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Autore: frames    29/12/2014    2 recensioni
Emma ripensò alla t-shirt dei Joy Division che Harry indossava la prima volta che si erano incontrati quella sera al pub, al loro primo bacio che sapeva di cioccolata calda al caramello, a quella volta che avevano passato la giornata a riguardare la trilogia de Il signore degli Anelli, a quelle fossette da bambino innocente che comparivano agli angoli della bocca di Harry ogni volta che sorrideva – e Harry sorrideva spesso.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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i'll be home

Emma provò a rileggere quel paragrafo per almeno dieci volte ma proprio non riusciva a farselo entrare in testa, girò l’ennesima pagina del grosso libro impolverato che aveva preso in prestito dagli scaffali della biblioteca dove quel pomeriggio si trovava a studiare.
L’esame di Storia Romana era ormai imminente, con lo sguardo perso nel vuoto provò ad immaginare l’espressione contrariata della professoressa Anderson quando il giorno dopo le avrebbe chiesto di elencarle le dinastie che si erano succedute a capo dell’Impero e non avrebbe ottenuto alcuna risposta.
Emma Stanley era una studentessa modello, sognava di studiare Archeologia sin da quando aveva undici anni e si divertiva a scavare nel giardino di casa sua immaginando di ritrovare reperti risalenti a milioni di anni prima, il giorno in cui aveva ricevuto la lettera d’ammissione all’Università di Edimburgo – il 27 agosto 2011, lo ricordava precisamente – era stato per lei uno dei momenti più felici della sua vita, aveva affrontato quei due anni e mezzo con dedizione e impegno nonostante il prestigioso ateneo richiedesse degli standard altissimi, nonostante non sempre era stato facile vivere a tanti kilometri di distanza dai propri cari ritrovandosi spesso sola nella sua minuscola stanza al primo piano del dormitorio a prepararsi la cena e a studiare per un esame.
 Contro tutte le aspettative Emma aveva sempre avuto un rendimento eccellente negli anni, poteva vantare voti impeccabili e la stima di molti professori che vedevano per lei una brillante carriera dopo la laurea alla quale mancavano ormai solo pochissimi esami.
Eppure proprio uno degli ultimi esami stava mandando completamente in crisi Emma, che aveva sottovalutato le insidie del ricordare tutti quelle date e quei nomi latini.
Il vero problema però era che l’esame si sarebbe tenuto il 23 Dicembre e ciò aveva sconvolto i piani di Emma che aveva progettato di trovarsi già sulla strada per Brighton, di ritorno a casa per le vacanze di Natale.
Non vedeva i suoi genitori e le sue due sorelline minori – Cecilia e Sophia – da mesi e moriva dalla voglia di aiutare sua madre in tutti i preparativi per la cena, di decorare la tavola insieme a suo padre, di guardare i vecchi film natalizi che trasmettevano in tv ogni anno, di girare per le vie del centro insieme alle sue migliori amiche.
Si guardò intorno sospirando, ormai erano ore che era seduta su quella scomodissima sedia di legno che ad ogni movimento scricchiolava in malo modo, quasi tutti gli altri studenti erano andati via e quel posto immenso diventava sempre più inquietante.
L’enorme sala principale dove si trovavano i tavoli per lo studio era poco illuminata solo dalle antiche lampade verdi, il silenzio assoluto vigeva e ciò era garantito anche dalla bibliotecaria, un anziana signora dalle mani rugose da cui chiunque osasse anche sussurrare mezza parola si sarebbe beccato un occhiataccia severa.
Emma raccolse i lunghi capelli biondo cenere in una treccia laterale disordinata e bevve un altro sorso dal suo cappuccino ormai congelato che aveva preso quel pomeriggio alle macchinette, si impose mentalmente di non poter tornare a casa prima di aver finito tutto il libro ma quando scrutandolo meglio si accorse che le mancavano almeno altre 100 pagine le venne voglia di bruciare tutto. Era un disastro, un dannatissimo disastro che l’avrebbe portata al fallimento totale!
Mentre si disperava piegata sui libri immaginando gli scenari peggiori si accorse con la coda dell’occhio che una testa piena di ricci era comparsa da dietro uno scaffale di libri.
Il suo fidanzato Harry le stava facendo dei vistosi gesti invitandola a raggiungerlo, Emma scosse la testa decisa poiché non aveva bisogno di un'altra distrazione ma quando il ragazzo la implorò con quella faccia da cucciolo bastonato sporgendo il labbro inferiore in quel modo che sapeva la faceva impazzire, lei si alzò macchinosamente dalla sedia.
La bibliotecaria la seguì con lo sguardo, gli studenti accanto ai quali passò erano troppo presi dai propri libri per notarla.
«Stai passando talmente tanto tempo qui dentro che stavo per dimenticare che faccia avessi» esordì il ragazzo lamentandosi per le poche occasioni che avevano avuto di stare insieme negli ultimi giorni nonostante frequentassero la stessa università. Harry però studiava per diventare un giornalista proprio come suo padre anche se la sua più grande passione era il canto.
Emma sorrise dolcemente «Ho quel fottuto esame, ricordi? Credo che morirò su quel libro e nessuno si accorgerà neppure che ho smesso di respirare» ammise in una risata isterica prima di stampare un bacio sulla bocca del suo fidanzato.
«Volevo solo passare un po’ di tempo con te prima di partire» spiegò Harry stringendola al petto, entrambi sarebbero tornati a casa per le vacanze di Natale, Harry a Londra ed Emma a Brighton. Avrebbero trascorso del tempo con le loro famiglie perché tanto loro potevano stare insieme tutto l’anno – si erano detti – ma infondo sapevano bene che avrebbero sentito terribilmente la mancanza l’uno dell’altra.
«Io sono costretta a passare ancora del tempo con il mio libro di Storia Romana, in realtà credo che faremo le ore piccole insieme» disse Emma scostando dalla fronte di Harry alcuni ricci ribelli che gli coprivano gli occhi.
Quante volte aveva provato a convincerlo che forse era arrivato il momento di tagliarli, ma lui non ne aveva mai voluto sapere.
«Scommetto che lui non è bravo a letto quanto lo sono io però» concluse Harry sussurrando malizioso all’orecchio della sua ragazza, quest’ultima rise in modo rumoroso dimenticandosi per un attimo del posto in cui si trovavano. Era per questo che amava Harry così tanto, prima di essere il suo ragazzo era il suo migliore amico e ciò che sapeva fare meglio era farla ridere.
«Ci vediamo domani pomeriggio al pub, ti aspetto al solito posto e non ti azzardare a fare tardi!» lo ammonì Emma lottando un po’ contro le braccia che avrebbero voluto stringerla ancora e staccandosi così da lui che si limitò ad annuire e a seguirla con lo sguardo mentre si allontanava.
Ma quella distanza durò pochi istanti. Un bacio, un altro bacio, no aspetta l’ultimo e poi ancora uno.
 

La porta del pub fu spalancata per l’ennesima volta lasciando entrare una folata di vento gelido che fece rabbrividire Emma nonostante indossasse ancora il parka verde scuro. Fuori aveva cominciato a nevicare, e a detta di tutti a breve sarebbe cominciata una vera e propria bufera.
Erano le 18.30 e di Harry ancora non c’era traccia, tipico. Emma aveva già bevuto una birra media seduta sui divanetti dell’ultimo tavolo della sala, era sicura che da qualche parte sulla ruvida superficie di legno scuro del tavolo tra le varie incisioni c’erano anche le loro iniziali. Sorrise.
Harry apparve poco dopo nel pub gremito di gente, salutò un paio di compagni di corso mentre raggiungeva Emma al tavolo per poi sedersi di fronte a lei e osservarla in attesa del risultato.
«28/30» disse soltanto lei scoppiando a ridere alla vista dell’espressione indignata che apparve sul volto di Harry. Lui indossava quella cuffia di lana che a lei piaceva tanto.
«Sei la solita secchiona che si lamenta il giorno prima e poi prende un voto altissimo! Lo fai sempre, cazzo!» esordì divertito quasi urlandole contro e provocando altre risate in Emma che odiava ammettere quanto avesse ragione. Harry si voltò verso il bancone e fece segno a Josh, il cameriere, di portare altre due birre alla spina.
«Sei incredibile» ammise dopo qualche minuto guardandola con quegli occhi verdi, la guardava con la stessa ammirazione di un bambino che osserva la neve cadere dal cielo.
E quella notte di neve ne cadde parecchia.



Il 24 Dicembre Edimburgo si svegliò ricoperta da uno strato di almeno 20 cm di neve candida, Emma dalla finestra osservava pensierosa i tetti ricoperti  mentre alle sue spalle il notiziario ripeteva per l’ennesima volta che gli aeroporti di tutto il Regno Unito sarebbero rimasti chiusi per almeno due giorni.
Ricevuta la notizia al telefono sua madre si era limitata a sospirare delusa e aveva pregato più volte sua figlia maggiore di tenerla aggiornata su qualsiasi cambiamento.
«Stavo preparando la torta di mele, la tua preferita..» disse con la voce sottile quando la telefonata stava per finire ed Emma se la immaginava appoggiata alla sua adorata cucina indossando il grembiule natalizio tutto sporco di farina per l’impasto che stava maneggiando. Erano passati sei mesi dall’ultima volta che era tornata a casa e mai come in quel momento aveva desiderato così ardentemente di ritrovarsi nella sua vecchia stanzetta con i poster attaccati alle pareti e i vestiti di quando era una ragazzina nell’armadio.
Harry bussò alla sua porta poche ore dopo «Sembra che siamo bloccati qui per altri due giorni» annunciò con un sorriso appena accennato, perché lo sapeva quanto tutto ciò rendesse triste Emma e lui odiava vederla così.
«Almeno siamo insieme» sussurrò lei contro il maglione bordeaux di lana del suo fidanzato, stretti in quell’abbraccio scomodo ma urgente.
E quella fu davvero l’unica consolazione della Vigilia di Natale più insolita che entrambi avessero mai passato.
Si rincorsero per i corridoi vuoti dei dormitori, fecero una battaglia di palle di neve che finì troppo presto perché Emma era semplicemente incapace di difendersi, pranzarono al pub con i toast al formaggio così buoni che sapeva fare solo Josh, giocarono a scarabeo distesi sul letto di Emma ridendo per ogni parola buffa che Harry cercava di far passare come buona, fecero l’amore stretti l’uno tra le braccia dell’altro un po’ perché faceva freddo e un po’ perché così si stava veramente bene.
Allo scoccare della mezzanotte si scambiarono i regali, quello di Harry non era stato neanche impacchettato, era semplicemente contenuto in uno scatolone quadrato un po’ rovinato.
Emma lo guardò titubante prima di sollevare il coperchio e ritrovarsi tra le braccia un mappamondo, uno di quelli non troppo grandi che potevano essere anche una lampada, con i nomi delle città più importanti e gli oceani di quel blu scuro.
«Guarda meglio sul fondo della scatola» suggerì Harry esitante, si era chiesto per ore se fosse quello il modo più giusto per dirglielo.
Tastando il fondo della scatola Emma riuscì ad afferrare quella che sembrava una lettera, cominciò a leggerla lentamente eppure sembrava non riuscire a capire neanche una parola di ciò che c’era scritto. O più semplicemente non voleva.
«Sono stato accettato ad un master di Giornalismo alla Columbia» la anticipò Harry notando la sua espressione confusa «Dovrei partire a metà gennaio per New York» continuò secco e senza sorridere – e di solito, Harry sorrideva sempre. Sapeva bene che non ci sarebbe stato entusiasmo, non ci sarebbero state domande o progetti.  
«Sono contenta per te» disse dopo qualche minuto di silenzio Emma con la vista appannata dalle lacrime lanciandosi tra le braccia del ragazzo che amava, non riuscì a fermare i singhiozzi mentre lui la stringeva forte a sé.
Ed Harry odiava più di ogni altra cosa vederla piangere, ma doveva dirglielo non avrebbe potuto tenere quel segreto ancora a lungo.
«È solo un anno poi tornerò a casa, sei tu la mia casa ovunque sarò» promise lui ma Emma stava pensando che in un anno cambiano tante cose e che ci sono le tempeste di neve che ti impediscono di tornare a casa anche quando è la cosa che vuoi di più al mondo.
Ripensò alla t-shirt dei Joy Division che Harry indossava la prima volta che si erano incontrati quella sera nel pub, al loro primo bacio che sapeva di cioccolata calda al caramello, a quella volta che avevano passato la giornata a riguardare la trilogia de Il signore degli Anelli, a quelle fossette da bambino innocente che comparivano agli angoli della bocca di Harry ogni volta che sorrideva – e Harry sorrideva spesso –, alla loro differenza d’altezza, alle sue spalle leggermente curve, ai suoi stivaletti di camoscio che odiava tanto, alle mani grandi di Harry e alle sue minuscole, al modo in cui quelle mani avevano imparato a conoscere a memoria ogni angolo del suo corpo, alle loro gambe che si intrecciavano di notte sotto le coperte del letto, a quegli abbracci tanto stretti che sembravano gridare «Tienimi forte, non lasciarmi cadere», ai biglietti per il concerto dei Coldplay per il suo compleanno, al tentativo di Harry di prepararle una torta che però era finita mezza bruciata e ai suoi sforzi di mangiarla ugualmente, a quelle volte che studiavano insieme in biblioteca, al viaggio a Barcellona a Luglio con gli zaini in spalla e le cartine da leggere tra le mani, a quel bacio sulla terrazza del Parc Güell, al modo in cui Harry la faceva ridere talmente tanto da avere mal di stomaco, a quanto si era sentita agitata quel venerdì pomeriggio quando lui le aveva presentato sua madre – «Le piacerò? E se non le dovessi piacere? E se odiasse il modo in cui mi vesto o come parlo?» –, ai suoi tatuaggi che conosceva a memoria, alla sua voce bassa quando lo sorprendeva ad impugnare la chitarra acustica e cantare,  a quella volta che aveva bevuto troppo e Harry l’aveva messa a letto,  alle camicie di flanella che Harry adorava ed Emma gli rubava, alle serate abbracciati nel letto a guardare X-factor e ai «magari l’anno prossimo faccio i provini», ai suoi occhi verdi che erano capaci di scavarle dentro.
Lo guardava ancora intento ad aprire il suo regalo, una sciarpa in tartan rossa e verde che Harry probabilmente avrebbe indossato l’inverno successivo osservando le mille luci degli schermi a Time Square, senza di lei.





se qualcuno è arrivato fino a qui e ha davvero letto queste 2.347 parole, grazie.
mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, se vi va lasciate un commento dicendomi se vi ha fatto sorridere o vomitare tutto il pranzo. vanno benissimo entrambe le cose.
in realtà avevo intenzione di inserire questa storia in una 'serie' ma il punto è che non so quando riuscirò materialmente a pubblicare le altre.
ultimamente sto scrivendo più one-shot semplicemente perchè ho capito che scrivere long non fa per me, perchè le lascio sempre a metà e mi dispiace tantissimo fare così.

è la prima volta che scrivo qualcosa che ha come protagonista Harry.

alla prossima, xx 

  
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