Capitolo
3. I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole
«Tu
sei pazzo.»
«Ma
davvero?
Credevo di essere qui in vacanza premio.»
«Non
sto
scherzando. Quello che vuoi fare non ha senso.»
«Da
quando ti fai
tanti problemi? Ho chiesto a te proprio perché so che non ti
importa di niente
e di nessuno, non credevo che avresti fatto storie.»
«Ok
che sono un
po’ distaccato dal mondo, ma non ho mai pensato a nulla di
simile.»
«Quanto
la fai
lunga stupido coniglio. Allen ci chiede aiuto e tu che fai? Diventi
improvvisamente un santarellino?»
«Senti
mocciosa,
non rompere. Già non capisco cosa c’entri tu in
tutta questa storia, quindi non
hai diritto di parola.»
«Io
amo Allen, per
lui farei qualunque cosa. Tu invece? Non dicevi di essere il suo
migliore
amico?»
«Sì…
Ok, va bene,
lo farò, per quanto mi sembri assurdo.»
«Perfetto.
Inizieremo a mezzanotte. Tu Lavi occupati di Kanda e Miranda, Road del
personale e di Lenalee, io penserò al resto. A
più tardi. Ah, e se per qualche
ragione dovremo anticipare il tutto vi avviserò suonando il
piano, ok?» Allen
si avviò verso la cucina con nonchalance, canticchiando
allegramente. Dopo la
visita del suo adorato maestro si era chiuso nella sua stanza e dopo
aver
distrutto la maggior parte della mobilia aveva avuto
un’illuminazione. Avrebbe
preferito fare tutto da solo, ma sapeva che sarebbe stato troppo
difficile, e dunque
aveva chiesto alle persone di cui più si fidava. Poteva
sembrare strano ma fra
tutti Lavi e Road erano i migliori su cui poteva contare. In fin dei
conti
odiava Kanda, e lui di rimando, Lenalee era troppo pura per una cosa
simile, e
Miranda… Beh, era Miranda, che per quanta buona
volontà ci mettesse non era in
grado di non compiere disastri. E poi sapeva che gli altri non
avrebbero avuto
motivo per aiutarlo, mentre Road era mossa da vero e proprio amore, e
Lavi da
un affetto quasi fraterno.
Erano quasi le
undici di sera, avevano finito di cenare alle nove circa, e Allen aveva
ancora
fame, dunque aveva deciso di rubacchiare un po’ di cibo. Vide
alcune delle
inservienti intente a mettere in un vassoio alcuni dei piatti che
avevano
preparato per loro quella sera, e una di loro prese una bottiglia del
miglior
vino che avevano. Il cuore di Allen perse un battito, e si nascose
dietro lo
stipite della porta per origliare ciò che le due dicevano.
«Non
capisco però
perché il dottor Cross non ha voluto mangiare con gli altri.
Era molto tempo
che non si fermava qui.»
«Zitta
stupida!
Oltre al dottor Komui e noi due nessuno sa che il dottor Cross si
è fermato per
la notte. Da quel che ho capito domani sera ripartirà
portando con sé Allen, ma
penso che anche tu oggi abbia sentito le urla del ragazzo. Credo che il
dottore
abbia finto di andarsene per far calmare Allen, fino a domani sera
quando
probabilmente si servirà di una camicia di forza per
portarlo con sé.»
«Povero
ragazzo…
Mi dispiace per lui.»
«Non
pensarci, per
Allen è meglio così.»
«Cosa
è meglio per
me?» Allen entrò in cucina fingendo di non aver
sentito niente. Sorrise alle
due ragazze, riuscendo a rassicurarle.
«Abbiamo
pensato
di tenerti da parte del cibo. Sappiamo che il direttore non sarebbe
d’accordo
dopo il disastro che hai combinato nella tua stanza, ma secondo noi
mangiare ti
fa bene.» La ragazza gli porse un piatto con vari avanzi
della cena sorridendo
tranquilla, sperando di aver convinto Allen.
«Grazie,
siete
state gentili a pensare a me. Avevo giusto un po’ di
fame!» Lui sorrise ancora,
ma non prese il piatto, anzi si avviò verso il lavabo dove
ancora erano
presenti i piatti sporchi. Fingendo di prendere un bicchiere nascose un
coltello nella manica della camicia, e dopo aver bevuto
tornò dalle ragazze.
«Grazie
ancora,
ladies. Siete state gentilissime» e con un rapido gesto
recise la giugulare di
entrambe. Non si accorsero di nulla, i loro corpi si accasciarono a
terra senza
far rumore. Allen buttò il coltello su pavimento e prese il
vassoio destinato a
Cross, avviandosi al piano di sopra. Indossò il lungo
cappotto bianco che
Lenalee gli aveva regalato per natale ma che aveva aperto
già alla vigilia per
accontentare la ragazza, e prima di raggiungere la stanza del suo
maestro andò
a suonare alcune note nella saletta del pianoforte, le prime della
melodia che
aveva inventato con Mana. Road e Lavi, in attesa, sentirono
immediatamente la
musica, e si avviarono verso i loro obiettivi.
Road
vagò per un
po’ alla ricerca di Lenalee, non trovandola nella sua stanza.
La trovò in una
della ultime stanze del piano terra, dove conservava i vasi di rose che
più le
piacevano.
«Ehi
Lena, cosa
fai qui?»
«Non
riuscivo a
dormire, così ho deciso di occuparmi di loro» Lena
spruzzò un po’ d’acqua sui
fiori, canticchiando allegramente. Road si chiuse la porta alle spalle
e iniziò
a fissarla.
«Road?
Hai bisogno
di qualcosa?» Lenalee la osservò confusa mentre la
ragazzina si rigirava tra le
mani uno dei vasi contenente una bellissima rosa bianca.
«È
davvero bella…
Però starebbe meglio con un po’ di
rosso» e così dicendo sbatté con
violenza il
fondo del vaso contro la tempia di Lenalee. La ragazza si
accasciò a terra,
intontita. Road la trascinò verso un termosifone e con una
corda la legò con
forza, per impedirle di fuggire.
«Road?...
che…
fai? Liberami!» Lena iniziò ad agitarsi, mentre
Road iniziò ad accendere alcune
candele che si era portata dietro, sistemandole nei vasi di rose. Ne
prese
alcuni e li piazzò attorno a Lenalee, per assicurarsi che il
fuoco arrivasse
anche a lei.
«No!
Le mie rose!
Road, cosa stai facendo?! Così le brucerai!»
«Capiamoci:
ti ho
colpita in testa per tramortirti, ti ho legata per non farti scappare,
ho dato
origine a un bel falò e tu ti preoccupi delle rose? Tu sei
proprio pazza!» Road
rise di gusto mentre il fuoco prendeva sempre più forza
alimentandosi con le
numerose piante presenti nella stanza.
«Sai,
sono felice
di averti trovata qui. Almeno ho potuto distruggere anche queste cose. Le ho sempre odiate, ovunque
c’era
la loro puzza, e Allen ne soffriva perché gli faceva tornare
alla mente Cross,
ma non osava dirti niente perché è un ragazzo
troppo gentile. Pazienza, tanto
ora non importa più. Presto sarà tutto finito e
Allen sarà finalmente libero.
Ora vado, sennò rischio di morire bruciata anche io. Mi
piacerebbe restare qui
e sentire le tue urla di dolore. È un peccato non poter
sentire il canto di un
angelo legato a un termosifone in attesa della morte»
saltellò via, salutando
la ragazza in preda alla disperazione con un gesto di mano.
Arrivò
nell’atrio
d’ingresso poco dopo, lasciando alcune candele in giro per
corridoio, e trovò
Lavi ad aspettarla.
«Già
finito?»
«Sì,
è stato
facile. A Kanda ho avvelenato la soba che gli ho gentilmente portato
come
regalo di Natale, è morto in pochi minuti riuscendo
però a insultarmi un po’, e
con Miranda non c’è stato nemmeno gusto, non ha
fatto un fiato.»
«Anche
con la
principessa è stato facile.»
«Come
l’hai
uccisa?»
«Ho
dato a fuoco
alle sue adorate rose in quella stanzetta in cui si rinchiude sempre, e
ho
chiuso lei dentro.»
«Sadica.»
«Lo
so.» Road si
avvicinò al muro di fronte a lei, incuriosita da qualcosa
che c’era per terra,
davanti all’orologio a pendolo. Scoprì che si
trattava del cadavere di Miranda,
con la testa fracassata. Si girò a guardare il suo collega,
leggermente
dubbiosa. «Non guardarmi così! Stava pulendo il
suo adorato orologio e ho
pensato che le avrebbe fatto piacere morire con lui!» Lavi si
giustificò con
quella che per Road era una ragione valida, e intinse le dita nel
sangue che formava
una larga pozza sul pavimento. Passò le dita sul muro,
scrivendo una frase che
adorava ripetere, “I matti sono apostoli di un Dio che non li
vuole”, in netto
contrasto con quella che campeggiava all’entrata
dell’istituto, che faceva
credere che loro fossero apostoli “speciali” di Dio.
«Perfetto,
ora
possiamo andare. Dai, aiutami a uccidere gli inservienti, prima finiamo
meglio
è.»
«Oook.»
I due si
divisero di nuovo, e continuarono con il loro massacro.
«Dottor
Cross, ho
portato il cibo per lei.»
«Finalmente,
stavo
morendo di fame.» Cross si alzò e aprì
la porta, poi tornò a sedersi sul
davanzale della finestra.
«Ecco
a lei» la
ragazza appoggiò il vassoio sul tavolo e si
accasciò a terra, mentre una
chiazza di sangue iniziava a colare dal lato della sua testa. Cross
rimase
impietrito quando vide chi aveva appena ucciso quella povera ragazza:
Allen lo
guardò sorridendo divertito, pulendosi le mani sul bianco
cappotto.
«Allen,
ma che
diavolo-! E quella dove l’hai presa?» Cross
seguì con lo sguardo la pistola che
Allen gli puntò addosso, continuando a sorridere.
«Non
è stato
difficile procurarmela, basta avere le conoscenze giuste.»
«E ora
che
vorresti fare?»
«Secondo
te?»
«A
cosa ti
servirebbe uccidermi?»
«Soddisfazione
personale? Non so, ho voglia di farlo e basta. In fin dei conti
chiedere a un
assassino perché uccide è come chiedere a uno
sportivo perché fa sport. Perché
gli piace, non c’è altra spiegazione.»
«Tu
non sei un
assassino Allen.»
«Chiedilo
a lei, e
alle altre due in cucina. Secondo me sono di altro parere.»
«Smettila
Allen.»
«Invocare
quel
nome non ti servirà a molto, Cross, pensavo che non fossi
così stupido.»
«Allen,
riprenditi! Tu non sei un assassino e lo sai!»
«Lui
forse no, ma
io sì.» Allen sorrise sempre di più,
divertito dalla situazione.
«È
solo una
questione mentale Allen, non lasciare che le idee malate di Mana ti
trasformino
in un pazzo!»
«Ma io
sono già un
pazzo! La mia mente è divisa in due, è come avere
due persone in un corpo solo!
Da una parte il dolce, gentile e sensibile Allen, dall’altra
in pazzo omicida
che sono io. Capisci che già questo mi rende un pazzo?
Uccidere qualcuno non fa
differenza.»
«Allen,
tu-»
«E
smettila di
chiamarmi Allen. Lui ora sta facendo la nanna, non svegliarlo. Quando
ero un
tuo paziente mi chiamavi per nome no? Su, non te lo ricordi?»
Cross non
rispose, si limitò a guardarlo.
«Che
noioso che
sei Cross, davvero.» Allen, o qualunque fosse il nome che
voleva che fosse
usato, abbassò la pistola e sollevò gli occhi al
cielo. Cross scattò in avanti
nel tentativo di disarmarlo, ma non servì a nulla: un
proiettile lo raggiunse
in pieno volto, uccidendolo sul colpo.
«Davvero
noioso.
Vabbeh, ho guadagnato tempo, è ora di raggiungere gli
altri.»
Raggiunse il
tetto, luogo d’incontro prestabilito. Lavi e Road erano
già lì, e si godevano
lo spettacolo delle fiamme che stavano pian piano divorando
l’edificio. Avevano
risparmiato giusto le scale che si raggiungevano dal tetto,
così da poter
fuggire.
«Ehi
Allen, hai
finito.»
«Sì,
e mi sono
annoiato a morte. Komui mi ha implorato, idem Johnny, Reever ha tentato
di
reagire ma non è servito a molto, ma il più
noioso è stato Cross, si è limitato
a farmi la predica e ha tentato un inutile mossa per disarmarmi. Uff,
speravo
che almeno lui mi divertisse un po’.»
«Sei
strano Allen,
più del solito.»
«Ovvio,
adesso non
sono Allen. Sarebbe strano se fossi come sempre.»
«In
che senso non
sei Allen?»
«Sei
il fratello
di Mana vero?» Road lo guardò con occhi fermi,
indagatori.
«Wow,
e tu come lo
sai?»
«So
molte cose.
Così però non mi piaci.»
«Perché
no?»
«Sei
come un morto
che cammina. In un corpo non tuo non sai come agire, e la cosa appare
grottesca. Mi piace di più Allen.» Road
andò verso il cornicione e si mise in
piedi sul bordo, osservando la neve che aveva iniziato a scendere piano.
«Beh,
ammetto che
mi hai lasciato un po’ perplesso. Non credevo che qualcuno
conoscesse la mia
storia.»
«Te lo
ripeto, io
sono una ragazza curiosa, so molte cose.» Continuava a
camminare avanti e
indietro sul cornicione, sorridendo felice.
«Perché
sorridi?»
«Perché
sono
felice.»
«Mi
stupisci
sempre di più pensavo che una pazza come te non provasse
emozioni. Nemmeno io
le provo.»
«Bugia.
Anche noi
proviamo emozioni, solo che le manifestiamo in maniera…
errata.» La ragazza
fece una piroetta e si fermò rivolta verso i ragazzi,
osservandoli con i suoi
occhioni viola, i corti capelli neri spettinati dal vento.
«Continui
a
sorprendermi. Non ti facevo tanto sentimentale.»
«Allora
sorprenditi
di nuovo perché ora vedrai che noi possiamo anche
volare» mormorò qualcos’altro
e si lasciò cadere nel vuoto, senza lasciare a nessuno il
tempo di reagire. Il
suono del suo corpo che si schiantava al suolo sembrò quello
di una bambola
caduta a terra. I due ragazzi, dopo un attimo di immobilità,
corsero giù dal
tetto, ma fu ovviamente inutile. Road era morta sul colpo, ma sul viso
aveva un
bellissimo sorriso. Allen si abbassò dolcemente a posare un
bacio sulla bianca
e sempre più fredda fronte, per poi chiuderle gli occhi per
sempre.
«Perché
si è
buttata?»
«Per
farmi
tornare.»
«Come
scusa?»
«Sono
tornato a
essere Allen. Road sapeva anche questo: vedendo qualcuno morire sarei
tornato
indietro.»
«Come
faceva a
saperlo?»
«Non
ne ho idea…»
Allen sollevò il cappuccio del cappotto e diede le spalle
all’edificio. L’odore
di bruciato e dei corpi carbonizzati si stava mischiando a quello delle
rose,
creando un odore orribile.
«E ora
che si fa?»
Lavi si avvicinò all’amico, stringendosi per il
freddo.
«Beh,
tu muori»
Lavi non ebbe il tempo di reagire che Allen lo pugnalò in
pieno petto. «Scusami,
ma anche se sei il mio migliore amico so che mi potresti tradire. Dormi
bene.»
Gli occhi di Lavi si spensero e il sul suo viso rimase un piccolo
sorriso
soddisfatto. Allen adagiò il suo corpo tra le rose, sapendo
quanto il ragazzo
amasse Lenalee e il profumo di fiori che sempre l’avvolgeva.
«Bene,
e ora che
si fa?» sentì in lontananza delle sirene, e
sorrise divertito mentre il suono
delle campane annunciava l’inizio del Natale. Si
strofinò con foga i capelli
con le mani sporche di sangue, sperando che bastasse a coprire il
bianco. Il
suo sorriso si allargò mentre pensava a come avrebbe fatto
la vittima, il
povero ragazzo sopravvissuto a quel terribile incendio. Si sarebbe
presentato
come Neah D. Campbell, nella speranza che nessuno di quella gente
ricordasse il
nome di quel pazzo, e dopo avergli raccontato tutta la storia, godendo
del
sospetto che pian piano cresceva sui loro volti, avrebbe ucciso tutti.
«Buon
compleanno,
Allen» mormorò ripetendo le ultime parole
sussurrate da Road, mentre calde
lacrime gli scorrevano sul viso deformato da un sorriso agghiacciante.
___________
Nota
d’autrice: e
come sempre buon Natale a tutti, soprattutto al nostro Allen! No,
dubito che io
riuscirò mai a scrivere una robina dolce e tenera, non
rientra nei miei
interessi. Su quattro storie che ho pubblicato di D.G-m quattro hanno
un bel
finale da dramma, ma vabbeh. Per quel che riguarda la storia: forse
qualcuno l’ha
notato ma sono stata ispirata dalla canzone di Simone Cristicchi
“Ti regalerò
una rosa”, infatti i vari titoli e alcune delle frasi
presenti nella storia
sono proprie della canzone, ma oltre a quello non
c’è altro, la storia
sicuramente non rispecchia quello che Cristicchi voleva trasmettere con
la sua
canzone, quindi non prendetela come un’interpretazione
perché non lo è! Mi
scuso se qualcuno con più conoscenze di me sulla psichiatria
è morto leggendo
le cose che ho scritto, ma io mi sono basata su quel poco che ricordo
dagli
studi delle superiori, quindi chiedo perdono. La divisione in tre
capitoli è
stata una scelta più che altro dettata dalla lunghezza della
storia che mi
contava 16 pagine di Word, il che mi pareva esagerato. Bon, penso che
non ci
sia altro da dire, quindi buone feste a tutti, ancora auguri al nostro
Allen
See
ya,
ElPsyCongroo