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Autore: Giorgia_Farah    25/12/2014    1 recensioni
Alexia vive nel suo mondo fatato, insieme alla famiglia, un ragazzo che ama, degli amici stupendi. Ma il futuro le riserverà eventi al di là di ogni sua aspettativa: con l'arrivo di un fratellastro, un padre che non ha mai conosciuto, la sua vita cambierà. Un misto di avventure, pericoli, passioni, sogni infranti, battaglie e scontri, l'eterna storia di questa giovane vampira sarà un portale che vi porterà in un mondo mai conosciuto.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 17
Mancavano tre giorni a venerdì: sentivo nel mio profondo che Alucard se ne sarebbe andato quel giorno. Non volevo accettare la sua partenza, ma dovevo essere forte se non volevo vederlo mai più. Nei giorni passati, nemmeno Drakon venne a farci visita di sera, nonostante desiderassi informazioni. Rimasi nel mistero per molto, dentro la stanza, a leggere libri che ormai non mi servivano più, il diario di Alucard lo avevo messo solitario dentro l’ultimo cassetto che non aprivo mai. Passò lunedì: niente, silenzio, martedì: niente, mercoledì: niente, giovedì: ancora nessuna notizia. Cominciavo ad perdere perfino l’orario del tempo, mamma credette che fossi in un o stato di depressione: dovevo ammettere che infondo era la verità. Non parlavo, mangiavo poco e bevevo scarsamente, non dormivo più….sembravo uno zombie. Ero morta dentro ma fuori continuavo a vivere; mi sentivo vuota, impotente, incapace di fare perfino un passo. Le ore della giornata le passavo alla maggior parte nella mia stanza, non assistevo nemmeno più alle partite di calcio che erano il mio svago per stare più accanto a mio padre, non cucinavo insieme a mamma, parlavo pochissimo con mia sorella. Una parte di me voleva che aspettassi il momento in cui Alucard non ci sarebbe stato più, per incominciare ad affrontare una tortura che mi avrebbe portata lentamente alla morte. Lo sentivo, questa non era la mia strada.

Di giorno e di notte non feci che pensare al lui, tralasciando tutto: perfino anche i miei amici e l’amore della mia vita. Soltanto quando vidi i mille messaggi e telefonate ricevuti nel cellulare, mi accorsi per quanto tempo fossi stata male, fuori dal presente. Il mio primo istinto fu quello di telefonare e chiedere scusa, aggiungendo una scusa banale o la verità, invece li cancellai tutti e mi alzai dal letto.

Un secondo dopo mi ritrovai in salotto. Presi il giubbotto, avvolta tra gli sguardi curiosi e sorpresi della mia famiglia, e mamma uscii dalla cucina. Il camicie era sporco dalle macchie di pomodoro.

“Dove vai, tesoro?’’, chiese lei, quasi sul tentativo di fermarmi.

“Vado da Louis, ho voglia di rivederlo’’

Mi guardò torva. “Sì, certo, ma fai attenzione’’

La guardai accennando un sorrisetto che faceva trapelare la tristezza. “Certo, certo ’’. Chiusi la porta e iniziai a correre a velocità disumana tra le strade di Solemville.

La casa di Louis era un po’ simile alla mia: un giardino che la circondava, con alberi e piante, il largo balcone all’entrata, a due piani. Le stanze però erano più spaziose delle mie. L’abitazione erano in stile Liberty, richiamava la natura. Si trovava a dieci chilometri lontano dal parco, affiancata da altre case più piccole di quest’ultima.

Il cielo era pulito, riuscivo a vedere le costellazioni, la luna era bianchissima come il latte, e tirava un venticello freschetto nonostante fossimo alla fine dell’estate.

Ritrovarmi nella casa di Louis mi diede un senso di angoscia, forse anche di vergogna, più avanzavo a grandi passi verso la porta più sentivo le mani tremarmi. Ricordo he mi facevo domande del tipo: cosa diranno i suoi genitori della mia lunga assenza in casa loro? Mi cacceranno? E Louis come sta? Elisa sarà sana come un pesce? Al ricordo della guarigione di Elisa, mi riaffiorò subito alla mente il volto del vampiro, ma lo scacciai immediatamente.

Trovandomi davanti alla porta, feci un respiro profondissimo, e diedi tre colpi secchi.

Dieci secondi dopo venne ad aprire la mamma di Louis, praticamente identica al figlio. “Alexia!’’, mi chiamò lei, gli occhi spalancati dalla sorpresa. Supposi che sarebbe venuta ad abbracciarmi e invece rimase immobile, come se dietro la sorpresa si nascondesse anche la paura; di sicuro era per il mio aspetto orribile.

“Ciao, ehm, come stai?’’, chiesi a mia volta, cercando il più possibile di apparire felice ed accennare un sorriso.

“Bene, e tu? Non hai una bella cera. Louis ti ha salutato molte volte ma non gli hai risposto ’’

“Sì, lo so…è complicato’’

Non mi aveva ancora fatta entrare. Annuì. “Capisco. È successo qualcosa?’’

“Sì, e mi sentirei più a mio agio se potessi parlare con Louis su questa cosa ’’, allo stesso tempo accarezzai l’anello di fidanzamento, come una necessità per tranquillizzarmi.

La donna si strinse nelle spalle. “Oh, mi dispiace, ma lui non è qui ora’’

La guardai perplessa. “E dov’è?’’

“Da Paul. Gli dirò che sei passata e chiesto di lui, appena ritorna’’

“Ehm, certo, grazie’’, balbettai, confusa. Non poteva essersene andato, sentivo il suo odore intorno alla casa.

Il sorriso della donna si allargò. “Prego. Vieni a farci visita, ogni tanto. Buonanotte’’

“Buona….’’, ma a quel punto lei aveva chiuso la porta.

Rimasi lì, impalata sul posto, indecisa se ritornarmene a casa o pure distraendomi facendo una passeggiata. Forse avrei dovuto andare a casa di Paul per rivedere Louis, ma non ci tenevo a vedere quel gorilla omicida del suo amico.

Tenni un po’ il broncio e mi incamminai delusa verso l’uscita. Non fui a metà strada che una voce familiare mi catturò.

“Sì, ciao Jennifer. Sì, sto meglio, e tu?’’, era Louis che sussurrava al cellulare, nella sua stanza, e riuscivo a sentire il rumore confuso di una penna sul foglio. Scriveva.

Un momento: perché parlava con Jennifer? Non poteva telefonare me? infondo avevo il cellulare a portata di mano ed era acceso. Sulle prime optai sulla preoccupazione di quei giorni che non mi ero fatta sentire, ma poi…

“Non si è fatta ancora sentire….no, non m’importa’’

Cosa non gli importa?

A quel punto mi trovavo con la testa sollevata verso la sua stanza che si trovava al primo piano, la luce era accesa. Feci un salto ed atterrai sul piccolo bacone della sua stanza, mi avvicinai alla finestra-porta fortunatamente spalancata e lo vidi: era seduto sulla scrivania, la luce della lampadina illuminava il suo viso e il foglio con cui scriveva. La mano che lavorava con la penna gli tremava, era agitato?

Sogghignò. “È una stupida illusa, ecco cos’è’’

Alzai un sopracciglio.

“Pensavo che i vampiri fossero più intelligenti’’, disse una voce femminile dall’altra parte del cellulare.

“Lei è una dei pochi’’

Mi si fermò il cuore quando capii che la “lei” di cui stavano parlando ero io; non c’erano dubbi, altrimenti chi tra i vampiri esistenti a Solemvillle era il più stupido? Infondo ero un ibrido. Era una di quelle cose di cui mi vergognavo.

“Si vede che è molto occupata a pavoneggiare con il suo fratellino. Povero Louis, chi si occupa di te, ora?’’, rispose sarcastica Jennifer.

Rise appena, ma poi ritornò serio. “Non mi va di raccontarle tutto, infondo è piena di talento e mi piace’’

“Chi?’’

“Sai bene di chi parlo ’’

“Mi pare che avevi le idee chiare su di lei, o hai cambiato idea?’’

Si strinse nelle spalle. “No, no, certo che no’’

“Allora deve capirlo. Per te forse sarà stato bello ma ricorda che è durato poco. Tu non volevi darle quell’anello, non avesti mai dovuto darglielo in verità perché non l’amavi più’’

E il mondo mi crollò addosso, sentivo il dovere di aggrapparmi da qualche parte perché prima o poi sarei svenuta. Non capii come mi ritrovai senza respirare, non sentivo più niente, se non le parole che si scambiavano, il resto era inesistente.

“Non voglio ferirla’’

La voce di Jennifer si fece più dura. “O ferisci lei o ferisci me, ricorda che sei stato tu a recitare il ruolo del bel fidanzatino quando io ti avrei avvertito che sarebbe stato peggio’’

All’improvviso sorrise rincuorato. “Però mi hai dato ascolto, perché sai che non ti lascerei per nulla al mondo ’’

Si sentii una risatina. “Sì, lo so, me lo hai detto un sacco di volte’’

“Ti amo ’’. Fu chiaro, chiaro come l’acqua, come la luce del sole, parole che mi uccisero come i raggi solari, come il fuoco, come il freddo glaciale, come…come una lama infilzata nel cuore, come….non so come. Sapevo che andava oltre il dolore, oltre qualsiasi aspettativa. E che niente aveva più senso per me, ormai. Tutto, tutto era cancellato, buttato del dimenticatoio. Ogni ricordo conservato per niente, per una presa in giro, per cercare di migliorare un futuro che non sarebbe mai più esistito con lui; mai più.

“Anche io ti amo, Louis’’

Louis sospirò. “Devo ritornare a scrivere, ci sentiamo domani’’

“Sì, amore, scrivi quella maledetta lettera di addio e poi dimmi come è andata. Forse domani verrò da te ’’

“Pensi che Alexia abboccherà all’amo?’’

“Se ti inventi tante scuse riguardo ad Alucard, allora sì. Scommetto che prenderà sul serio l’addio’’

“E dopo? Che cosa gli succederà?’’

“Per ora non preoccuparti di questo, si vedrà, ora dobbiamo solo preoccuparci di togliercela di torno ’’

Le labbra di Louis si strinsero per non controbattere. “Buonanotte, Jenny. Ti amo ’’

“Buonanotte’’

Riappese e mise il cellulare sul tavolino. Silenzioso, spense la lampadina e tirò un altro sospiro si stanchezza, alla fine si alzò dalla sedia e avanzò dal balcone a passi lenti. Io, con movimento felino mi nascosi in un angolo buio, tramortita ancora da quella discussione, confusa, impietrita, ma cosciente. Abbastanza presente con la testa per provare ogni sentimento alla volta, uno per uno: confusione, smarrimento, tristezza, rabbia, furia, collera. Sentii qualcosa dentro di me che stava salendo, i muscoli iniziarono a cambiare comodità, con la lingua mi toccai i canini già allungati e appuntiti.

Focalizzai la posizione, la distanza in cui ci trovavamo, e il tempo che mi rimaneva prima che lui si girasse e si accorgesse di me; nel ricordai tutti i passaggi per una battuta di caccia: indietreggia, corri, salta, afferra, lotta, mordi. Lui era incantato a pensare, ad osservare il manto di stelle nel cielo e la luna, allora iniziai i primi passi. Silenziosa come un gatto. Ma quando all’improvviso si girò ogni speranza fu vana.

Beccata.

Mi guardò come si guarda un cane arrabbiato. Di certo, data la mia espressione, ero io quel cane arrabbiato. “Alexia, amore mio, che ci fai qui?’’, mi chiese tremando, sfoderando invano un sorriso, respirava velocemente.

“Sono venuta a trovarti’’, sputai tra i denti, la voce proveniva dall’oltretomba.

Sorrise appena, pietrificato dalla sorpresa. “Oh, che bella sorpresa!’’, esclamò. Era un pessimo attore, ora che sapevo tutto, chi cercava di prendere in giro cercando di apparire felice?

Strinsi i pugni, feci un passo avanti. “Prima avevo chiesto a tua madre, ma lei aveva detto che non c’eri per cui stavo per andare via, poi ho sentito la tua voce e sono venuta a sentire. Parlavi, vero?’’

Deglutii, mi accorsi che stava tremando. “Ehm, può darsi’’

Smascherato. “Davvero? Mi sembrava che parlavi’’

D’un tratto lo vidi avvicinarsi a me, col fare coraggioso, e mi abbracciò. “Amore, non sai quanto ero preoccupato per te. Non rispondevi più alle mie telefonate e messaggi. Che ti è successo?’’

“Non potevi venire a farmi visita?’’

“Ma che cosa ti è successo?’’

Che senso valeva dire una bugia, se non ormai per me era tutto ingiusto. Che senso valeva essere bugiarda con lui se anche io lo sono stata fin dall’inizio su certe cose.

“Ho avuto un calo di depressione’’, risposi.

Mi guardò torvo. “E perché mai?’’

Deglutii un nodo. “Alucard non è quello che pensiamo tutti’’

“Che?’’

“Non è il mio fratellastro, non lo è mai stato. È come un figlio adottivo per Drakon e la sua moglie morta, i suoi genitori sono stati uccisi quando lui era ancora in fasce ed erano i parenti lontani di Celesia, la madre adottiva di Alucard. Però è nato da due vampiri quindi per quanto riguarda la natura…’’

“Maledetto! Io quello lo ammazzo, bugiardo, idiota! Come ha potuto…perché ti ha mentito? Con quale diritto ha fatto questo?’’, sbatteva furiosamente i piedi contro i mattoni di pietra, i suoi occhi pieni di odio.

Sorrisi a mia volta. “Voleva tenerlo nascosto per il mio bene, pensava che se lo teneva segreto fosse stata la cosa più giusta da fare’’

Louis strinse i denti.

“Ma dopo, non so perché, mi ha confessato tutto’’

“Ha fatto male, molto male! Perché io adesso lo vado ad ammazzare’’, si avviò a grandi passi verso l’entrata, ma non sarebbe mai riuscito ad andare al castello.

Lo afferrai nel cappuccio della tuta da ginnastica. “Aspetta’’

Mi guardò sorpreso mentre si fermò.

“Non devi più preoccuparti di ucciderlo, l’ho cacciato via, se n’è andato per sempre’’, in parte era la verità.

Nei suoi occhi trapelò subito la gioia. “Davvero se n’è andato? Non ci darà più fastidio?’’, mi strinse forte a se, baciandomi la fronte. “Mi sono innamorato di un genio’’

Cercai in ogni modo per non scansarlo, mi ritrovai, come prima, rigida come una statua. “ Un genio o una stupida illusa?’’

Nel suo corpo ci fu una scarica elettrica che lo allontanò velocemente da me, mostrandomi il viso sorpreso, ma allo stesso tempo spaventato. Capiva e faceva finta di non capire.

“Che cosa vuoi dire, Alì?’’

“Pensavo che i vampiri fossero più intelligenti. Si vede che è molto occupata a pavoneggiare con il suo fratellino. Per te forse sarà stato bello ma ricorda che è durato poco. Tu non volevi darglielo quell’anello, non avresti mai dovuto darglielo in verità perché non l’amavi più. O ferisci lei o ferisci me, ricorda che sei stato tu a recitare il ruolo del bel fidanzatino quando io ti avrei avvertito che sarebbe stato peggio. Anche io ti amo, Louis. sì, amore, scrivi quella maledetta lettera di addio e poi dimmi com’è andata. Forse domani verrò da te. Non ti suonano familiari queste parole?’’

Il suo corpo divenne di statua, sentii perfino il suo cuore fermarsi per molti secondi, la sua pelle si mutò nel colore del marmo. Era pallido come un vampiro, quel momento. “Che…come…?’’

“Come. Hai. Potuto?’’, cercavo di trattenere l’adrenalina, sapevo però che non sarei rimasta ferma allungo, sputavo via le parole fra i denti come si sputava il sangue dalla bocca. Forse stavo veramente buttando furori anche il sangue perché ad un tratto ne sentii il gusto ferreo e dolciastro. Mi accorsi poco dopo che mi ero morsa il labbro per trattenere qualcosa peggio delle urla.

Louis iniziò ad indietreggiare, vedeva a cosa stavo per diventare, capiva, le sue mani tremanti sollevati verso di me per mettermi in guardia mi crearono così irritazione da volergliele staccare con tanto di morsi. Strinsi di più i pugni da causarmi una ferita nella carne per le unghie troppo lunghe, in parte volevo risparmiargli almeno un arto se non due.

“Aspetta…posso spiegarti?’’

“Come?! Come, cosa mi spieghi: bugie, menzogne, frottole? Tutte queste cose che ti sei inventato da tanto tempo?!’’, ruggii, ritrovandomi faccia a faccia con lui. Era come rivivere quel momento con Jennifer alla festa, fu così familiare, simile.

Un altro passo indietro. “Io…Alexia, non è come pensi’’

Mi costrinsi a fare un altro respiro profondo. “E allora com’è? Spiegamelo, adesso faccio la parte della deficiente’’. Non sapevo se ridere o mettermi a piangere. Era ridicolo e crudele allo stesso tempo. Perché tentare di continuare ad inventarsi frottole se avevo capito ogni cosa? Bastava essere chiari e io me ne sarei andata dalla sua vita per sempre.

“Non avremmo mai dovuto continuare la nostra relazione perché mi ero già innamorato di Jennifer, prima che ti chiedessi di diventare la mia fidanzata, però odiavo vederti sola, insomma non volevo lasciarti. Mi piacevi Alì, e mi piaci tutt’ora, ma non sono in grado di provare più quell’amore di un tempo con te, non ci riesco, sei troppo….troppo per me. troppo bella, troppo intelligente- in parte- e troppo potente. Tutte queste cose che io non ho e che, lo ammetto, ne sono geloso’’

“Ed è per questo che alla festa mi chiedesti di poterti trasformare’’

“Sì, perché non avevo mai smesso di sperare al nostro futuro. E quando arrivò Alucard…Oh, divenni ancor più geloso. Lui è più bello di me, più furbo, e sicuramente ti piace. Tutte cose che io non ho’’

“E nel frattempo ti vedevi con Jennifer, e allo stesso tempo mi prendevi per una imbecille!’’, gridai.

Un altro piccolo passo tremolante verso la porta. “Alexia, però non dubitare che in questi mesi tu non mi sia piaciuta, anzi….’’

“Io mi fidavo di te!’’

Non mi accorsi quanto veloce fossi stata a raggiungerlo, in parte non ero ancora pronta a scagliarlo addosso ad un albero, lo sollevai da terra per la gola e un secondo dopo era a terra contro il muro, la testa gli sanguinava e riusciva ancora a muoversi.

Mentre la mia ombra si avvicinava minacciosa verso di lui, intanto stava cercando invano una via d’uscita.

“Sei un mostro, e io mi sono fidata di te!’’, gridai di nuovo, mostrando di più i denti lunghissimi.

“Alexia, aspetta…’’

“Non farti più vedere da me! Mai più’’

Gli afferrai istintivamente il braccio destro così forte che un attimo dopo sentii un rumore strano provenirgli da sotto la pelle muscolosa, e si aggiunsero perfino le urla. Furono così forti da spaccarmi i timpani, proprio ora me lo immagino sanguinante come lo lasciai quella volta. colsi la ferocità della mia vendetta, e di cosa ero capace. Assaggiai per la prima volta il sangue umano, quando gli morsi ferocemente la gamba sana creandogli un flusso di sangue che si rivolse poi per tutto le mattonelle di pietra creando una gigantesca pozzanghera rossa.

Nonostante fossi arrabbiata, riuscii a trattenere la brama di desiderarne ancora. Nonostante il nuovo sangue fosse così appetitoso e irresistibile, gli voltai le spalle e saltai fin sopra la ringhiera del balcone.

Rimasi ad osservarlo per l’ultima volta, conservando l’immagine del mio traditore per tutta la vita, risi perfino di me stessa per quanto fossi stata stupida di esserle stata accanto qualora non se lo sarebbe mai più meritato, quanto fossi idiota da non capire il tradimento quanto fossi stata illusa di progettare un futuro insieme a lui.

Allora feci l’unico gesto d’addio: mi sfilai l’anello e lo gettai verso di Louis, finii sulla pozzanghera di sangue. Il diamante di acqua marina ora era mezzo sporco del liquido rosso che lo copriva a metà, da non permettere all’oggetto di irradiare piccole sfaccettature colorate. Levandomi l’unico oggetto di unione fra lui e me, fu un’altra lama tagliente al cuore, più una allo stomaco.

Non colsi l’espressione di Louis, perché sporca anch’essa dal sangue, ne ci tenevo rimanere a guardarlo. Agile, saltai giù dal balcone e iniziai a correre. Non sapevo dove andavo, volevo andarmene da lì, andarmene da Solemville, scappare dal mio futuro, scappare da tutto e da tutti.

Chiudevo gli occhi mentre viaggiavo, mi sapevo orientare anche senza la vista, per non vedere dove mi avrebbe portato tutta la disperazione. Consumavo l’adrenalina attraverso le mie gambe, per non farla placare attraverso un’altra cosa; il suo sangue mi aveva letteralmente invaso la gola, mi bruciava più del sangue animale, e ne disideravo ancora. Svoltai tante strade, tante case, colsi tanti movimenti di persone, i loro cuori, i loro respiri, ed in tutto questo seppi resistere. Era impossibile, ma resistetti, perché c’era la mia rabbia a fermarmi, perché c’era il dolore ad avvertirmi che se avrei fatto qualcosa di molto più peggio di quello che feci a Louis, non ne sarei più uscita.

E poi i rumori umani cessarono, arrivò il silenzio della natura, l’aria calda, i grilli che cantavano nella notte, l’erba secca che si sfregava sotto altra erba. E in seguito la vegetazione, il sapore del muschio, quello tiepido e dolciastro del pino, ero a Boscosenzafine. Ma non mi convinsi ad aprire gli occhi: volevo ancora fuggire, volevo sparire, vivere per sempre in un luogo tutto mio, dove non mi avrebbe più cercata nessuno.

Speravo che entrare nella mia seconda casa mi facesse sollievo, mi sbagliavo. Tutto sembrava completamente deserto mentre mi avvicinavo a destinazione, né un cervo né un gufo; non c’era nemmeno un cinguettio di un uccello, il silenzio che avvolgeva il labirinto di alberi era inquietante. Non avvertivo parole in lontananza uscire dalla bocca di qualche animale, né alberi spostarsi. Sembrava un bosco normale, e quando arrivai finalmente nel luogo, sembrava che di tempo ne avessi avuto poco. Non era infinito come certe volte. Forse la causa ero io, affamata, selvaggia, desiderosa di sangue, capii che mi aveva rafforzato le energie rispetto a quello animale, mi sentivo più…vampira.

Immobile sull’erba umida, ascoltavo il rumore sottostante delle onde. Più infuriate delle scorse volte in estate. Quando aprii gli occhi vidi lo spettacolo inquietante: l’acqua era così violenta da spostare la spiaggia, schiaffeggiava con potenza la terra da sentirsi lo schianto e poi si trasformava in grandi manti di schiuma bianca.  Il posto era buio e tetro, rabbrividii. Mi trovavo su un piccolo precipizio, sotto di me le onde accattivanti il mare - da piccola lo chiamavo “Maremaibuono”- che con le sue infinite onde mosse trasmetteva inquietudine anche in una notte pulita come quella. Andava in controsenso.

Da piccola, avevo sempre desiderato tuffarmi da quell’altura, ma più ci provavo più la vista delle onde furiose mi facevano ritornare indietro. Sarebbe stato bello gettarsi nel vuoto, provare un senso di libertà mai avuto, e magari anche scacciare via quel dolore incontrollabile che tenevo sulle spalle.

Perché no? Perché non scacciare via quel dolore, ora? Un giorno o l’altro mi sarei tuffata, no? infondo che male c’era se io stessa facevo del male a tutti? A Alucard, a Louis, ero una vampira ridicola, io stessa mi sentivo ridicola, niente furbizia, ne intelligenza, solo una piccola dose ma scarsa. E non smettevo mai di disperarmi in quel mondo. Forse, se me ne sarei andata, non avrei creato più problemi, Louis avrebbe sposato Jennifer senza che ogni giorno abbia la preoccupazione di essere assalito, mamma e papà smetteranno di preoccuparsi per me, e Drakon….il mio papà di sicuro era perfino addolorato per conto suo, per colpa mia, sempre per colpa mia; e Alucard vivrà in pace senza sentire più le mie continue urla, le occhiatacce minacciose che gli avevo dato quella sera…che idiota ero stata: non lo avevo ascoltato, non gli avevo dato una seconda possibilità quando in realtà se la guadagnava, se accanto a me ci sarebbe stato lui mi avrebbe consolata, sarebbe stato in grado di calmarmi; invece non ci sarebbe stato più, mai più per sempre, non sarebbe più venuto in camera mia, non mi avrebbe più cantata la ninna nanna che aveva dedicato a me, non avrei più sentito il suo dolce odore, né visto il suo sorriso d’angelo, né i suoi occhi che erano i miei, e nemmeno avrei assaggiato il sapore delle sue labbra, la loro morbidezza, il loro sapore. Niente, niente. Qualcosa di ardente si fermò nel petto.

Oltretutto era troppo tardi per fermarlo, troppo tardi per implorargli perdono, perché il giorno dopo se ne sarebbe andato. Ed erano quasi le 12.00 di sera, quindi….

Per un lungo istante, quasi interminabile, mi misi a guardare le onde violente che si infrangevano sotto il precipizio, e sorrisi: non un sorriso di tristezza, ma di speranza e felicità. Sopirai profondamente, tastai cautamente i piedi nell’erba fino a fiorarne con la punta l’angolo del precipizio. Un briciolo di terra si staccò da sotto i miei piedi e cadde nel vuoto fino a schiantarsi contro l’onda del fiume che indietreggiava.

Un altro sospiro, e mi piegai in avanti, feci un salto e mi trovai anch’io a cadere nel vuoto.

Era una sensazione unica, finalmente mi sentivo libera, più cadevo più sentivo che il dolore si stava staccando da me, il vento sotto i miei piedi cercava di lottare contro la caduta per impedire di sostenermi da quella forza di gravità invisibile. La follata d’aria che mi alzava i capelli mi faceva sorridere di eccitazione, era come stare sulle montagne russe, e mi costringeva e ispirare tutta l’aria nei polmoni.

La mai eccitazione si fece più grande quando sentii la consistenza liquida e glaciale dell’acqua, il freddo che mi immobilizzava non fece che trapparmi una grassa risata perché la paragonai alla pelle di Alucard. Non avevo paura, pensavo peggio ma era andato tutto bene, ero felice. felice di aver vinto la paura, era stata adrenalina paura, felice di morire ed essere schiantata a mia volta da onde, e poi da altre onde, verso ogni direzione. Mi abbandonai senza opporre resistenza, a ogni secondo affiorava un ricordo, non muovevo nemmeno le braccia o gambe, non davo ascolto nemmeno alla mia voce che mi ordinava furiosa di combattere contro l’acqua. Era meglio così: lasciarsi andare e morire, che senso aveva combattere se avevo combattuto fino adesso, e avevo perso il mio grande amore? Valeva la pena cedere?

Presto, quasi non me ne resi conto, mi trovai immersa dalla marea nera e glaciale, che mi raggrinziva la pelle e mi trasportava giù fino alle tenebre del fondale. Aprii gli occhi e non vidi altro che nero, sopra di me c’era il blu della notte, e non riuscivo a vedere le stelle.

Era questo dunque la mia ultima visione prima di morire? Non poteva essere che bella. L’acqua mi aveva sempre dato un certo fastidio, ma ora non riuscivo a non amarla perché mi stava dando l’unico desiderio che volevo. Non volevo combattere, mi piaceva che andava così, avevo superato torture peggiori nella mia vita e questa era il bel compensamento. Ero oltre la felicità, sapevo che presto sarebbe tutto finito, dentro quell’oblio sentivo una strana pace. Perfino quando i polmoni mi bruciavano a corto d’aria, e ogni muscolo del mio corpo era immobilizzato dal freddo, e l’acqua gelida mi entrò nella gola soffocante, fui più contenta, tanto da formare con le labbra fredde un ultimo sorriso. Pensai per l’ultima volta ad Alucard e mi lasciai trasportare verso le profondità dell’oceano.

In quel momento sentii una forte pressione al braccio, e qualcosa mi scaraventò verso qualcosa di duro e ancor più freddo, forse uno scoglio, ma un secondo dopo mi accorsi che non stavo più annegando. C’era qualcosa che mi faceva risalire.

Pochi secondi dopo il mio corpo affiorò dall’acqua. Maledizione, ero certa che sarebbe andato tutto alla leggera. Non riuscii ad acquattarmi alla forte follata di vento gelido quando le onde furiose mi abbandonarono completamente.

“Alexia, per favore, amore respira!’’, supplicò una voce piena d’angoscia, profonda. La riconobbi, e nello stesso istante sentii un forte dolore al petto.

“Sì” volevo dire, ma sapevo che non ci sarei riuscita. L’acqua che avevo egurgitato sgorgava dalla bocca sembrava una cascata, mi sentivo la bocca piena di sale, i polmoni bruciavano, se avrei ingoiato un tantino d’acqua la gola mi avrebbe mandato colpi di dolore.

Sentii un’altra pressione dolorosa nel petto, sulle scapole, e svuotai un’altra fontana d’acqua ghiacciata.

“Respira, Alì!’’, implorò Drakon. La pressione premette altre tre volte nel petto, più forte, così da farmi tossire l’ultima sorsata dai polmoni.

Era più fredda delle onde, più del vento, mi faceva vibrare il corpo. Cercai di aprire gli occhi, all’inizio erano macchie scure sul campo visivo poi iniziarono a prendere colore e forma. Mi resi conto che la pressione glaciale erano le mani di papà che cercavano di liberarmi dai polmoni di acqua, e ero adagiata sulla piccola scia di spiaggia lontana dalle onde impetuose del mare. Il precipizio era molto lontano, quasi una decina di chilometri sul lato destro in cui mi trovavo, era una minuscola punta nera il lontananza.

A occhi socchiusi, cercai di ricordare il volto di papà tanto familiare, c’era una confusione assordante dentro di me, e mi girava tanto la testa.

“Alì, tesoro, mi senti?’’, chiese papà nervoso, ma più tranquillo di prima. Forse aveva visto che mi ero mossa.

Presto, molto presto, l’aria iniziò a frequentare i polmoni che iniziarono a bruciare ad ogni mio respiro, la gola era arsa e pungeva dal dolore.

C’era un tale bruciore dentro di me, eppure riuscivo a respirare.

Mi ci volle un bel po’ per aprire completamente gli occhi e guardare in alto. “Babbo?’’, gracchiai.

Il volto perfetto e ventenne di mio padre si immobilizzò dalla sorpresa. “Ah, Alì!’’, sospirò, ora il viso più rilassato. “Oh, tesoro, come stai? Ti fa male qualcosa?’’, chiese impaziente.

“La…la gola’’, soffocai io, colta da un attacco di dolore, i denti mi tremavano per il freddo.

Mi sollevò la schiena senza sforzo e mi premette contro il suo petto ancor più freddo per proteggermi dal vento improvvisamente violento della notte. Lo guardai, lui guardava me con gli occhi rossi pieni di angoscia e confusione. Poi ritornai ad osservare le onde nere, il precipizio su cui mi ero buttata. La notte si era fatta sempre più buia, o era la vista che mi giocava brutti scherzi? Stavo ancora male, molto male. Non mi andava più di morire, non ne avevo più voglia.

Ritornai a guardare papà, ora mi studiava attentamente, e mi resi conto della stranezza che lo aveva fatto capitare fino a qui.

“Come hai fatto a trovarmi?’’, mi lamentai, stando a tenda a non ingoiare per sentire il dolore della gola.

“Volevo venire a farti visita, poi Kate mi ha detto che eri andato da Louis, quando allora seguii la scia del tuo odore fino a casa sua mi accorsi l’improvviso che avevi cambiato direzione. Allora la scia mi ha portato fino a qui e ho visto che ti stavi gettando dal precipizio ’’

Fui colta da un improvviso attacco di vergogna. “Oh’’, rantolai.

Le dita fredde della sua mano mi sollevarono di più la testa, lui mi baciò teneramente la fronte, e la appoggiai sulla sua spalla larga. Un secondo dopo mi sollevò dalla spiaggia.

Mentre camminava lento, vidi dietro la sua schiena le onde oscure del mare, violente, fredde, come se fossero frustrate della mia partenza, e volevano di nuovo partecipare alla mia morte. Io no, non più, ormai.

All’improvviso si fermò e mi guardò fisso negl’occhi. Era arrabbiato. “Perché ti sei tuffata, Alì? Non ti sei resa conto che potevi morire? Che diavolo ti è saltato in mente? Se volevi fare una gara di tuffi acquatici, potevi avvisare!’’. Era la prima volta che gli disubbidivo, e vederlo così protettivo verso di me in una parte mi fece sorridere, dall’altra parte mi fece deglutire.

“Mi dispiace tanto’’, mormorai, ignorando il dolore alla gola quando feci lo stupido errore di schiarirmela. Avevo la voce di una vecchietta. “Volevo solo…volevo solo riuscire a capire una certa cosa ’’, farfugliai dopo.

Curvò le sopracciglia. “E ora l’hai capita?’’

“Ehm…credo di sì’’

“Bene, perché spero di non vederti mai più tuffarti da uno scoglio’’

“Non c’è problema’’

Mi strinse di più a se. “Ti porto a Redmoon, devi rimetterti in sesto ’’

Lo guardai spaventata. Redmoon significava passato. Redmoon significava ricordi lontani. Redmoon significava Alucard. Controvoglia, ammisi un “sì’’ con la testa e mi abbandonai alle braccia di papà.

Al ritorno a Redmoon, mi accorsi di quanto fosse silenzioso il castello, più silenzioso in precedenza. Capii che era per l’assenza di Alucard, dunque se n’era andato. La triste consapevolezza mi creò un nodo alla gola.

Papà non mi lasciò nemmeno quando entrammo nell’enorme sala del castello, c’erano più poltrone del mio salotto, quadri di re e regine e qualcuno di Drakon con il figlio adottivo. Mi lasciò distesa su una poltrona lunga, parallela al camino acceso, ora potevo scaldarmi per bene.

Mi acquattai sul caldo tessuto porpora del mobile e affondai la testa su un piccolo cuscino morbido rivestito di una stoffa rosa con ricami dorati, il mal di testa non si era ancora calmato da quando avevamo lasciato alla velocità disumana il bosco. Fu la prima volta che corsi fra le braccia di un vampiro, capii quanto fosse più veloce di me, ed era stato elettrizzante e curioso.

Qualche secondo dopo papà entrò dal salone con un’enorme coperta fra le mani anche se ormai ero completamente al caldo. Mi strinsi contro il tessuto e lì consumai gli ultimi pochi brividi di gelo. Fu in quel silenzioso minuto, in cui lui mi sfiorò la fronte, che mi chiesi a cosa fosse dovuto il suo cambiamento di temperatura.

“Hai la febbre’’, giustificò quando allontanò la mano dalla mia fronte.

“Papà, ma tu hai la mano fredda’’, mormorai.

“Quando i vampiri non cacciano da giorni diventiamo più gelidi di prima, per gli umani non sarà la prima volta che mi sentono freddo ’’

Misi la mano libera sotto la nuca per guardarlo meglio. “Ma come ha fatto mamma ad adattarsi alla sua pelle quando ti accarezzava?’’

Annunciò un sorriso d’imbarazzo. “Ignorava il mostro che ero, perché mi amava’’

Mi accorsi che mi accarezzava i piedi per riscaldarmeli più velocemente. Provai gelosia riguardo al rapporto che aveva avuto con mamma al confronto del mio: Louis mi aveva tradita, loro si sono amati fino alla fine, fino alla mia nascita che causò la separazione.

Se non fossi nata, a quest’ora non ci sarebbe questa complicazione, loro si sarebbero amati per sempre e Alucard avrebbe avuto una nuova mamma. E anche se fossi nata? Ammettiamo che papà non avesse abbandonato mamma e me: teoricamente avrei vissuto come una vampira, mamma presto si sarebbe unita alla razza, avrei fatto di Alucard il mio fratellone e saremmo stati una famiglia unita. Teoricamente.

Invece no, doveva andare diversamente: mamma si era sposata con Hendrik, hanno avuto Consuelo, ma nonostante tutto mamma prova ancora forti sentimenti per papà, poi mi sono incontrata con Louis, una grande errore, e si innamorò di me, mi chiese di appartenergli  nel disonore, e scoprii tutto. Non sarebbe servita la lettera per capire, nemmeno delle scuse banali che non facevano altro che offendere Alucard. Che differenza faceva, dopotutto, perché torturarmi ancora? Lui se n’era andato e niente o nessuno lo avrebbe riportato da me.

“Dov’è l’anello? Lo hai perso nell’acqua?’’, mi chiese d’improvviso papà. Si era seduto accanto a me, osservava la mia espressione pensierosa.

Non ebbi il coraggio di guardare l’anulare sinistro. “Ci siamo lasciati’’, soffocai.

“Pensavo che avrebbe funzionato tra voi due’’

Un minuto di silenzio. “Non era destino ’’, risposi dura.

Da quel tono di voce, dovette capire che quell’argomento era meglio tralasciarlo. Rimanemmo in silenzio, papà sembrò ascoltare tutti i miei pensieri perché fu così attento, mentre io guardavo soprappensiero il fuoco nel camino.

“Non era tuo figlio, non lo è mai stato’’, dissi infine, e lo inchiodai con lo sguardo.

Abbassò lo sguardo, colpevole. “Io l’ho sempre trattato e amato come un figlio ’’

“Anche se ha ucciso la donna che amavi?’’

Sospirò. “Non è stata colpa sua’’

Strinsi le labbra. “Perché non mi avete mai detto la verità? Perché non mi hai detto che non era il mio fratellastro?’’

Restò zitto per qualche interminabile secondo, poi incominciò a parlare. “Ho tentato ad indurlo a dirti il vero, ma lui voleva pazientare, fino a farmi capire che non te lo avrebbe detto mai. Quella sera, alla festa di fine anno, quando al ritorno era talmente arrabbiato da non mettere piede dentro casa gli ordinai un’ultima volta, e questa volta fu chiaro. Poi mi raccontò che lo avevi scacciato…’’

“Ero arrabbiata, troppo arrabbiata, nascondermi la verità non ha fatto altro che peggiorare le cose’’

“È quello che pensavo anche io, ma era comunque affezionato a te e ti voleva bene. Non ti voleva farti star male ’’

Annuii. “E ora è lui a star male ’’

Mi lanciò uno sguardo di approvazione. “Mi dispiace’’

Mi passai le dita sotto gli occhi per asciugarmi le lacrime. “No, no, dispiace a me, ho commesso un grande errore, sono stata una stupida’’. Lo rivolevo, ora più che mai.

Papà si mise inginocchiò davanti a me e mi accarezzò la testa. “Non piangere per un errore che hai fatto, si più rimediare tutto’’

“Come posso, papà? Se n’è andato, non c’è più, e non so come raggiungerlo né come chiedergli scusa, mi vergogno a morte, non so se avrò il coraggio di rivederlo’’, singhiozzai.

Intanto la sua espressione si era fatta torva. “Perché avrebbe dovuto andarsene?’’

Fui inondata dalla confusione. Mi pare di averglielo detto. “L’ho cacciato io, papà, te l’ho detto appena…’’, esitai un momento, poi capii. Per un lungo istante mi sentii ondeggiare, stavo per svenire? “È ancora qui? Non se n’è andato?’’, rantolai.

“Voleva progettare di andarsene proprio oggi ma ha cambiato idea’’, rispose. “Credevi che se ne fosse andato presto? A lui gli ci vuole di tempo prima di mettere atto un’azione’’

Rimasi a bocca aperta, ed iniziai a guardarmi attorno. “E allora dov’è? È fuori?’’

“Sì, voleva stare un po’ di tempo solo ’’

La compresi come una scappatella, forse aveva ingannato il padre per andarsene veramente, senza vestiti, senza bagagli o cibo, nemmeno una lettera. Si fidava del figlio, e se proprio la sua fiducia fosse stata una trappola? Proprio quando pensai ad opzioni più orribili sentii un rumore sordo oltre i corridoi del castello: la porta d’entrata. Il cuore mi si fermò all’istante, e dalla porta sbucò la sagoma di Alucard.

Io, insieme a Drakon, lo guardavamo sorpresi, ansiosi, come se lo aspettavamo da tempo. Il padre adottivo gli rivolse un sorriso di ben venuto, mentre io lo guardavo ancora disorientata, un’espressione indecifrabile in volto.

In quello di Alucard invece si lesse un’espressioni pari a quella della sorpresa, la delusione e la rabbia. Non sapevo come descriverla, ma mi fece abbassare lo sguardo.

“Sono ritornato dalla città’’, disse la voce tetra di Alucard. Sì, era arrabbiato. “Sembra che qualcuno si sia divertito a giocare con Louis’’

A sentire il suo nome, un pugno nel ventre mi colpì lo stomaco. Sapeva, e per questo catturò la mia attenzione.

“Sei stato da Louis?’’, chiesi controvoglia, la voce debole, soffocata.

“Era arrivata l’ambulanza per portarlo all’ospedale, mi avvicinai a lui per chiedergli cos’era successo e mi disse che gli avevi rotto un braccio e morso una gamba non appena scoprì che avevi origliato una sua telefonata’’. Probabilmente non gli aveva detto che la telefonata fu la causa di tutto ciò. “Ora lo sanno perfino i tuoi genitori che erano nel luogo, non sanno dove sei andata e sono preoccupati, stavo giusto venendo da Drakon per dirgli che ti andavo a cercare’’

“Le soprese non smettono mai di venire a galla’’, mormorò Drakon.

“Che cosa vuoi dire?’’, chiese prontamente il figlio.

“Che l’ho portata qui per rimetterla in sesto dopo un tentato suicidio’’

“Un suicidio!’’, ruggì Alucard, gli occhi rossi erano pieni di fiamme dalla rabbia, guardò prima il padre e poi me, più arrabbiato di prima. non mi fece altro che abbassare un’altra volta lo guardo. Mi trovavo come una bambina in punizione, e i genitori che continuavano a sgridarla e si interrogavano su cosa avevano sbagliato nell’educare la loro figlia.

“Non…non era un suicidio…’’, balbettai io, senza degnarli di uno sguardo. “Ehm, fin da bambina avevo desiderato tuffarmi da lì, e pensavo che facendolo mi sarei sentita….insomma, è stato…divertente’’

“Ma ci sono delle onde pazzesche in quel mare, ti è venuta per la testa o no?!’’, tuonò Alucard, avvicinandosi minacciosamente verso la poltrona su dove ero seduta. Il padre lo fermò con un gesto alla mano, il figlio ubbidì frustrato.

“Mi ha appena avvertito che si è lasciata con Louis, penso che sia questo la causa di quell’incidente’’

“I genitori di quel ragazzo sono incavolati, se sanno che è qua la metteranno sul rogo!’’

Immaginai la scena che mi procurò un brivido violento. “E i miei genitori?’’, azzardai.

Mi fulminò con i suoi occhi rossi. “I tuoi genitori sono sconvolti, Consuelo spaventata, non si immaginavano una cosa del genere, e nemmeno io! Ora ti stanno cercando una pattuglia per tutta Solemville, c’è chi è entrato nel bosco e non si addentra più di tanto per perdersi’’

Il mio corpo divenne una pietra. Non mi sarei mai aspettata che la mia furia facesse così tanto baccano, e in più c’era una pattuglia della polizia che mi stava cercando in ogni dove a Solemville, presto avrebbero messo anche dei volantini per tutto il mondo: con il mio viso e una scritta sopra con su scritto “Ricercata Alexia Kennedy’’, e poi la somma destinata a chi mi avrà trovata. E poi cosa mi avranno fatto? Uccisa o imprigionata con mille torture.

“Oh’’, fu l’unica risposta che mi uscii dalle labbra.

“Che diavolo ti è venuto in mente, me lo spieghi? Mi sarei aspettato tutto da te, tutto, ma non questo, e in più l’esibizione equilibrista che ti sei fatta nel maledetto mare!’’

Dovevo restare calma per non farlo esplodere più del lecito. “Stavo andando la Louis per incontrarlo, la madre si inventò una scusa per non farmi entrare dicendo che Louis era andato da Paul, ma quando stavo per ritornare a casa sentii la sua voce dentro la stanza, allora decisi di capire cosa stesse dicendo spiandolo fuori dalla finestra. Ed è così che capii che lui e Jennifer si erano progettati un piano per far in modo di rompere il mio fidanzamento e…poi sentii Louis dire a Jennifer che l’amava’’, ripensai a quel fatto e mi causò una forte ondata di adrenalina.  “Ecco perché mi sono così tanto arrabbiata e ho causato a Louis tante ferite, ma non pensavo di aver causato tanto caos in mezza Solemville’’

Alucard e Drakon rimasero a guardarmi, nei loro visi seri riuscì a leggere un misto di rabbia e sorpresa, finché papà non ammise:

“Bè, ora sappiamo il motivo ’’

“Sì, questo è vero’’, disse sprezzante Alucard che non mi staccava i suoi occhi rabbiosi di dosso. “Ma non resterò qui per molto ad assistere alla fine di questo caos. Non rimango qui a guardare. Me ne vado ’’, e uscì a grandi passi dalla stanza.

Dentro di me, si creò un vuoto glaciale, e allo stesso tempo era vuota la mia testa, non riuscivo a pensare ne a cosa dire. Era questo il momento, dunque? E io sarei rimasta a guardare la sua partenza. Non riuscivo a fare un solo passo, rimasi congelata dalla sua uscita, nemmeno a guardare il vampiro accanto a me, fino a quando non fu papà stesso ad incoraggiarmi.

“Va da lui, di sicuro deve concentrarsi per placare la sua rabbia, e tu sei l’unica a riuscirci’’

“Ti sbagli, sono stata io ad ordinargli di andarsene, sono stata io che l’ho respinto in questi mesi, e sono stata io a ferirlo ogni volta che stavamo lontano, quindi come posso fare, dimmi, a placare la sua rabbia quando non so nemmeno capire me stessa?’’

Sorrise, come se le mie parole fossero state un nulla, e mi accarezzò la guancia. “Sono certo che ce la farai. Io vado dai tuoi genitori per dir loro che sei qui. Dirò loro il motivo, capiranno, e capiranno tutti’’

A quel punto non mi rimaneva altro che ubbidire, se rimanevo nel salone immobile sarei apparsa più ridicola di quanto non sembravo ora. A stento riuscivo a camminare fra l’immenso corridoio del primo piano, a causa ancora dei forti giramenti di testa, quando mi trovai vicino alla sua stanza vidi la porta aperta. Vi entrai con cautela, non riuscivo a sentire nemmeno i miei passi e le mani mi tremavano, però lui non prestò attenzione alla mia entrata. Certo che no, perché stava sistemando le valigie e l’enorme armadio era aperto. Silenziosa, lo osservai mentre saettava tra la stanza e prendeva vestiti, scarpe, foto, magliette, eccetera.

“Proprio ora dovevi…?’’, ma non finì la domanda che prese un cuscino e lo sbatté contro la parete ricamata della stanza, creando una pioggia di neve bianca e morbida

Ignorò le mille piume che si sparsero nel pavimento e perfino quelle che caddero dietro la sua schiena, e mi guardò in cagnesco. Io ero sempre una statua accanto al letto.

“Non ti basta che me ne vado? Dovevi per forza creare anche quello che c’è la fuori?’’

“Non è stata colpa mia’’, parlavo con calma. “Ero arrabbiata e sconvolta. Ho….reagito d’istinto’’

Rise alla mia scusa, farfugliò qualcosa mentre rideva che colsi come: “d’istinto’’. Rideva per deridermi, e faceva bene. Mi sarei derisa anche da sola. Alucard prese due scarpe e le mise accanto a una montagna di vestiti, nell’unico spazio vuoto dentro la valigia.

“Sai, forse mi hai fatto un grande favore cacciandomi via’’

Cacciai via un singhiozzò. “Ci sto ripensando’’, mormorai.

Le mie parole lo fermarono. Si mise a guardarmi non più arrabbiato. “Cosa?’’

“Non voglio che te ne vai’’, potevo anche supplicarlo in ginocchio. “Sono stata una stupida, lo so. No, sono stata più che stupida. Sono stata un’idiota. Anche se non sei il mio fratello ti voglio ugualmente bene, e… per quello che ti ho detto, e tutto quello che ti ho fatto….mi nomino tua schiava a vita, pur rimediare a quell’errore. L’unica cosa che voglio è che non te ne vai da Solemville, lascio a te la scelta di perdonarmi o no’’

Dalla sua bocca non uscì A, restava sempre immobile e con un magione fra le mani che aspettava di essere posato insieme ai suoi simili. Poi, dopo un minuto incessabile, appoggiò l’indumento sopra la coperta e mi sfiorò con la spalla. Credetti che volesse uscire e invece chiuse la porta…a chiave.

Si voltò verso di me. “Francamente, il tuo cambiamento di decisione improvvisa, mi stupisce’’

“Francamente’’, gli feci eco, anche se non volevo parlare. Era meglio restare zitta.

“E dimmi il motivo per cui vuoi che resti. Dato che sei qui e mi hai detto la verità, posso anche perdonarti e posso anche andarmene, non sono costretto a rimanere qui. Posso anche andarmene per qualche anno e poi ritornare, ma allora perché vuoi che resti qui da te?’’

Non me lo ero mai chiesta, ed aveva ragione: poteva facilmente perdonarmi e poi andarsene, e forse lo avrei anche rivisto. Sarebbe stato via solo qualche mese e poi sarebbe ritornato, e poi sarebbe ripartito, e così via. Insomma, lo avrei rivisto di continuo, non potevo costringerlo a rimanere per forza come gli avevo ordinato di andarsene per sempre.

Infondo però, volevo che non se ne andava nemmeno per qualche mese. Sarebbe stato tutto così complicato e difficile accettare la sua partenza.

“Perché sono affezionata a te ’’, balbettai, incerta, con gli occhi gonfi. Sentivo che non era una buona risposta.

Sospirò, si staccò dalla porta dove era posato prima e si avvicinò al letto chiudendo le valigie e posandole per terra. Mi si chiuse la bocca dello stomaco quando lo vidi afferrare la valigia: aveva messo già tutto dentro.

Si sedette sul letto, i gomiti appoggiati sulle gambe. “Non mi sembra una risposta convincente’’

Mi asciugai gli occhi umidi. “Ho bisogno di te, ora più che mai. Se te ne vai mi sentirei….vuota, senza più nessuna ragione per vivere, non sarei in grado di ricominciare la mia vita’’

“E…?’’

“Non ti voglio perdere, Alucard, accidenti, e cosa ti dovrei dire se non questo?’’, avevo la voce stridula.

Sogghignò. “Tu vuoi dire quello che vuoi dire, ma non vuoi perché hai paura’’

Restai in silenzio, cercando la risposta nel mio profondo, anche se era lì non riuscivo a tirarla fuori. Eppure c’era, aveva ragione Alucard: avevo paura. Ripensai ai tanti miei errori: alla prima volta che lo vidi e mi arrabbiai con mia madre, alla litigata per quel bacio, al suo compleanno mentre ballavamo insieme, e lì avevo biasimato che lo desideravo veramente, poi alla stanza delle due statue leggendarie, e molte altre ancora che in quell’istante non riuscivo a ricordare. Errori riparabili, sono sempre riuscita perdonarlo ed era andato tutto bene. Ora, sarebbe andato diversamente? Avevo paura di scoprire la verità. Oltretutto, papà aveva ragione: di errori se ne commettevano nella vita, e tanti, ma prima o poi riuscivano a trovare rimedio, bastava far passare del tempo. E poi quello che mi disse mamma: ci voleva amore a pazienza per far passare un dolore travolgente. Ma io non avevo bisogno di tempo, ne di pazienza. Era tutto scritto lì, nella testa, visibile ormai, piena di sincerità. E ne ero assolutamente certa: era l’unica ragione per averlo accanto, per sempre.

“Ma non capisci, Alucard? Ogni momento che ho passato con te è stato sempre il più importante della mia vita, prima avevo timore di dirlo a qualcuno ma ormai che ti perderò non ha più importanza di tenermi tutto nascosto. Alucard, io ti amo. Non come un fratello, né come un fratellastro, ma qualcosa di più, sono stata una tonta a non capirlo prima, anche se frequentavo Louis, eppure lo sentivo. Sentivo di amarti, ma non volevo ammetterlo’’

Restò zitto a guardarmi, non sembrava sorpreso perché se lo aspettava. Mi conosceva abbastanza da sorprendermi, ed io mi sentivo un illusa quando credetti che lo conoscevo bene.

Cercai di fare un passo avanti, ma le gambe mi tremavano, sentivo che avrebbero ceduto se solo mi sarei mossa, mi limitai solo a strisciare goffamente il piede a qualche centimetro più avanti.

“Alucard voglio che resti con me, ti amo. Non te ne andare, non più’’, ormai ero scoppiata a piangere prima ancora che decidessi di farlo. Ecco, lo avevo detto, avevo buttato quanto di più profondo avevo nel cuore, e ora cosa sarebbe successo? Ero felice, ma allo stesso tempo terrorizzata.

Rimasi sul posto, tremante, a guardare Alucard immobile anche lui. I secondi passavano, il silenzio non fece che peggiorare le lacrime e il tremore. Mi chiesi se Drakon non fosse andato via, volevo farmi accompagnare da lui per riaccompagnarmi. Volevo stendermi sotto le coperte per sentirne il calore e dimenticare quella giornata. Ma finché non avrei visto Alucard uscire dal villaggio, sarei rimasta con lui. Se fosse andato via senza che io lo guardassi, sento che non sarei riuscita a dormire, dovevo guardarlo in faccia quando mi diceva addio, dovevo essere sicura che mi diceva addio.

Poi lo vidi alzarsi dal letto, venire a grandi passi verso di me e stringermi a lui. Chiusi gli occhi per la sorpresa, un po’ per il terrore, e riaprendoli vidi quanto vicino fosse la sua bocca alla mia. Alla fine non perse tempo a rubarmi un bacio.

Fu un bacio diverso: non uguale al nostro primo bacio, nemmeno i mille baci che mi scambiavo con Louis, questo era pieno d’amore vero, puro, in cui la passione si accendeva pian piano. Non si staccò da me nemmeno quando lo costringevo ad allontanarmi da lui, e mi strinse di più a se fino a lasciarmi senza respiro. La stanchezza di quel giorno mi lasciò, l’adrenalina che avevo usato nel tuffo dal precipizio mi abbandonò, scacciai via la paura e mi abbandonai a lui; nulla mi creò piacere quel momento di sapere che mia amava, che mi desiderava come desideravo lui, ed ero sua. Sua, per sempre. Non era il mio fratellastro, ma un nipote lontano di Celesia; e non mi era parente. Era soltanto un vampiro, un vampiro perfetto: il mio angelo delle tenebre. Ed era mio.

“Alexia’’, sussurrò mentre si era staccato da me.

Rivolli le sue labbra, volevo sentire di nuovo il suo sapore, però ritornai ad aprire gli occhi,  mi accorsi che il mio desiderio mi aveva spinta oltre, forse un po’ troppo: gli avevo sbottonato la camicia ed era petto nudo, ed eravamo vicini al letto.

“Alexia’’, mi chiamò un’altra volta. Poi sorrise divertito. “Finalmente ti sei decisa ad ammettere che mi ami’’, era come per dire: Alleluia!.

Risi anche io. “Eh si! Sono stata cocciuta’’

Mi accarezzò la guancia. “Avvolte mi chiedevo se veramente provavi quello che provo io’’

“Da quanto mi ami?’’

Sorrise. “Da quando ti ho presa fra le braccia, mi sono innamorato di te dal primo momento in cui ti ho visto nascere, e se non fosse stato per la separazione a quest’ora ti avrei corteggiata in ogni modo pur di averti’’

Appoggiai la testa contro il suo petto marmoreo. “Ora sono tua, e ti apparterrò sempre’’

“Non può andare diversamente’’, mi sussurrò nell’orecchio.

Sciolse la stretta e mi spinse contro il vuoto. Caddi sul materasso, troppo sorpresa per reagire, fu troppo in fretta per riuscire a capire. Ma non m’importava più niente, ormai mi trovavo oltre la beatitudine, e l’ultima cosa che volevo era sdraiarmi su quel letto.

Accettai tutto: le sue carezze, i suoi baci dolci, pieni di amore, le sue parole squisite, finché non si accese di nuovo la passione e i suoi baci non divennero famelici, e non mi sentii strappare le vesti ancora umidi di dosso. Quella sera lo amai veramente, eravamo due corpi destinati ad unirci, due gocce d’acqua che lentamente si erano avvicinate plasmandosi e formando una sola goccia. Quella sera dimenticai il mondo di fuori: dei miei genitori preoccupati, di mille persone che mi stanno cercando, dell’ambulanza che trasportava Louis all’ospedale, di Jennifer, e di quell’anello sepolto nel sangue del mio ex-fidanzato.

Quel momento pieno di baci, amore, parole appena pronunciate capii quanto lo amavo, che se non avessi detto la verità lo avrei perso per sempre, che non avrai assaggiato tutto quell’amore, che del pezzo rotto a terra di quel vaso di cristallo ormai si era unito ai suoi gemelli e l’oggetto brillava più che mai oltre la luce del sole.

Quella fu la mia meta, ringraziai la mia Consuelo e “il suo vento”, mamma, papà, i miei amici e Garrett per avermi fatto capire il valore della vita e forse anche a Louis per avermi portata ogni giorno al mio Alucard. Ora mi chiedevo: se non ci fosse stato Alucard, come sarebbe stata la mia vita?.

 

 

   
 
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