Capitolo
1. Pochi istanti in cui ci sentivamo vivi
Il fuoco
divampava
nel buoi di quella notte, illuminando la piccola radura e sciogliendo
la neve
che a fatica riusciva a posarsi sul terreno. Il sergente si
avvicinò cauto alle
squadre di soccorso intente a domare l’incendio e
oltrepassò i cancelli
diventati roventi. Si fermò al centro del cortile e
osservò senza troppo
interesse l’edificio che davanti ai suoi occhi si stava
consumando pian piano.
Avanzò di alcuni passi ancora per seguire meglio le
operazioni della polizia.
Avevano trovato il corpo di una ragazza in mezzo alla neve,
probabilmente era
caduta dal tetto dell’edificio morendo sul colpo. Il fuoco
che bruciava alle
loro spalle le illuminò il viso, e lui poté
notare la bellezza di quel viso,
sembrava di porcellana, messo in risalto dal netto contrasto con i
capelli scuri.
Ma la cosa che più attirò la sua attenzione fu il
sorriso felice che sembrava
dipinto talmente era perfetto. Altri due uomini erano impegnati a
portare sulla
barella un altro corpo trovato tra le rose del cortile: era un ragazzo,
anche
lui con un debole sorriso sul volto.
«Ma
che avevano
tanto da sorridere questi due? Sono morti, non pensavo fosse
divertente…»
Entrò
in quel poco
che restava dell’atrio, straziato dalle fiamme.
L’edificio non era ancora del
tutto agibile, in molte aree il fuoco era ancora nel pieno della sua
violenza,
ma era incuriosito da quel luogo. Sul muro annerito di fronte a lui,
accanto a
un orologio a pendolo consumato dall’incendio, lesse una
frase scritta di rosso
“I matti sono apostoli di un Di che non li vuole”.
«Macabro. Inizio a dubitare
della validità di questo posto.» Solo allora
notò il cadavere carbonizzato ai
piedi dell’orologio. «E siamo a tre. Non credo che
sia rimasto qualcuno vivo.»
«Sergente!»
Un
poliziotto si avvicinò a lui di corsa, stringendo al petto
quella che sembrava
essere una cartella clinica.
«Ho
trovato questi
documenti, è poco ma purtroppo l’incendio non ha
risparmiato molto. Li abbiamo
trovati in quello che doveva essere l’ufficio del direttore,
in una delle zone
in cui è divampato uno degli incendi.»
«Uno
degli
incendi?»
«Sì
sergente. I
vigili del fuoco affermano che si è trattato di vari incendi
provocati in
momenti diversi e in zone diverse, probabilmente per creare
più danni
possibili.»
«Capisco.»
Il sergente
prese i documenti che erano scampati alla furia delle fiamme e li
studiò con
cura. Era un elenco dei pazienti lì ricoverati, con foto,
nome, età e breve
background. Infine vi era riportata la patologia di ognuno.
D.Gray
Hospital
Casa
di cura e accoglienza per gli apostoli speciali di Dio
Lenalee Lee
Sesso: femmina
Data di nascita: 11 maggio
(età al momento del ricovero: 16)
Background: dopo
numerosi abusi subiti da parte della famiglia e di alcuni conoscenti di
essa la
ragazza è stata presa in custodia dal fratello Komui Lee,
direttore del D.Gray
Hospital, ed è stata ricoverata all’interno della
struttura.
Patologia:
attacchi di panico, disturbo ossessivo compulsivo, psicosi.
Road Kamelot
Sesso: femmina
Data di nascita: 20 giugno
(età al momento del ricovero: 14)
Background: non si
conosce molto del passato della paziente a causa della non
collaborazione da
parte della stessa di fornire dati su di sé. Si
presentò al D.Gray Hospital di
sua iniziativa.
Patologia:
schizofrenia.
Miranda Lotto
Sesso: femmina
Data di nascita: 1 gennaio
(età al momento del ricovero: 26)
Background: rimasta
sola al mondo dovette iniziare a lavorare sin da piccola. Dopo aver
lavorato a
lungo come cameriera fu assunta come domestica dalla famiglia Lee.
Lavorò alle
loro dipendenze per alcuni anni finché decise di andarsene
non potendo
sopportare le condizioni in cui la piccola Lenalee Lee era costretta a
vivere.
Da quel momento non riuscì più a trovare lavoro a
causa delle maldicenze
diffuse dalla famiglia Lee.
Patologia:
depressione maggiore.
Lavi Bookman
Junior
Sesso: maschio
Data di nascita: 10 agosto
(età al momento del ricovero: 18)
Background: orfano di
guerra fu cresciuto da un amico di famiglia che lo portò in
giro per il mondo.
Il ragazzo, a causa delle numerose guerre e morti a cui
assisté, inizio a
essere “problematico”, e l’ormai anziano
tutore lo affidò alle cure del D.Gray
Hospital.
Patologia:
personalità multipla (ancora da verificare: autismo)
Yu Kanda
Sesso: maschio
Data di nascita: 6 giugno
(età al momento del ricovero: 19)
Background: visse in
un laboratorio di ricerca sin da bambino, e fu lui stesso soggetto di
alcuni
esperimenti. Raggiunta la maggiore età sperava di poter
lasciare quel luogo ma
gli fu impedito, e riuscì nel suo intento solo a causa di un
incidente che
portò alla morte di tutti i ricercatori. Ancora oggi si
rifiuta di fornire
spiegazioni in merito.
Patologia:
non è stata individuata una patologia psichiatrica definita,
si può individuare
sociopatia e crisi aggressive fuori controllo. Possibile individuo
borderline.
Allen Walker
Sesso: maschio
Data di nascita: 25
dicembre (età al momento del ricovero: 15)
Background:
abbandonato dai genitori a causa di una deformità al braccio
sinistro è stato
cresciuto inizialmente dagli artisti di un circo, in seguito
è stato adottato
da uno di essi con il quale ha viaggiato per il mondo. Dopo la morte
del padre
il ragazzo ha vissuto solo in mezzo a una strada.
Patologia:
grave forma di dissociazione di personalità, accompagnata da
deliri e
allucinazioni.
«Interessante
ricettacolo di pazzi…» Il sergente
tornò nel cortile e si mise a guardare l’edificio
in fiamme, una casa a due
piani adibita a centro di accoglienza per coloro che soffrivano di
disturbi
mentali. Si trattava di un centro di piccole dimensioni
poiché il direttore, il
dottor Komui Lee, voleva prendersi cura della sorella in un luogo il
più
possibile accogliente e pacifico, e non riteneva che un ospedale
psichiatrico
di grandi dimensioni fosse adatto. Nel piccolo centro in cui lavorava
aveva
deciso di accogliere anche coloro che non potevano permettersi cure
psichiatriche, ed era aiutato da un medico di grande fama, il dottor
Cross
Marian, e da alcuni collaboratori accuratamente scelti tra coloro che
avevano
fatto richiesta.
«Sergente
Link!
Sergente! Abbiamo trovato un superstite!» Link si
girò di scatto verso il
poliziotto che l’aveva chiamato e che gesticolando
freneticamente tentava di
attirare la sua attenzione verso la squadra medica che trasportava
qualcuno su
una barella. Corse in quella direzione, intenzionato a ottenere
risposte su
cosa fosse accaduto il prima possibile. Quando vide il ragazzo sulla
barella
restò un attimo perplesso: era stretto in un lungo cappotto
bianco, e il
cappuccio lasciava spuntare solo alcune ciocche di capelli, che al buoi
sembravano di un rosso scuro. Aveva il viso macchiato di sangue e
fuliggine, e
non riuscì ad associarlo a nessuno dei pazienti ricoverati.
«Ehi
ragazzo, come
ti senti? Io sono Howard Link, sergente di polizia chiamato sul posto
per
indagare su quanto avvenuto. Saresti in grado di rispondere ad alcune
domande?»
Il ragazzo lo guardò per un momento, respirando a fatica.
«Sergente
Link,
non crediamo sia opportuno interrogare il ragazzo adesso. È
miracolosamente
scampato all’incendio, ma non sappiamo se ha riportato ferite
di altra entità.
Occorre visitarlo quanto prima.» La ragazza che
parlò, la dottoressa Four da quanto poteva
leggere dal suo tesserino, lo
guardò perentoria, con occhi di chi non avrebbe permesso a
nessuno di toccare
un suo paziente.
«Non
si preoccupi…
signorina, davvero. È molto gentile, ma oltre alla
stanchezza… non sento altro,
quindi non credo sia necessario far aspettare il sergente Link.
Può farmi le
domande che desidera.» La dottoressa e il sergente si
guardarono per un attimo
in cagnesco, sul viso di Link un piccolo ghigno di vittoria.
«Bene.
Allora, che
ne dici di dirmi il tuo nome innanzi tutto, così la smetto
di chiamarti
ragazzo?»
«Neah
D. Campbell,
piacere» sorrise allegramente, mentre la luce delle fiamme
gli illuminavano il
viso creando ombre che gelarono il sangue nelle vene di Four e Link,
senza che
riuscissero a capirne il motivo.
«Tutto
è
cominciato ieri, alla vigilia di Natale…»
Il
giorno prima – 24 dicembre
Lenalee danzava
con leggerezza davanti al fuoco del camino, seguendo le note che il
giradischi
diffondeva nell’istituto, i lunghi capelli neri sciolti a
seguire delicatamente
i suoi movimenti. Komui la osservava appoggiato allo stipite della
porta,
sorridendo felice nel vedere la sorella così allegra. Un
tempo non avrebbe mai
danzato in quel modo, sia a causa delle catene che le appesantivano le
gambe
sin da bambina che a causa delle rigide e assurde regole imposte dalla
loro
famiglia. Consideravano Lena come una specie di dea, pura e
intoccabile, e non
le permettevano di uscire di casa o anche semplicemente dalla sua
stanza,
impedendole di fare qualunque cosa poiché ritenevano che il
mondo esterno
avrebbe rovinato la sua bellezza. Non aveva mai avuto la
possibilità di
leggere, scrivere, ascoltare musica, o anche solo osservare un quadro.
Ogni
genere di distrazione le era stata negata, Lenalee doveva essere
preservata, e
quindi era rinchiusa in una stanza come una bambola di porcellana.
Komui scosse
la testa per allontanare quei brutti pensieri e quando la musica
terminò
applaudì piano, attirando l’attenzione della
sorella.
«Fratellone!
Che
ci fai qui, non dovresti lavorare?»
«Non
ti ci mettere
anche tu Lena, sono già stato sgridato da Reever! Volevo
passare la vigilia con
te, non con quei burberi dei miei assistenti!»
«Dai
fratellone,
stasera ceniamo tutti assieme, ora devi lavorare. Vuoi che ti faccia un
po’ di
caffè?»
«Sììì!
Grazie
Lena, sei adorabile!» Komui stritolò la sorella,
mentre lei si diresse a fatica
in cucina per preparare una tazza fumante di caffè a quello
sfaticato del
fratello.
«Ehi
Lena! Che
cosa stai facendo qui? Oh, direttore, non l’avevo
vista!»
«Ciao
Allen, sto
andando a preparare del caffè, ne vuoi un
po’?»
«No,
sono apposto
così, Jerry mi sta preparando la cioccolata.»
«Ecco
tesoro,
cioccolata con panna e cacao per te!» Il cuoco, dalla dubbia
sessualità, poggiò
una tazza enorme di cioccolata calda davanti ad Allen, e lui ci si
fiondò sopra
come un morto di fame. Komui restava sempre sconvolto dal pozzo senza
fondo che
era quel ragazzo, dall’aspetto così gracile e
debole da rendere quasi un
miracolo il fatto che fosse ancora vivo. La vita con lui era stata
particolarmente ingiusta: maltrattato da un circo, cresciuto da un uomo
che faceva
il clown, e morto questo rimasto solo per strada, a morire di freddo e
fame. Il
suo corpo ne aveva risentito parecchio, e anche la sua psiche.
Ricordava ancora
quando l’aveva visto la prima volta, portato lì
dal dottor Cross Marian che lo
aveva trovato in un cimitero a piangere di fronte alla tomba del padre.
Inizialmente non credeva che sarebbe sopravissuto: magro, con la febbre
alta,
una terribile ferita mal curata che gli percorreva il lato sinistro del
volto,
il braccio deforme come se fosse stato divorato dalle fiamme. Ma
ciò che più lo
aveva lasciato sbalordito, pur essendo il minore dei problemi, era il
colore
dei capelli: bianchi, candidi come la neve. Eppure aveva solo 15 anni,
era un
ragazzino, non era normale. Doveva aver subito un shock non da poco per
aver
perduto il colore dei capelli. Contro ogni previsione però
Allen si riprese
dalla febbre e dalla debolezza, e quando tornò cosciente la
prima cosa che fece
fu di saltare al collo di Cross, in preda a uno strano delirio. Quando
si calmò
non ricordò niente, e ringraziò con fare da vero
gentlemen tutto l’istituto per
averlo soccorso. Con il tempo Komui aveva capito che il ragazzo era
affetto da
un grave disturbo di personalità, causato da
chissà quale ragione. Era comunque
un bravo ragazzo, ed era stato accolto da tutti senza
difficoltà...
«La
mammoletta si
fa ancora preparare la cioccolata? Sicuro di non avere ancora 5
anni?» …Quasi
tutti.
«Ma
guarda chi
c’è! Il vecchio mangiatore di soba! Finita la
pennichella oggi, Ba-Kanda?»
Ba-Kanda, o per meglio dire Kanda, era un ragazzo taciturno e asociale,
solitamente ben disposto verso tutti, tranne verso Allen. I due si
erano odiati
sin da subito, e qualunque cosa era buona per iniziare ad attacar briga.
«Sono
esercizi di
concentrazione mammoletta, e la soba è un piatto nutriente e
leggero. Non sono
una fogna come te, capelli da vecchio.»
«Tsh,
parla quello
con i capelli da donna.»
«Senti
tu, cos’hai
da ridire sui miei capelli?»
«Niente,
solo che-
Uahhh, ma che diavolo?!? Lavi, che stai facendo?!»
«Vi
faccio tacere,
non è possibile che ogni giorno dovete sottoporci alla
stessa scenetta, giusto,
principessa?» L’ultimo arrivato, Lavi, un ragazzo
dai capelli rossi e un occhio
bendato, sorrise allegro a Lenalee, che nel frattempo se la rideva
godendosi la
scena.
«Fate
troppo
casino, me ne torno nella mia stanza.» Kanda si
affrettò a lasciare la stanza,
come suo solito quando doveva avere a che fare con Lena. Non che la
odiasse,
anzi, era l’unica che lui lasciasse avvicinare, ma non sapeva
come interagire con
lei, quindi preferiva non starle accanto quando non sapeva che era
presente, come
se avesse bisogno di prepararsi mentalmente a incontrarla.
«Mh?
Dove se ne va
l’antipatico?» L’assenza di Kanda fu
subito rimpiazzata da Road, la più piccola
dei ricoverati al D.Gray Hospital.
«Fugge
dal sesso
femminile come sempre.»
«Mh,
fifone. Non
come il mio Allen, vero, amore?» La ragazza gli
saltò in braccio e si strinse
forte a lui, facendo le fusa come un gatto. Lui in tutta risposta
continuò a
mangiare la sua cioccolata completamente indifferente alla situazione.
Era così
da quando si erano conosciuti: per qualche ragione, quella ragazzina
dall’aspetto di una bambola di porcellana, si era invaghita
di lui sin dal
primo istante, e ogni volta che poteva gli saltava addosso esplicitando
il suo
amore per lui senza vergogna.
«Ma
che dolci
piccioncini, perché non andate in una stanza ad amoreggiare?
Così io posso
restare solo con Le- AAAHHHHH, BRUCIA!!!» Lavi
scattò all’indietro dopo aver
ricevuto in piena fronte una cucchiaiata di cioccolata da Allen, che
tornò a
mangiare con tranquillità.
«Ragazziii,
non
dovete litigar-ehhhh!» Miranda fece il suo classico ingresso
cadendo a terra,
iniziando a piagnucolare. Komui si avvicinò a lei e la
aiutò a rialzarsi, e lei
si affrettò a raccogliere da terra i fogli che portava e che
erano destinati al
direttore. Era così che Miranda combatteva la sua
depressione, aiutando gli
operatori dell’istituto con alcune piccole faccende. Era
sempre stata una donna
volenterosa, ma non aveva mai ottenuto molto dalla vita, e aveva
cominciato a
deprimersi a causa della mancanza di un lavoro e della sua bassa
autostima.
Komui l’aveva sempre aiutata, anche perché in
parte si sentiva in colpa per le
sue sfortune, e quindi aveva deciso di farla lavorare lì,
così che lei si
sentisse realizzata.
«Ecco
direttore,
questi li manda la sede centrale. Sono le cartelle cliniche di alcuni
pazienti
che vorrebbero che fossero trasferiti qui. Il dottor Cross Marian
dovrebbe
arrivare questo pomeriggio per parlare con lei e decidere cosa
fare.»
«Ancora
richieste
eh? Non hanno ancora capito che non prendo nessuno qui? Vabbeh, gli
darò
un’occhiata, giusto per curiosità. Grazie
Miranda.» Komui si avviò verso il suo
ufficio, con una calda tazza di caffè tra le mani, lasciando
dietro di sé i
ragazzi che in cucina continuavano passavano i pochi istanti in cui si
sentivano vivi, senza notare che al sentire che Cross Marian sarebbe
arrivato
nel giro di poche ore Allen era sbiancato, iniziando a fissare il vuoto.