poteva sua madre avvicinarsi a lei? A quella Mangiamorte. Come?
Eppure un vecchio e seppellito amore materno stava riaffiorando lento dal suo cuore; Molly sentiva, sentiva, che quella ragazza era una parte di lei.
Quella ragazza era Ginny. La sua Ginny…
E pianse.
Iniziò a piangere senza riuscire a fermarsi e, tremando, con mano incerta accarezzò quei lineamenti, quel viso così diverso da come lo ricordava, ma suo.
Suo.
Di sua figlia.
 
E non perché la riconoscesse con gli occhi, Molly la riconobbe col cuore. Con il cuore di una mamma che aveva creduto per anni morta la sua bambina.
 
 
 
 
 
Mamma…”
 
 
 
 
 
Figlia mia…” - a Molly scoppiò il sangue nelle vene, si fermò il tempo, si arrestò ogni bisogno.
Una semplice parola, la più naturale, la prima che si impara, l’unica che non scorderemo mai, nemmeno volendolo.
 
 
Hermione si intromise, afferrando Ginny ed aiutandola a mettersi seduta, la teneva da dietro; ma Ginevra aveva bisogno di essere medicata. Poi vide dei lividi sul suo collo, su quel collo che aveva a lungo baciato.
“Cosa ti hanno fatto?”
 
 
 
 
 
 
 
“Ron…  – Ginevra alzò gli occhi da sua madre fino a giungere, con fatica immane, a suo fratello.
Lui la guardò con disprezzo, con rabbia inenarrabile, ma manteneva la bacchetta puntata a terra.
E lei continuò, impiegando tutte le forze per quelle poche parole - Ti…ti spiegherò…tutto…tutto…ma non… - era finalmente seduta, poggiata totalmente al petto di Hermione che la teneva salda, insanguinandosi a sua volta - …ti prego non…non usare la…la magia…”
 
“Perché?” – lui era duro. Continuava a guardarla senza vederla.
Senza riconoscerla.
 
 
“Voldemort...lui… - non riusciva a proseguire ma, con una smorfia di dolore, lo fece lo stesso, aggrappandosi forte alle braccia di Hermione - …Lui può…può sentirla…e ci…ci troverebbe…”
 
 
 
Molly guardò il figlio con più durezza ancora.
“Fa’ come dice, Ron! – poi si voltò alla figlia e l’abbracciò, tenendola a sé e attenta a non stringerla troppo – Ginevra…la mia Ginevra…”
Piangeva.
Piangevano tutte e due.
Finalmente insieme.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dalla scalinata in legno anche Victorie guardava la scena che si era profilata di sotto.
Aveva sentito dei rumori diversi e si era precipitata a vedere cosa fosse. E sorrise.
Sorrise rivedendo quella ragazza che, come redenta, tornava da loro. Da loro che erano la sua famiglia.
Vicky guardò sua madre che le teneva la mano senza sapere cosa stesse accadendo e, senza rifletterci, gliela strinse più forte.
“E’ la sorella di papà.” – disse piano e accompagnò le sue parole con lo stesso sorriso.



 
  
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