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Autore: La Nuit du Chasseur    27/12/2014    2 recensioni
"... Dici che potremmo concederci il lusso di sentirci, e di tanto in tanto di vederci anche? Senza promesse, senza dare un nome a questa cosa, solamente non perdersi di vista, non dimenticarci l’uno dell’altra. Dici che possiamo?”.
“Dico che possiamo, bambina” le disse sulla bocca.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io vedo il cielo sopra noi


        Miriam si alzò decisamente allegra quella mattina: era una settimana che vedeva Christopher e quel sabato sarebbero andati a Las Vegas per il weekend. Avevano una conferenza per la compagnia e lui aveva fatto di tutto perché fossero mandati loro due, e non qualcun altro.
Si alzò velocemente e si apprestò a sistemarsi: aveva tagliato di un po’ i capelli, che ora erano un dolcissimo caschetto vaporoso e mosso, di un biondo miele  molto caldo. Si truccò leggermente, giusto una linea di eyeliner e un po’ di mascara, per poi andare a vestirsi.
Aprì il suo armadio e notò quanto quella settimana l’avesse cambiata: aveva dato un taglio ai jeans, alle maglie larghe, alle casacche con stampe divertenti, alle infradito comode. Qualche giorno prima era andata a fare shopping con il suo primo stipendio americano, e Christopher le aveva consigliato di adottare un genere più sobrio, un look più sofisticato e adulto.
Così ora aveva l’armadio pieno di abiti che non si sarebbe mai sognata di indossare fino ad un mese prima, ma quando, dopo qualche minuto, si rimirò allo specchio, sorrise e si disse che finalmente poteva iniziare a sentirsi bene. Guardò a lungo la gonna al ginocchio con motivi floreali e pieghe fitte, sulla quale aveva adottato una camicia di seta sbracciata e bianca con un largo fiocco che chiudeva lo scollo. Ai piedi delle spuntate con un leggero tacco che le davano quei centimetri in più che la slanciavano.
Prese la sua nuova borsa rigida a tracolla e indossò gli occhiali da sole, regalo di Christopher, che completavano un look che nell’insieme le piaceva moltissimo. Dopo aver afferrato il suo trolley e aver sentito il campanello che annunciava l’arrivo del taxi, chiuse l’appartamento e scese le scale, uscendo dal comprensorio con un sorriso raggiante.
“Ciao, cara” le disse caldamente Christopher, sceso dal taxi per attenderla. Le baciò una guancia a fior di labbra, poi si impossessò del trolley, che mise nel bagagliaio insieme al suo, e subito dopo le aprì la portiera per farla accomodare. Quando si fu seduto anche lui, il tassista partì alla volta di LAX.
“Allora, come mi trovi?” cinguettò Miriam, dandosi qualche aria.
“Bellissima, chéri” sorrise Christopher guardandola nei suoi nuovissimi abiti. “Vedi che avevo ragione nella boutique l’altro giorno?” le disse ammonendola.
“Già, devo dire che ci hai visto lungo” convenne Miriam, guardandosi soddisfatta. “Mi sento molto bene e questo cambio di look mi sembra che mi abbia portato su una nuova strada” disse.
“E questa strada comprende per caso un gentiluomo?” la prese in giro Christopher.
“Vedremo, Mister Carter. Vedremo” chiuse il discorso Miriam, guardando fuori dal finestrino. Si sentiva bene, bella, potente, serena. Jared iniziava ad essere un ricordo e dopo aver eliminato dal suo appartamento ogni traccia di lui, le cose avevano preso una piega che le piaceva parecchio. Inutile negare che in quel cambiamento, Christopher Carter ci aveva messo del suo, e per quello Miriam gli era molto grata.
Si era goduta il viaggio e in meno di quattro ore erano comodamente seduti nella terrazza del loro hotel, a Las Vegas, a godersi un cocktail, prima della conferenza a cui dovevano partecipare nel pomeriggio. Miriam era affascinata da quella città, e sperava di poterla visitare, per quanto il tempo stringesse: “Chris, quanto tempo libero abbiamo?” chiese con nonchalance, guardando il depliant della conferenza.
“Mah, finiremo al centro per le diciotto, se tutto va bene, poi domani mattina abbiamo quella colazione di lavoro. L’aereo, se non erro, è molto tardi domani sera. Quindi, secondo i piani: la serata di oggi e tutto il pomeriggio di domani” concluse la sua analisi soddisfatto.
Miriam accennò ad un sorriso: era così diverso da Jared!
“Bene, mi piacerebbe visitare qualcosa. Sei mai stato in questa città?”
“Per la verità svariate volte, questi incontri annuali li organizzano quasi sempre qui e negli ultimi anni sono sempre stato io il fiore all’occhiello della compagnia”
“Quindi potresti farmi da Cicerone?” chiese facendogli gli occhi dolci.
“Certo, tesoro” le confermò lui, prendendole gentilmente la mano. Miriam si lasciò coccolare le dita, guardando lo skyline e sentendosi in pace, quando ad un certo punto sentì la sua suoneria. Lasciò la mano di Christopher per prendere il cellulare, e subito dopo sbuffò: Shannon, segnava il display. Rifiutò la chiamata in maniera secca e tuffò il cellulare di nuovo in borsa, alla rinfusa. Stava per chiuderla, quando riprese il cellulare e lo mise ordinatamente nella sacchetta laterale, quella con la chiusura lampo: Christopher le aveva insegnato che riporlo lì le avrebbe consentito di sapere dove fosse con certezza e di conseguenza trovarlo senza nessun intoppo ai primi squilli. Chiuse la borsa e sorrise di nuovo. Al cambiamento. 
“Chi era?” chiese Christopher con apparente disinteresse, mentre sorseggiava il suo cocktail e allungava lo sguardo alla sua vicina di tavolo.
“Niente, solo una vecchia amica di Parigi. La richiamerò” mentì Miriam. Poi pensò che ultimamente mentiva troppo spesso e iniziava a farlo con troppa sicurezza.

        Shannon chiuse la conversazione e lanciò il suo cellulare sul divano, con frustrazione: era una settimana che cercava Miriam, inutilmente. Lei non rispondeva, si negava al telefono, aveva finto di non essere in casa solo qualche giorno prima, quando lui era andato a citofonarle di persona.
Sbuffò e con le mani sui fianchi, guardò il suo cellulare spento sul divano, valutando il da farsi. Che poi da fare c’era molto poco, se Miriam aveva deciso di tagliare i ponti, perché quello stava accadendo, lui non poteva costringerla a fare altrimenti, anche se la rabbia iniziava a diventare tanta: l’aveva lasciato con un peso sullo stomaco da gestire, costringendolo a mentire al suo migliore amico, ed ora stava rifiutando il suo aiuto e la sua mano tesa.
“Cosa succede?” chiese Emma entrando in salotto con un barattolo di gelato in mano.
“Uhm!?”
“Troppe parole, decisamente” lo prese in giro lei. Gli si avvicinò e gli lasciò un bacio sul collo, con le labbra fredde di gelato, poi lo aggirò e andò ad accoccolarsi sul suo lato preferito del divano, affondando il cucchiaio nel barattolo, placidamente poggiato sulla pancia. “Pensavo che forse ho trovato un lato positivo a questa pancia” brontolò. 
“Poggiarci il barattolo del gelato sopra?”
“No, cretino” rise Emma. “Non fare la fila al supermercato” annunciò fiera, come se quella fosse la scoperta del secolo. 
“Diabolica, Emma Ludbrook”
“Guarda che è una cosa fantastica! Ieri ho fatto la spesa in sette minuti netti e un solo sorriso” rispose estasiata. “Certo, ho dovuto subire i consigli di donne impazzite, però è uno scotto che sono disposta a pagare” rifletté brandendo il cucchiaio e facendolo volteggiare in aria.
“Dieci giorni, Emma” le annunciò Shannon, sedendosi accanto a lei.
“Cosa?”. Emma aveva iniziato a divorare gelato un mesetto prima, e sembrava essere l’unico pasto che riuscisse a fare senza interruzioni di alcun genere. In quello stesso momento era decisa a finire quel barattolo al cioccolato e nocciola e per Shannon era una visione di una dolcezza senza fine vederla con un enorme cucchiaio affondare nel morbido e poi mangiare di gusto.
“All’evento”
“Quale evento? I concerti non inizieranno prima dell’autunno inoltrato. Li avete spostati, ricordi?”
“Emma, ma quali concerti!” le rispose dolcemente Shannon, ridendo intenerito da quella sua ingenuità. “Fra dieci giorni, il nostro bimbo sarà con noi”
“Uh” disse solo Emma, lasciando il cucchiaio nel barattolo e sgranando gli occhi. Non che non lo sapesse, ma sentirlo dire ad alta voce era un’altra cosa: dieci giorni erano decisamente troppo pochi. Voleva altro tempo, voleva altri mesi: non poteva essere un elefante!?
“Andrà bene”. Ormai Shannon le leggeva il pensiero e nonostante fosse teso anche lui, sperava di riuscire ad aiutarla per come poteva. Le si avvicinò, le prese il barattolo dalle mani e poi la attirò a se, lasciando che si poggiasse al suo petto e circondandola con un braccio. Il fatto che lei fosse sconvolta lo deduceva dal fatto che non era stato assaltato come avevano fatto i Marines con Osama Bin Laden, quando le aveva preso il gelato dalle mani. Subito dopo prese un generoso cucchiaio di gelato e la imboccò, prima di prenderne un po’ per se. “Stai bene?”
“Si, si, sto bene” sussurrò appena.
“Ehi, non dirmi che ti eri scordata di dover partorire!”
“Stupido!” gli rispose assestandogli un pugno sul braccio, anche se sapeva che gli aveva al massimo fatto del solletico. “E’ che sentirlo dire ad alta voce è diverso. E poi…”
“Poi?”
“Poi non credevo che avessi calcolato i giorni” disse guardandolo negli occhi ed imbarazzandosi come era sua natura.
“Emma, ma che dici?”
“Questo periodo sei strano, distratto, litighiamo per cose stupide… e poi flirti con Shayla!”
“Ancora con questa storia?” le chiese, ma non era arrabbiato, anzi le accarezzò i capelli e continuò a darle il gelato, che lei prendeva come fosse una bambina. In quel periodo l’aveva viziata troppo poco, se ne rendeva conto, ed Emma ne aveva in qualche modo sofferto, anche se era stata zitta e aveva affrontato tutto come solo lei sapeva fare. Come un tank. 
“Non la passerai liscia, lo sai”
Shannon posò il barattolo per terra, vicino al divano, poi si spostò piano e la abbracciò meglio. “Ascoltami” disse piano, direttamente al suo orecchio. “Tu e… lui, o forse lei, siete la cosa più importante e bella per me”
“Lo so”
“Solo che Jared mi preoccupa e Tomo… quella storia non mi fa stare tranquillo. Avrei voluto godermi la nascita di mio figlio in maniera diversa, ma loro sono in qualche modo la mia famiglia. Scusami”
“Lo capisco, davvero. Solo che ogni tanto mi manchi”
“Possiamo fare in modo che non accada”
“Come?”
“Basta che tu me lo dica”
Emma annuì sorridendo e si sporse a baciargli le labbra piano, sfiorandole appena e rimanendo su quel contatto per tutto il tempo necessario a sentire di nuovo il calore della sua famiglia. “Vuoi dirmi perché prima fissavi il cellulare?”
“No, niente”
Emma lo fissò severa e poi lo ammonì: “Inizi a mancarmi…”
“E va bene” le rispose sorridendo. “Ho chiamato Miriam, prima”
“E non ha risposto?”
“No, niente”
“Quante volte l’hai cercata questa settimana?”
“Ormai non le conto neanche più” ammise lasciando andare la testa sulla spalliera dietro di lui e sfregandosi il viso.
“Shan, secondo me dovresti lasciare stare”
“Dici?”
Emma si alzò e si sedette al suo fianco, accarezzandogli il collo appena sotto l’attaccatura dei capelli, perché sapeva che quel punto lo rilassava molto. “Si. La settimana scorsa avevo consigliato a Jared di andarle a parlare, di cercare di risolvere la situazione, perché si vede che la ama e che soffre ed è inutile stare così, per entrambi”
“Si, ma non mi è sembrato migliorato il suo umore questi giorni” disse Shannon. Poi aggiunse: “Anzi… a dire il vero mi sembrava peggiorato”. Si grattò la testa pensando alla sfuriata che aveva fatto alla povera Shayla un paio di giorni prima, colpevole solo di aver invertito l’ordine degli spartiti.
“Quindi forse le cose non sono andate come speravamo”
“Emma, non ti seguo”
“Forse è andato a parlarle, seguendo il mio consiglio, ma ha ricevuto un benservito, o comunque non sono riusciti a risolvere le cose”
“Quindi dovrei lasciarla stare per questo?”
“Shan, io so benissimo che tu vorresti aiutarla e allo stesso tempo sistemare le cose per tutti, ma a volte non si può” gli disse dolcemente. “Forse è il caso di lasciare che Miriam se la risolva da sola, si rialzi da sola”
Shannon sospirò e si accoccolò ad Emma, lasciando che lei gli accarezzasse i capelli e lo baciasse teneramente sulla fronte. “Io non ce la faccio a tenermi questo peso. Tomo deve sapere”
“Credi di dover essere tu a dirglielo?”
“In realtà vorrei che fosse Miriam a dirglielo. L’ha scoperto lei e Kiki era una persona legata ad entrambi: dovrebbero prendersi il tempo di piangere per lei, entrambi”
“E allora lascia che Miriam a decidere e valutare, lascia che prenda la sua decisione”
“Lo sto tradendo. E’ il mio migliore amico”
“Capirà, quando gli spiegherai tutto, Shan”
“Sono felice che tu sia qui. Che tu sia mia”
“Dieci giorni Shannon, poi sarò di qualcun altro” lo prese in giro, ridendo.
“Tu rimarrai sempre mia, sia chiaro” le disse sulla bocca allungandosi verso di lei e baciandola subito dopo. Emma indietreggiò sul divano fissandolo negli occhi e poi gli buttò le braccia al collo e lo attirò verso di lei, lasciando che Shannon le si sdraiasse accanto.
“E tu dì alle altre di tenere a bada gli artigli” gli soffiò sulle labbra, prima di lasciare che le loro lingue si ritrovassero.

        Vicki era pensierosa, in quella mattinata d’agosto. Non aveva più avuto modo di parlare con Tomo, la cosa la innervosiva, perché sentiva che c’era un problema, ma non riusciva a capire dove: fino ad una settimana prima le cose andavano a meraviglia, poi il nulla.
Dopo aver chiacchierato con Jared al Lab, aveva deciso di rilassarsi: nessuno avrebbe fatto del male a Tomo, Jared gliel’aveva promesso, ma ora voleva solamente rivedere suo marito. E riprenderselo.
“Ehi, ciao, sono io” disse alla segreteria telefonica. Era strano comporre il numero di quella che era stata casa sua. “Senti, volevo invitarti a cena questa sera, da me. Fammi sapere, ciao!”. Appese la cornetta e chiuse gli occhi: era il momento di far tornare le cose come era giusto che fossero. Insieme.

        In quei giorni Los Angeles sembrava stranamente calma, sembrava muoversi a rallentatore, il che era un male essendo abituati alla sua frenesia, che comunque non poteva essere paragonata a New York. Jared, con la mani in tasca e gli occhiali da sole, passeggiava piano verso il MarsLab: aver visto Miriam con quell’uomo lo aveva lasciato insonne per una settimana, lo aveva lasciato vuoto, amareggiato. Non roso dalla gelosia, che comunque c’era evidentemente, ma deluso dal fatto che lei avesse deciso, di punto in bianco di farla finita davvero, e si era concessa qualcosa che non fosse lui. Come si può passare da un grande amore come il loro ad un flirt di poco conto in meno di venti giorni?
Jared fissò il sole fino a che gli occhi gli fecero male e, accecato, realizzò che forse lui sbagliava i termini della riflessione: grande amore, flirt. Chi gli diceva che le cose erano davvero così? Chi gli diceva che quello fosse il flirt di poco conto e che il loro fosse stato, e fosse ancora un grande amore? Non sapeva più niente, e quel rimescolare le carte, quell’eterno mettere in discussione la sua vita privata, lo faceva diventare un leone in gabbia.
Entrò al MarsLab di cattivo umore e sperò di non trovarci anima viva, così da potersi chiudere in sala a lavorare. Le sue previsioni però furono sbagliate: Tomo gli andò incontro, in pessimo stato anche lui.
“Ciao, amico”
“Ciao” rispose laconicamente Jared, andando verso la cucina a prendersi un frullato.
“Senti, le melodie sono apposto, ci ho lavorato fino ad ora. Shannon non s’è visto, mi ha scritto e dice che vuole stare con Emma e i documenti sono sistemati”
“Chi li ha sistemati?”
“Shayla ha detto di averli visti con Shannon qualche giorno fa”
“Shannon?”
“Non lo so, chiedi a lei, è di là”
“Ok”
“Ciao”.
Conversazioni così folli neanche sotto sbornia, pensò Jared, così si girò al volo e lo chiamò urgentemente: “Ehi, Tomo aspetta”
“Dimmi”
“Come va con Vicki?”
Tomo si grattò la nuca e attese un tempo decisamente troppo lungo per rispondere. Era il tempo che suggeriva che le cose avrebbero potuto andare molto meglio. “Non va molto bene”
“Vuoi parlarne?”
“No, preferirei di no”
“D’accordo” gli disse Jared sorseggiando il suo frullato. Pensò che non fosse il caso rivelare la sua conversazione con Vicki, era giusto tenere un piccolo segreto per il bene di un’amica che gli era sembrata sincera.
“E tu?”
“Io cosa?”
“Questa settimana mi sei sembrato un po’ scontroso”
“Io?” rispose Jared con una voce ampiamente stridula, puntandosi il dito sul petto a voler evidenziare che lui era stato giusto, coerente e sereno. Più o meno.
“Stavi sbranando Shayla solo un paio di giorni fa” rise Tomo, abbassando la voce e avvicinandosi all’amico.
“Uhm”. Jared distolse lo sguardo: non poteva certo negare l’evidenza.
“Chiarisci, sta sgobbando da ieri sera per recuperare quell’errore. E tu sai che non era niente di grave. Non lo merita”
Jared non rispose e lo guardò con aria di sfida, poi asserì: “Guarderò i documenti, prima”
“Sempre il solito” rise Tomo, prima di salutarlo e andarsene via.
Jared prese il suo bicchiere e andò verso l’ufficio, bussando piano per avvertire la sua presenza. Udì un leggero: “Avanti” e riconobbe la voce di Shayla. Entrò piano e sorrise, avvicinandosi alla scrivania e notando che quel giorno la ragazza aveva un’aria diversa.
“Ciao, posso vedere i documenti che hai sistemato? Tomo mi ha detto che sono pronti?”
“Si, eccoli” disse prontamente lei, passandogli un plico con una grande etichetta bianca sopra. “Li ho catalogati e corretti. Mi ha aiutato Shannon” aggiunse poi, timidamente.
“Bene”
“Io non volevo scavalcarti, ma…”
“Non c’è problema, Shayla, davvero” le disse regalandole un sorriso caldo, prima di lasciare la stanza e andare ad esaminarli.  
Dopo un’oretta aveva finito di leggere: i documenti erano dannatamente buoni, perfetti, ordinati e con nessuna pecca. Jared aveva un sorriso soddisfatto stampato in volto, così pensò di andare a scusarsi con Shayla. Entrò piano nel suo ufficio, ma vide che era vuoto, così la chiamò piano e vide una figura in giardino che si stiracchiava. Uscì e le si fermò dietro: era bella, anche se non se ne era mai accorto. Aveva un fisico snello, asciutto, aiutato dalla molta palestra che faceva e dai vestiti strategici che indossava tutti i giorni.
“Scusa” sussurrò appena alle sue spalle, vedendola prendere un pizzico di paura.
Shayla si girò di scatto e lo fissò per un secondo, vedendolo sorridere: “C’è qualcosa che non va?”
“No, i documenti sono perfetti, vanno firmati e riposti nel cassetto così come sono” le disse con il plico in mano. Poi aggiunse: “Volevo scusarmi, per l’altro giorno”
“Oh” disse Shayla, colpita. “Non fa niente, avevi ragione tu”
“Si, ma non avrei dovuto trattarti in quel modo”
“Va bene, scuse accettate” sorrise lei, inclinando la testa e guardandolo meglio. “Prendiamo un caffè? Ti va?”
“No, ti faccio compagnia però”.
“Va bene, rimani qui, vado a prendermene una tazza e torno” disse sorridendo. Si avviò verso la porta finestra della cucina a grandi passi, lasciando che le sue gambe lunghe fendessero il terreno. Jared la osservò a lungo e sorrise: cosa diavolo stava pensando!?

Shayla tornò qualche minuto dopo e lo trovò seduto sul grande divano di vimini, al limitare del giardino, lo raggiunse e si sedette al suo fianco, scalciando le scarpe e rannicchiandosi con la tazza sulle ginocchia. Los Angeles stava per cedere il passo alla notte e il tramonto che era davanti a loro era mozzafiato. Lo guardarono in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, che per Jared erano gli stessi da venti giorni a quella parte e avevano un solo nome: Miriam. In quel momento però il rosso fuoco del cielo, mischiato al profumo di Shayla che il vento gli faceva arrivare sotto il naso, gli suggerivano di fare la stessa cosa che aveva fatto lei: andare avanti. Sapeva che dimenticare è una parola che dicono i vigliacchi, coloro che per natura non sono portati ad essere onesti, coloro che sono stati dotati solamente di un grande dono, che è l’illudersi, e sapeva altrettanto bene che lui non faceva parte di quella schiera di persone. Lui, nella vita, non aveva mai dimenticato niente.
Questo però non gli impediva di iniziare a camminare di nuovo, di lasciare che quella staticità che gli faceva girare la testa lo infangasse ancora di più nelle sabbie mobili da cui non riusciva ad uscire, nelle quali si era relegato da solo, in qualche modo. Sorrise piano, e cullato dalla brezza estiva e da sole che stava scomparendo decise di andare avanti.

        Shayla lo osservò a lungo, vedendo il suo profilo perfetto e chiedendosi da quanto tempo era diventata tranquilla nello star seduta accanto a lui. Quando aveva iniziato a lavorare per lui era stato un trauma ogni giorno, e non perché lui le piaceva a livello fisico: lei era innamorata di Shannon, da sempre. Distolse lo sguardo dal viso di Jared e sorseggiò il caffè, che le procurò una fitta allo stomaco: quella bevanda la collegava a lui, così come le bacchette che trovava ovunque, gli spartiti, il suo odore, la sua presenza, importante anche quando non era nei paraggi.
Lo conosceva da anni e non si era mai esposta troppo, si era limitata ad essere l’amica, la collaboratrice, a volte, ma raramente, la confidente, quella con cui scherzare e ridere. E lei era rimasta nell’ombra a sperare di diventare qualcosa di più, cosa che non era mai avvenuta.
Nessuno sapeva della sua cotta per Shannon, era stata brava, più o meno. E quando Shannon aveva iniziato a parlare con Emma costantemente, l’anno prima in tour, per lei era stato un colpo al cuore, ma forte come quando nell’autunno erano venuti allo scoperto. Ricordava quel giorno: era arrivata a lavoro di corsa, carica di cose da fare e con la borsa zeppa di qualsiasi cosa. Aveva dormito poco ed era di cattivo umore, ed era piombata in sala, entrando dal lato sbagliato per fare prima ed evitare Jared, che a quell’ora era sicuramente in cucina a farsi un tea. Non avrebbe sopportato la ramazina, e per quello aveva scelto la via più breve e meno vistosa. Quando aveva aperto la portafinestra, fiondandosi dentro la sala, aveva trovato Shannon semiseduto sulla spalliera del divano, con Emma in piedi di fronte a lui. Lui la teneva fra le sue gambe e le cingeva la vita con entrambe le braccia, lei aveva le mani sul suo collo e rideva, con i volti ad pochi centimetri di distanza. Era rimasta pietrificata, immobile e loro avevano confessato, imbarazzati: si stavano frequentando, da qualche tempo.
Aveva incassato il colpo, aveva finto di essere felice, si era congratulata ed era corsa con la scusa pietosa del ritardo. Poi aveva passato mezz’ora in bagno e la giornata chiusa nel suo ufficio, con la testa bassa. Si ricordava quel giorno come fosse ieri ed era fermamente convinta che se lo sarebbe ricordato per sempre.
Aveva continuato a fingere di essere serena, ma quell’anno era stato terribile. L’unica cosa di cui era felice è che nessuno potesse dire di aver scoperto il suo segreto: solo Shannon ne era consapevole, ma lei non lo sapeva.

“A che pensi?” le chiese improvvisamente Jared.
“Oh, a nulla” mentì lei, presa alla sprovvista. “Guardavo il tramonto”
“Dalle colline è ancora più bello”
“Mi accontento di stare qui, ho sempre amato questo posto”
“Davvero?”
“Si, non lo sapevi?”
“No, in realtà no”
“Beh, qui ho pianto la prima volta per una tua sfuriata e da quel giorno è diventato il mio posto, qui dentro” rivelò, serena.
“Io non ho mai fatto sfuriate!”
Shayla lo guardò con la coda dell’occhio e scoppiò a ridere nel vedere la sua espressione. “Jared, due giorni fa”
“Quello non c’entra”
“Si, comunque l’hai fatta: lavoravo per te da tre settimane e mi ero dimenticata di chiamare il tuo agente per un progetto a cui tenevi”
“Avevo ragione allora”
“Mi hai fatto pensare di essere un’incapace” gli disse lei, ridendo e pensando a quanta acqua era passata sotto ai ponti.
“Dai, sono stato così cattivo?”
“Già”
“E come mai non mi hai mandato al diavolo?”
“Perché il tuo fascino è irresistibile” sussurrò ridendo e prendendosi gioco di lui. Poi scoppiò a ridere e aggiunse: “O perché a quei tempi il lavoro mi serviva e tu pagavi bene”
“Hai appena detto che il mio fascino non ti ha mai solleticato” disse offeso.
“Esattamente” continuò lei, decisa a non dargliela vinta.
“Sicura?” chiese Jared, girandosi a guardarla. La fissò qualche istante e la vide girarsi a sua volta, incatenando i suoi occhi al suo viso e rimanendo in silenzio a guardarlo. Di tanto in tanto sorseggiava il suo caffè, in silenzio, e lasciava che lui le leggesse l’anima con uno sguardo. Dicevano tutti che ne era capace.
“Vogliamo fare una prova?” le sussurrò, abbassando la voce e rendendola roca al punto giusto. Le si avvicinò piano, fino a sfiorare con il suo braccio la pelle nuda di Shayla, che non mosse un muscolo.
“Vincerò io, Leto” rispose lei, con un lampo negli occhi.
“Sicura?”
“Sicurissima” disse ancora, prima di alzarsi e fare un paio di passi, decisa a portare la tazza ormai vuota in cucina. Non fece in tempo a camminare oltre che si sentì braccata e si immobilizzò: la sua schiena era a strettissimo contatto con il petto di Jared, che le cingeva la vita con un braccio, lasciando l’altro stesso lungo il corpo, a sfiorarla appena.
Shayla non era pronta a cedere, ma sentiva i battiti accelerare, il respiro forte di Jared nell’orecchio e la sua presenza troppo prepotente dietro di lei. Girò appena la testa, quel tanto che bastò alle labbra di Jared di scontrarsi con il suo zigomo, dandole i brividi.
“Cosa fai, Leto?” gli chiese sicura, continuando quella sfida che non sapeva dove l’avrebbe portata.
“E tu?” rispose lui, con la voce roca. Serrò la presa del braccio e se la strinse ancora di più al corpo, non lasciandole alcuna mossa.
“Io stavo andando in cucina” lo prese in giro lei”
“E perché non ci vai?”
Shayla rise e spostò la sua mano sul braccio di Jared, quello che la incatenava a lui. Passò le dita leggere sulla sua pelle, andando su e giù e lasciando piccoli cerchi e ghirigori senza senso. “Sai, mi manca l’aria”
“Allora ammetti che ti faccio effetto”
“Non per quello, Leto” lo canzonò ancora lei, come una gatta decisa a non dargli ragione.
La risata di Jared le arrivò dritta al petto ed esplose dentro il suo orecchio: era calda, roca, sensuale e terribilmente acuta. Le smosse un terremoto nello stomaco che a stento riuscì a dominare. Girò ancora di più la testa e lo guardò negli occhi: erano a meno di due centimetri di distanza ormai. “Cosa vuoi fare?”
“Dimmelo tu”
Shayla pensò a tutti gli anni che aveva perso nel seguire Shannon, nel credere nell’amore vero, nel voler qualcosa che alla fine si era presa qualcun’altra. Sapeva la situazione di Jared, sapeva che non l’amava, ma vivere a volte significa anche lasciarsi andare in maniera sbagliata. Gli sorrise e posò le labbra sulle sue.

        Tomo rientrò in casa di corsa e vide il led della segreteria telefonica lampeggiare. Si avvicinò all’apparecchio e pigiò il tasto verde, lasciando che la voce computerizzata gli annunciasse la presenza di un messaggio registrato. Tomo rimase in attesa e quando sentì la voce di Vicki rimase a fissare il vuoto lasciando che il messaggio terminasse, annunciando la sua fine con un freddo bip.
Tomo si toccò la barba e rimase a pensare. Poi prese velocemente il cellulare e chiamò l’unica persona da cui voleva un consiglio.
Lasciò che il telefono squillasse fino a quando Shannon rispose: “Ehi, dimmi”
“Mi ha chiamato Vicki, vuole vedermi”
“E quindi?”
“Quindi cosa faccio?”
“Vai?!” rispose sarcastico Shannon, mentre guardava languido Emma nuda sul divano, che lo attendeva.
“Shannon!” si lamentò Tomo.
“Oh senti tu vuoi vederla e lei vuole vedere te. Vai e chiedile come stanno le cose. Continuare a torturarsi non ha senso e detta francamente, questa storia dovrà avere un epilogo, prima  o poi”
“Non sei simpatico”
“Non quando vengo interrotto durante un’attività interessante”
“Ah stavi suonando? Scusami!”
Shannon si sfregò il viso vigorosamente pensando che non c’erano speranze per Tomo e forse neanche per Jared, così tagliò corto: “Si, esatto. Ciao Tomo, fammi sapere”. Poi dopo un pausa aggiunse: “E ti auguro di suonare tanto oggi, ne hai bisogno”
“Cos…!?” non fece in tempo a finire la frase che Shannon aveva attaccato la telefonata ed era tornato da sua moglie.
Tomo rimase perplesso, poi chiamò Vicki. Nessuna risposta, lasciò il cellulare sul divano e si avviò verso il bagno, quando sentì la sua suoneria e si precipitò di nuovo in salotto.
“Vicki, ciao!”
“Ciao, scusami ero impicciata”
“Ho sentito il tuo messaggio, è ancora valido l’invito a cena?” chiese.
“Certo, ovviamente si” rispose Vicki allegra, sentendo un peso lasciare il suo stomaco.
“Bene, allora ci vediamo in serata. Porto qualcosa?”
“No, penso a tutto io”
“A dopo” chiuse la chiamata Tomo. Non appena si ritrovò nel silenzio pensò che Shannon aveva ragione: serviva un epilogo, qualsiasi decidessero di scrivere. Corse sotto la doccia, determinato a dare un taglio a quell’indecisione che dominava la sua vita.

        Il weekend stava passando nel migliore dei modi, Las Vegas brillava delle sue luci artificiali e accecanti e Miriam sembrava una bambina il giorno di Natale.
Era da poco finita la noiosa convention alla quale dovevano partecipare per conto della compagnia, e Miriam non vedeva l’ora di tornare in hotel a cambiare scarpe e indossare qualcosa di più comodo, quando Christopher le si avvicinò e le sussurrò: “Cena per due allo Sheraton, cara”
“Oh, davvero?” squittì Miriam sorridendo. Gli toccò la mano delicatamente e si voltò a guardarlo negli occhi. Quando vide il suo sguardo scuro e caldo si convinse che era la decisione giusta: lui sarebbe stato un buon compagno per lei.
“Certo, dobbiamo festeggiare”
“Festeggiare? Cosa?”
“La nostra prima settimana insieme, ovviamente”
“Uhm… giusto”
“Ti aspetto nella hall alle sette e trenta”
“D’accordo, a dopo” gli disse lasciandogli un bacio sulla guancia. Poi corse verso gli ascensori e dopo una doccia e un leggero make up si avventò sull’armadio per scegliere gli abiti ideali. Se fosse stato Jared avrebbe optato per un pantalone informale e una camicia, e mentre quel pensiero si faceva largo nella sua testa e davanti ai suoi occhi si palesavano solamente abiti totalmente diversi, sentì una fitta allo stomaco. Chiuse gli occhi e parlando da sola sussurrò: “Da brava, mettiti un sorriso in faccia”.
Scese puntuale, indossando un tubino grigio antracite con un copri spalle di cotone nero e delle scarpe dal tacco alto rosse. Prima, in stanza, aveva legato i capelli con una coda laterale e guardandosi allo specchio aveva ripensato che quella era l’acconciatura che preferiva e che amava tanto Jared. Li sciolse freneticamente e li annodò in una treccia alta molto elegante, lasciando solamente la sua nuova frangia a coprirle la fronte. Molto meglio, penso in ascensore, guardandosi.
“Sei splendida. Andiamo?”
“Andiamo” disse sfoderando un sorriso smagliante e legando la sua mano al braccio piegato dell’uomo. Passarono una serata formale e delicata: la cena era squisita, l’ambiente sofisticato e i camerieri zelanti. Miriam era fin troppo abituata a quel tono delle cose, le sembrava di essere tornata indietro e gustando la sua entrecote alla piastra su letto di purea di patate aromatizzate al rosmarino, credette di vedere suo padre sorriderle, certo di aver vinto la loro platonica battaglia.
Sospirò e si pulì elegantemente la bocca, prima di scusarsi dicendo che doveva andare alla toilette: sapeva benissimo che non era educato lasciare la tavola con il pasto non terminato, ma aveva bisogno di aria. Si precipitò in bagno con la sua borsetta e lì prese in cellulare: tre chiamate perse. Sbuffò e tremando vide chi l’aveva cercata: Tomo e Shannon, come nell’ultima settimana. Spense il cellulare e una volta presa aria, tornò al tavolo, sedendosi di nuovo pronta a calarsi nella parte che ormai le apparteneva da una vita.
“Tutto bene?”
“Si, sarà il caldo, ho avuto un piccolo mancamento. Dicevamo?”
Christopher prese una busta dalla sua giacca e gli passò: dentro, fra le mani di Miriam, due biglietti per un esclusivo spettacolo di teatro, per quella sera stessa.
“Grazie, non avresti dovuto. Sarebbe andata bene una passeggiata per la città”
“Le passeggiate sono per le persone normali. Noi abbiamo possibilità diverse e dobbiamo goderci la vita” rispose Christopher con un sorriso quasi fastidioso sul volto. Miriam sorrise di rimando e finì il suo pasto.

        In quello stesso momento, in uno Stato diverso, Jared guardava negli occhi Shayla, mentre lei gli sorrideva con malizia.
“Sei bellissima” le sussurrò sulle labbra, mentre con le mani andava su e giù sui suoi fianchi, sentendone la morbidezza sotto i palmi. La attirò a se con una punta di prepotenza, fino a sentire il suo corpo a completo contatto col suo, fino a sentire il suo seno sul suo petto. Erano ancora in giardino, ora uno di fronte all’altro, il silenzio intorno e l’oscurità che aveva preso il posto del rosso del tramonto.
Jared la baciò di nuovo e sentì le sua mani vagargli sulla schiena: provò istintivamente un brivido d’eccitazione e fu inebriato dal suo profumo e dalla sua lingua che morbida accarezzava la sua bocca.
“Jared…”
“Vuoi fermarti?”
“No, io…” ansiamò Shayla prima di riprendere a baciarlo. “Vorrei” un altro bacio “solamente” un altro bacio “sentirti” un altro bacio “addosso” un altro bacio “a” un altro bacio “me”.
Jared lo prese come un invito e spostando le mani più in basso con un colpo sicuro la prese in braccio, sentendo che lei, dopo una risata argentina, allacciava la gambe dietro la sua schiena. Continuò a baciarla, poi la portò dentro casa ed iniziò a salire la scale, mentre lei gli slacciava la camicia e toccava il suo torace e la sua schiena con mani sicure e decise.
Arrivò nella sua stanza e la lasciò sul divano, mentre si stendeva su di lei. Le tolse l’abito di cotone che ricopriva il suo corpo e scoprì un paio di autoreggenti scuri che gli mandarono in sangue al cervello. Shayla rimase in intimo e reggicalze e lo fissò con aria piena di sfida e malizia.
“Che fai, ti fermi ora?” lo provocò, accarezzandogli un fianco con il piede, su e giù.
“Ti piacerebbe” le rispose lui, abbassandosi su di lei e lasciando che lei sentisse la sua eccitazione.
“Così va meglio, molto meglio” gli disse nell’orecchio, mordendoglielo. Poi aggiunse: “Sei ancora troppo vestito, per i miei gusti”
Jared non le rispose, riprese a baciarla avidamente, percorrendo il suo corpo con la lingua e arrivando al bordo dei suoi slip, da dove alzò lo sguardo e la fissò con la voglia negli occhi.
Shayla annuì piano, gli diede un permesso che sapeva di libertà e menefreghismo, che sapeva di eccitazione e voglia di vivere qualcosa di pancia e non di testa. Si rilassò e lasciò che Jared finisse di spogliarla, lasciandola nuda sotto le sue mani e il suo corpo, poi ribaltò la situazione e lo pose sotto di se, mettendosi a cavalcioni su di lui: “Fregato, Leto. Ora comando io”
“Non direi proprio”
Shayla gli prese le braccia e gliele portò sopra la testa, inarcando la schiena e abbassandosi su di lui e mordergli il labbro, prima di sussurrare: “Invece direi proprio di si. Sta buono”
Jared provò un’eccitazione senza confini: era una donna decisa e gli piaceva. Era diversa da Miriam e questo gli faceva girare la testa. Sorrise e alzò di scatto la testa a prenderle la bocca fra le labbra, accettando che lei prendesse le redini del gioco, cosa che tendenzialmente non era nelle sue corde.
Shayla lo spogliò, e dopo, guardandolo fisso negli occhi si prese quel che voleva: si prese lui, e si sentì potete quando vide il viso di Jared assumere un’espressione lussuriosa. Sentì le sue mani impossessarsi dei suoi fianchi, dandole il ritmo perfetto, che seguì poggiandosi al suo petto e inarcando la schiena. I capelli che le facevano il solletico sulle spalle e le mani di Jared piantate nella sua carne erano qualcosa che andava oltre il godimento di averlo nel suo corpo. Era bellissimo, era quello di cui aveva bisogno: sentirsi viva, sentirsi desiderata.
Jared la guardò a lungo, mentre lei ansimava sopra di lui: era un corpo e una mente brillante, era una donna intelligente e bella, sicura di se, dolce. Era adulta e sapeva quel che voleva. Quella sensazione gli si inoltrò sotto la pelle e lo fece sentire al posto giusto nel momento giusto: lui voleva una donna che sapesse ragionare e stargli accanto, lui voleva una relazione alla pari e lo capì davvero mentre Shayla arrivava a prendersi il suo massimo.
Si accasciò su di lui, con il fiato corto e un sorriso strano. Gli baciò piano il petto, come se non volesse lasciare quella posizione, Jared le accarezzò i capelli e guardando prima il soffitto, poi il suo viso pensò che l’imbarazzo di aver fatto sesso con una sua collaboratrice non c’era. Ed era strano.
“Stai bene?” le chiese piano.
“Mai stata meglio” rispose lei, stirandosi i muscoli e scivolando accanto a lui. Jared aprì il braccio e la accolse sul suo petto, continuando ad accarezzarle la pelle. “Tu? Pentito?”
Jared la guardò sorridendo appena e notando quel leggero particolare ce solo le donne hanno: l’insicurezza. Anche la più forte e sicura delle donne, almeno una volta nella vita, peccherà di insicurezza. E lo farà sempre in situazioni particolari, in situazioni in cui sente di poter mettere in gioco l’unica parte del proprio corpo che rischia seriamente di farsi male: il cuore. Shayla non faceva eccezione. “No, non sono pentito” la rassicurò. “Credevo sarebbe stato più strano però il… dopo”
“Anche io” ammise Shayla, sospirando.
“Forse doveva semplicemente accadere da tempo”
“Tensione sessuale repressa?”
“Non so, sei tu che dicevi di non trovarmi sexy” rincarò la dose Jared, grattandosi il naso, fintamente indifferente. Si guadagnò un pugno sulla spalla e poi, ridendo, Shayla si alzò dal divano e iniziò a rivestirsi.
“Devo tornare al lavoro”
“Potresti prenderti la serata libera, sono il tuo capo e sono nudo a causa tua”
Shayla si voltò a guardarlo e gli sorrise, abbassandosi a baciarlo: “Non mi incanti, Leto. Grazie del bel pomeriggio, a dopo” sussurrò sulla sua bocca, prima di lasciare la stanza. 

        Tomo si presentò a casa di Vicki puntuale, con dei fiori in mano e una sorta di inquietudine nello stomaco. Bussò piano alla porta del suo appartamento e attese che lei aprisse, cosa che accadde dopo qualche minuto.
“Ciao” esordì raggiante, indossando una salopette di jeans che a Tomo era sempre piaciuta parecchio. Gli sorrise e si fece da parte per farlo entrare. Quando chiuse la porta dietro di sé, si voltò a guardarlo e poi senza preavviso si avvicinò e mettendosi sulle punte si alzò a dargli un bacio sulla guancia, spontaneamente. Tomo rimase perplesso, ma trovò il coraggio di sorridere piano, prima di porre i fiori fra loro due, così da limitare, seppur malamente, l’imbarazzo.
“Sono per te” aggiunse passandole sul mazzo colorato e sentendosi un imbecille.
“Grazie, non dovevi” rispose Vicki, per cortesia, cercando di nascondere la delusione della reazione avuta da Tomo al suo gesto. “Vieni, accomodati. Devo finire di condire l’insalata, ma il resto è pronto”
“Vuoi una mano?”
“No, chef!” lo prese in giro Vicki, che sapeva quanto lui amasse avere il controllo in cucina. Tomo si sedette sul divano del piccolo soggiorno e la osservò muoversi fra i fornelli dell’angolo cottura, cercando un argomento di conversazione: il silenzio era ingestibile.
“Passata bene la settimana?”
“Piena di lavoro, in realtà, ma tutto bene” rispose normalmente. “La tua?”
“Ho cercato di stare dietro a Jared, ma abbiamo un po’ battuto la fiacca in realtà”
“Non si direbbe mai che Jared vi faccia battere la fiacca” rise Vicki, affaccendata ancora ai fornelli.
Tomo la guardò e capì che se non avesse risolto quel dubbio che lo stava logorando da una settimana, non avrebbe potuto andare avanti. E andare avanti era quanto più desiderasse.
Prese fiato, e coraggio, e lanciò la sua bomba, che rischiava di distruggere tutto o forse di buttare i mattoni di una nuova avventura: “Vicki, cosa ci facevi con lui in quel ristorante sabato scorso?”
Lei, di spalle, lasciò cadere il mestolo con il quale stava mescolando la salsa. Qualche schizzo si sparse sui fornelli e il rumore sordo dell’acciaio sul bordo della pentola fu l’unico rumore per interi minuti a venire. Tomo non accennò a volerla aiutare, rimase in silenzio, immobile ad attendere la risposta. Quella risposta che avrebbe potuto cambiare tutto.
“Dovevo chiudere quella storia. C’era una cosa in sospeso che dovevo assolutamente concludere. Non si può andare avanti se non serri le porte sbagliate dietro di te”
Tomo rimase a bocca aperta: si era aspettato un classico non è come pensi, una difesa disperata, uno sguardo lacrimoso e impaurito. Vicki invece era rimasta di spalle, gli aveva detto quello che lui sentiva essere la verità e semplicemente, tacitamente gli aveva chiesto di crederle.
Si alzò piano, senza fare rumore. Gli sembrava di essere reduce da una corsa, come quando arrivi al traguardo e rompi con il peso del corpo il nastro colorato, con il cuore in gola per l’emozione di avercela fatta a prescindere dal piazzamento, con i polmoni che bruciano di dolore, di adrenalina, di vittoria, con le lacrime che pungono gli occhi e che sono salate così come lo è la vita a volte. Si sentiva stanco, disperatamente stanco e aveva solo voglia di sentirla di nuovo sua: le arrivò dietro, capì che lei non si era accorta di nulla e la abbracciò, solamente. Le passò un braccio attorno alla vita e la strinse a sé, poggiando il mento sulla sua spalla e chiudendo gli occhi: il suo profumo era l’odore che aveva sentito per anni tornando a casa, era l’essenza dell’amore che sentiva di non aver mai perso nei suoi confronti.
La sentì rigida, sussurrò appena: “Lasciati andare”.
“Devo spiegarti”
“Va bene così”
“Io voglio…”
“Io voglio te, e basta” le disse girandole appena il viso a guardarla negli occhi. Le regalò l’unica cosa che sapeva l’avrebbe convinta a tornare da lui: un sorriso.
Vicki pianse, pianse per il tempo perso, per il percorso fatto, per il bambino che non c’era più, per i suoi errori e per quelli di Tomo. Pianse per il dolore provato e per la felicità di quell’istante. E finalmente si lasciò andare, poggiandosi a lui come se la corsa fosse finita anche per lei.

        “Shannon, dai sbrigati!” Jared bussava alla porta in maniera a dir poco fastidiosa, sentendo provenire da dentro rumori e risate. Era indispettito dal fatto che sia lui che Emma non si preoccupassero di andargli ad aprire, quando era chiaro che fossero dentro casa. “Ehi, volete lasciarmi qui fuori!?” gridò ancora, esasperato, o forse pensando di esasperare gli altri.
“Si, l’idea era quella, lo giuro” gli disse Shannon, aprendo l’uscio a torso nudo, scalzo e con i capelli scompigliati.
“Finalmente!” disse Jared aprendo le braccia, poi guardò meglio il fratello: “Ma ho interrotto qualcosa?”
“Eh… lasciamo stare, vieni”
“Grazie” sussurrò Jared ridacchiando ed entrò, coprendosi gli occhi: “Non voglio vederti nuda, dove sei?”
“Cretino, è in camera” rispose Shannon, assestandogli uno scappellotto dietro la nuca e superandolo per andare in cucina.
“Bene, volevo parlare con te” disse Jared seriamente.
“Dimmi”
“Shayla mi ha detto che l’hai aiutata a sistemare alcune cose, l’altro giorno”
“Uhm, si”
“Bene, ecco…”
“Jared se ho combinato qualche casino prenditela con lei: parla troppo veloce quando lavora quella ragazza” si difese Shannon, alzando le mani.
“L’abbiamo fatto” buttò fuori, agitato.
“Cosa? Il punto della situazione? Bravi. E quante cazzate ho sparato nel planning, sentiamo” disse Shannon, preparando del caffè, di cui sentiva di aver bisogno. Il punto non era che lui non capisse certi linguaggi, ma che fosse così lontanamente possibile che il senso della rivelazione di Jared fosse proprio quello, che Shannon aveva solamente escluso quella possibilità. Andando per le cose ovvie: Jared e Shayla lavoravano. E basta.
Tanto era sicuro, che la risposta di Jared provocò il rumore sordo del barattolo della polvere di caffè, che Shannon aveva appena preso dal pensile, che si frantumava a terra: “Sesso. Abbiamo fatto sesso”
“Cazzo” imprecò, vedendo il disastro che c’era sul pavimento. “Il mio caffè”
“Shannon, ma mi stai ascoltando?” gli si rivolse offeso Jared.
“Avrei preferito di no, credimi” rispose. Poi sbuffò e rivolse la sua attenzione al fratello: “Scusa, quando?”
“Neanche un’ora fa. Eravamo al Lab, discutevamo di lavoro…”
“E poi sei inciampato nelle sue tette!?” lo interruppe Shannon.
“Cretino! Stavamo flirtando, è successo. L’ho abbracciata e lei mi ha baciato e poi è successo” spiegò Jared, riassumendo di molto le ore passate al Lab. 
“Jared, sai che ora le cose potrebbero cambiare?”. Jared sembrò pensieroso e non rispose, così Shannon affondò di nuovo: “E… Miriam?”
“Lei non c’entra, non c’entra più niente” disse astioso, il tono duro e lo sguardo aspro.
“Vi siete lasciati poco tempo fa, insomma…”
“Lei sta con un altro”
“Scusa!?” chiese incredulo Shannon, facendo attenzione a non combinare altri disastri.
“L’ho vista la settimana scorsa” rivelò Jared. “Ero andato a parlarle, e ho visto un uomo uscire dal suo appartamento, e non aveva l’aria di essere un venditore porta a porta”
“Sabato, per caso?”
“Si, come fai a saperlo?”
“No, così ho tirato ad indovinare” rispose con finta noncuranza Shannon. Promemoria: cancellare quel sabato di incontri sbagliati, pensò sbuffando. Poi tentò la stessa carta che aveva tentato con Tomo: “Forse non è come pensi”
“Non mi interessa com’è. Lei è capitolo chiuso. Lei è andata avanti e devo farlo anche io”
“Con Shayla? Guarda che il clichè della star che si sposa la segretaria l’abbiamo già, in famiglia”
“Non voglio sposarla. Però mi piace, insomma, sono stato bene” disse gesticolando freneticamente. "Ecco, la frase giusta è: sono stato bene"
“Sta attento, Jared. Ti chiedo solo di stare attento”
“Scappo, devo correre a lavorare, abbiamo perso un mucchio di tempo”
“Già, abbiamo perso tempo” rispose rassegnato Shannon, prima di vederlo scappare via, non sapendo quanto avesse recepito il suo consiglio. 

        Emma aveva assistito alla scena, riparata dalla porta a vetri della cucina. Era scesa a salutare Jared, di cui aveva sentito la voce non appena era entrato in casa, ma poi li aveva visti parlare e aveva pensato che fosse meglio lasciarli soli: Shannon aveva bisogno di sentire di nuovo suo fratello vicino. Era rimasta lì, a sorridere e a sbirciare e solo quando sentì la porta d’ingresso chiudersi con un tonfo, si azzardò a fare capolino in cucina: “Ehi, già andato via Jared?”
“Già” rispose Shannon grattandosi la nuca e guardando il pavimento ancora sporco di caffè. “Ho combinato un casino, Emma”
“Ho sentito” rise lei, prendendo la scopa elettrica.
“NO!”. L’urlo di Shannon si sparse forse per tutta Los Angeles. “Lo raccoglieremo col cucchiaino possiamo salvarne molto, sai”
Emma rise e si inginocchiò, armata di cucchiaio, insieme a lui, per raccogliere quello che dentro quella casa era forse più prezioso del platino. Anzi, senza il forse.
Mentre erano intenti a salvare il povero caffè perduto, Emma sorrise e lo guardò: “E’ tornato da te” gli disse.
Shannon non le rispose. Le bastò guardarla e ammettere che aveva sempre avuto ragione.

        Mentre Tomo le accarezzava piano il viso, nella penombra della camera da letto, Vicki chiuse gli occhi e cercò di godersi solamente il tocco leggero delle sue dita.
Avevano di comune e tacito accordo deciso che la cena avrebbe potuto aspettare e, sempre non parlando, lei lo aveva preso per mano e lo aveva portato in camera. Era lì che volevano ricominciare.
Tomo si chinò su di lei e la baciò, per la prima vera volta dopo mesi. Assaporò le sue labbra e lasciò che la sua lingua riscoprisse quanto potesse essere buona sua moglie. Sua moglie. Provò un brivido a quel pensiero.
La spogliò piano, come se fosse la prima volta e anche l’ultima, come se non ci fosse altro al mondo, come se il mondo fosse solo in quella stanza. Una volta, in Italia, aveva sentito una canzone molto bella, e aveva imparato quella strofa così strana:

“Quando tu sei con me 
questa stanza non ha più pareti 
ma alberi,
alberi infiniti
quando tu sei vicino a me
questo soffitto viola no,
non esiste più.
Io vedo il cielo sopra noi…”1


Non ne aveva capito il senso, e l’aveva chiusa in un cassetto della memoria, come qualcosa che sai che ti tornerà utile prima o poi, e quindi la conservi, e a volte la dimentichi, ma sai che è lì. Come qualcosa che apprendi senza difficoltà e non sai perchè, ma rimane lì in qualche modo ad attendere il momento giusto.

Tomo stava vivendo il momento giusto e capì il senso di quella canzone, ogni tassello andò al suo posto. Sorrise ad una Vicki che imbarazzata gli chiedeva: “Ricominciamo, davvero? Lo vuoi?”

“Ti ho aspettata per mesi”. 


 
      • 
 
L'angolo di Sissi

Buon Natale!!! E Happy Birthday alla Gerarda!!!!!!!
23 anni + 20 esperienza...

Per questa giornata sicuramente speciale, ecco un capitolo scoppiettante: 
colpi di scena, happy ending e miele a fiumi! 

Ma andiamo con ordine: 
Jared che... macosamicombini!? COSA!? Mai che si possa stare tranquilli, dico io! 
Inizio quasi ad aver paura della mia mente, sapete... che ne pensate voi!? 

Tomo ormai è sulle onde dell'ammmmmmmmore!!! 
Ho pensato che a loro due servisse la tregua, finalmente, 
ero stata fin troppo cattiva, 
quindi un pò di romanticismo gratuito e finalmente l'epilogo ci voleva! 

Shannon invece... conta i giorni al parto (meno dieci, contate con me!), 
coccola la sua Emma (più bella che mai, lasciatemelo dire) e smercia consigli come fossero caramelle. 
Caffè dipendente si, ma con classe e sopratutto... saggezza, saggezza a palate! 

Piccole postille: la canzone finale (1) è Il Cielo In Una Stanza di Gino Paoli,
meravigliosa perla del 1961, che vi consiglio caldamente di gustare,
qualora non la conosceste! 

Il capitolo è stato scritto pensando sopratutto ad
Alessandra,
che non ha vissuto momenti particolarmente sereni e che ha cercato di combatterli, anche,
leggendo ff. 
Per questo ho pensato di dare il mio contributo, seppur futile, ad un suo momento di distrazione! 
Ti voglio bene, Nana! :) 

Per il resto: sempre
Of Love al mio fanclub disagiatissimo,
grazie alle millemila visualizzazioni che mi rendono fiera e felice (e anche un pò incredula), 
e iniziate a pensare di insultarmi, qualora voleste, perchè vi annuncio che alla fine non manca poi moltissimo... 

Abbracci festosi, continuate a mangiare che alla dieta ci si penserà poi! 


Sissi
  
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