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Autore: elektra810    11/11/2008    9 recensioni
Bill adora andare in tour ma odia doversi separare dalla sua prinzessin, sua figlia di 3 anni... cosa succede se un giorno nella vita di Bill comparisse una giovane assistente alla produzione che, come tutti, ignora che Bill ha una figlia?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti… imploro umile pietà per il mostruoso ritardo con cui pubblico! Mi vergogno quasi, ma è stato un mesetto bello pieno.

In compenso, per farmi perdonare, vi regalo un bel capitoletto ANGST (ve lo scrivo in maiuscolo così non potete lamentarvi), cui seguirà un altrettanto pesante capitolo!

 

PREMESSA DOVEROSA:  lo scrivo ALL’INIZIO E IN MAIUSCOLO così non potete dire di non averlo letto!

IN QUESTO CAPITOLO si trattano TEMATICHE e COMPORTAMENTI CHE NON VANNO IMITATI

NON VOGLIO DARE IDEE ALLA GENTE: CIO’ CHE FA CATHE NON DEVE ESSERE IMITATO

I ragazzi deficienti come Franz (vedi oltre) esistono!!!

(ne ho conosciuto uno che si è comportato allo stesso modo del simpatico personaggio che incontrerete se decidete di proseguire nella lettura),

se ne incontrate uno così, mandatelo a quel paesello prima che possa farvi del male (parlo per esperienza personale, ci ho messo più di un anno io a uscirne!)

 

 

 

ok… dopo questa specie di paternale (lo so che pensate potevi evitartela, però… non si sa mai!), passiamo ai ringraziamenti

 

la mia sunsetdream grazie a cui ho sempre nuove idee: grazie tesora per le chiacchierate sul msn, per il supporto morale, per le foto carine (lo so che è un aggettivo riduttivo) dei quattro angioletti. Io ti venero mia cara! Non avendo ancora avuto tempo di raccontarti per bene, ti dico solo che dal vivo l’Escalade, anche se in un pietoso colore bianco ghiaccio, è un qualcosa di paurosamente gigantesco e spudoratamente bello. Ho meditato di “prenderlo in prestito” ed inseguire quello nero di nostra conoscenza… vieni anche tu?? Ehehehe

 

la mia billa483: peccato che non riusciamo spesso a sentirci, però ogni tanto compari un po’!

 

martina

 

cami: mia omonima…. Le Cami rullano!!!

 

Chiunque mi ha recensito e chiunque abbia letto  (recensite anche voi mi raccomando!)

 

 

 

 

 

Ah… un’altra cosa: alla fine del capitolo incontrerete un nuovo personaggio, tenetelo d’occhio… ritornerà!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 20: our farewell

 

 

 

Quella giornata aveva tutti presupposti per essere una classica giornata no, e Tom questo lo sapeva benissimo: già s'era alzato con il piede sbagliato, anzi si era decisamente svegliato male perché un raggio di sole l'aveva colpito proprio negli occhi facendogli maledire ulteriormente la propria pigrizia nel non tirare le tende prima di andare a dormire; si era ulteriormente incazzato quando aveva scoperto che l'acqua calda della doccia era finita, segno che sia suo fratello che Catharina erano già svegli da un pezzo: ne ebbe conferma quando sentì le urla dei due proveniva dalla cucina, mentre Sylvia, con l'espressione più corrucciata che può assumere una bambina di quattro anni e mezzo, risaliva le scale del loft dei gemelli.

 

"zio io quei due proprio non li capisco: litigano già di nuovo!" gli disse la piccola passandogli accanto e dirigendosi verso la sua cameretta

 

-la novità del giorno!- pensò Tom mentre cercava una scusa plausibile per Sylvia, come se quella bambina ne avesse bisogno: forse la piccola conosceva meglio di lui la psicologia spiccia di padre e matrigna, ma sopratutto sapeva che quando tirava aria di tempesta era meglio eclissarsi alla svelta, dedicandosi a migliori attività.

 

Tom invece insisteva, sopratutto nell'autolesionismo: aveva deciso che avrebbe risolto l'ennesimo litigio tra Bill e Cathe per la salute mentale sua e degli altri inquilini del complesso residenziale. Perché nel mentre cercavano una casa adatta alle loro esigenza, Cathe e Sylvia si erano trasferite a casa dei gemelli ad Amburgo, naturalmente con il beneplacito di Bill, ma un po’ meno quello di Tom che mal tollerava invasioni della sua privacy da parte della nipote o tanto meno gli schiamazzi su Skype o Messenger della cognata con le sue amiche fino a tarda notte. Perché Catharina aveva la capacità di schiamazzare sul msn: scoppiava a ridere, faceva pernacchie e martoriava la tastiera di quel povero computer disturbando Tom.

 

Quindi, anche quella mattina, aveva deciso di sopportare stoicamente gli ululati che provenivano dal piano inferiore del loft;

 

tanto l'argomento di discussione, lo sapeva benissimo, era sempre lo stesso da settimane a quella parte:

 

dove andare ad abitare.

 

perché sia Bill che Catharina avevano le idee perfettamente chiare su quale fosse il loro ideale di casa, quartiere, arredamento e cucina: peccato fossero agli antipodi l'uno dell'altra.

Ora, per dovere di cronaca, Catharina si era fissata ad andare a vivere in Elbchaussee, zona residenziale per famiglie molto carina e molto tranquilla, comoda alle scuole, ben servita dai mezzi pubblici, insomma la classica ottava meraviglia del patrimonio immobiliare per cui qualsiasi agenzia si sentiva autorizzata a maggiorare il prezzo delle case di un buon 20%.

Bill invece voleva a tutti i costi una casa: indipendente, lontana da qualsiasi centro abitato con più di 100 persone, isolata in mezzo a bucolici paesaggi (testuali parole del ragazzo!), possibilmente con laghetto e stalla fornita di un paio di simpatiche mucche.

Quando Tom si affacciò in cucina, appoggiandosi allo stipite della porta mentre spazzolava svogliatamente i denti,  le urla di Catharina stavano raggiungendo livelli da ultrasuoni:

“Ma certo Bill, le mucche… come dimenticarsi di queste deliziose creature che passano la giornata a ruminare e concimare il cortile: già ti vedo fare il nevrotico perché le meravigliose Michelin della tua altrettanto meravigliosa BMW ne hanno pestata una!”

“quindi tu credi che io non sappia vivere in campagna!” Bill stava assumendo un tono da diva isterica: “ti ricordo che Loitsche è in aperta campagna!”

“e io ti ricordo che non vivevi in una fattoria, tu le mucche le hai sempre viste in distanza!”

“perché naturalmente Monaco centro è piena di mucche! Già neanche Calcutta ne ha tante quante Monaco! ”

“cosa vuol dire… poi non pensi che magari gli sperduti paesini di campagna non sono certo famosi per avere scuole Steineriane? O hai cambiato idea sulla scuola per Sylvia!?”

Tom si intromise nel discorso, agitando lo spazzolino a mezz’aria: “mandate Sylvia in una Steiner?”

La risposta fu un corale: “certo! Problemi?”

“no figuratevi, però fratello su quello ha ragione Cathe, le scuole Steineriane sono di solito in città!”

“ma lo so Tom!” gli rispose sarcastico il fratello: “e casualmente c’è n’è una in Elbchaussee…”

“ed è anche privata!” aggiunse acida Catharina “che non sarebbe neanche male se vogliamo un po’ di privacy!”

Bill non poté fare a meno di sospirare,  ancora una volta le teorie di Cathe si stavano rivelando le più valide e coerenti; venne ridestato da Tom:

“fratello, cognata… è ora di andare! Non ho voglia di sentire anche le urla di David oltre alle vostre, i miei timpani sono già stati stressati abbastanza oggi!”

“no!” urlò Catharina ai gemelli che stavano già defilandosi dalla cucina: “non mi interessa se David in questi giorni ha la luna storta, se ha le sue cose o cos’altro! qui finiamo il discorso! Bill!...” il ragazzo si voltò rassegnato verso la compagna: “programmino della giornata, vado a prendere tua mamma e Vera che vengono su a vedere un po’ di appartamenti e poi se ne trovo qualcuno di carino lo metto in lista per andarli a rivedere con te ok?!”

Il moro mugugnò assente, ben immaginando l’espressione smarrita che il manager dei Tokio avrebbe assunto alla notizia che Cathe l’aveva piantato in asso anche quel giorno.

 

 

*°*°*°*

 

 

“Cathe!” Sylvia richiamò l’attenzione della ragazza dal seggiolino della Mercedes

“dimmi piccola!?” le rispose Catharina in un sospiro

“perché tu e papà non vi decidete a trovare una casa e ce ne andiamo a stare tutti e tre insieme? Voglio bene allo zio Tomi ma io voglio stare con voi due!”

“Sylvia te l’ho già detto perché, finché non troviamo una casa adatta alle nostre esigenze dobbiamo rassegnarci e stare ancora un po’ con lo zio!”

“sì ma né tu né papà vi impegnate a trovarla la casa! Ne vediamo un mucchio ma nessuna vi piace!” disse la piccola risolutamente incrociando le braccia, in una posa molto più adulta dei suoi quattro anni “io mi annoio ad andare tutti i giorni in giro a vedere case!”

Catharina sorrise stancamente, anche lei era ormai snervata per lo sfogliare brochure di agenzie immobiliari, visitare case e appartamenti o fare giri esplorativi dei quartieri di Amburgo alla ricerca del più vivibile per una bambina di quattro anni: “Sylvia ti prego resisti solo più questa settimana, già ho praticamente convinto papà ad andare a vivere in un bel quartiere immerso nel verde, bellissimo, tranquillo, e prendiamo anche un cane!” sapeva benissimo che il cane più che un arma di ricatto nei confronti di Sylvia si sarebbe presto trasformata in un’arma a doppio taglio per lei

“un cane? Davvero?” gli occhi della piccola si illuminarono all’idea di avere finalmente un cane tutto per sé: “davvero davvero Cathe?”

“promesso ma tu devi fare la brava, solo più questa settimana, intanto vengono su le nonne e ti diverti anche di più, e poi ti porto qualcosa da Berlino, ci devo andare entro questo weekend!”

“devi di nuovo andare a Berlino!? Ma io voglio stare con te!”

“piccola ma devo andare solo per una giornata, non mi fermo neanche per la notte, prendo il primo treno al mattino e l’ultimo alla sera  e sono di nuovo da te!”

“me l’hai promesso! Ricordatelo Cathe!”

“certo piccolina!” annuì la ragazza; la bimba non perse però l’occasione per ribadire la promessa appena fattale dalla matrigna:

“davvero prendiamo un cane?!”

Cathe ridacchiò, la piccola era davvero una Kaulitz: “certo! Quello che vuoi, però solo quando staremo in una casa tutta nostra, non con lo zio che sai che non li sopporta molto i cani!”

“si lo so… ma io voglio un cane come lo zio!”

“Catharina ridacchiò allibita: “cosa vuol dire come lo zio?”

“sì un cane rasta! Come quello che abbiamo visto pelosissimo l’altro giorno con tutte le treccine pulciose!”

Cathe scoppiò a ridere come una disperata, mentre cercava di posteggiare nei pressi della stazione di Amburgo: “guarda che lo zio Tomi non ha le pulci!”

“lo so… ma se avessimo un cane pulcioso gliele attacca e poi sarebbe carino lo zio pulcioso!”

“Sylvia come ti vengono in mente queste cose?” le chiese Catharina slacciando le cinture del seggiolino e prendendo in braccio la piccola

“perché a me starebbe simpatico… e poi voglio anche io i rasta come lo zio, così anche io sarei uguale a lui come lo è papà!”

“Sylvia tu non puoi essere uguale allo zio, papà e Tom sono uguali perché sono gemelli, tu non sei loro gemella… e poi mi offendo, una volta dicevi che da grande volevi essere come me!” Cathe fece finta di essere offesa

“ma io voglio ancora essere come te!tu sei la più bella e la più brava del mondo!”

“uh ma oggi mi stai proprio adulando!”

“no! È vero, le mie amiche hanno sì una mamma, ma io ho te, sei molto meglio di una mamma… tu sei Cathe!”

“Grazie prinzessin!” 

Il cuore di Cathe si riempì letteralmente di gioia per quelle parole, a molti potevano sembrare scontate, ma non per lei: a causa del suo carattere metteva spesso in discussione il suo ruolo per Sylvia e le sue capacità di farle da mamma, pensando spesso che la sua figura forse non le dava riferimenti affettivi stabili; altre volte invece temeva di essere di troppo, temeva di non poter diventare la vera mamma, temeva che Sylvia non l’avrebbe mai chiamata mamma.

E Dio solo sa quanto mi piacerebbe che mi chiamasse mamma

Pensò la ragazza mentre salutava Simone e Vera appena scese dal treno

Le due donne insieme erano veramente una forza della natura, Cathe sapeva che al minimo problema poteva parlarne tranquillamente con loro e che sicuramente le avrebbero dato una mano. Le piaceva soprattutto il rapporto che aveva sviluppato con Vera, di come la donna l’avesse quasi accettata come una figlia e non solo come la matrigna della nipote,  entrambe cercavano  nell’atra una figura persa: Vera cercava sua figlia, la rivedeva negli occhi di Cathe, nei suoi discorsi, nei sogni e nelle confidenze raccontate; Cathe vedeva in Vera la madre che non aveva mai avuto, la confidente e l’amica.

Erano i momenti in cui tutte le certezze della sua vita vacillavano, in cui avrebbe voluto dare un ulteriore calcio al suo passato e probabilmente mollare tutto e vivere una vita tranquilla.

Solo che vivere una vita tranquilla era praticamente impossibile per Catharina, perché non puoi vivere in pace se sei la compagna di Bill Kaulitz, e neanche ufficialmente.

 

 

“perché è complicato!” concluse Cathe allargando platealmente le braccia dal posto guida della Mercedes “perché non puoi andare lì e dire buongiorno sono Bill Kaulitz, questa è la mi compagna Catharina e lei è mia figlia Sylvia e vorremmo vedere un po’ di appartamenti in cui andare a vivere. Diventa molto complicato!”

Simone ridacchiò di gusto all’idea che il figlio entrasse in un’agenzia immobiliare esordendo con quelle testuali parole, non le sarebbe spiaciuto assistere alla scena: “eh va beh, adesso a che nome hai l’appuntamento?”

“Tr?mper, per fortuna gli agenti immobiliari non hanno l’età per collegare i due cognomi!”

“per fortuna!” aggiunse Vera dal sedile posteriore: “allora cara andiamo a vedere case o appartamenti?!”

“misto, vediamo se c’è qualcosa di carino e ad un prezzo abbastanza umano! Non ho voglia di prosciugarmi il conto in banca per una casa!”

“non voglio deluderti ma normalmente la gente lo fa!” aggiunse Simone

“normalmente la gente chiede il mutuo! Ma cosa faccio, vado in banca e dico buongiorno vorrei un mutuo, sa metto su casa con Bill? Così dopo due minuti lo sa mezzo mondo!” le rispose con veemenza Catharina

“può essere un’idea!”

“suicida come idea, Simone! Speriamo solo che oggi ci portino a vedere qualcosa di valido, se no c’è da spararsi!” concluse Cathe mentre parcheggiava di fronte all’agenzia immobiliare. Sylvia scendendo dalla macchina disse a Vera:

“speriamo sì, io mi annoio e voglio andare a stare con papà e Cathe!”

 

 

 

 

“la signora Tr?mper immagino!” chiese con aria baldanzosa il ragazzo sulla trentina dello studio immobiliare: era il classico personaggio che a Cathe non piaceva, non perché fosse maleducato o cos’altro, semplicemente non le piaceva a pelle. Aveva quell’aria troppo arrogante e saputa, quel fare da squalo affamato di affari che Cathe aveva visto fin troppe volte negli occhi di molti collaboratori Universal nonché in quelli dei suoi genitori.

“Buongiorno!” gli rispose con la stessa aria tronfia la ragazza: giusto per ricordargli che la potenziale cliente era lei e che le distanze dovevano essere mantenute: “sono Catharina Tr?mper! Spero non le dispiaccia se ho portato anche le nonne della mia piccola”gli rinfacciò educatamente indicando Sylvia

“no no, si figuri, meglio anzi così possono dare il loro parere, anche perché magari se danno una mano nell’acquisto…”

Come volevasi dimostrare  pensò Cathe lo squalo cerca di colpire!

“non si preoccupi, all’acquisto ci pensiamo io e mio marito!” proprio non sopportava di dover fingere che lei e Bill fossero sposati, ma era inutile: ancora nel 2010 c’erano persone che se non sentivano la parola marito non prendevano in considerazione le donne.

“suo marito non c’è?!” aggiunse con modi affettati il venditore

“a quest’ora è in studio!” soggiunse Catharina assumendo la stessa espressione del ragazzo; non aveva ancora capito come mai l’espressione è in studio facesse aumentare le quotazione di probabile cliente, ma ogni qual volta Cathe pronunciava quella frase magica, seguita da un avremmo intenzione di acquistare almeno dai 250 mq in su, i venditori diventavano a dir poco servizievoli, come se favoleggiassero su questo fantomatico marito.

Se li immaginava i discorsi nella loro mente:  -sarà un avvocato di grido-   - magari è un notaio famoso-  -cardiochirurgo neonatale, di sicuro-  -designer di fama mondiale-

E continuava a non capire il perché il mondo fosse solo apparenza.

 

 

Lo capì al terzo appartamento visitato, anzi più che altro capì il concetto di 250 mq delle agenzie immobiliari: non erano mai i metri effettivi, ma comprendevano di tutto, dal terrazzo al garage. Ma 250 calpestabili no.

“guardi mi spiace interromperla nuovamente!” disse una spazientita Catharina al venditore che stava cercando di magnificare i pregi di un banale appartamento vista tangenziale che non rasentava neanche i 200 mq “ma con 250 mq intendo 250 calpestabili, con doppi servizi, terrazzo e balcone, cucina abitabile, e garage doppio, non posto auto!”

“ma sono abbastanza rari da trovare! E tremendamente costosi!”

“guardi  il prezzo non è un problema, il concetto qui è un altro” disse stancamente Catharina mentre prendeva in braccio una ormai esausta Sylvia: “ha un appartamento, una casa, un loft un qualsiasi cribbio come quello che le ho appena descritto?”

Il ragazzo scosse la testa: “al momento no, sono difficili da trovare sul mercato!”

“beh ne cerchi uno! Se ce l’ha mi chiami, il mio numero ce l’ha!”

 

 

 

*°*°*°*

 

 

Cathe si lasciò cadere sul letto sbuffando e facendo pernacchie con le labbra, per richiamare l’attenzione di Bill; l’aveva ritrovato nella stessa posizione in cui l’aveva scorto prima di andare a fare la doccia: seduto a gambe incrociate sul letto, il laptop sulle ginocchia, lo guardo assente e la mano che guizzava anchilosata sul touchpad. La ragazza si girò sul fianco destro andando a cozzare contro il gomito del moro:

“stai cercando di farti del male?” Bill mugugnò in assenso, mentre Cathe recuperava gli occhiali abbandonati sul comodino: “no Bill così è autolesionismo, immobilienscout 24… non troveremo niente!”

“ah perché per agenzie abbiamo trovato vero?!”  Cathe scosse la testa in diniego, in totale quel giorno aveva visitato più di una quindicina tra case, appartamenti e villette, e nessuna soddisfava i gusti suoi o di Bill; la ragazza controllò distrattamente i criteri di ricerca impostati da Bill:

“Altona? Ma stai scherzando?”

“perché?” le chiese il ragazzo con un sorriso sardonico, mentre si distendeva nel letto: “mi sembrava ti piacesse!”

“ma a te no” gli rispose dubbiosa Catharina

“ma se ci vivo da quasi 5 anni ad Altona, magari se cerco casa in zona è perché mi piace, e perché sarebbe anche comoda per passare a trovare Tom, Georg e Gustav… e poi non c’è una Steiner in Elbchaussee?”

“si ma Bill stavo scherzando non dobbiamo prendere una casa per forza ad Altona!” venne interrotta dall’indice di Bill che le sventolava davanti come diniego:

“non casa… attico oppure loft!”

“di design?!” chiese Catharina con la sua classica smorfia che sottointendeva un ti adoro

“sì… stavo guardando se c’era qualcosa in giro di carino… ad un prezzo umano, prima ne ho visto uno davvero bellissimo, più di 300 mq,  su due piani, terrazza con pavimenti in cotto toscano, vista mozzafiato…”

“a quanto Bill?!” lo sguardo di Catharina si era illuminato

“troppo… 3 milioni e mezzo di euro…” disse il ragazzo in un soffio: aveva riletto più volte la cifra, gli sembrava inconcepibile per un loft, anche se di quella superficie

“cazzo… troppi! Non è giusto!” gli rispose Catharina accovacciandosi meglio al suo fianco e solleticandogli i polpacci con i piedi

“dai dammi un mano a vedere se c’è qualcos’altro di carino… accidenti però vai a scaldare i tuoi piedacci gelidi da un’altra parte!”

“uffi sei cattivo!” gli rispose Catharina strappandogli letteralmente il computer dalle mani; fecero scorrere diverse pagine ma nessuno degli annunci sembrava avere le caratteristiche adatte; ad un certo punto però Cathe si bloccò e cliccò freneticamente su una pagina, emettendo uno speranzoso eccolo!

Bill si affrettò a guardare il monitor, crogiolandosi per qualche secondo nell’ illusione che fosse qualcosa di valido e carino: in effetti lo era, aveva le caratteristiche precise che ricercavano Bill e Catharina, era ampio, ben illuminato e soprattutto comodissimo a scuola e autostrada  per lo studio di registrazione.

Cathe fissava attonita lo schermo, gli occhiali calcati sul naso e una buffa espressione sul volto: almeno così sembrava a Bill, che più che guardare il monitor guardava la compagna. Era da tempo che non vedeva quell’espressione sul suo volto, incredula felice  e spaurita allo stesso momento. Forse l’aveva vista solo quando se l’era ritrovata davanti alla porta di casa a Loitsche alle quattro del mattino, l’espressione tipica dei bambini che stanno combinando qualche disastro più grosso di loro ma che, allo stesso tempo,  assaporano con gusto.

E come quella notte Bill non seppe resistere all’espressione sul viso di Catharina proprio non sapeva resistere: le prese il pc dalle mani e salvò la pagina tra i preferiti, prima di abbandonare il laptop a terra e trascinare Cathe sotto le lenzuola.

 

 

 

*°*°*°*

 

 

“insomma, dopo averlo visto su internet  siamo andati a vederlo dal vivo, ed è veramente meraviglioso come appartamento anzi, chiamiamolo con il suo nome: super attico! Dovete vederlo ragazze è spettacolare, gigantesco, una cucina enorme, per altro della Snaidero, quindi italiana, mica la Schiffini  a cui sono abituata a casa dei gemelli… poi ha pure la sauna, una camera matrimoniale bellissima, un soggiorno gigantesco e una terrazza con vista meravigliosa!”

Catharina stava elencando le prodigiose qualità dell’appartamento che aveva visto su internet alle sue amiche: era dovuta andare a Berlino per la riunione settimanale con i vertici della Universal e aveva colto l’occasione per parlare alle sue amiche dell’attico che aveva visitato con Bill; avevano visitato un altro paio di appartamenti validi per le loro esigenze ma quello le era rimasto particolarmente impresso e naturalmente aveva iniziato a fantasticarci

“o forse ti è rimasto impresso il dopo visione salvifica su internet!” le chiese Sabine con un inequivocabile gesto della mano “non è che oltre alla casa mettete anche in cantiere altro?!” aggiunse ironicamente la ragazza; Catharina la guardò allibita, arrossendo:

“NO! Ti ripeto no…” le rispose arrossendo

“ma ci avete pensato.. ammettilo!” aggiunse Medina

“eh va beh, ma più che pensato è Bill che ogni tanto fa strane battutine, tipo che potremmo anche valutare le tre stanze da letto… non si sa mai… in un futuro…, poi appena finita la frase diventa rosso come un peperone e si eclissa, o se rimane dov’è inizia a diventare nervoso e minimo combina qualche disastro. Tom in compenso ride come un matto, per non parlare di Georg  o Gustav, ma ormai a quei tre mi sono abituata! E comunque in questo periodo non sarebbe proprio il caso di mettere un figlio in cantiere…”

“perché no?” le chiese Medina

“perché ti ricordo che Marzo e Aprile siamo in tour e quindi non me la sentirei proprio di affrontare massacranti viaggi per l’Europa, gravidanza, Sylvia e casa, tutto insieme. Per tacere di David!”

“si in effetti non sarebbe semplice da gestire” le rispose Daniela in tono costernato: “comunque, tornando alla casa, quanto costa la meraviglia?”

“Dani, mio tesoro, lascia che mi riprenda e che si riprenda anche la mia mascella che è caduta quando ci hanno chiesto 790 000 euro!” rispose sarcastica Catharina

“ urca… bruscolini proprio! Ma li vale almeno?!” le chiese la ragazza

“eh forse sì, ma magari anche qualcuno in meno lo preferirei, anche se in quella cifra è compreso doppio garage e spese, ma se magari riuscissimo a far rientrare anche l’arredamento…”

“Cathe per favore parli come se fossi una morta di fame, anzi come se tu e Bill foste dei morti di fame: guadagnate cifre da capogiro, anche se investite i soldi in una casa non è poi così male come investimento!”

“eh lo so, ma tutti nella casa non mi piace investirli, volevo anche tenere qualcosa per Sylvia e poi considera che l’anno prossimo comincia la scuola e se io e Bill siamo in tour magari Simone viene a stare su ad Amburgo per tenere la piccola… magari prendiamo un appartamentino anche per lei e Gordon.”

“chiedere a Tom di acquistare l’appartamento per i suoi sarebbe troppo vero? Va beh che è anche lui un morto di fame…” ridacchiò Sabine

“dai lo conosci,sai che bisogna prenderlo con la luna giusta per fargli queste richieste!” concluse Catharina

“certo che è vero, certa gente è proprio tirchia!” disse Medina “più soldi anno e più fanno i morti di fame!”

“sì sì!” le rispose Cathe: “di fronte a questi pancake di sicuro, sono buonissimi, poi avevo una fame, stamattina non ho fatto colazione pur di aver spazio nella pancia per il brunch, mi mancava questo rito con voi!”

“sei tu che sei fuggita ad Amburgo, ci hai abbandonato per il primo paio di occhioni color caramello che ti hanno conquistato!” le dissero praticamente in coro Sabine e Daniela

“potete biasimarmi?!” chiese a bruciapelo Catharina mentre ingoiava l’ennesimo boccone di pancake grondante di marmellata;

boccone che le andò praticamente di traverso quando sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla e una fin troppo nota voce richiamarla:

“ciao Cathe!”

Oh mio Dio no, fa che non sia lui! Pensò allarmata Catharina mentre brividi freddi le scorrevano lungo la schiena;  la ragazza alzò lo sguardo fino ad incrociare un paio di profondi occhi scuri e un espressione leggermente beffarda, mentre il proprietario della mano, su cui luccicava una fede, la salutava con finta cordialità.

No, ti prego no…. Vattene per favore! Cathe rimase letteralmente paralizzata sulla sedia, la forchetta a mezz’aria; deglutì a fatica per pronunciare uno strascicato saluto:

“ciao Franz!” mormorò la ragazza, impallidendo

“Cathe non mi aspettavo di trovarti qui a Berlino, come stai? Ti vedo in ottima forma, decisamente in carne… eheh, sempre a mangiare vero? Non ti smentisci mai!” le disse il ragazzo ridacchiando, mentre con un cenno indicava il piatto davanti alla ragazza: “comunque,  ti vedo molto cambiata, scommetto che te la passi bene! Sempre dietro a quei quattro ragazzini? ah tu hai sbagliato tutto, dovevi dare retta ai tuoi, guarda peccato che ci siamo persi di vista, mi è spiaciuto che tu non sia venuto al mio matrimonio con Klara, ci saremmo divertiti moltissimo!”

“eh peccato sì!” Catharina era pallida come un cencio e sentiva le sue gambe diventare sempre più molli, come sul punto di svenire;  l’anno passato praticamente lontano da Berlino, lontano dai brutti ricordi, le aveva fatto dimenticare anche la causa dei suoi guai e della sua malattia: quel Franz che era riapparso in quel momento e non aveva perso tempo per rimbeccarla sul cibo e sul fatto che mangiasse, sul fatto che pesasse 48 chili. Cercò di non pensare alla battuta del ragazzo ma piuttosto su una scusa per non averlo più di fronte, un modo per mandarlo via.

“guarda sono abbastanza di corsa, non ho molto tempo oggi Franz, quindi piuttosto ci sentiamo ok?!”

“uh certo, una super manager come te non avrà di certo tempo, dai magari ci vediamo allora! Torno da Klara, non vorrei mai mi dia per perso, la conosci no?! Ci vediamo Catharina! Ragazze arrivederci!”

Le tre ragazze rimasero allibite per il comportamento di Franz: lo conoscevano da molto e sapevano benissimo che era stato la causa dell’anoressia di Catharina, con le sue stupide battute e il suo continuo rimarcare la forma fisica della ragazza.

“che testa di cazzo!” sibilò Sabine: “mi chiedo come facesse a piacerti, è anche brutto! Oltre a essere un pezzo di…”

Medina nel frattempo cinse con un braccio la spalla di Catharina: aveva nascosto il viso in una mano, più che per celare i suoi occhi pieni di lacrime, per evitare di rivedere, anche solo per sbaglio, il viso del ragazzo. Alzò leggermente lo sguardo, fissando il piatto con i pancakes abbandonati: lo allontanò

“ragazze non ho più fame, andiamo per favore ho bisogno di aria!”

 

 

Oltre che di aria Catharina aveva bisogno di restare sola a riflettere: si era congedata in fredda dalle sue amiche, forse troppo sbrigativamente perché le tre ragazze potessero credere che stesse realmente bene, soprattutto psicologicamente;

no, psicologicamente era distrutta, continuava a pensare alle frase dette da Franz, dette con astio, con cattiveria gratuita, con ironia: lei non gli aveva fatto niente, non l’aveva di certo provocato e lui di nuovo, con la sua solita espressione arrogante, le aveva rinfacciato il suo modo di essere.

Aveva passato la restante parte della giornata a camminare , cercando di capire: capire il perché di quella battuta, il perché l’avesse trattata in quel modo, il perché le fosse piaciuto quel ragazzo così arrogante e pieno di sé, con mille difetti macroscopici; che però lei aveva sempre trovato perversamente calzanti su uno come lui; ma anche terribilmente attraenti.

Era la Dickensiana attrazione dell’uomo verso il male: lo sapeva benissimo, eppure, dopo quasi cinque anni, Catharina continuava a porsi la stessa domanda:

E se veramente fossi io quella sbagliata? E se avesse ragione lui?

Le rimbombava in testa come un mantra, come una maledizione; le venivano in mente le immagini di tutto ciò che aveva passato, le sensazioni, le domande che si era posta; di nuovo in quel maledetto undici febbraio: come quattro anni prima, si ritrovava ad un bivio in quel dannato e fottutissimo giorno.

Quattro anni prima il bivio era stato lottare o lasciarsi morire dopo essere collassata, per farla finita ed evitare ulteriore sofferenza.

Undici febbraio: mentre quelle lettere formavano un indistinta parola nella sua mente, Cathe afferrò la borsa e corse in bagno, in modo frenetico cercò lo spazzolino da denti tra le mille cianfrusaglie della pochette.

Scusami Sylvia

Pensò prima di infilare il gambo dello spazzolino in gola

Scusami Bill

Pensò mentre i conati acidi risalivano il suo esofago e la facevano piegare sul lavandino.

 

 

 

*°*°*°*

 

 

 

Quando si sedette al proprio posto sul treno per Amburgo, Catharina si sentiva in un limbo, divisa a metà tra il senso di colpa e il delirio di onnipotenza. Erano ormai passati ormai tre mesi da quando aveva ricominciato: odiava quella frase, le sembrava più adatta a qualcuno che si drogava piuttosto che a qualcuno come lei.

Ma come me… cosa? Un’anoressica depressa?

Le era difficile ammettelo, nel suo inconscio l’anoressia non esisteva, non era tornata a farle compagnia; cercava di negarlo a se stessa tutto ciò che faceva per essere magra.

Negava a se stessa le serate passate in palestra o in piscina per eliminare le poche calorie assunte con la scarsa dieta; negava a se stessa i pasti saltati, negava a se stessa i 6 chili persi nel primo mese e mezzo e gli altri 3 per cui lottava costantemente, la taglia 38 che cominciava ad essere larga per i suoi 39 chili, negava che lo spazzolino, i lassativi, che erano tornati a farle compagnia, e i diuretici che stavano diventando i suoi nuovi compagni.

 Era spesso stanca, a volte si addormentava sfinita sul divano e non aveva capacità di concentrazione; ma più il suo fisico dava segni di cedimento, più lei perseverava nel punirlo. Aveva scoperto quanto funzionassero bene quei farmaci, meglio di qualsiasi lassativo e senza quasi effetti collaterali: sì, a volte aveva accusato qualche capogiro, ma di fronte alle altre persone che la circondavano lo minimizzava con scuse quali stanchezzan insonnia o stress.

Soprattutto cercava di negarlo di fronte a Bill, sdrammatizzava il suo dimagrimento con scuse quasi assurde, come se il ragazzo non si accorgesse delle ossa sporgenti ogni volta che accarezzava il suo corpo.

 Si era ritrovata a pensare che se fosse dimagrita gradualmente né Bill né nessun altro se ne sarebbe accorto.

L’aveva minimizzato anche di fronte  Sylvia quella stessa mattina, e quel pensiero non le aveva dato pace durante tutta a giornata.

Perché Catharina iniziava ad aver paura quando stava con la piccola.

Folle, tremenda  subdola paura che la bambina potesse capire cosa le stava succedendo; che potesse allontanarsi da lei, spaventata dai suoi comportamenti: perché Sylvia era perfettamente cosciente di cosa accadesse quando Cathe si rinchiudeva in bagno.

La guardava con occhi diversi, aveva uno sguardo diverso, per metà indagatore e per metà giudice, come a volerle dire io so.

L’aveva visto quella mattina, quando se l’era ritrovata di fronte dopo che Cathe aveva svuotato nel lavandino la tazza del the: solo due sorsi, niente zucchero, niente dolcificante, solo acqua calda; aveva visto quel guizzo, le era addirittura sembrato che la piccola aggrottasse il sopracciglio nel gesto tipico di stizza che Bill riservava solo nei litigi con lei o il fratello;

io so

E tu non puoi nasconderti

Non poteva farlo, non di fronte all’incapacità di sollevare i 15 chili di Sylvia: era leggera, aveva la struttura fisica del padre, ma quella mattina Catharina non ce l’aveva proprio fatta a prenderla in braccio; appena issata aveva sentito la testa che le girava, una strana sensazione al cuore e il suo intero corpo che la tradiva: riappoggiandola a terra si era sentita trafiggere dall’occhiata della bimba.

io so… perché lo fai Cathe?

-vorrei proprio saperlo anche io Sylvia!- la ragazza fissava la foto sullo schermo del cellulare: si era spesso domandata il perché si stesse rovinando in quel modo; le sembrava semplicemente assurdo, non avrebbe avuto motivi, non aveva motivi per farlo: eppure non riusciva a smettere, non riusciva a confidarsi con nessuno.

Perché farlo avrebbe significato ammettere: ammettere la malattia, ammettere la ricaduta, ammettere di non essere sicura del passo che stava per fare con Bill.

Ecco perché non aveva preso ancora una decisione definitiva sulla casa: Cathe tergiversava, pur essendo convinta dell’attico in Elbchaussee: lo era stata dal primo momento in cui l’aveva visto su internet, e ancora di più dopo che l’avevano visto dal vivo. Bill l’assecondava, forse per paura di metterle premura nella scelta della casa, ma ogni giorno cercava comunque di capire il perché Cathe non avesse deciso.

E per Catharina stava diventando sempre più difficile mentirgli.

 

Stava per rimettere in borsa il suo N71 quando il cellulare si mise a squillare: Bill

Catharina tardò leggermente a rispondere, più che altro per evitare un tono di voce da cui potesse trasparire la sua preoccupazione:

“ohi!”

“Catheee!” la vocina squillante di Sylvia la fece quasi trasalire: certamente non si aspettava potesse essere la piccola all’altro capo del telefono, ma la cosa le fece migliorare decisamente il suo stato d’animo, anche se si rendeva perfettamente conto che appena riagganciato si sarebbe sentita ancora più in colpa;

“Sylvia! Cucciola sto quasi per partire da Berlino, tempo due ore e sono in stazione ad Amburgo, mi venite a prendere?” domanda retorica ma le piaceva sentire l’entusiasta risposta i Sylvia

“certamente! E con la macchina nuova!”

“la macchina nuova?!” Catharina si era scordata che quella sera consegnavano a Bill la nuova macchina, BMW serie 5 familiare, si era finalmente convinto che la cabrio non era di certo adatta per Sylvia anche se la piccola adorava farsi scorrazzare dal padre.

“sì certo! ci porta zio Tomi a prenderla e poi veniamo da te in stazione!” la bimba urlava entusiasta dall’altro capo del telefono, Bill però si fece passare Cathe

“ciao! Tutto a posto? Te ne eri dimenticata vero?”

“no non dimenticata, diciamo che non mi ricordavo!” disse ridacchiando la ragazza, in effetti si era completamente dimenticata, anche perché c’erano stati diversi disguidi in concessionaria e la consegna era stata posticipata di almeno una settimana

“beh in effetti, doveva arrivare giovedì scorso, oggi siamo a venerdì, con quello che l’ho pagata una settimana di ritardo mi sembra esagerato!”

 

Una settimana di ritardo

Quelle parole furono un fulmine a ciel sereno nella mente di Catharina: non badò più alla conversazione con il compagno, la sua attenzione si era focalizzata su quella frase.

Una settimana di ritardo, sette giorni…lei lo realizzò solo in quel momento: in effetti  dovevano arrivarle il giovedì precedente, era rimasta pure contrariata all’idea di dover inaugurare la nuova macchina all’insegna di mal di pancia e crampi alle gambe.

Poi la macchina non l’avevano consegnata e lei non ci aveva più fatto caso al ritardo del ciclo.

Oh merda!

 

 

 

 

*°*°*°*

 

 

 

 

Catharina aveva impiegato ancora una settimana a convincersi prima di fare il test, anzi più che farlo ad acquistarlo; passava davanti ad una farmacia e rallentava il passo, cercando in quei pochi secondi di prendere coraggio ed entrare: coraggio che le era sempre mancato.

Era troppo fragile in quel momento per pensare all’avere un figlio, era spaventata all’idea che ci potesse essere qualcosa dentro di lei; fisicamente sentiva che non ce l’avrebbe fatta: era particolarmente stanca, a volte le mancava il fiato e i capogiri erano la sua compagnia già appena sveglia; continuava a digiunare e si ostinava con massacranti sedute in palestra;

Era cosciente che se fosse stata realmente incinta, sarebbe stato deleterio per il bambino, ma ciò nonostante continuava.

Perché non era sicura di nulla, né dell’essere incinta, né di come avrebbe reagito Bill, né se lei avesse realmente voluto quel figlio.

Perciò tergiversava.

Era seduta sul lettone matrimoniale ancora sfatto, rigirava tra le mani la scatoletta rosa che era corsa ad acquistare non appena Bill era uscito per andare ad un’intervista, solo lui, per una volta Tom era rimasto a casa;

non lo sentì neanche salire le scale, si accorse della presenza del rasta solo quando vide aprirsi la porta della stanza: temendo fosse Sylvia, Catharina nascose furtivamente la scatola sotto il piumone, per evitare imbarazzanti domande della piccola; non fu però abbastanza veloce per evitare l’occhiata curiosa di Tom: il ragazzo rimase sulla porta con un sorriso stranamente tenero sulle labbra, quasi dolce, aggettivo incosueto se associato al ragazzo:

“cosa nascondi? Regalo per mio fratello?”

Cathe non poté fare a meno di sospirare, mentre si accoccolava a gambe incrociate sul letto, cercando di scomparire nell’enorme tuta da casa della Gap

“in un certo senso…” gli rispose tentennando la ragazza

“fai vedere allo zio Tomi cosa hai comperato…” il rasta le si avvicinò con aria sorniona

Zio Tomi… bravo! Hai centrato in pieno l’argomento pensò Catharina

La ragazza semplicemente gli porse l’astuccio, abbassando lo sguardo. Tanto si immaginava benissimo l’espressione del rasta: stupita, sconvolta, forse meravigliata, magari anche contenta; sentì il ragazzo sedersi accanto a lei e cingerle le spalle con un braccio:

“quanto hai di ritardo?”

“17 giorni…  è una settimana che sto cercando di fare il test ma non ho coraggio!” rispose la ragazza in un soffio

“Bill lo sa?”      touché pensò Cathe mi conosci proprio bene ormai!

“non gliel’ho ancora detto… ho paura di dirglielo…”

“tanto se sei incinta glielo devi comunque dire… quindi trova il coraggio e fai questo test… ma perché voi donne dovete essere così titubanti?! È la cosa che forse volete di più al mondo, e quando arriva il momento vi mettete a fare scene degne di una telenovela brasiliana!”

Catharina ridacchiò: “sei molto d’aiuto così…”

“cerco di spronarti…” il ragazzo le strofinò il braccio per sottolineare le sue parole: “credo che a Sylvia non spiacerebbe un fratellino o una sorellina!”

“adesso sarebbe troppo un macello, siamo a metà tra due tour e non abbiamo ancora deciso per la casa…”

Tom si alzò in piedi e le si parò davanti: “così vi deciderete!Cathe mi ricordo quando mio fratello mi ha detto che stava per arrivare Sylvia: era sgattaiolato in camera mia in piena notte, svegliandomi… mi aveva tirato via il piumone e si era accoccolato contro di me; mi ricordo che mi disse –Tomi ho combinato un casino- so che l’avevo guardato malissimo e poi mi ero accorto del suo sorriso estasiato, da un’orecchia all’altra –Sylvia è incinta…- era scoppiato a piangere, rideva e piangeva nello stesso momento, io so di avergli risposto che sarebbe stato un ottimo padre… e avevo pienamente ragione…”

“come sempre…” lo interruppe ironicamente Catharina

“quello è scontato…comunque credo che il punto qui sei tu, non Bill… se, come dice qui, comparissero due barrette rosse cosa faresti?”

Cathe prese un profondo respiro: si vide praticamente passare gli episodi salienti della sua vita, ebbe la stessa sensazione avuta quando Bill le aveva detto la prima volta di Sylvia, uno strano flash forward; si alzò per riprendere il test che aveva ancora in mano Tom;

“probabilmente urlerei come una matta e… piangerei, e riderei… e non so…!”

Il rasta l’abbracciò: “vado sotto a controllare Sylvia, se urli voglio che ti senta persino mia madre a Loitsche!”

Catharina ridacchiò mentre lo superava per raggiungere il bagno.

 

 

 

 

 

Scese dopo mezz’ora abbondante: con un braccio reggeva il cesto dei panni per l’asciugatura rapida nella seccatrice condominiale, molto più capiente e potente della sua; nell’altra mano il test;

sapeva benissimo che Tom l’attendeva al fondo delle scale: era fin troppo prevedibile che non sarebbe mai salito a cercarla, su certi argomenti era timoroso, quasi pudico; aveva abbassato lo sguardo per celare la punta di orgoglio nei suoi occhi

“probabilmente hai raggiunto gli ultrasuoni, ecco perché non ti ho sentita...” ridacchiò il ragazzo, solo in quel momento alzò gli occhi ad incrociare quelli di Catharina: rossi e gonfi di pianto, un’espressione tirata sul viso pallido, quasi sofferente, le labbra leggermente violacee;

“ti senti bene?” le chiese il rasta avvicinandosi

Cathe sospirò profondamente: in effetti in quel momento si sentiva malissimo, la testa le girava e si sentiva come un peso sullo sterno; appoggiò il cesto a terra  per dare a Tom il test

“negativo… non sono incinta!” gli rispose laconicamente

Il biondo sospirò amaramente, poteva solo immaginare come si sentisse Catharina in quel momento, ma anche a lui spiaceva fosse negativo: era un periodo abbastanza brutto per Cathe e aveva sinceramente sperato che lei fosse incinta; il bambino sarebbe stato uno sprono, magari sarebbe tornata a sorridere.

Magari sarebbe tornata a mangiare

Perché se Bill faceva finta i non accorgersene, per paura che Catharina fosse malata, Tom se ne era accorto benissimo: temeva realmente che fosse ricaduta nell’anoressia.

Un profondo sospiro della ragazza lo ridestò dai suoi pensieri:

“sarà per il prossimo mese…” gli disse laconicamente Catharina

Tom annuì: “beh certo, però mi raccomando, vai dal medico, è strano il tuo ritardo… ma sei sicura di stare bene?!”

“benissimo! Mai stata meglio!” gli rispose Cathe con un sorriso forzato, mentre riprendeva la cesta dei panni: “vado ad asciugarli… porto Sylvia con me!”

Mentre Catharina e Sylvia sparivano dietro la porta, Tom non potè fare a meno di sospirare

“se lo dici tu di stare bene…”

 

 

 

*°*°*°*

 

 

“non ce la farai mai, ti scopriranno prima che tu riesca ad arrivare al parcheggio! È violazione di domicilio, se scavalchi questa recinzione ti possono anche mettere dentro!”

Erika non badò alle parole delle sue amiche: per i suoi 17 anni si voleva regalare un sogno e magari anche una piccola rivalsa sulle sue amiche che credevano che non sarebbe mai stata in grado di entrare nel residence dove abitavano i gemelli.

Aveva una smodata passione per Tom, a detta di molti; una venerazione immeritata a detta di altri; un’infatuazione passeggera a detta dei suoi genitori; a detta sua era semplicemente amore.

Un amore particolare, fatto non da frasi degne dei cioccolatini, tag disegnate sul diario o poster attaccati ad un muro; era un amore cresciuto piano, giorno dopo giorno, nato già ai tempi dei Devilish: più che per Tom dei Tokio Hotel era per Tom il rasta di Loitsche; sapeva che sotto quella corazza mediatica che si era costruito in realtà era un ragazzo semplice, per cui Erika non si era intimorita e aveva deciso che l’avrebbe conosciuto.

O almeno avrebbe fatto una foto davanti all’Escalade, giusto per far morire di invidia le sue amiche.

Dall’alto del suo 1,79 , stessa altezza di Tom per cui ne andav fiera, iniziò a scvalcare la recinzione quando venne richiamata dalle sue amiche che le indicavano una ragazza con una bambina che passavano nel cortile:

“prego vai adesso che ci sono due persone: quella è gente ricca, non esita un attimo a chiamare la sicurezza o la polizia e tu come glielo spieghi?”

Erika aspettò che madre e figlia passassero ed entrassero nell’edificio basso appena accanto al parcheggio, lontano pochi metri dallo sfavillante Escalade nero parcheggiato proprio davanti al condominio dei gemelli

“Non glielo spiego perché tanto non mi beccheranno!” la ragazzina scavalcò la recinzione: “se avete paura non siete obbligate a stare qui!”

“buona fortuna!” le risposero ironicamente in coro le amiche, mentre Erika si allontanava a grandi falcate verso il fuoristrada

Era certamente un ragazza dall’aspetto non comune: alta per i suoi 17 anni, lunghi capelli neri e occhi grigi prennemente nascosti dietro gli occhiali da vista, rigorosamente Gucci;  intelligente e studiosa a dispetto del suo look dark firmato, grazie alla carta di credito paterna; la si poteva scambiare per la copia al femminile di Bill se si escludeva una smodata passione per macchine, moto e motori in generale, e per l’heavy metal.

Titubò qualche attimo prima di accarezzare il cofano dell’Escalade: la macchina del suo sogno fatto uomo era lì, sotto le sue dita; si voltò verso le sue amiche, lanciò loro uno sguardo di sfida prima di estrarre la macchina foto dalla tracolla e immortalare il fuoristrada. Non si accorse che nel frattempo le sue amiche si erano allontantate appena avevano scorto la bambina, passata nel cortile pochi istanti prima, avvicinarsi ad Erika.

 

Sylvia era rimasta sulla porta della lavanderia, non le piaceva quell’ambiente buio e angusto, con un forte odore di cloro: se vi andava con Cathe preferiva rimanere appena fuori o gironzolare per il cortile; la figura di Erika aveva attirato la sua attenzione: era simile al suo papà ma soprattutto non l’aveva mai vista in giro per il complesso residenziale.

Aveva quindo deciso di scoprire chi fosse, tanto più che la misteriosa ragazza era pericolosamente vicino al fuoristrada dello zio, suo parco giochi di elezione insieme alla Mercedes di Cathe.

 

“ciao! Come ti chiami?” la vocetta gioiosa di Sylvia fece trasalire Erika che si voltò subito, colta in flagranza mentre accarezzava la maniglia del fuoristrada: ci mise un attimo a collegare che la vocetta apparteneva alla biondissima bimbetta ch la stava fisando con occhi curiosi

“sono Erika, ciao!” le rispose titubante la ragazza

“piacere, io mi chiamo Sylvia! In che casa abiti?”

Erika si guardò intorno spaesata, la piccola sembrava molto sveglia a dispetto della sua età: “laggiù!” rispose vaga; aveva la sensazione di aver già visto da qualche parte quella bimba

“non ti ho mai vista per il cortile! Sei venuta anche tu a fare il bucato?”

“ehm… veramente no… tu invece aiuti la tua mamma?!”

“no, Cathe non è la mia mamma, è la compagna di papà!” Sylvia scandì quelle parole con un certo orgoglio

“ e tu comunque non l’aiuti!” puntualizzò Erika sperando che la piccola tornasse dalla matrigna

“no… la lavanderia puzza terribilmente, non mi piace!”

“scommetto però che ti piace questa macchina, o sbaglio?” le chiese Erika

“certo! Perché a te no? Ma perché la stai toccando? Non è mica tua!”

-sagace!- pensò Erika: “Sylvia ma quanti anni hai?”

“quattro  e mezzo! E tu?”

“17 oggi!” disse Erika con orgoglio, venne subito stroncata da Sylvia

“li porti male! Te ne davo almeno due in più!”

“ma non si dicono queste cose… i tuoi genitori non ti hanno insegnato che non bisogna commentare…”  Erika si interruppe quando sentì un rumore sordo provenire dal locale lavanderia, una specie di tonfo a cui seguirono una serie di suoni metallici, come delle scatolette che rotolavano per terra.

Sylvia trasalì e si mise a correre verso il locale chiamando Catharina; Erika la seguì, aveva avuto una strana sensazione: Cathe era riversa per terra, pallidissima, le labbra cianotiche e un livido rossastro sulla fronte, segno che nella caduta aveva battuto contro lo sportello aperto della lavatrice.

La ragazza si chinò per soccorrerla , perfettamente cosciente della gravità della situazione: suo padre era primario di una clinica, i sintomi che presentava Catharina li conosceva perfettamente;

provò a chiamarla un paio di volte, scuotendola leggermente sperando riprendesse conoscenza; si girò verso la piccola per mandarla a chiamare aiuto: Sylvia era rimasta paralizzata dalla paura, accucciata accanto a Cathe

“piccola vai a chiamare il tuo papà, dille che la mamma non è stata bene!” le intimò Erika

“papà non c’è, è uscito…” le rispose balbettante la bambina

“non c’è nessuno in casa?” Erika sperava che qualcuno accorresse in suo aiuto

“c’è lo zio!”

“corri a chiamarlo allora, presto!” mentre Sylvia spariva dalla visuale, Erika cercò di far riprendere Catharina

“ragazza svegliati, fammi il regalo di compleanno! Fallo per tua figlia!”

 

Erika non si rese conto se erano passati minuti o pochi attimi, si senti spostare da parte da un’ombra massiccia, mentre Sylvia iniziava a singhiozzare accanto alla figura

Accanto allo zio

Accanto a colui che la piccola aveva chiamato zio

Tom Kaulitz

“zio?” balbettò Erika, sconvolta per la visione e per le parole della piccola: il ragazzo si girò di colpo, non si era reso conto che la ragazza presente non fosse un’inquilina del complesso

“oh merda!” esclamò il ragazzo, angosciato all’idea che qualcuno avesse appena scoperto di Sylvia

“come zio? Sei suo zio?” Erika lo guardava interrogativa; Tom ribatté arrabbiato, in quel momento era comunque più preoccupato per Catharina che per il segreto riguardo a Sylvia

“sì sono suo zio contenta? E tu chi sei? Una fottuta giornalista? Ma come cazzo hai fatto ad entrare?!”

Erika non si perse d’animo: “non sono una giornalista se è quello che ti preoccupa, pensa piuttosto a lei, dobbiamo portarla in ospedale, cazzo questa è una crisi cardiaca! Mio padre è primario, la portiamo nella sua clinica, è qui vicino!”

Tom non se lo fece ripetere e prendendo in braccio Catharina la portò al fuoristrada: la adagiò sul sedile posteriore ed aiutò Sylvia ad issarsi; Erika fece per allontanarsi ma il rasta la bloccò:

“tu vieni con noi!” le disse strattonandola sul sedile accanto a Cathe.

 

 

 

 

 

 

Ok… che fatica! Per fortuna è finito…

Ve l’avevo scritto nelle prime righe che sarebbe stato angst e che il tema trattato, l’anoressia, NON va PER NESSUN MOTIVO imitato

Spero di non aver turbato la vostra suscettibilità, anche se temo in molti commenti negativi, va beh, preferisco decisamente gli  insulti; l’anoressia esiste, non è solo una moda! l’anoressia il più delle volte è solo la punta di un disagio più profondo.

 

  
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