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Autore: ErikaDanielle    27/12/2014    8 recensioni
-Thorin, io ti ho visto morire...
- E io ho visto te, Mastro Scassinatore, piangere la mia morte.
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Post Battaglia delle Cinque Armate
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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As an Acorn Healed an Hobbit Wound
 
And I’d sing a song, that’d be just ours
But I sang’em all to another heart
And I wanna cry, I wanna fall in love
But all my tears have been used up
On another love, another love.
-T. Odell
 
In alto, sulla Montagna Solitaria, nei vasti saloni dorati di Erebor fino alle fornaci ardenti e le miniere cupe le trombe dei nani squillavano tristi e solenni. Il Re Sotto la Montagna, Thorin figlio di Thrain, figlio di Thror veniva sepolto nelle profondità del suo regno, insieme all’arkengemma  che aveva a lungo bramato e ai suoi nipoti ed eredi Fili e Kili. Così finiva la Battaglia delle Cinque Armate, e il folle viaggio dei tredici nani e dello hobbit, che avevano attraversato foreste e montagne per recuperare il loro tesoro perduto e sconfiggere Smaug.
Ma Bilbo Baggins non si era fermato a guardare il corpo pallido di Thorin che veniva calato nella tomba di pietra, né aveva ascoltato i nani intonare il loro canto struggente e solenne per dire addio all’amato re. Appena il funerale era incominciato, e i suoi compagni si erano incamminati verso la celebrazione aveva afferrato i suoi pochi averi gettandoli alla bella e meglio nel vecchio zaino ed era corso via. Scappato come un ladro, come lo scassinatore che forse era davvero.
Quando aveva finalmente raggiunto l’uscita, il cuore che gli martellava nel petto per la corsa, l’aria fredda della montagna l’aveva investito e lui si era fermato di botto, improvvisamente conscio di quello che stava per fare. Voleva davvero andarsene senza salutare i suoi amici? Fuggire come un ladro nella notte, senza nemmeno prendere la  parte del tesoro che Dain gli aveva donato?
Proprio mentre se ne stava lì, a ridosso della montagna, indeciso sul da farsi una voce lo fece sobbalzare.
- Che cosa credi di fare Bilbo Baggins?
- Gandalf… - mormorò lo hobbit voltandosi e maledicendosi mentalmente. Aveva davvero creduto di poter fuggire senza che nessuno se ne accorgesse? – I- io sto andando.
Lo stregone lo fissò per qualche istante da sopra le folte sopracciglia e poi scoppiò in una risata profonda che lo lasciò interdetto.
- Andando? Andando dove? Buon cielo Bilbo Baggins non hai nemmeno una guida o una mappa e hai lasciato metà della tua roba nella montagna. E non vuoi forse ringraziare Dain, Re Sotto la Montagna, o salutare i tuoi compagni?
Non aveva accennato al funerale e Bilbo gliene fu grato. Ma la verità era che non avrebbe saputo cosa rispondere. Dentro di lui sapeva che lo stregone aveva ragione ma per qualche oscuro motivo era ansioso di tornare alla sua collina, e al contempo sentiva che se avesse deciso di andarsene qualcosa dentro di lui si sarebbe spezzato.
Come se avesse compreso ogni cosa, Gandalf lo fissò da sopra la pipa, il grande cappello che ondeggiava piano al vento.
- Mio caro Bilbo, la tua avventura è giunta al termine, ma la vita continua. Non ha senso rimanere ancorato al passato. È ora di andare avanti.
- E tu c-credi che potrei tornare alla mia Collina come se niente fosse? Che potrei ricominciare a piantare alberi, a leggere libri, ad indugiare sulla mia poltrona fingendo di essere lo stesso hobbit di un tempo? – esplose Bilbo senza riuscire a contenersi. La verità era che usava quelle parole come uno scudo, per impedirsi di sentire un terribile vuoto al cuore ora che tutto era giunto al termine e Thorin era morto.
- Se ben ricordi, Bilbo Baggins, quella sera di aprile, nella tua accogliente casa hobbit ti avvertii che se avessi fatto ritorno da questo viaggio tutto sarebbe cambiato.
Bilbo rimase in silenzio, osservando l’immenso paesaggio che si scorgeva dalla Montagna Solitaria. La desolazione di Smaug, PonteLagoLungo, Dale, e lontano nell’azzurro pallido dell’orizzonte le Montagne Nebbiose. Anche se avesse voluto replicare non avrebbe potuto. Tutte le parole che voleva gridare gli erano come morte in bocca, e sentiva la gola secca e lo stomaco sottosopra.
Alla fine, dopo quella che gli sembrò un’eternità si voltò di nuovo verso lo stregone e trattenne un singhiozzo. Sapeva che se si fosse girato ancora a guardare il paesaggio alle sue spalle, i suoi propositi sarebbero caduti e non se ne sarebbe più andato da Erebor. E non poteva permetterselo. Dain era stato buono con lui, l’aveva accolto nel suo palazzo come un vecchio amico, ricompensato e ascoltato. Se lui avesse voluto lo avrebbe ospitato per sempre. Ma non era Thorin. Non era Thorin. E lui voleva e doveva andarsene. Impacchettare tutte le sue cose e partire.
- Ma non così. Non doveva andare in questo modo. – sussurrò, tanto piano che neppure lo stregone sembrò udirlo, stringendo le piccole mani a pugno.
Poi mosse le gambe e rientrò nel buio della Montagna per dire addio.
 

Dopo le prime difficoltà la vita sulla Collina aveva ripreso lentamente a funzionare. Certo c’erano stati parecchi imprevisti, come il mare di scartoffie che aveva dovuto firmare per dimostrare che era davvero lui, Bilbo Baggins, e non un impostore ad essere tornato ad Hobbiville, o i mobili della sua casa che mentre era via erano stati venduti all’asta e che non tutti avevano restituito. Alla fine aveva dovuto ricomprarne una buona parte o riacquistare quelli vecchi, e se non altro il denaro che aveva riportato dalla Montagna Solitaria gli era servito a qualcosa. Ma la verità era che, per quanto tutti questi problemi lo avessero irritato, lo avevano però anche tenuto lontano dai suoi pensieri, e un anno era trascorso senza che quasi se ne accorgesse.
Ora, invece, mentre se ne stava seduto sulla vecchia panchina accanto alla porta d’ingresso, non aveva nulla che frenasse i pensieri che si riversavano nella sua testa.
La Contea, con i suoi campi verdeggianti e le sue piantagioni fiorite, si estendeva davanti ai suoi occhi per miglia e miglia, nella leggera brezza della primavera appena sbocciata. Lontano da qualche parte a est ci doveva essere Gran Burrone, e più avanti le Montagne Nebbiose e le Terre Selvagge. Ma tutto questo era precluso anche alla sua vista acuta da hobbit.
Mentre la sera scendeva Bilbo afferrò l’innaffiatoio e cominciò a dare distrattamente acqua alle piante. Il giardino era rigoglioso, e i primi fiori facevano già capolino dai boccioli verdi dei fusti. Cresceva tutto bene, tranne la ghianda che aveva raccolto a casa di Beorn e aveva portato con lui per tutto il viaggio di andata e ritorno, custodendola come un tesoro. La stupida quercia non ne voleva sapere di spuntare, nonostante tutte le attenzioni e le premure che le aveva riservato. Lo hobbit fissò sconsolato il quadrato di terra brulla, delimitato da ciottoli lisci e bianchi che aveva appositamente raccolto, e sospirò più volte. Niente da fare. Doveva arrendersi, non sarebbe spuntato nulla di nulla, anzi il giorno seguente si sarebbe finalmente deciso a rimuovere tutto e piantare un paio di primule. Giusto in tempo per la loro fioritura.
“Non ha senso rimanere ancorato al passato. È ora di andare avanti.”
Lo hobbit si afflosciò mestamente sulla panchina e rimase lì a lungo, mentre una strana sonnolenza gli pioveva addosso.
Quando si riscosse era già ora di cena e il suo stomaco si lamentava dalla fame. Borbottando tra sé Bilbo rientrò in casa ed armeggiò un poco per riuscire ad accendere il fuoco della pentola. Aveva appena versato le verdure nel piatto della seconda portata quando il campanello di casa suonò, facendolo sobbalzare.
A malincuore lo hobbit si alzò in piedi e si diresse verso la porta. Doveva essere Lobelia Sackville-Baggins che cercava per l’ennesima volta di rubargli  le posate d’argento, o uno dei commissari del sindaco ansioso di mettere in dubbio la sua identità. Ma quando spalancò la porta rotonda tutti i suoi pensieri vennero risucchiati via e il suo cuore si arrestò di colpo.
Ritagliata nell’oscurità della notte e della Contea stava la figura possente di Thorin Scudodiquercia, tale e quale a come gli era apparso due anni prima quando aveva varcato per la prima volta la soglia di casa sua. Perfino l’intenso odore di roccia umida e pino selvatico che emanava era lo stesso.
- T-Thorin… – balbettò Bilbo sconvolto dopo parecchi istanti.
Il nano gli rivolse uno dei suoi sorrisi stanchi e annuì.
- Mastro scassinatore. – mormorò, e lo hobbit sentì che neppure la sua voce era cambiata di una virgola.
Ma doveva essere un sogno, o un’allucinazione, perché il Re Sotto la Montagna non poteva essere lì davanti a lui, come se niente fosse successo.
- N-Non può essere… tu non puoi… - riprese a balbettare senza fiato visto che l’allucinazione non accennava a scomparire.
- Hai intenzione di farmi entrare, hobbit, o vuoi lasciarmi qui fuori a congelare?
Bilbo si spostò a lato inebetito, e mentre si lambiccava il cervello per trovare una soluzione a quello che stava succedendo, vide Thorin entrare in casa sua e guardarsi attorno con curiosità.
- Ti sei risistemato in fretta, Mastro Scassinatore. E  dimmi, Dain ha rispettato il mio volere? Ti ha ricompensato con un quattordicesimo del nostro tesoro?
Bilbo si affrettò ad annuire, perché la voce del nano aveva preso un’inaspettata piega dura mentre pronunciava le ultime parole.
- Oh, sì. Sì. È stato molto buono con me, mi ha ospitato, e offerto una sistemazione. Le stanze dove mi ha fatto alloggiare erano-
- E allora perché te ne sei andato? – lo interruppe Thorin duramente, e Bilbo notò che non guardava nella sua direzione come invece era solito fare.
- Io- io non… - cominciò, ma le parole si impigliarono fra le sue labbra. Come poteva spiegargli che se ne era andato a causa della sua morte, poiché non aveva alcun senso che un hobbit vivesse ad  Ereborn se non aveva al suo fianco Thorin Scudodiquercia. E infondo perché si ostinava a parlare con quell’apparizione?
Bilbo si accasciò stancamente sullo sgabello su cui era solito consumare i pasti, e con la coda dell’occhio vide che il nano stava facendo lo stesso sulla sedia a capotavola.
- Thorin, io ti ho visto morire… - mormorò più a se stesso che a qualcuno, ma il re si voltò comunque verso di lui e lo fissò con tanta intensità da farlo vacillare.
- E io ho visto te, Mastro Scassinatore, piangere la mia morte. – disse, e all’improvviso Bilbo dubitò che si trattasse di una visione. Era troppo reale, troppo Thorin, per essere un prodotto della sua memoria.
Si schiarì la voce e infilò le mani in tasca.
- Anche gli altri hanno pianto. Tutti hanno pianto. E Balin-
Thorin scosse la testa.
- Non ti ho chiesto degli altri, hobbit. Hai la seccante abitudine di parlare a vanvera ogni tanto. – disse con dolcezza e Bilbo arrossì suo malgrado per la vergogna, sorridendo nervosamente nella sua direzione.
Il Re Sotto la Montagna ridacchiò piano e continuò a fissarlo. Poi di colpo il suo sguardo si fece cupo e tormentato.
- Mi dispiace. Mi dispiace di averlo capito troppo tardi.
Bilbo lo guardò senza capire.
- Che cosa?
- Che c’erano altri tesori accanto a me per cui lottare. Tesori che valevano più di qualsiasi arkengemma…
Lo hobbit distolse lo sguardo impietrito e fissò la fiamma morente del fuoco nel caminetto, il respiro che gli si era mozzato in gola.
- Bilbo, guardami. – mormorò la voce di Thorin, più profonda del solito. Lui si voltò di scatto, e gli occhi azzurri del nano risucchiarono ogni cosa attorno a lui, ogni pensiero, ogni riflesso.
- Thorin. – esclamò, in preda ad un’agitazione che non comprendeva. Leggeva negli occhi dell’altro una terribile disperazione, e si sentiva disperato anche lui.
Ma prima che potesse dire qualcosa, o afferrarlo per impedirgli di andarsene, ogni cosa scomparve, e Bilbo si risvegliò di colpo, il cuore che batteva furioso nel piccolo petto.
Si era addormentato per sbaglio sulla sua vecchia panchina, e ora la notte lo circondava e la luna donava strani bagliori al paesaggio lontano.
Di nuovo sentì la disperazione stritolargli il cuore e uno strano macigno calargli nel petto. Ma nel vento di primavera si avvertiva un pungente odore di roccia e boschi selvaggi e il cancelletto della sua recinzione cigolava lentamente nella notte. Mentre si alzava gettò un’occhiata al giardino dietro di lui, e fu allora che la vide.
Là dove ci doveva essere solo un cerchio di terra brulla ora c’era un piccolo fusto verde chiaro e due foglioline rotonde. La quercia era nata, e Bilbo sapeva che sarebbe cresciuta, che un giorno sarebbe diventata un albero e avrebbe prodotto nuove ghiande.
Come una promessa di redenzione.
Bilbo sentiva una nuova serenità nel cuore.


NOTE AUTRICE:

Salve, dunque, ecco questa piccola sciocchezza, che ho scritto di getto, senza quasi rendermene conto. So che non è nulla di che, ma nel mio piccolo ho tentato di dare una sorta di conclusione all'amaro finale del film/libro e magari un po' di pace al povero Bilbo. Ho sempre pensato che fra tutto ciò che ha vissuto sia stata soprattutto la morte di Thorin a cambiarlo.
 Detto questo mi eclisso e ringrazio di cuore tutti quelli che daranno una letta!
  
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