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Autore: Toms98    28/12/2014    0 recensioni
Quante possibilità ci sono per la popolazione umana di salvarsi dai pericoli di questo mondo? Isis, pandemie, guerre, minacce nucleari: c'è veramente qualcuno che può salvare l'umanità da tutto questo? Forse nessun uomo può farlo, ma non c'è nessun'altro? Il colonnello McRonald è stato incaricato dal governo degli Stati Uniti di ricercare uomini con capacita al limite del normale. Ne uscirà fuori un team composto da un pugile-cavia da laboratorio russo, un'apprendista ninja, un giovane con un bordone "magico", un genio con un tumore al cervello e un assassino. Ma basteranno tutti loro, guidati dal colonnello e dalla rossa Lauren, nel loro arduo compito?
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- La domanda è un’altra, signore - disse la rossa trentenne - Accetteranno di unirsi a noi? -
- Ne sono certo. All’inizio ci odieranno, odieranno il mondo, odieranno chiunque dovranno difendere. Poi capiranno che è nel loro destino, dobbiamo solo aiutarli. -
- Signore - aggiunse infine Lauren - Forse corre troppo -
- Perché? -
- Dovremmo prima fare di modo che non odino quello che sono diventati -
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chaotic'
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CAPITOLO 1- Special Operative Squad
Sede della ARMED, USA (Celle di contenimento)
Quando Marco si risvegliò, si ritrovò in una grande camera bianca. L’unico arredamento era costituito da sei letti, su cui uno era sdraiato lui, uno più separato dagli altri e un altro molto più robusto, i restanti identici. << Bell’atmosfera, ma dove sono? >> si chiese a bassa voce il ragazzo. Deciso a capirlo fece un giro della stanza. Era un quadrato grande più o meno dieci metri di lato. Continuando il suo giro osservò che la porta, l’unica della stanza, era fatta in modo che si potesse aprire solo dall’esterno, mentre negli angoli erano presenti delle telecamere e le luci provenivano da fari molto luminosi posti sul soffitto. Una prigione. Di lusso, sì, ma pur sempre una prigione. Non c’erano altre parole per descrivere quella stanza. Finito il tour della sua nuova camera, puntò a guardare come era ridotto lui. Cercò il suo cellulare, ma a quanto pare glielo avevano requisito. Notò però che non aveva una divisa da carcerato, il che voleva dire che non sarebbe rimasto lì per molto. Finito anche il controllo del suo corpo, trovando solo qualche cicatrice sul volto, si ritrovò senza niente da fare. Provò a tornare a dormire, ma invano. Si cominciò a chiedere dove fosse, quanto tempo fosse passato da quando lo avevano narcotizzato, se i suoi genitori sapessero che era finito lì. La noia piano piano prese il sopravvento e, dopo una serie di sbuffi, si accucciò nel suo letto e si addormentò. Si svegliò quando sentì un rumore di serratura che si apriva. Sperò che fosse qualcuno a portarlo fuori dai suoi genitori. Quella che entrò fu invece una bionda asiatica, più o meno della sua età, con una tuta parzialmente aderente.
<< Cos’è, qui ci mandano le bellezze a dirti che puoi uscire >> disse in italiano. Jeshi, invece, non capì. Ma sapeva che era in America e quindi provò ad esprimersi con quel poco di inglese che le avevano insegnato al tempio.
<< Salve... Io mi chiamo Jeshi Yamamoto, e tu? >> frase semplice, quasi banale, ma efficace. Giacché Marco rispose all’istante nella stessa lingua: << Ciao, mi chiamo Marco Rossi. Volevo sapere se qui mandavano sempre delle ragazze belle come te a parlare ai prigionieri. >> Jeshi si rallegrò a sapere che il suo interlocutore sapeva l’inglese, ma il suo secondo commento la rese stranita. Anche lui era lì nella stessa condizione? Cosa aveva fatto per stare lì? La curiosità prese il sopravvento.
<< Ehm, no, penso che io e te siamo nella stessa condizione tu cosa hai fatto di male per finire qui? >> chiese diretta la ragazza.
<< Io ho toccato un bastone e ho provocato un disastro mondiale, piuttosto tu cosa hai toccato per finire qui? >> rispose il ragazzo
<< Io ho toccato un bastone... >>
<< Anche tu? Perfetto, sembra che dovunque siamo noi sia illegale toccare bastoni magici! >>
<< ...di una lancia conficcata in un cadavere >>
Marco la guardò sbigottito. Non sembrava avere la faccia dell’assassina, ma se era lì era per un qualche motivo. << Quindi... >> continuò il ragazzo << Chi hai ucciso per finire qui? >>
<< Tecnicamente, ho ucciso il mio maestro al tempio. Ma in realtà sono stata incastrato da mio zio, un mafioso cinese, affinché mi unissi a lui. >>
<< Anche io sono qui per colpa di mio zio! >> disse il ragazzo.
<< Malvagio mafioso? >> chiese Jeshi.
<< Fantasmagorico filosofo >> disse Marco, e vedendo la faccia di Jeshi dubbiosa aggiunse << Pensava che il corpo umano potesse controllare gli elementi. E aveva ragione, solo che la sua argomentazione principale risiedeva in una specie di lancia magica che a quanto pare se veniva toccata provocava disastri su scala mondiale. Hai presente la storia della farfalla? >>
<< Sì, so cosa vuol dire. >> rispose la ragazza, poi si guardò intorno e chiese << Qui cosa si fa per passare il tempo? >>
<< Finora io ho dormito, ma ora siamo in due e possiamo fare altro... >> disse suadente. Jeshi lo guardò alzando le sopraciglia, poi disse: << Certo, possiamo parlare come buoni amici. >>
<< Non siamo amici. >>
<< Lo diventeremo a breve! >> disse stizzita Jeshi. Una vocina nel cervello di Marco disse “Ci dispiace, sei stato friendzonato. Ritenta la prossima volta.”, ma lui negava quei pensieri.
Jeshi si rese conto solo allora che era distrutta per il lungo viaggio a cui era stata sottoposta. Chiese quindi a Marco dove poteva dormire. Lui si voltò, ci pensò un attimo, poi prese uno dei letti identici al suo e lo attaccò al proprio, poi indicò quello aggiuntò. Jeshi girò gli occhi, poi si diresse verso il letto più distante e vi si sdraiò. Si addormentò per qualche ora. Quando si svegliò, tirò un pugno a Marco, che stava provando a spiarla dal bordo del letto, si mise a sedere ed iniziò a parlare con il ragazzo. << Senti, so che può sembrare stupido, ma dal tuo cognome sembri italiano. Di dove sei? >> chiese.
<< Torino, conosci la città? >> controbatté il ragazzo. << No >> disse la ragazza << Ma conosco Milano. Sai, la città degli EMA 2015 >>
Marco strabuzzò gli occhi << Scusa?! Come fai a saperlo? Nel tempio non è vietato ascoltare la musica? >>
<< Non se hai gli auricolari >> ridacchiò la ragazza. Poi ripensò ai bei tempi con il maestro. << Invece tu? >> disse il ragazzo, riportandola alla realtà. << Io...? >> chiese lei. << Da dove vieni? >> completò il giovane. << Dal Kiyomizudera di Kyoto >> e alla faccia del ragazzo, che non sapeva per niente cosa fosse, aggiunse << Un tempio molto famoso. >>
Marco scuosse le spalle quando la serratura si riaprì. Questa volta entrò un gigante alto due metri e biondo. Marco si avvicinò. << Salve amico! >> esordì << Allora saltiamo alle presentazioni, io sono Marco e lei è Jessy. >>
<< Jeshi, mi chiamo Jeshi >> lo corresse la ragazza. Il ragazzo sbuffò e continuò rivolto al gigante: << Ok, siamo Marco e Tizia-nata-in-un-tempio. Tu invece? >>. Silenzio. Il gigante li guardava come se avessero parlato arabo. Marco discusse un po’ con l’uomo, spesso arrabbiandosi, ma non ottenne niente. Poi l’uomo intuì forse di cosa parlavano, e puntando con il suo dito il petto, balbettò: << I...I...Igor >>. Marco si lasciò andare ad un sospiro di liberazione. Non ne poteva più di ripetere le stesse domande a quello stupido ammasso di muscoli. << Oh, finalmente! >> disse << Ora, senza metterci un giorno, sai spiegarci perché sei qui? >>
<< I...Igor >> disse con più convinzione.
<< Sì, ok, abbiamo capito, però mi serviva sapere cosa ti è successo, buon uomo >>
<< I...Igor >> disse con ancora più convinzione l’uomo.
<< Ok, ho capito, ti chiami Igor. Ma ora, porca puttana, vuoi dirmi che cazzo ti è successo per finire qui? >> A quel punto Marco era veramente arrabbiato.
<< Igor... Romanoff >> disse quindi il gigante. Jeshi dovette fare appello a tutta la sua forza per impedire a Marco di menare quello, anche se sapeva che probabilmente avrebbe subito lui i danni maggiori. Dopo dieci secondi di respiri lenti e controllati, Marco continuò: << Ok. Ti chiami Igor Romanoff. Vuoi dirci perché sei qui? >> e, mentre quello stava per parlare, continuò << E possibilmente che la risposta non sia Igor Romanoff >>. Igor si zittì. Fu allora che Jeshi superò Marco e si mise di fronte al gigante, si scaldò la voce e disse: << Privet Igor'. Chto s toboy sluchilos' byt' zdes'? >> Marco alzò le braccia al cielo, ancora attonito da quello che era successo. Poi guardò la ragazza e l’unica cosa che riuscì a dire fu: << Ma che cazzo...?! >>
<< Genio >> disse lei << In quanti posti le persone si chiamano Romanoff? >>
<< Russia, Bulgaria, Bielorussia, Moldavia e Ucraina. >> rispose il ragazzo. La ragazza stava per rispondere, ma fu interrotta dal russo che iniziò a parlare. Finito il breve discorso, riportò la storia così come l’aveva sentita. Marco, soddisfatto, chiese alla ragazza di tradurre tutto quello che diceva.
<< Mi scuso per prima, ma non potevo sapere che eri russo. Comunque volevo ringraziarti per la tua presenza e dirti che ti puoi benissimo divertire con noi. Comunque propongo di darci dei soprannomi. Se ti va bene, tu puoi essere Frankenstein... >> fu interrotto da Jeshi. << Non per dire, ma Frankenstein è il professore, non il mostro. Il mostro non ha nome. >>
<< Scusa signorina io-sono-stata-allevata-in-un-tempio. >> ribatté il giovane << Lei è Babelfish... >>
<< Cos’è Babelfish? >> chiese la ragazza.
<< Oh, guarda, sembra che la signorina che sa tutto non sappia una cosa. Mai sentito parlare di “Guida galattica per gli autostoppisti”? >>
<< No, mi dispiace >> disse Jeshi, e il ragazzo si vantò: << Io sì, e non sono vissuto in tempio! >> Jeshi sbuffò mentre il ragazzo finiva il discorso << Io infine sono Quello-figo. >>
<< E’ preferibile Quello-stupido >> disse la ragazza dopo aver tradotto per il russo.
<< La vuoi piantare! Sei insopportabile, penso che ti soprannominerò Bisbetica! >>
<< Ah, perché tu ti credi chi sa che simpatico? >>
<< Per tua informazione ero il più simpatico nella mia scuola! >>
<< Ah certo, fammi indovinare, distruggevi i banchi mentre fingevate di studiare per prendervi una nota? E’ questo il divertimento per voi italiani, o no? >>. Gli animi dei due cominciarono a scaldarsi e i due finirono per urlarsi addosso.
<< Scusa?! Non capisco questo stereotipo. E poi a me risulta che studiare con degli altri esseri umani aiuti molto di più di vivere in una società! Mai sentita questa parola? S-O-C-I-E-T-A’! >>
<< La conosco! E tu la conosci la parola vaffanculo? V-A-F-F-A-N-C-U-L-O! >>
<< Ci vado volentieri, basta che non mi segui! >>
<< Bene! Me ne vado! >> concluse la ragazza dirigendosi verso il suo letto.
<< Voglio vedere dove vai! >> rispose il ragazzo. Quando la ragazza fu sul suo letto, però, Marco si rese conto di aver bloccato la sua unica fonte di divertimento. Si rivolse quindi a una telecamera nell’angolo: << Volete mandarmi qualcuno che non sia russo o facilmente suscettibile? >> Fu allora che la porta alle sue spalle si aprì.
Dalla porta era appena entrato un uomo, giovane, sulla trentina, con i capelli corvini. Fu seguito dal sospiro di liberazione di Marco e da un “ Dobro pozhalovat' ” borbottato da Igor. Come prima fu Marco a presentarsi e a presentare gli altri compagni di cella, spiegando brevemente perché secondo loro erano lì. Poi fu il turno del giovane. << Mi chiamo Shawn Withman >> esordì << e vengo dall’Oklahoma. Visto che tutti siete stati onesti, sono qui perché ho decapitato mio padre con una katana dopo che aveva ucciso mia sorella e bruciato un braccio a mia madre. >>
<< Ah, capisco... >> disse Marco allontanandosi lentamente da Marco. Igor nel frattempo aveva chiesto a Jeshi dove poteva sdraiarsi e lei gli aveva indicato il letto più robusto. Ora il russo stava passando il tempo ruotando i pollici. Shwan e Marco, nel frattempo, avevano discusso a lungo sulla reazione del ragazzo. << Devi capirmi, di tutti noi tu sei il solo che ha ucciso qualcuno con l’intenzione di ucciderlo. A qualcuno può fare paura! >> disse Marco, ma poi i due si compresero e, dopo che Shawn ebbe giurato di non aver intenzione di uccidere altri esseri umani, il più giovane guidò l’altro verso i letti. Si misero a discutere un po’, ma non avevano molti argomenti in comune. << Qui tutti abbiamo un soprannome. >> disse Marco << Ne vuoi uno anche tu? >> chiese infine. << Non è giusto, io non ho potuto sceglierlo. >> urlò dal suo letto Jeshi, ma Marco finse di non averla ascoltata, quindi guardò interrogativo Shawn, che rispose: << Credo che Shadowhunter sia adatto a come mi sento. >>. Poi aggiunse: << Scusate, ma se siamo qui non può essere per quello che abbiamo fatto! La giapponese poteva benissimo essere giustiziata nella sua nazione, il russo poteva prendere l’ergastolo e tu potevi tornare dalla tua famiglia. Tutti noi qui non abbiamo senso! >>
Jeshi, Marco e Igor si guardarono, dopo che la ragazza ebbe tradotto per il russo. Dopo minuti di silenzio, Jeshi cominciò: << Effettivamente, sembra strano che siamo tutti qui... >>. Marco stava per aggiungere qualcosa, quando per la quarta volta la porta si aprì. << Buongiorno, e benve... >> le parole si ruppero in gola a Marco, quando vide entrare un uomo, di circa quaranta o cinquanta anni, con metà testa, compreso un occhio, sostituita da un apparecchio metallico. << Ciao... Ecco, come dire, io sono... Marco, tu? >> chiese titubante il ragazzo. << Io ero il professor Alfred Wald, ora non sono più. >> La voce dell’uomo si fece sempre più enigmatica. Shawn strabuzzò gli occhi. << Alfred Wald?! >> disse << Il famoso fisico?! Sapevo che aveva avuto un tumore al cervello e credevo fosse morto. Le posso dire che ho ammirato i suoi lavori sull’energia dell’antimateria? >>
Wald lo osservò malvagiamente, poi si allontanò verso i letti. << Qui non siamo molto normali. >> sussurrò Marco alle orecchie di Jeshi e Shawn. << Cosa pretendi da uno che ha scoperto un tumore al cervello, dopo che lo ha utilizzato per anni al servizio degli altri, e sapere che nessuno lo può aiutare? >> rispose la ragazza.
<< Rassegnazione, affronto fino all’ultimo della malattia. Tutto fuorché quel coso! >> ribatté Marco.
<< Il professore era sempre stato un visionario. >> disse Shawn << Probabilmente avrà inventato una macchina per distruggere il tumore e sostituire la parte di cervello danneggiata >>
<< Ok, ma allora perché è qui? >> chiese Jeshi. Nessuno seppe rispondere.
Dopo qualche ora i cinque erano divisi. Alfred stava ritto in piedi, muovendo il suo occhio bionico come una fotocamera. Il russo invece stava sdraiato per terra e faceva degli addominali. Jeshi dormiva, ancora colpita dal jet lag, mentre Shawn e Marco confabulavano fra di loro. Quando Jeshi fu reattiva si unì a loro. << Trovato una risposta? >> chiese. I due negarono. A quel punto la serratura annunciò un nuovo arrivo. << Fa che sia una figa assurda... fa che sia una figa assurda... fa che sia una figa assurda >> ripeté Marco, incrociando le dita, mentre la porta si apriva.
La figura della rossa e sorridente stagista Lauren si stagliò nella stanza. Marco esultò da dietro la schiena di Shawn, mentre Jeshi gli pestò con forza il piede. << Benvenuti alla ARMED, signori. >> disse la stagista << Io sono Lauren Julie Heart, e sono lieta di annunciarvi che il direttore McRonald vi sta aspettando nella sala centrale. Se volete seguirmi. >>
 
Sede della ARMED, USA (Sala centrale)
I cinque, guidati dalla rossa, si diressero verso la sala, accessibile da una porta automatica, dove un uomo, in divisa da ufficiale del governo, con lunghi baffi marroni come i capelli, li stava aspettando seduto a capotavola di un enorme tavolo bianco. Dietro di lui, uno screensaver con il simbolo della ARMED ruotava ad intervalli regolari. Le sedie, sei in tutto oltre a quella su cui era seduto il colonnello, erano poltroncine girevoli nere. Una fotocopiatrice da azienda era appoggiata a un gran classificatore su cui era anche appoggiato un fascicolatore. Dalla parte opposta erano presenti delle finestre che davano su una radura disabitata, sorvegliata da militari armati di tutto punto a protezione di una recinzione di filo spinato alta circa tre metri e mezzo. Lì era presente un tavolino su cui era posta una piantina di fiori leggermente avvizzita. I cinque furono invitati a sedersi. In ogni postazione erano presenti un fascicolo chiuso catalogato come top secret, un bicchiere pieno d’acqua, un blocchetto e una penna. A centro della tavola era presente una caraffa filtrante piena d’acqua con qualche cubetto di ghiaccio. Quando tutti furono seduti, Shawn, Jeshi e Marco a sinistra, Lauren, Igor e Alfred a destra, il colonnello iniziò: << Buongiorno signori. Io sono Donald McRonald e... >>
<< Parente di McDonald? >> disse Marco e fu seguito a ruota da Lauren << Glielo dico anch’io che i suoi genitori gli dovevano volere veramente male per chiamarlo così, ma non mi crede! >>
<< ...E vi do il benvenuto alla ARMED >> disse con un leggero tono di comando << Vi dirò in breve che cosa siamo. Quando finì la seconda guerra mondiale e cominciarono i disaccordi con Mosca, l’America formò all’oscuro di tutto il mondo un’agenzia il cui compito era di difendere la Nazione debellando eventuali minacce. Con la dissoluzione dell’URSS, i fondi per lo sviluppo furono ridotti se non a zero a uno. Poi, dopo le Torri Gemelle, il governo ci rese di nuovo i fondi e ce li raddoppiò, con l’obiettivo di fondare una squadra per fermare il terrorista che aveva fatto tutto ciò. Inutile spiegare l’operazione Neptune Spear >>
<< Mah! >> disse Jeshi << Inutile mica tanto, non so cosa sia. >>
<< Quella in cui fu ucciso Osama Bin Laden. Se non hai capito guarda Zero Dark Thirty >> rispose Marco.
<< Esattamente quella. Comunque, inutile spiegare anche quale agenzia segreta si occupò di scegliere la squadra. Dopo di quello, però, il presidente Obama voleva di più da noi, anche visto ciò che era successo ai partecipanti della missione, quindi ci chiese di formare una squadra più potente. Per tre anni si addestrarono uomini per questo scopo, ma da quando sono presidente non lo faccio più. Io non cerco esperti soldati, cerco persone le cui capacità vanno, per un motivo o per un altro, oltre il limite umano. Per questo voi siete qui. Sono qui per proporvi di unirvi a formare una squadra speciale che possa difendere l’America, la Nato stessa e, per estensione, la Terra intera. Ora, unirsi comporta molte difficoltà. Primo, le vostre identità dovranno rimanere assolutamente segrete. Qualsiasi persona con cui siete attualmente a conoscenza all’esterno riceveranno informazioni diverse sulla vostra sorte. Tutte però saranno accomunate da una cosa, la vostra presunta morte. Per questo motivo non potrete più avere contatti con queste persone. Inoltre, nel caso conosciate persone durante la missione con cui avrete delle relazioni dovrete allontanarle. Posso capire che per animali sociali quali siamo noi è difficile, ma non ci sono del tutto vietate le relazioni con altre persone. A breve giungerà dal governo una lista di persone che sarebbero disposte, secondo precisi parametri, a firmare un accordo di massima riservatezza. >> si interruppe vedendo che Marco aveva una mano alzata. Lo invitò con un cenno del capo a parlare. << Come fate a sapere chi firmerà o meno? >>
<< Grazie al sistema di controllo dei dispositivi multimediali in possesso al governo sul suolo nazionale >>
<< Allora se esiste la Macchina, perché al governo serviamo noi? >>
<< Non è esattamente come in Person of Interest >> si intromise Lauren << Questa macchina non prevede, vede solo. Il lavoro di un intero palazzo di spie in un modesto seminterrato. >>
<< Grazie, Lauren >> disse il colonnello << Seconda difficoltà >> continuò aiutandosi con le dita << Dovrete sottoporvi ad un lungo e duro allenamento, che porterà a rendervi più consapevoli di quello che sapete fare. Prima che facciate la vostra scelta, sappiate che se deciderete di non unirvi a noi verrete lasciati nell’esatta situazione in cui vi abbiamo prelevati che, a malincuore, per molti di voi è il patibolo. >> Jeshi, Igor e Shawn capirono che era rivolto a loro e acconsentirono lentamente. << Signore, ma la Russia non aveva fatto una moratoria per la pena capitale? >> chiese Lauren. << Hanno fatto un’esplicita richiesta all’Unione Europea per compiere questa esecuzione per “alto tradimento” e quella ha accettato. Qualcuno che sa il russo glielo traduca. >> concluse indicando il gigante.
Ci furono cinque minuti buoni di silenzio. Poi Shawn si schiarì la voce e cominciò a parlare: << L’unica rimasta viva della mia famiglia, credo, è mia madre. E penso che più lontano le sto meglio può essere per lei, per aiutarla a dimenticare quello che è successo. Perciò io accetto. >> Dopo di lui ci fu Jeshi, che nei brevi minuti di silenzio aveva scritto un breve riassunto di quanto detto per Igor, che disse: << Beh, da quando i miei genitori erano stati uccisi, la mia unica famiglia è stata il tempio, e so che, se dovessi scegliere fra la morte onorevole e il combattere per difendere i più deboli, il mio maestro mi avrebbe consigliato di combattere. Quindi io ci sto. >>
Poi fu il turno fu Igor che disse: << Da, ya prinimayu >> che fu tradotto da Jeshi con un << Sì, accetto >>. Poi fu il turno di Alfred: << Nella mia piena e corta vita, ho sempre cercato di fare in modo che l’uomo possa vedere un barlume di conoscenza, poi quando ne ho avuto bisogno loro non sapevano rispondermi. L’uomo è stupido, non ho intenzione di perdere quel poco di intelligenza per colpa di un pazzo che uccide la gente o di una guerra mondiale. Consideratemi parte della squadra. >>
Fu allora il turno di Marco, che esordì: << Io non ho ucciso né visto uccidere nessuno. Non rischio di morire per un motivo o per un altro. Io a casa ho una sorella, un padre e una madre che mi aspettano. Mi dispiace, ma preferisco andare con loro piuttosto che rimanere qui >>
A quelle parole il colonnello lo guardò, sospirò chiudendo gli occhi e disse: << E’ giusto che tu sappia che alla tua famiglia è stato detto che tutto ciò che ti è successo è stato una grande fatalità del caso, e non è collegata al bordone. Prima che entrassimo li abbiamo convinti che era una missione di recupero. Se ti interessa, per motivi di sicurezza mondiale, i tuoi funerali si sono tenuti ieri. Mi dispiace, ero contro questa scelta, ma ce l’hanno imposta dall’alto. >>
<< Cioè, mi stai dicendo che non posso tornare dalla mia famiglia, perché pensano sia morto e l’unica soluzione è unirmi ad un gruppo formato da una ninja bionda, uno che ha ucciso il padre decapitandolo, uno scienziato pazzo e la versione umana di Hulk? Alla faccia del potete scegliere! >>
<< Lo so come ti senti, ma la domanda è: ti unirai a noi? >>
<< Perché dovrei? Non sono come loro! Cosa ho di così importante da costringermi qui? >>
<< Al volo >> disse il colonnello, e lanciò l’acqua nel suo bicchiere verso il ragazzo. D’istinto Marco si protesse con le mani nell’attesa che il gavettone lo colpisse. Ciò non accadde. Spostò leggermente le mani da davanti. Dopo le facce visibilmente shockate dei suoi compagni vide fluttuare, davanti a lui, la massa d’acqua che gli avevano tirato. Ne rimase spaventato. In quell’istante l’acqua cadde e finì sul tavolo, bagnando leggermente il suo fascicolo. << Questa cosa è impossibile senza un generatore di antienergia >> esclamò Alfred, completamente rinsavito dalla pazzia iniziale.
<< Un coso di cosa? >> chiese Marco, un po’ perché non sapeva di cosa stesse parlando, un po’ perché in generale aveva perso la percezione di ciò che gli accadeva attorno. Il colonnello prese un telecomando e premette un tasto. Lo schermo alle sue spalle mutò e si vide la scena di una telecamera. L’inquadratura era centrata sulla lancia che Marco aveva impugnato, attorno alla quale giravano interessati molti scienziati in tute antiradiazioni. Gli occhi di Alfred e Marco si illuminarono. Alfred boccheggiò per un po’, poi disse: << Chi a costruito quello? >>
<< Non lo sappiamo, ma la datazione al radiocarbonio lo data al 3000 a.C. >>
<< E’ impossibile >> disse il professore. Poi ragionò un po’ e continuò: << A meno che non sia stato scoperto per caso, ritenuto mistico, rinchiuso in un qualche tempio sperduto e giunto fino a noi. >>
<< Questo non spiega perché so far volare l’acqua! >> esclamò alquanto irato Marco.
<< Deve averti trasformato in una specie di “batteria umana” per l’antienergia. >> rispose Alfred. Marco guardò tutti poi se ne andò. Jeshi lo seguì.
<< Pensi che fuggire ti aiuterà? >> disse la ragazza.
<< Io non volevo tutto questo >> disse Marco alzando il dito << Io vivevo una vita normale, poi quel deficiente di mio zio ha trovato quella lancia e io l’ho toccata. Ci sono finito dentro e ora non posso più uscirne. No, penso che non aiuterà! >>
<< Marco... >>
<< Marco niente! >> gridò il ragazzo. Poi fece per andarsene. Jeshi lo fermò per una manica. Marco si voltò. I loro sguardi si fermarono l’uno sull’altro per un bel po’. Poi Jeshi si morse il labbro e disse: << Spesso siamo costretti a fare scelte che non vogliamo fare. In quei momenti, bisogna sempre scegliere quello che è più giusto per gli altri. >>
<< Tu l’hai fatta, una scelta del genere?! Eh!? Tu hai passato tutta la vita in un tempio, cosa nei sai di scelte difficili. >> Jeshi abbassò lo sguardo. << Tutti pensano che i bambini siano mandati al tempio quando hanno due o tre mesi >> sussurrò Jeshi col capo chino << Ma i miei genitori mi hanno mandato al tempio quando avevo sei anni. In pratica dovevo abbandonare i miei genitori e vivere la mia vita isolata dal resto del mondo. Credevo a quel punto che l’unica alternativa fosse seguirli anche se sapevo che mi avrebbero ucciso come hanno fatto con loro. Ho scelto di abbandonarli, perché sapevo che se fossi sopravvissuta avrei salvato la cosa che amavano di più al mondo. Sì, io ho fatto una scelta del genere. Ho scelto di sacrificare la mia vita per il bene degli altri. Penso sempre che i miei genitori siano morti con il sorriso pensando che ero al sicuro. >>
Marco si lasciò convincere. << Ormai la mia vita è a rotoli >> disse tornando al tavolo << Non ho più niente da vivere, quindi credo di non aver altra scelta. Contate su di me. >> Il colonnello fece uscire un breve sorriso, mentre Shawn, Igor e Alfred davano il bentornato in squadra al giovane. << Ora però dobbiamo finire con i soprannomi. Alfred, ti va bene Prof? >> disse il giovane.
<< Beh, sì, può andare, credo >> rispose spiazzato l’uomo.
<< Lei, colonnello, sarà Signore, e il che mi pare più che giusto. Infine Lauren sarà... Non ne ho la più pallida idea >>
<< Potrebbe andare bene Rossa? >> chiese la ragazza << Perché quelli troppo complessi non mi stanno simpatici. >>
<< Per me i soprannomi vanno bene, basta che cambi il tuo! >> esclamò Jeshi. Marco ne discusse per un po’, poi solo contro tutti fu costretto a cambiare e optò per Magic. << Perfetto, ora tutti noi abbiamo un nome di battaglia, ma il nostro gruppo ne ha uno? >> chiese Shawn.
<< Effettivamente >> disse Donald << Questo progetto non ha un nome in codice ben preciso, anche perché eravamo troppo impegnati a cercavi per trovare un nome >>
<< Fate fare a me allora. >> disse Shawn. Si mise quindi a scrivere sul blocco appunti mentre il colonnello illustrava la struttura dell’edificio. Finì non appena sullo schermo apparivano le disposizioni degli alloggi. << Ho trovato! Che ne dite se ci chiamiamo SOS, Special Operative Squad? >>
<< Sembra stupido >> disse Marco << Mi piace! >>
<< Anche a me. Sembra adeguato, sintetico e preciso >> disse Lauren.
<< Perfetto, ora abbiamo anche un nome! >> disse stizzito dall’interruzione McRonald, poi si ricompose << Ora vi illustrerò i vostri alloggi, dopo di che sarete congedati. Ci ritroveremo qui domani mattina per iniziare il vostro addestramento. Ma ora, Marco, a te va la stanza 7, troverai tutti i tuoi oggetti personali in quella stanza. Jeshi, tu prendi la 8, questa qui >> disse indicando un quadrato sulla mappa << che è vicina al Magazzino armi bianche. Igor, per te c’è la 11, quella più grande con la palestra incorporata. Alfred, a lei affido la 9, ha un buon impianto di areazione nel caso voglia fare qualche esperimento e non tutto vada come previsto. Infine Shawn, ti resta per esclusione la 10. Bene, qui abbiamo finito. Potete andare, ci rivedremo domani alle 8 in punto. >>
Quando tutti furono andati, Lauren si avvicinò al colonnello. << Signore, non mi sembra andata poi così tanto male. >>
<< Perfettamente. Niente intoppi e nessun altro problema, per ora. Non so quanto passerà prima che abbiano nostalgia della loro vecchia vita. Il tuo compito ora è farli sentire a proprio agio, come se non fosse successo niente. Lo so che anche per te è stato difficile ambientarti, ma... >>
<< Capisco quello che vuol dire, signore. Farò come ha detto. Arrivederci. >> si allontanò sorridente verso la sua stanza, la 12, mentre la porta scorrevole della stanza centrale si aprì in un fruscio.
   
 
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