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Autore: Francine    30/12/2014    6 recensioni
Una finestra aperta nel cielo, pensa Mu. Affacciato al balcone della notte, gli occhi fissi su Spica. La testa ad Atene. Il cuore che s’è già involato verso Naxos. E Athena, dalla Tredicesima Casa, sa che è questione di giorni – forse di ore – prima che anche il suo corpo decida di raggiungere la maggiore delle Cicladi. E quella casa dalle mura bianche ed il tetto di un azzurro struggente, che s’affaccia sul mare e su una spiaggia di sabbia finissima. Perché l’amore è la risposta, pensa Saori. Pensa Athena. Pensano tutt’e due insieme, affacciate alla finestra della notte.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Mu, Leo Aiolia, Saori Kido, Scorpion Milo, Taurus Aldebaran
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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Window in the skies
 
 
 
Oh can't you see what love has done?
Oh can't you see what love has done?
Oh can't you see what love has done?
What it's done to me?

(U2, Window in the skies)
 
 
1.
 
 
«Quindi cosa dovrei fare?».
Aiolia fissa Shaka. Dentro di sé, sa che l’altro ha ragione e sa che il suo rimprovero non è dettato da invidia o gelosia, eppure lo guarda – lo fissa – con gli occhi verde smeraldo che minacciano tuoni e fulmini, le mani aperte sul tavolino che lo separano dal Santo di Virgo.
«Lo sai da te, Aiolia».
Spiccio come l'Oracolo di Delfi, ma non altrettanto sibillino.
«Non posso. So cosa avrei dovuto fare, so cosa dovrei...».
«Cosa devi», lo corregge Shaka, ad occhi chiusi, una tazza di tè verde tra le dita affusolate.
«Dovrei», riprende Aiolia infischiandosene di tutto, anche della quiete dello Sharashojo, «cosa dovrei fare, ma non posso. Non posso! Hai capito, Shaka? Non posso, è più forte di me! E non uscirtene con le tue solfe sulla responsabilità o sull’Illuminazione, che non è aria! Farei prima a smettere di respirare!».
«Non ti sembra di essere melodrammatico, Aiolia?».
Mu posa la tazza di porcellana sul tavolino, incurante del ciclone che sta per abbattersi su di lui. E infatti Aiolia scatta; con una mossa afferra lo scollo della sua tunica e lo strattona a sé, a pochi millimetri dalle sue fauci.
«Prova a ripeterlo, se ne hai il coraggio!», gli ringhia a bassa voce.
«Aiolia, lascialo andare».
Milo tenta di fare da paciere. Si è avvicinato all'amico ma non osa mettergli una mano sulla spalla per timore di innescare una bomba pronta a deflagrare al minimo spostamento d'aria.
«Stanne fuori, Papadópoulos!».
Ecco, se lo chiama per cognome significa che è incazzato nero.
Mu, stavolta te la sei proprio andata a cercare, pensa Scorpio osservando i due fronteggiarsi e cercando supporto in Aldebaran. Il quale è rimasto placidamente seduto, incurante della zuffa che sta per scatenarsi davanti ai suoi occhi.
«Vuoi darmi una mano?», quasi gli grida Milo tenendo gli occhi fissi su Leo e Aries, terrorizzato all'idea del massacro che sta per svolgersi. Shaka resta immobile, come se quello scambio di opinioni non lo riguardasse e non stesse avvenendo davanti al suo naso. Non interverrà, e questo preoccupa Milo.
Il Toro posa il proprio bicchiere e sospira; quindi si alza e poggia una mano sulla spalla di Aiolia e l’altra su quella di Mu.
«Vogliamo parlarne da persone civili?».
Non è un consiglio o un suggerimento, il suo. È un ordine ben preciso, come a dire «piantatela immediatamente, o vi riduco a pezzi prima ancora che possiate anche solo sfiorarvi».
Aiolia stringe ancor di più i denti e la tunica color corda di Mu, poi molla la presa e si lascia cadere su una sedia.
«Credi che per me sia stato facile?» Parla a Mu che si sta sistemando la veste spiegazzata, ma non lo guarda in faccia. «Credi che non mi sia preso a pugni da solo? Eh? Che sia contento?».
«Se non lo sei allora per quale motivo non la lasci?».
«Cosa cambierebbe? Non soffrirebbe lo stesso? O pensi forse che lasciandola lei si dimenticherebbe di me? Ti do una notizia, signor Sotuttoio. Lei mi ama! Capito? Ama, e se la lasciassi ora le spezzerei il cuore due volte!».
Mu sospira.
«Ascolta, Aiolia, ascoltami con molta attenzione. So che hai cercato di impedirti di ricambiare i sentimenti che Marin prova per te, lo capisco perfettamente. Così come capisco che è proprio dell’essere umano ricercare il piacere dei sensi».
«Mu, ti avverto. Non una parola di più».
Aiolia è fermo, seduto sulla sedia a guardare l’altro con lo sguardo della belva pronta all’assalto.
«Voi Greci avevate un filosofo di nome Epicuro, giusto?». Shaka ha pensato di intervenire. Sono nel suo giardino, dopo tutto. Nella Sesta Casa. E la Vergine sa che l’Ariete non mastica il greco a sufficienza per portare avanti il suo discorso. Mu si siede e si chiude in se stesso. Virgo saprà scegliere con cura i termini da usare per non ferire ulteriormente i sentimenti del compagno.
«E con questo?».
È Milo che glielo chiede: ha capito che Shaka sta per fare una bella ramanzina a tutti i presenti circa la loro vita sentimentale. E non gli garba affatto. Sa che la Vergine ha ragione. Sa che non avrebbero mai dovuto iniziare alcuna relazione sentimentale. Sa che Athena, pur avendo chiuso un occhio su molte cose, non può chiudere anche l’altro ed ignorare, o peggio ancora, benedire le unioni dei Santi. Specialmente se si tratta della casta più alta, che dovrebbe dare il buon esempio.
Odio fare il bravo bambino, pensa Scorpio incrociando le braccia fasciate da una maglia color zaffiro, i tre bottoncini slacciati sulla pelle perennemente abbronzata.
Shaka solleva il viso nella direzione dello Scorpione.
«Come ben saprai, Epicuro sosteneva che la vita è dolore e che anche dalle cose piacevoli spesso può derivare il dolore. Pensaci bene, se partecipi ad una cena luculliana e godi nel mangiare fino a scoppiare, l’appagamento dato dal cibo sarà ben presto sostituito dal dolore, fisico, generato dall’aver ecceduto, con nausea, crampi allo stomaco ed altra fenomenologia che non è il caso di star qui ad elencare».
«Basta contenersi», gli replica Milo. «Non serve un filosofo per sapere che se m’ingozzo come un tacchino, poi sto male!».
«Anche ammesso che tu ti contenga, Milo, l’appagamento dato dal sentire sul palato un cibo particolarmente gustoso sarà ben presto sostituito dalla sua mancanza e per sopprimere questo dolore dovrai continuare ad ingurgitare quel cibo, divenendone schiavo…».
«Quindi, per Epicuro dovremmo vivere in modo frugale?», chiede Aldebaran tamburellando le dita sul tavolo: detesta il modo arzigogolato di Shaka per spiegare una cosa. Perché non dire io la vedo così piuttosto che chiamare delle autorità a suffragio della propria tesi? Lo trovo scorretto, pensa il Toro.
«Esatto. Vivere frugalmente per trovare il piacere, ma non quello effimero delle crapule…».
«Adesso te lo dico io come la vedo! Senza ricorrere al pensiero di questo o quel filosofo». La voce del Leone è un rombo basso, come di un tuono in lontananza. «Penso che se non si provano certe cose sulla propria pelle, non ci si può permettere di parlare! Lo stesso Aristotele, che tanto disprezzava le donne e Eros, non s’è ridotto a farsi cavalcare come fosse un asino da una servetta di cui si era invaghito?».
Aiolia prende fiato e prosegue il discorso, con calma.
«Io amo Marin, più della mia stessa vita. Sarei pronto a morire qui, adesso, in questo stesso istante, se solo sapessi di non farla soffrire. Io la amo, Shaka, ed è fondamentale avere accanto qualcuno, per chi vive a stretto contatto con la morte come noi, specie se quel qualcuno condivide la tua stessa vita».
Aiolia ha parlato lentamente, con serietà, senza urlare come poco prima. E Mu si accorge di aver pestato un callo particolarmente doloroso.
«Non pensi che io non ci abbia ragionato sopra, che noi non ci abbiamo ragionato sopra? Sei anni, sei anni passati a chiedersi se fosse giusto, se fosse corretto, se non fosse deleterio amarci! Sei anni. E la conclusione a cui siamo giunti è che è meglio amare, anche se per poco. I miei sentimenti per Marin non sarebbero certo cambiati. Io sono e sarei comunque riluttante all’idea di lasciarla da sola, sia che io fossi stato o meno il suo compagno. E lo stesso vale per lei. Quando sarà il momento, moriremo per Athena, e questo Marin l’ha accettato, così come io ho messo in conto che potrebbe accadere lo stesso a lei».
«Capisco», mormora la Vergine. E anche se Aiolia sa che no, non ha capito affatto la portata della faccenda, tace. «Sono solo preoccupato che voi non abbiate altri motivi di sofferenza, Aiolia», ribatte Shaka. « La mia sollecitudine è data dal mio affetto per voi…».
«Ti ringrazio, ma le tue premure hanno toccato un nervo scoperto». Aiolia si alza, sprofonda le mani nelle tasche dei pantaloni bordeaux e se ne va dalla Sesta Casa senza salutare. Mu non prova neanche a fermarlo: è sconfitto. Se ne resta con la testa china, le mani nelle mani, a fissare il proprio riflesso nella tazza di tè.
«Tranquilli, ha capito che parlavate per il suo bene», tenta di confortarlo Aldebaran.
«Avreste fatto meglio a tacere, invece! Tutti e due!».
Aldebaran alza lo sguardo su Milo, appoggiato con la schiena ad una colonna, le braccia incrociate e gli occhi bassi. Come il suo tono di voce. E quando fa così, significa che sta per rifilare una delle sue stilettate acide.
«Avanti, Milo, sai bene che…».
«Che è facile fare la predica», l’interrompe aprendo gli occhi. «Ma tu hai una vaga idea delle paranoie che si è sparato quel disgraziato da quando si è innamorato di Marin? Eh? C'eri tu o il sottoscritto a sentirlo parlare, parlare, parlare sempre della stessa cosa, sera dopo sera? Eh, Shaka? Eh, Mu?».
«Io non metto in dubbio che…».
«Che cosa? Che si sia fatto mille pippe mentali prima di avvicinarsi a Marin? Allora non ti stupirà sapere che quando ha capito di piacerle è piombato nella depressione più nera! Sembrava pazzo. Era felice di sapere che Marin ricambiava i suoi sentimenti, ma al tempo stesso le sue paure e i suoi dubbi si sono amplificati all’eccesso. E patapàm!, ha ricominciato col domandarsi cosa fare e cosa non fare assolutamente. E adesso, che ha finalmente trovato un equilibrio, piombi come un fulmine a ciel sereno e gli incasini l’esistenza?».
«Milo, calmati!».
«Calmarmi? Non ci penso neanche!». Assesta un pugno alla colonna, gli occhi del blu cupo del mare che minaccia tempesta. «Sono incazzato nero! Anche perché, mi ci gioco le palle, il signorino ha qualcosa da dire anche, e soprattutto, al sottoscritto. Vero, cara la mia pecorella?».
«Quello che penso accadrà ad Aiolia lo temo anche per te! Soffrirai se e quando…».
«Se e quando cosa? Smettila di parlare per enigmi ed allusioni, mi fai solo incazzare!».
«Ok, Milo! Parliamo fuor di metafora!». Mu si sta scaldando e si gira sulla sedia con il busto rivolto verso Scorpio. «Non venirmi a dire che non ti dispiacerà lasciare Athina quando affronteremo Ade!».
Milo sbatte le palpebre e si concede una bella risata.
«Non mi alletta l’idea di morire! Affatto! Ma so che dovrò farlo, lo so da quando ho indossato la mia armatura per la prima volta. Però non posso impedirmi di vivere una vita il più normale possibile. E non sono un tipo che ama lasciarsi dei rimpianti alle spalle. Certo che mi dispiacerebbe se ad Athina capitasse qualcosa di male, ci mancherebbe! Ma il mio caso è ben diverso da quello di Aiolia…».
«Ben diverso? Non raccontarmi fandonie!», e il placido e contemplativo Mu dà una manata sul tavolo rovesciando le tazze. «Vai a letto con lei e non ne sei innamorato?».
E tu che ne sai?, vorrebbe chiedergli. Ma perde l’attimo. E porre quella domanda significherebbe ammettere che sì, con Athina hanno speso piacevoli ore tra le lenzuola, rendendo gli altri partecipi della propria privacy. Di cui è gelosissimo. «No», risponde candidamente Milo, con il suo accento isolano pompato all’ennesima potenza. Aldebaran lo fissa serio ed ha ripreso a tamburellare le dita sul tavolo: è chiaro che Milo sta punzecchiando volutamente Mu, lampante come il sole a mezzogiorno; è il motivo che gli sfugge.
«Ma lei…».
«Ma lei, cosa?». Milo interrompe Mu. «La sto ingannando, credi? È questo, quello che pensi? Oh, bell’amico! Sono uno stronzo, non lo nego, ma non fino a questo punto, te lo posso assicurare! Abbiamo fatto una lunga chiacchierata, la signorina ed io, e di comune accordo abbiamo deciso di alleviare le nostre solitudini».
«Perché?».
«Perché no? Io le piaccio, lei mi piace. Perché no? È solo sesso, Mu, solo sesso. Patti chiari e amicizia lunga: niente sentimenti e niente frasi melensi e sdolcinate, solo puro, semplice e appagante sesso».
Milo sfoggia uno di quei sorrisi snervanti sulla sua faccia da schiaffi. E Mu non resiste: scatta e lo afferra per lo scollo della maglia.
«Ma non ti vergogni?», gli ringhia a bassa voce, gli occhi negli occhi.
«Vergognarmi della mia sincerità? Affatto», risponde Milo mettendogli una mano sul polso, gli occhi azzurri fissi in quelli scuri di Mu. «Dovrei vergognarmi se la stessi prendendo in giro. Siamo stati entrambi corretti e sinceri, non vedo che problema possa esserci in questo».
Mu lo fissa, poi lascia la stoffa della maglia e resta a fronteggiarlo.
«Ti da tanto fastidio che io non la ami, ma che ci vada a letto ugualmente?», domanda Scorpio. «Si chiama istinto, Mu…».
«Perché lei?».
«Perché fa parte del mio mondo. Le altre donne non capiscono il vincolo che ci lega ad Athena. Persino quelle che abitano a Rodrio non riescono a comprendere la nostra devozione alla Dea e il fatto di dover partire in missione per il Santuario. Con un Santo donna è diverso».
«Perché lei?».
Milo lo guarda inarcando un sopracciglio.
«Perché? Te l’ho…».
«Perché Athina? Perché lei? Perché non un’altra, perché non Shaina, Marin, June, o qualunque altra donna…?».
«Marin è la donna di Aiolia», fa elencandole una per una aiutandosi con le dita, «Shaina è stracotta di Seiya, June è la ragazza di Shun…».
«E la sorellina di Camus?», chiede Mu con un sorrisetto irriverente, da stronzo, di quelli che riescono così bene a Milo, conscio – e soddisfatto – di aver toccato un tasto dolente.
«Mi sembrerebbe di farmi mia sorella!».
Raccontalo ad un altro!, pensano all’unisono Aldebaran e Mu, che incrocia le braccia nude e rivolge allo Scorpione uno sguardo eloquente.
«Comunque sia, tu hai scelto la tua via, Shaka la sua e noi la nostra, Mu», riprende Milo incurante del sorriso sornione dipinto sulle labbra di Aldebaran. «Io e Athina siamo perfettamente consapevoli di quello che facciamo…». Scorpio sorride, sprofonda le mani nelle tasche dei jeans a vita bassa. «E sincerità per sincerità, permettimi di dire che qui dentro l’unico che la prenderebbe veramente male se ad Athina accadesse qualcosa non sono io. Sei tu…».
«Fuori di qui!», tuona Mu indicando a Milo la direzione per l’Ottava Casa.
«Mi stai cacciando?», lo punzecchia col sorriso soddisfatto del gatto che ha catturato un uccellino grassottello fingendosi morto.
«Fuori!», ringhia Mu, il cosmo che ribolle.
«Adesso basta». Shaka ha aperto gli occhi e sta fissando entrambi con uno sguardo di serio rimprovero. «Questa conversazione è andata oltre».
«Per una volta, sono d’accordo con te, Shaka», e lo Scorpione se ne va, agitando una mano in segno di saluto, e ridendo sotto i baffi mentre esce dalla Sesta Casa, soddisfatto per aver scalfito la quiete olimpica del Santo dell’Ariete.


 
2.
 
Quasi, quasi vuoto il sacco con Athina, pensa Milo sorridendo mentre sale i gradini di marmo candido alla luce del sole morente. A Maggio i prati attorno al Santuario sono una distesa screziata di fiori e gli olivi un mare argento all’orizzonte.
Idiota! Fa tanto il primo della classe e poi si prende una cotta in piena regola per la piccola Athina, anche se non lo ammetterà mai, nemmeno se lo dovessero scuoiare vivo…
 
Decide di sedersi sull’ultimo gradino della scalinata, davanti al piazzale d’ingresso dell’Ottava Casa.
Così le cose cambiano, pensa tra sé e sé cavando il pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans. Ne accende una e l’aspira a fondo. Un toccasana. Almeno per lui.
 
«Fumare fa male!»
 
La voce di Athina gli rimbomba nella testa: se lei fosse qui gli strapperebbe la sigaretta dalla bocca e la getterebbe via come se stesse maneggiando un agente radioattivo. E poi non gli risparmierebbe la solita ramanzina del catrame che si attacca ai polmoni, dei tumori provocati dal fumo, del puzzo di nicotina che s’impregna sui vestiti e sui capelli, del giallo che assumono le mani e i denti… Come se si baciassero, poi! La prima regola l’ha decisa lei, rifacendosi a Pretty Woman. Niente baci sulla bocca. E lui si è adeguato. Il bacio è un gesto ben più intimo del sesso puro e crudo. Decisamente. Certo, Athina è bella e ha delle labbra carnose, ma non si sente male al pensiero di non poterla baciare. Butta fuori un’altra boccata e scuote la cenere nell’aria.
Quei due starebbe benissimo insieme… Quasi, quasi le canto la canzone per intero, pensa mentre intravede la sagoma di Mu avvicinarsi. È fermo alla base dell’ultima rampa e lo sta fissando. Devono parlare. Assolutamente. Prima che si creino altri muri tra di loro. Ade si sveglierà a breve, e nel recentissimo passato ci sono state sin troppe divisioni nelle schiere di Athena. Milo aspira un’altra boccata, dandogli il pretesto per salire a rotta di collo a fargli la ramanzina.
«Fumare fa male!», lo ammonisce Mu quando si ferma a due scalini di distanza, come se non volesse contaminarsi eccessivamente con il puzzo di nicotina. Per tutta risposta, Milo dà un’altra tirata, lunghissima, e getta via la sigaretta, provando a fare degli anelli con il fumo. Chi si assomiglia si piglia, commenta tra sé e sé guardando il compagno con la coda dell’occhio.
«Non sono neanche capace di fare gli anelli di fumo… patetico, eh?», gli dice stiracchiandosi come un gatto. E Mu si chiede se sia idiota o se ci faccia, perché nel qual caso gli riesce molto, molto bene.
«Non sono qui per darti un voto».
«Vuoi?», gli chiede porgendogli il pacchetto. Mu vince l’impulso di strapparglielo di mano e di accartocciarlo sotto le dita come se fosse il suo collo.
«Non mi provocare…».
«Ok, ok», risponde intascando il pacchetto. Come siamo permalosi… «Restiamo fuori o entriamo?».
«Restiamo fuori», risponde l’altro. «Così saremo costretti a comportarci da persone civili».
Civili?!  Che faccia tosta! Chi è quello che mi è saltato al collo meno di un quarto d’ora fa?, pensa Scorpio chiudendo l’ultimo bottone della chester.
«Spara!».
«Vorrei pregarti di non dire nulla ad Athina».
«Leggi nel pensiero?».
Glielo chiede con un’espressione talmente sconcertata che Mu deve trattenersi dallo scoppiare a ridere.
«No, non sarebbe leale…», gli risponde dopo aver deglutito a vuoto. «È che conosco i miei polli!».
Stavolta è Milo a fallire il tiro salvezza sulla volontà, e libera una risata che parte da giù, dalla gola, e che lo fa sentire meglio.
«Conosco i miei polli… Parlate allo stesso modo, sai?».
Mu arrossisce, si sente le orecchie in fiamme e scuote la testa.
«Che devo fare con te?», chiede il serafico Ariete per darsi un contegno.
«Smetterla di fare tante cerimonie e venire a sederti. Mi dà fastidio vederti in piedi come uno stoccafisso».
Mu si sistema a poca distanza da Milo e torna alla carica.
«Non dirglielo».
«Senti, non sono fatti miei, ma credo che tu stia facendo la più grande cazzata della tua intera esistenza…».
«Hai ragione, Milo. Non sono fatti tuoi», risponde placidamente mentre il vento pigro scosta i suoi lunghissimi capelli.
«C’è gente che ucciderebbe per una chioma come la tua». Gli scappa prima che possa rimangiarsi quelle parole.
«Lo so, me ne sono accorto da come mi guarda». Sorride. «Non ho una sola doppia punta!», gli confida con orgoglio. Come se a un uomo interessassero certe cose. O come se fossero due ragazzine all’uscita della scuola.
«Non confidarglielo mai o t’ammazzerà nel più truculento dei modi! Athina sembra docile, ma ha un caratterino…».
«Athina? Che c’entra Athina?».
«Come sarebbe a dire che c’entra? È mezz’ora che stiamo parlando di lei!».
«Ma io mi riferivo all’altra», ribatte Mu tranquillo. «Phi».
«Si chiama Françoise», lo corregge. «Non Phi.» Perché Phi è come la chiama lui, che non riesce a pronunciare correttamente il suo nome. A detta di lei, ovvio. Perché lui ci riesce benissimo.
«Lo so come si chiama», ribatte Mu. «Ma è stata lei a dirmi di chiamarla Phi, perché il suo nome è difficile da pronunciare per me…», e Milo si ritrova, con una punta di fastidio, ad ammettere che c’è una certa logica in questo. Le sembra di sentire la sua voce nella testa. Se non ce la fa un greco, vuoi che ce la faccia un tibetano?  «Se vuoi…».
Fa niente, ribatte Milo, agitando una mano come a scacciare un insetto fastidioso dalla frutta appena lavata. «Chiamala come ti pare, ma nemmeno lei è una che va tanto per il sottile! È capace di farti lo scalpo se viene a saperlo!».
«La conosci bene, a quanto vedo…».
Milo non raccoglie.
«Comunque sia, lo vedrebbe anche un cieco con un cane guida orbo che quella ragazza ha un debole per te…».
Mu lo guarda come se gli fosse spuntata una seconda testa. «Françoise?! Dici sul serio?».
Certo che no! «Parlo di Athina! Che c’entra adesso Françoise?».
«Pensavo ti stessi riferendo a lei…».
«Mu, stammi a sentire! Sto parlando di Athina. Athina, hai presente? Capelli ricci e neri, occhi da cerbiatta, labbra carnose, un metro e sessantacinque, terza di reggiseno…».
«Ho capito!», l’interrompe brusco l’Ariete. «Ho capito! Ma che c’entra lei con me?».
Occhio per occhio, dente per dente. «A furia di startene sui monti del Jamir ti è evaporato il cervello? Non ti sei accorto che quella ragazza ha un debole per te così come tu lo hai per lei?».
«Appunto per questo ti chiedo di non dirle niente».
«A-ah! Allora lo ammetti!». Milo lo indica con un sorriso ampio, come quello di un bambino. «Dillo! Dillo!».
«E piantala!», quasi ruggisce Mu. «E va bene, Athina mi piace! Ma questo non significa nulla».
«Nulla? Come nulla? Non vuoi stare con lei? Vuoi amarla da lontano? Cos’è, hai perso il treno per il Romanticismo?».
«Idiota!», commenta Mu. «Già non avrei dovuto farla entrare nel mio cuore, figuriamoci se mi posso permettere il lusso di sfiorarla…».
Farla entrare nel mio cuore? Ma come diamine parli, Mu? «Ma di che hai paura? Perché è paura, la tua…».
«Io non ho paura!» precisa l’altro. «Sono solo…».
«Stronzate!», sputa Milo guardando le pietre alla sua destra.
«Cosa?».
«Negare certe cose è come ignorare il soffio del vento o la scintilla divina nell’umano», dice lo Scorpione guardando le Case sottostanti scaldarsi alla luce del sole morente. «Vuoi perdere così tanto tempo ed energia a negare l’ovvio?».
Mu tace e lo fissa.
«Io non ci vedo nulla di strano o di malvagio nel cedere ai sentimenti, una volta tanto. Perché quando hai capito di provarli, non puoi più nasconderli. Ci sono. Esistono. Anche se li neghi. Inganni solo te stesso, Mu. Che senso ha fuggire da qualcosa che ti resta comunque dentro? Tu la ami?».
«Sì».
Un sussurro è quanto giunge alle orecchie di Milo. Non occorre che si giri, sa che Mu è arrossito fino alla cima dei capelli. Prende un’altra sigaretta e gli porge il pacchetto.
«Che dovrei farci?».
«Scioglierti un po’».
Mu allunga la mano pallida e ne pesca una.
«Vorrà dire che stasera mi laverò i denti per qualche minuto in più…», si giustifica mentre lo Zippo di Milo brucia la fine della sigaretta. Aspira, trattiene e tossisce come se avesse la pertosse.
«Non tutta assieme!».
Milo gli da grandi pacche sulle spalle e ride come un bambino che ha appena fatto uno scherzo alla maestra.
Questa me la paghi, pensa Mu deglutendo la saliva che ora sa di tabacco. E gli fa schifo.
«Sei sempre della stessa idea?».
La voce di Milo è assente, incolore, come se non si trovasse lì con lui, il sedere sui gradini di marmo freddo, ma come se si stesse librando nell’aria assieme al fumo.
«Non devo dirle nulla? Sei sicuro?», prosegue dopo aver fatto cadere la cenere.
«Sicurissimo. È già difficile dover fare i conti con me stesso, figuriamoci dover combattere anche con lei!».
«Il prode Mu di Aries che se la fa sotto all’idea di affrontare una ragazza dai grandi occhioni?», lo deride Milo. Lui non raccoglie.
«Ho parlato con lei in un paio di occasioni… ed è stancante, testarda e caparbia! Non vorrei mai avere un dibattito dialettico con lei…».
«In tutta onestà, non credo affatto che lei pensi a fare discussioni sui massimi sistemi con te…».
«Dici?».
«A-ah! Altrimenti perché mi avrebbe chiamato con il tuo nome, in uno di quei momenti?».
Gli ormoni di Mu fanno la ola, mentre si strozza col fumo un’altra volta. Ha voglia anche lui di alzarsi e gridare «olè!» dalla contentezza.
«Non è piacevole, sai?, anche se si tratta di una scopata tra amici! E levati quel sorrisetto del cazzo dalla faccia!».
«Uno a zero!», commenta Mu aspirando un’altra boccata che ora gli fa meno schifo di prima. E questo lo preoccupa un po’.
«Comunque, ho intenzione di darci un taglio. E sia ben chiaro che…».
«Non lo fai per me, ma per te stesso, lo so, lo so…», prosegue Aries. «Ti sei già stancato di lei?».
Milo ci pensa su. E no, non si è affatto stancato di lei. Athina è una brava ragazza, dolce, premurosa, sensibile, pratica e generosa. Ed è una gran cuoca, capace di fare una moussaká che ti resta marchiata a fuoco nella memoria, buona quasi quanto quella di sua nonna Melpoménê. Non è di lei che è stufo marcio, ma della situazione in cui si è cacciato. «No, sono stanco di stringere lei e di pensare ad un fantasma…».
Mu non perde tempo a risolvere l’equazione.
«E perché allora non hai cercato lei, invece di Athina?» .
«Perché?!», sbotta Milo alzandosi. «Perché ho bisogno di qualcuno accanto che sia qualcosa più di un amico, come lo era Camus, e qualcosa meno di Athena. Ma lei, LEI, è persa dietro al ricordo di un eroe morto e sepolto, il Diavolo se lo porti! Invece Athina, è persa dietro ad uno che vive solo per un fine superiore. Abbiamo unito le nostre solitudini. Ecco. Tutto».
Mu resta in silenzio, la cenere che ha consumato quasi del tutto la sigaretta.
«Non è un po’ squallido?».
«Adesso non venirmi a fare la morale, tu che vivi come un asceta, ma che hai
sentimenti più che terreni!».
«D’accordo, ma spiegami che senso ha vivere in questo modo! Perché non capisco, non lo capisco affatto!».
«Non credo sia possibile spiegarlo. Io ci ho provato e tu non l’hai compreso, così come tu hai provato a spiegarmi i tuoi motivi che io non sono riuscito a capire. E infatti ancora mi chiedo perché tu non voglia dire niente ad Athina pur essendo cotto e stracotto di lei».
«Credo siano i cosiddetti motivi personali», risponde Mu restando a
fissare il mozzicone spento. «E questo?».
«Dallo a me…».
«Glielo dirai?», domanda porgendogli il mozzicone.
«E che palle! No, non glielo dirò. Non le dirò nulla. Contento?», dice Milo, stanco di voler ingabbiare l’aria con un retino per farfalle.
«Veramente io mi stavo riferendo a Phi…».
Ancora?, dardeggiano gli occhi di Milo. «E che cosa dovrei dirle, sentiamo?», gli domanda con un sorriso svogliato. «Lascia stare i morti e prova ad amare i vivi?».
«Potrebbe essere un inizio…», risponde Mu accavallando la gamba destra sulla sinistra e mostrando delle sobrie espadrillas avana che gli calzano a pennello. «Anche se, conoscendo il tipo, credo che i fatti valgano più delle parole».
«Perdonami, amico, ma non eri tu quello contrario alle relazioni sentimentali tra Santi? Hai cambiato idea all’improvviso?».
«No. È solo che con te sarebbero parole al vento; non sei affatto un tipo facile da convincere, testardo come sei!».
«Esatto!», risponde fiero alzandosi e sgranchendosi le ginocchia.
«Quindi, piuttosto che restare inattivo, ti conviene incanalare le tue energie in qualcosa di positivo. Tendi all’autodistruzione, o sbaglio?».
«Avanti, allora; dimmi che cosa dovrei fare!».
«Senti un po’, ma chi è lo sciupafemmine del Santuario, tu o io?», lo deride Aries. «Falle vedere come sei realmente, com’è Milo. Senza maschere, titoli e orpelli. Apriti a lei, se vuoi che lei si apra a te».
«Cosa? Aprirmi a lei?».
«Ah, ho capito!», ribatte Mu. «Hai paura di mostrare il fianco, vero? Temi che le tue "debolezze"» e lo dice facendo uno strano gesto con le mani, come a mimare delle virgolette, «ti possano essere ritorte contro, dico bene?».
A chi lo stai dicendo? A me o a te stesso?, pensa Milo prima di rispondere: «Vedo che sei un acuto osservatore, Holmes… Gesù. Stiamo davvero facendo questa conversazione?».
«Elementare, Watson», scherza Mu. Non è piacevole trovarsi sulla graticola, vero?, pensa facendo assaggiare allo Scorpione la sua stessa medicina. «Adesso lo ammetti o no di avere paura di lasciarti andare o te lo devo tirare fuori con le pinze?».
Milo si siede, perplesso dal linguaggio del compagno di solito così compassato, e si prende le mani tra di loro.
«Paure? Sì, ne ho molte. Non credere che Aiolia sia l’unico a farsi mille paranoie e pippe mentali. Lui, alla fine, la sua strada l’ha trovata, ma io? Io no. Io sono ancora qui a chiedermi se sia giusto amare una ragazza quando sai di avere le ore contate. Certo, ti dici, tutti prima o poi moriamo, quindi a che pro farsi tanti drammi? Ma sapendo che Ade sta per svegliarsi da un momento  all’altro, le cose cambiano. Devo vivere ogni attimo fino in fondo, oppure rinunciare, nella speranza di non farle male?».
«Tu che risposte davi ad Aiolia?».
«Risposte? Risposte? Quali risposte?», gli chiede Milo battendo le mani sulle cosce. «Lui arrivava, "ciao Milo!", diceva e patapàm, ricominciava a parlare, parlare, parlare e ad ingollare caffè come se fosse acqua fresca! Faceva tutto da solo!».
Impressionante, per due che fino a qualche tempo fa erano rivali!, pensa Mu prima di chiedergli: «Ma un’idea te la sarai fatta, no?», aggrottando la fronte. «Cosa sei, una spugna?».
Sospira e abbassa la testa.
«No, è molto più semplice. Non mi sono mai posto  il problema!», gli confida Milo. «Sarò stato un vigliacco, ma non me la sono sentita. Ho preferito aspettare di avere un motivo più che valido prima di cacciarmi in un casino simile, e così ho fatto».
Mu ci pensa su.
«Anche se ti dicessi come la penso, ormai non cambierebbe nulla. Alla fine, ciò che hai evitato te lo ritrovi comunque davanti, è inevitabile, è solo una questione di tempo».
«Le vent fait son tour, diceva Camus. Il vento fa il suo giro e ogni cosa prima o poi ritorna. Questo lo so da me!». Milo si appoggia con la schiena alle pietre dietro di lui, ancora calde per il sole che le ha baciate per tutto il giorno. «Solo che adesso non so davvero che pesci pigliare!».
«Sì, però quando si è trattato di Athina non ti sei fatto problemi!».
«Senti, Mu, ti ho già detto che mi dispiace! Non sapevo che ti piacesse, dico sul serio! Pensavo fosse un amore a senso unico. Ti ho già spiegato i miei motivi, e ti ho anche detto che ho deciso di darci un taglio. Comunque. Indipendentemente dalle rivelazioni di oggi pomeriggio. Ma se accetti un consiglio, sbrigati, o al posto mio arriverà qualcun altro che te la porterà via sul serio!».
«Ancora con questa storia? Insisti?». Mu serra i pugni. «Ti ho già detto che Athina…».
«Ok, ok! Sono fatti tuoi!», lo ferma prima di arrivare a fare a pugni. «Scusami!».
Mu riprende fiato, lo trattiene e poi lo lascia andare con lentezza. Quando riapre gli occhi lo fissa intensamente.
«Ci siamo chiariti, non è vero?».
«Suppongo di sì…», replica Milo a braccia conserte. Mu si alza.
«Non so cosa sia meglio fare, se amare una donna o rinunciare del tutto alle passioni. Il fatto che nel mio cuore alberghino sentimenti così contrastanti può significare che io non sia poi così vicino alla verità come credo di essere».
Accendere una lampadina?, scherza Milo tra sé e sé.
«Mediterò a lungo anche alla luce dei  tuoi consigli. Vedremo a quali conclusioni perverrò…», riprende sistemandosi i capelli oltre le spalle. «Ma se anche tu vuoi accettare un consiglio, evita di formarti una famiglia se non vuoi che soffrano per te… Le Leggi del Santuario sono giuste, Milo».
«Grazie mille, me ne ricorderò».
«Buonasera, allora. E grazie dell’ospitalità!».
«Quando vuoi!» Lo congeda dandogli la mano. «Credo che adesso tu abbia qualcun altro da visitare, no?».
Mu sorride.
«Contavo di chiarirmi con Aiolia domani in mattinata…».
Già, sei venuto prima qui perché sono io ad inzuppare il biscotto con Athina, vero?, pensa Milo ridendo sotto i baffi.
«Vacci adesso, dammi retta! Aiolia è uno che tende a serbare rancore».
«Se è così, spero di non disturbarlo…», dice scendendo i gradini verso la propria Casa.
Adesso che il sole è tramontato, fa molto più fresco. Milo si sfrega le mani sulle maniche della maglia. Ha promesso che non avrebbe detto nulla ad Athina, e non gli sembra affatto che scrivere sia un sinonimo del verbo dire. Almeno non in greco; se poi lo sia in inglese o in hindi o nel dialetto degli zulù, beh, lui non lo sa, e Mu avrebbe potuto essere più preciso.
 
Ah, Milo… La promessa include anche tutte le altre azioni con cui Athina potrebbe essere informata.
 
Il cosmo di Aries gli esplode nel cervello.
 
Non è sleale leggere nei pensieri altrui? E poi Athina non è una stupida, te lo leggerà in faccia non appena l’incontrerai!
 
È un mio problema! E non ti ho letto nel pensiero! Conosco i miei polli, ricordi?, e il cosmo di Mu l’abbandona.
 
Dio li fa e poi si pente, pensa Milo rientrando nell’Ottava Casa, deciso a rispondere a quella domanda che ha volutamente ignorato per troppo tempo. Forse è meglio sondare il terreno, prima…
Perché non gli sono mai andate a genio le battaglie perse in partenza. Decisamente no.
 
 
3.
 
Quando Mu arriva alla Quinta Casa trova le suppellettili rovesciate e piovute sul pavimento come se fossero coriandoli quello fosse il sagrato di una chiesa all’uscita di un matrimonio. Le tende, staccate dalle aste che le fissavano al soffitto, ora giacciono abbandonate in morbidi drappeggi sui mobili e sulle sedie che si sono salvati dalla furia distruttiva di Aiolia.
«È passato un ciclone…».
Galan è sempre sorridente e sempre benevolo nei confronti di Aiolia. Il suo sorriso, mentre raccoglie con la scopa i cocci di varia natura, è una scusa cortese a tutto quel trambusto, ma anche un modo per chiedergli: «Sicuro di non saperne nulla?».
E Mu lo capisce. A vivere da solo, sui picchi inaccessibili del Jamir ha imparato a cogliere le sfumature nella voce delle persone e a distinguere la loro aura. Quella di Galan è azzurra, come un cielo senza nuvole. Ha perso un occhio e un braccio in uno scontro con Aiolos – all’epoca Mu era ancora un bambino – ma ciononostante ha sempre un sorriso rassicurante dipinto sulle labbra e custodisce la Quinta Casa, per vegliare su Aiolia al posto del fratello maggiore. Lo ha chiesto lo stesso Galan all’allora Gran Sacerdote e Saga, forse nel suo momento buono, lo ha accontentato.
«Nobile Mu, vogliate scusarci per il disordine con cui vi riceviamo…».
«Non bado alla forma, ma alla sostanza, Galan. E credo che la collera del nobile Aiolia sia da attribuire in gran parte alle mie parole, pronunciate senza avervi a lungo riflettuto».
Galan lo ascolta in silenzio, il sorriso sulle labbra e la scopa tra le mani.
«Se cercate il nobile Aiolia, credo sia andato a fare una passeggiata per schiarirsi le idee».
«Capisco. Sapete dove posso trovarlo?».
Un sorriso più ampio si disegna sulle labbra sottili.
«Purtroppo non sono in grado di aiutarvi. Seguite la scia, forse lo troverete».
Mu sorride.
Forse Aldebaran ha fermato con la sua mole il ciclone che è sceso giù per la scalinata di marmo; tanto vale scendere e chiedere, pensa Mu salutando Galan con un cenno del capo ed attraversando Quinta, Quarta e Terza Casa.
 
 
 
4.
 
«Io non l’ho visto», gli dice il Toro passandosi dell’olio al cocco sui capelli prima di raccoglierli in una stretta coda sulla nuca. Li porta così da sempre, fin da quando erano bambini, salvo nel breve periodo in cui dovette rasarli a zero per uno scherzo atroce del solito Milo.
Colla sul cuscino, in quantità industriali.
Roba che al mattino si era alzato con il guanciale saldamente ancorato alla testa e l’unico modo per disfarsene era stato il rasoio. L’Attendente della Seconda Casa, una donna di nome Safiria, aveva provato ad immergergli la testa nell’acqua bollente, ad ammorbidirgli i capelli con una mistura di olio d’oliva e benzina, ma niente; tutti quei tentativi non avevano fatto altro che peggiorare una situazione già di per sé complicata.
«A che pensi? No, non dirmelo! A quello scherzo del cazzo, vero?». Non aspetta la risposta di Mu. «Adesso ne rido, ma allora ero disperato! Avevo impiegato tre anni per farmi crescere i capelli, tre. E quell’idiota ha rovinato tutto in meno di otto ore!».
«Ricordo…», annuisce Mu. «Ma mi sembra di ricordare anche che tu non sia stato il solo a portare i capelli a zero, o sbaglio?».
«E vorrei vedere!», continua l’altro passando un paio di volte attorno ai capelli un elastico di spugna rosso. «Se avessi scoperto che era stato Milo a mettere la colla sul cuscino sarei salito a passo di carica all’Ottava Casa, l’avrei agguantato per il collo e trascinato dal Sacerdote!». Lo dice come se rivivesse quelle azioni lì per lì, come se sentisse ancora lo zac zac zac delle forbici del barbiere rimbombargli nelle orecchie. «Quella volta il Sacerdote era di buon umore visto che decretò che tutti si rasassero la zazzera. Anche Milo!».
«Così da far passare a chiunque altro la voglia di tirare simili scherzi da prete».
«Scherzi da prete? Solo? Tagliati la chioma a zero, poi ne riparliamo!», ribatte Aldebaran stringendo la coda ed osservando soddisfatto il risultato. «Può andare. Se cerchi Aiolia ti conviene andare a vedere da Marin».
«Ci avevo pensato, ma è in missione a Eleusi per conto di Athena».
Già, è di nuovo primavera. «Davvero? In effetti è da un po’ che non la si vede in giro. E io che avevo pensato che Aiolia la tenesse al riparo per paura che gliela consumassimo con lo sguardo!».
«Marin non è una donna remissiva. Altrimenti non avrebbe mai potuto allenare Seiya».
«Hai ragione. Mia nonna diceva “Acqua cheta rompe il ponte”», prosegue il Toro sciacquandosi le mani. «Se vuoi il mio parere, ci sei andato giù pesante!».
«Io ho parlato solo per il vostro bene».
«Il nostro bene può non coincidere con la tua visione delle cose, Mu», ribatte voltandosi verso di lui. «Tu hai fatto un scelta precisa, noi no. Noi no. E se anche il tuo discorso non avesse fatto una grinza, attaccare Aiolia in quel modo ti ha fatto passare dalla parte del torto».
«Ho esagerato, lo so, me l’ha ribadito anche Milo. E a proposito, scusami se ti ho abbandonato a quel modo, ma avevo urgenza di parlare con lui…».
«…della bella Athina, lo so …». Mu è diventato più rosso di un astice gettato nell’acqua bollente. «Puzzi di fumo da fare schifo! Spero che vi siate chiariti, almeno! E se accetti un altro consiglio, fatti avanti prima che Milo s’innamori sul serio di lei!».
«In che senso?», gli chiede mentre teme che psicanalizzare il Santo di Aries sia divenuto il passatempo preferito del Santuario.
«Nel senso che Athina è una bella persona. Dolce, sensibile, determinata anche se forse un po’ troppo testarda per i miei gusti. E Milo fa tanto il gradasso, ma soffre moltissimo la solitudine, specie da quando Camus è venuto a mancare».
È venuto a mancare, annota Mu mentre capisce che quelle parole sono un atto di gentilezza nei confronti di Milo. «Quindi?».
«Quindi? Avanti, che lo conosci pure tu, cribbio!», gli fa aprendo uno stipo ed estraendone della crema di whisky che Mu rifiuta gentilmente pensando prima il fumo, adesso l’alcool… «Mu, sai bene che Milo ama la solitudine, ma che al tempo stesso ha bisogno di sapere che c’è qualcuno accanto a lui! E sai anche che tutti quei proclami sulla libertà sessuale sono solo un modo per mascherare la sua incapacità a trovare qualcuno a cui legarsi, ma che gli garantisca la libertà di tuffarsi in se stesso quando più gli garba».
Abbiamo unito le nostre solitudini. Le parole di Milo gli esplodono nel cervello come una fucilata in piena notte.
«Dammi retta», prosegue il Toro dopo aver assaporato il liquore beige. «Fatti avanti, prima che Milo finisca per innamorarsi sul serio di Athina. E qui lo dico e qui lo nego, sia chiaro!».
«Ma non ti sei accorto che…».
«Che Milo pensa a qualcun’altra? Sì che lo so, non servono i cartelli. Lo vedo ogni volta che quei due s’incontrano, anche se a voler essere precisi lei la si vede un po’ troppo poco per capire le sue reazioni. Lui è un libro aperto, basta nominargliela ed inizia a dare in escandescenze; un po’ eccessivo per uno capace di pugnalare con freddezza il proprio nemico, non credi?».
«Chi disprezza compra…».
«Sì, però tu non adagiarti sugli allori! Può essere che lei sia persa dietro un altro uomo, e Milo, per rivalsa, per compensazione, o per qualsiasi altro motivo che gli attraversi quella mente bacata, decida di dare un giro di vite al suo legame con Athina. E tu che faresti?».
«Io? Ne sarei sollevato!» Mu lo ammette senza tanti giri di parole.
«Come sarebbe a dire? E perché mai? No, aspetta! Fammi indovinare!», gli dice Aldebaran allungando le braccia davanti a sé. «C’entra qualcosa il Servizio, giusto?»
«Esatto».
«Senti, amico mio, io non so se uscirò vivo dalla battaglia contro Ade, e non so neppure se saprò mai cosa significhi amare qualcuno; però credo sia molto egoista e masochista, da parte tua, rinunciare a lei solo per…».
«Solo? Solo?!» Mu batte la mano sul tavolo presso cui si sono accomodati. «È tutta la vita che dedico me stesso e le mie azioni al Servizio della Dea, e adesso che sono a tanto così dall’aver raggiunto il mio scopo, tu dici che sono egoista e masochista?».
«Esatto…», risponde l’altro placido come un ruscello di montagna. «Un masochista è un egoista perché pensa a raggiungere il piacere tramite il proprio dolore. E tu, non sei disposto a calpestare i tuoi stessi sentimenti,soffrendone, per altro, pur di tentare di raggiungere uno scopo che può avvenire in qualsiasi momento, a quanto ne so io?».
«Non è così semplice…».
«Rispondi alla mia domanda!», lo incalza prima che riparta per un altro dei suoi voli pindarici sul dovere e sul Servizio.
«In un certo senso…».
«Lo prendo per un sì», ribatte Adriano. «E comunque sia, il tuo modo di pensare è alquanto estremo, oltre che ingiusto. A te, l’idea di lasciare qualcuno che possa soffrire per te non ti passa neanche per l’anticamera del cervello! A te non frega nulla che Athina pianga o soffra per te, a te interessa solo della tua reputazione del cazzo!».
«Non ti permetto di parlare così», ribatte Mu espandendo il proprio cosmo.
«E io non permetto a te di fare tanto il moralista quando sei peggiore di tutti noi!». Il placido Toro sta per perdere le staffe. «Hai idea di come si senta Aiolia ogni volta che sta con Marin? Pensi che gli piaccia l’idea di doverla lasciare, un giorno, magari con un figlio? No, vero? Sei troppo impegnato a fare il superuomo per accorgerti che anche gli altri si pongono remore morali!».
Il Toro si alza dalla sedia, posa il bicchiere mezzo pieno su una cassapanca istoriata con scene mitologiche e porta le mani sui fianchi.
«Non sei il solo che pensa alla battaglia contro Ade e all’eventualità di non superarla. E a volte, poter condividere le proprie paure con qualcuno che le capisce e ti da coraggio è la migliore medicina contro la follia».
Resta in silenzio, i suoni della notte che si propagano nell’aria: non sa come nemmeno lui, ma è riuscito a vincere il desiderio di spaccargli quel bel visino da attore. E teme che se si presenterà ad Aiolia con questi propositi, finiranno per ammazzarsi dopo le prime tre battute.
«Capisco il tuo punto di vista. Forse ho ancora molto su cui dover meditare. Scusami per il disturbo», e Mu si alza nel fruscio della veste color corda. «Spero di trovare Aiolia al più presto».
Buona fortuna, gli augura tra sé e sé mentre Mu si muove alle sue spalle ed esce dalla stanza. Toro segue i suoi passi con il pensiero, e lo vede mentre esce dalla Seconda Casa e si appresta a scendere alla Prima.
 
Non ha tutti i torti, lo so. Ma non si è reso conto di aver preso una cantonata pazzesca. E con i suoi sentimenti, per giunta!
 
E si chiede come sia vivere una vita tesa alla realizzazione di uno scopo ben preciso. Mu è fatto così, decreta fissando il proprio riflesso sulla crema di whisky, si farebbe fare a pezzi pur di non sconfessare le cose in cui crede anche a costo di calpestare qualcosa di molto, molto importante. Persino se stesso. Parlarne alla dea Athena? E a che pro?, si chiede Toro rammentando che la Leggi del Santuario sono chiare: non crearti una famiglia se non vuoi che essa soffra per te.
È forse questo, il motivo per cui tutti noi siamo orfani?, conclude alzando la testa e stiracchiandosi i muscoli del collo. Non può trattarsi di una mera concatenazione di coincidenze, no. Lui stesso, preso da una favela alle pendici di San Paolo del Brasile; Milo, che ha mantenuto i contatti con la famiglia della madre, morta dandolo alla luce; Mask, arrivato senza radici dalla vicina Italia; Shaka, piombato da un monastero buddhista, trovato tra i fiori di loto dai monaci addetti alle cure del giardino. Meteore sciolte da qualsiasi legame.
Una spiegazione ci dovrà pur essere per tutte queste coincidenze, si dice Adriano. «C’è qualcosa di speciale in te, meninho!», gli ripeteva Zuleika, carezzandogli la testa, prima di uscire, la sera, affidandolo alla vecchia Adriana. Tra le viuzze stortignaccole di Paisisopolis non esisteva il concetto di mamma e papà; tutti i bambini erano fratelli fra di loro, e tutte le mamme e tutti i papà erano le mamme e i papà. E lui era cresciuto tra le coccole di Ana Laura, i dolci al sesamo di Samira, cercando le telline a riva assieme a Guga e dondolando dalle braccia di Nazario; rincorrendo Gisèle, costruendo castelli di sabbia per la piccola Maria insieme a suo fratello Ignacio. La sua vita era stata questa, giorno dopo giorno, seguendo il ciclo stagionale e le maree, fino a quando non era arrivato un uomo vestito di nero, venuto a prenderlo da un posto lontano, dall'altra parte del mare blu.
«Adriano, devi andare incontro al tuo destino; non opporti mai ad esso, ma segui sempre la corrente lungo la via che è stata scritta per te», gli aveva detto Cesar. E lui aveva annuito, aveva salutato tutti e aveva preso per mano quel tipo che parlava una lingua aspra e dura, andando via da casa, dalla sabbia bianchissima e dall’estate perenne.
Adriano sorride, sprofondando le mani nelle tasche del jeans. Cesar… da quanto tempo non pensavo a  lui! E ora capisce, ora più che mai, che suo padre era proprio Cesar. Lo sente, lo percepisce. Perché il sangue, come recitava nonna Adriana, la madre di Cesar, il sangue non è acqua. Se ne resta silenzioso, con i suoi ricordi preziosi che ha deciso di tirare fuori dallo scrigno dei ricordi in uno dei pochi attimi di pace prima dell’avvento di Ade. Ora può indugiare tra i frammenti della sua infanzia, soffusa da una calda luce dorata, ora che il risveglio del più acerrimo nemico di Athena è una fatalità che aspetta paziente dietro l’angolo.
 
 
5.
 
Che Aiolia sia tornato alla Quinta Casa è altamente improbabile; l’avrebbe incrociato strada facendo o mentre si trovava a colloquio con Aldebaran o Shaka. Niente. Non si trova da nessuna parte. E Mu si sta seccando. Vorrebbe usare il proprio cosmo per localizzarlo, ma sa che non sarebbe leale, e che Aiolia reagirebbe ancora peggio. C’è un solo posto in cui non ha ancora cercato. È rischioso, ma sa che se lascia Aiolia a rimuginare troppo sul disgraziato scambio di opinioni che hanno avuto, c’è il serio e concreto pericolo che quelle stesse parole incancreniscano dentro di lui, e che la frattura fra di loro si possa allargare lasciando un solco profondo.
La casa di Marin dovrebbe essere dietro quel complesso, pensa avvicinandosi al luogo dove sa che Aiolia si è rifugiato. Lo trova seduto su una sedia, la testa tra le braccia incrociate sul tavolino spoglio del monolocale dal tetto ocra. Sa che Aiolia lo ha sentito arrivare, ma preferisce che sia il Santo del Leone ad invitarlo all’interno del suo microcosmo privato. Non serve un genio per capire che casa di Marin è l’oasi personale di Aiolia e che quel letto, accostato alla parete di destra e coperto da un lenzuolo malva, è il posto dove l’hanno fatto per la prima volta. Resta in silenzio ed aspetta la mossa dell’altro.
Avanti, entra e falla finita, pensa Aiolia stringendo la morsa delle mani sui propri polsi. Mu non si muove. Il ragno che aspetta paziente che la mosca si posi sulla sua tela. Aiolia si stufa e gli fa un cenno con la mano, simile a quello famosissimo di Bruce Lee. Tagliamo corto.
«È permesso?», e Mu entra in punta di piedi nella parte più intima di Aiolia. Che ha alzato la testa dal tavolo e lo guarda nervoso.
«Prendi una sedia e accomodati. Purtroppo non ho molto da offrirti…».
«Grazie lo stesso», replica Mu sedendosi di fronte a lui, al posto che intuisce esser stato quello di Seiya. Fa passare la mano sui segni che il ragazzo ha intagliato nel legno di pioppo. Ideogrammi. Kana. E alfabeto greco.
Seika. Stella e pioggia.
Seiya. Stella e freccia.
«È il nome di sua sorella…», gli confida Aiolia prima ancora che Mu apra bocca. Un modo come un altro per rompere il ghiaccio e lasciar sbollire la rabbia.
«Crede ancora che si tratti di Marin?».
Aiolia scuote la testa. «Non lo so, non lo vedo da un pezzo, anche se non credo che il tempo abbia infiluito sulle sue decisioni».
«E Marin?».
«Lei è venuta qui in Grecia alla ricerca di suo fratello, anche lui scomparso. E anche se ci sono buone probabilità che Seiya sia suo fratello, lei non vuole saperlo».
«Deve avere delle motivazioni molto serie, immagino…».
«Già! Che senso ha trovare tuo fratello quando tra poco lo perderai?».
Acido. Se le parole di Aiolia fossero state un liquido, avrebbero corroso il tavolo ed il pavimento sottostante. Che mi aspettavo? La fanfara e i fiori di benvenuto?,  pensa Aries.
«Cosa ti porta tra i comuni mortali, Mu?». Ancora acido. E sempre più corrosivo.
«Chiederti scusa. Credo di aver esagerato, prima…».
«Credo? Solo credo?», gli chiede l’altro con un sorriso sfrontato. «Mi hai fatto la predica sparando a zero sui miei sentimenti e su una situazione che non conosci e dici di avere solo esagerato?».
«Aiolia…».
«Hai cagato fuori dal vaso, ecco cosa hai fatto! E non azzardarti ad uscirtene con una massima filosofica delle tue, non sono in vena!». Lo sta avvisando, in modo che poi non si possa lamentare se dovesse passare alle vie di fatto. Avrebbe voglia di spaccargli l faccia, al diavolo tutto! È entrato come un panzer in un terreno minato e lui dovrebbe preoccuparsi della sicurezza di quel pazzo suicida? Ma stiamo scherzando?, pensa Aiolia con gli occhi di smeraldo ardenti di rabbia.
«Capisco il tuo punto di vista…».
«Quale onore!», lo interrompe Leo incrociando le braccia. «Il divino Mu che si abbassa a comprendere le umane passioni!».
«…e purtroppo mi sono reso conto troppo tardi che quelle parole erano rivolte a me stesso, in realtà».
Aiolia ammutolisce e si sistema meglio sulla sedia.
«Vedi, ho passato tutta la mia esistenza al Servizio. All’avere sulle spalle la responsabilità dell’essere un Santo di Athena. Del vestire l’Armatura dell’Ariete…».
«No, Mu. Tu ti sei fatto i cazzi tuoi per tredici anni. Te ne sei stato su quelle montagne sapendo che il Sacerdote era morto stecchito!».
«Purtroppo, però, io non credo di essere vicino al mio obbiettivo, visto che condanno quei difetti dell’essere umano in cui io stesso cado».
«Mi stai ignorando?».
«No, Aiolia. Voglio solo spiegarti la mia visione delle cose», replica Mu. «Se io mi sono fatto i cazzi miei, come dici tu, è stato perché non avrei potuto essere un Santo di Athena se fossi rimasto al Santuario».
Tacciono.
«Aiolos diceva che nell’umano c’è la scintilla del divino…», riprende Aiolia, tornando in argomento. Mu gliene è grato.
«Sì, anche Milo la pensa così, dev’essere il retroterra cristiano».
«Ecco cos’è questo puzzo di sigaretta!».
«Lo Scorpione pare trovare estremo piacere nel fumo».
«Oh, lo so bene! Fa così quando è molto nervoso. O preoccupato», gli confida Aiolia accomodandosi meglio contro lo schienale della sedia. «Immagino che tu avessi qualcosa da dire anche a lui, o sbaglio?».
«Il mio discorso doveva essere rivolto a tutti, Aiolia, non solo a te o a Milo. Ma solo adesso ho compreso come in realtà stessi parlando a me stesso».
«Hai paura che i tuoi sentimenti t’impediscano di mantenere intatto il tuo status di Santo?».
«Anche. Perché le stesse paure che ho paventato a voi le provo anche io, sulla mia pelle. E perché non riesco a capire se si tratta di un tranello tesomi dal karma o se…».
«Posso?». Aiolia lo interrompe con l’espressione di chi si è perso alla quarta parola. «Io non so cosa dica questo vostro benedetto buddhismo, e non è il caso di addentrarci nella questione adesso», lo blocca prima che possa partire per la tangente, «ma credo, però, che questa vita sia troppo breve per lasciarsi dei rimpianti alle spalle. Noi abbiamo un’esistenza tanto intensa quanto effimera, ed è il prezzo che paghiamo per poter essere utili alla dea Athena in questo tempo. Che sia per il nostro karma, o per capriccio divino, poco importa. Io morirò servendo Athena. Contro Ade o contro qualsiasi altro nemico che dovesse giungere a minacciare il Santuario. C’è poco da fare, se non accettare questo stato di cose e cercare di vivere al meglio».
Aiolia si alza, raggiunge il muro di sinistra e vi si accosta con la schiena.
«Anni fa confidai a Galan e Lythos che la loro presenza accanto a me rendeva la Quinta Casa una sorta di mio santuario. Ma crescendo, mi sono reso conto che loro due non mi bastavano più. Che avevo bisogno di qualcos’altro, di qualcun altro. Avevo bisogno di Marin, più dell’aria e della luce del sole».
China la testa.
«Ed è in quel momento che sono cominciati i casini! Mille domande, mille paure. Era giusto crearsi un qualcosa che poteva rompersi da un momento all’altro? Era giusto vivere sospesi sul filo del rasoio, godendo di momenti brevi ma intensi? E se lei fosse rimasta incinta? E se io fossi morto durante lo scontro con Ade? E se…».
Aiolia fa un pausa, rivivendo sulla propria pelle quei momenti di dubbio. Sente lo stomaco attorcigliarsi su se stesso, il fegato contrarsi a produrre bile, il sangue pulsare veloce nelle vene.
«Avevo deciso di soffocare i miei sentimenti per il bene di Marin, quando lei mi parlò. E mi disse di aver passato le mie stesse pene dell’inferno, combattuta tra il dovere e il suo cuore di donna. E alla fine si era risolta a chiedere consiglio alla stessa Dea».
«E…?».
«E Athena le disse di seguire sempre il proprio cuore, perché lui non sbaglia. Certo, non poteva dirle apertamente di amarmi, la Legge è Legge. Ma cosa recita la Legge, Mu?».
Lo guarda come se gli stesse assicurando che i marziani esistono.
«Non crearti una famiglia se non vuoi che essa soffra per te…», recita a pappagallo come se fosse una preghiera.
«Ma se da ambo le parti c’è la volontà di accettare gioia e dolore…».
«Ma che stai dicendo?», Mu sgrana gli occhi. «Come puoi pretendere che Marin…».
«Errore! Io non pretendo un bel nulla». Aiolia lo ferma con le parole mentre si alza dalla sedia. «È Marin che mi ha fatto dono anche del suo dolore. Preferisce soffrire, se e quando sarà, piuttosto che soffocare ancora i sentimenti che lei prova per me».
«E tu? Hai accettato questo stato di cose?».
«Lì per lì no», gli confida Aiolia alzando al testa al soffitto. «Sono andato anch’io a colloquio con Athena, il giorno dopo. E lei mi ha fatto notare una cosa tanto semplice che in un primo momento non avevo considerato, tutto preso com’ero da me stesso».
Mu inarca un sopracciglio. O almeno ci prova.
«Davvero non ci arrivi?», gli chiede Aiolia perplesso. «Sta a vedere che ti ho dato qualcosa su cui riflettere stanotte…».
«Forse. Comunque, Aiolia, io sono venuto…».
«Risparmia il fiato, lo so. Così come so che sei venuto a cercarmi per non ingigantire lo screzio di poco fa».
«Avrei voluto aspettare domattina, ma Milo mi ha consigliato di battere il ferro finché è ancora caldo. Dice che…».
«…tendo a serbare rancore, lo so. Detto da uno capace di odiare qualcuno a distanza di anni, è il massimo!».
«Dici?».
«Scherzi? Ancora ce l’ha con Camus per essere stato sconfitto da Hyoga», e con Shura per essere morto da eroe nonostante sia esploso come un petardo, aggiunge, tra sé e sé.
«Allora, sarà il caso di togliere il disturbo… Credo di avere qualcosa su cui meditare…», e saluta Aiolia, lasciandolo da solo a solo col fantasma di Marin.
«La notte porta consiglio». La voce del Leone lo accompagna all’esterno, sotto un cielo indaco da cui fanno capolino le prime, timide e assonnate stelle. E Mu si chiede se le parole di Aiolia fossero un augurio o, piuttosto, una maledizione.
 
 
6.
 
È una notte insonne quella che passa Mu.
Il letto è una graticola. Le lenzuola, legacci che gli si attorcigliano alle gambe e stringono, stringono, stringono… Il sonno non arriva a rapirlo e a portarlo altrove, dove tutto è semplice e facile come respirare e il ligio Ariete può concedersi un angolo di requie. Sotto le fronde degli alberi. Tra le braccia di Athina, a giocare con i suoi capelli, arrotolando i suoi ricci tra le dita. Oppure nel silenzio. Solo. Senza fantasmi, senza doveri pesanti come macigni, senza responsabilità. Mu è sveglio. Per tutta la notte. Fino a quando Venere non muta nome in Lucifero e ad oriente il cielo si tinge pian piano di rosa. Fino a quando Mu non decide di seguire l’esempio di Aiolia e di andare a parlare dei suoi dubbi con la Dea. Ed è in quel momento, quando quel pensiero diventa una decisione da una mera ipotesi, che l’animo di Mu si fa leggero. Senza accorgersene, espira tutta la stanchezza e le sue paure assieme all’aria. Le palpebre si fanno pesanti. E il sonno arriva. Dolce. Come un’onda gentile. La brezza che gonfia la vela e solleva il volo del gabbiano. Quando anche un materasso di mattoni diventa il posto più confortevole del mondo.
 
 
7.
 
È pomeriggio inoltrato quando Mu raggiunge le Stanze della Dea.
Athena lo aspetta nel suo chitone candido, un mazzo di papaveri tra le mani.
«Non sono belli? Li ho raccolti questo pomeriggio assieme a Milo», esordisce la fanciulla mostrandogli il proprio bottino. È Saori, adesso. Saori che legge romanzi d’amore alla luce di una torcia. Saori che ascolta il suono della pioggia che cade. Saori che torna appena può in quel formicaio isterico che è Tokyo. Saori che ama vesti fruscianti, dalle lunghissime gonne e dall’accecante purezza del bianco. Un fiocco di neve in una giornata di canicola, pensa Mu osservando quei fiori.
«Sono bellissimi», le dice. Ed è vero, perché il frugale Ariete ha sempre trovato una bellezza diversa e speciale nei fiori di campo che le corolle più blasonate, quelle che adornano siepi e giardini, non posseggono, nella loro apollinea perfezione. Papaveri, margherite, pervinche, fior di trifoglio, tarassaco, muscari e veroniche sfoggiano quella spontanea innocenza che parla dritta al cuore. Che non vuole farsi ammirare, come i teneri boccioli di rosa; ma che resiste. Che non si piega al vento, ma lo accompagna. Con dolcezza.
«Ho pensato di farli mettere in un vaso. Tu che dici?», gli domanda porgendogli un papavero dal rosso intensissimo. Le braccia della Divina Athena sono arrossate. Ha preso troppo sole. E Mu scommette che quello scriteriato di Milo l’ha accompagnata fuori nell’ora più calda.
«Mi sembra un’ottima idea», risponde l’Ariete. «Le vostre braccia…».
«Sì. Ho preso un po’ di sole», commenta Saori osservando la pelle arrossata. Tira un bel po’, Mu è pronto a scommetterlo, ma sa anche che non si lamenterà davanti a lui. «Nulla che un impacco di calendula non possa sistemare».
Mu annuisce. Non si spalmerà l’unguento fino a quando l’udienza non sarà finita. «È meglio che torni in un altro momento, allora…», e pronuncia queste parole alzandosi.
La voce di Athena la ferma sul posto. «Resta, Kriòs».
Quando Mu alza gli occhi legge una fiera determinazione nello sguardo della fanciulla che si trova davanti a lui. Verde, come un mare scintillante che riverbera l’azzurro dell’acciaio. Chinare la testa e piegare un ginocchio è una questione di attimi. Neppure il suo mantello si è accorto di cosa sia successo.
«Ai vostri ordini, Potnia». Signora.
«Hai richiesto udienza. Parla, dunque», lo esorta la Dea. E Mu si rende conto solo adesso che non sa da dove cominciare. Da che parte? Dall’inizio, sì. Ma dove cominciano i sentimenti? Quando inizia l’amore? Per un gioco di sguardi o prima, molto prima, quando siamo solo anime che attendono in fila il proprio turno per calarsi giù, in groppa alla scia di una cometa?
«Dunque, Kriòs?».
«Vorrei parlare con voi sulla Legge», confessa l’Ariete. Tanto vale giocare a carte scoperte. È Athena. Capirà. Di questo Mu ne è certissimo, eppure, se finora non ha deciso di affrontare apertamente la questione è per pudore. Dei suoi sentimenti. Perché le cose preziose si difendono. Si proteggono. Dallo sguardo del prossimo. Foss’anche quello di Athena.
«Camminiamo, Mu. Ti ascolto». Ed Athena – o è di nuovo Saori? – esce sulla terrazza alle spalle del trono. Mu la segue, fermandosi ad ammirare il cielo farsi indaco, lì dove il blu del cielo si dà la mano col rosso delle nuvole. E quando gli occhi neri dell’Ariete incontrano quelli verdissimi di Athena, ogni argine si rompe. Cede, come sotto una mareggiata rabbiosa, che non aspettava altro che di dilagare sulla terraferma. E le labbra di Mu si schiudono. E la lingua si scioglie. E le parole – il fiato dell’Ariete – si perde nell’aria. Nella sua lingua madre. Che Athena capisce. E in cui lui cerca conforto e rifugio. Perché quando si parla di cose importanti, non c’è porto più sicuro della lingua che si è appresa da bambini. Quando il Sommo Sion era ancora lontano da lui. Quando le stelle della sua costellazione ancora non l’avevano chiamato, rispondendo al suo cosmo e infondendogli quella forza in grado di fendere in due la materia.
Mu parla – Mu si libera l’anima. E Athena ascolta. I suoi dubbi. Le sue incertezze. Le sue paure. La sua interpretazione della Legge, in maniera stretta. Strettissima. Così stretta che, quando il vento di Eros ha cominciato a soffiare, quella gabbia che racchiudeva e proteggeva il suo cuore ha iniziato a farsi ancora più stretta. Come una tagliola. Come il filo spinato. E s’è infilata nelle carni, giù, in profondità, e anche se Mu ha tentato di ignorare quel dolore e di non pensarci – oh se l’ha fatto! –, il dolore no, non è scemato. Lui ha creduto di esservisi abituato, di averlo relegato a rumore di fondo da ascoltare nei momenti di solitudine, che gli facesse quasi compagnia; ma è stata tutta una menzogna. Una beffa. Perché quando il vento ha iniziato a soffiare, il cuore di Mu ha percepito con precisione quella tagliola conficcarsi ancora di più in profondità. Ed è per questo che il cuore di Mu, adesso, sta sanguinando. E lui, forse per la prima volta in vita sua, non sa cosa fare.
Athena ascolta ogni singola parola, ogni singola inflessione, ogni emissione di fiato di Mu. La sua voce, ma anche le pause. Ed i silenzi. Ed è nei silenzi che lo sguardo di Athena indugia.  In quelle frasi omesse, per pudore o incoscienza o genuina ignoranza poco importa, c’è il segreto dei sentimenti di Mu. Il suo cuore. Le sue pene. Le sue angosce. Che sono più profonde e radicate di quanto l’Ariete stesso non sospetti.
Se si chiedesse a Milo come faccia Mu ad avere sempre le risposte pronte ad ogni quesito, lo Scorpione risponderebbe che l’Ariete è nato per essere il primo della Classe. Il Leone ribatterebbe che lassù, sul tetto del mondo, Mu ha avuto tutto il tempo per meditare e crearsi una sua verità. Il Toro farebbe ricorso alla sensibilità del compagno. Solo la Vergine, e forse anche il Venerabile Libra si avvicinerebbero alla verità. E la verità è che Mu pensa. Molto. Troppo forse. E spesso, chi pensa troppo, da solo, senza un contraltare con cui confrontarsi, finisce per perdersi in quei labirinti che egli stesso si costruisce con le proprie mani.
 
 
8.

«Capisco», dice la fanciulla – forse Athena, forse Saori, forse tutte e due assieme. Resta con gli occhi bassi sulle corolle rosse dei papaveri, come se in quei fiori leggesse la risposta ai patemi di Mu. O forse è solo rapita dal colore di quei petali, si dice l’Ariete.
«Tu sai che cos’è l’amore, Mu?».
«Prego?», vorrebbe risponderle, ma le parole inciampano sulla lingua dell’Ariete e si perdono lì, sulle sue labbra socchiuse.
Che cos’è l’amore. La domanda delle domande, quella che è così semplice ma anche così profondamente complessa allo stesso tempo.
Che cos’è l’amore. Non è facile rispondere. Athena che si reincarna per salvare e proteggere gli uomini? Sì. E no. Perché se fosse quella, la risposta giusta, Mu non l’avrebbe formulata con un tono interrogativo. No, non è Athena, la risposta. C’è dell’altro, ma cosa sia quest’altro, Mu non lo sa.
«L’Amore è una promessa, Mu», gli dice Athena, le labbra rosate che alleggeriscono verso l’alto. «L’Amore è un ricordo. Una volta donato, non può essere dimenticato. Una volta donato, nulla potrà farlo sparire».
Saori – Athena? – aggiusta la corolla di un papavero, come se vi fosse una piega, e torna a sorridergli.
«Pare lo abbia detto John Lennon», aggiunge. «Io trovo che abbia ragione. L’amore non è guardarsi occhi negli occhi. L’amore significa esserci. Significa sopportare. Le gioie, certo. Ma le gioie non si sopportano. Si sopporta il dolore, Mu. La privazione. L’assenza. L’amore è questo, Mu. Il motore che fa andare avanti il mondo», dice Saori – Athena? – allargando le braccia fino all’orizzonte. E forse anche oltre.
«Ma la Legge…», protesta Mu. Aggrappandosi a quelle poche certezze che Athena non gli ha ancora sgretolato sotto i piedi.
«La Legge è un suggerimento, Mu. Una luce, una guida, un parametro. La Legge può essere interpretata. Deve essere interpretata. Lo hai fatto, in passato, quando Saga ha usurpato il posto che era di Sion, e sei rimasto un Santo fedele ad Athena. Nonostante tutto».
«Ma allora…»
«…era diverso? È questo che pensi, Mu?», e l’Ariete annuisce. Sì che era diverso. Allora si trattava di attendere, nascosti nell’ombra, custodendo un segreto e coltivando la speranza. Si trattava di resistere. Con Athena e per Athena. Ma adesso… «Non è diverso, Mu. È la stessa cosa. O temi forse che il tuo servizio possa risentirne?».
«Lo temo eccome!», esclama Mu. Come potrebbe essere il contrario? Come?!
Athena sorride. Come una madre che ha a che fare con un figlio un po’ lento di comprendonio. Oppure estremamente cocciuto. «Io non credo. L’amore non è una macchia sull’anima, Mu. L’amore è la forza più grande e terribile che vi sia. E il male nasce sempre dove l’amore non basta».
Saori – Athena? – alza lo sguardo alle nuvole che si vanno tingendo di scuro.
«L’amore è come una finestra. Una finestra che si affaccia nel cielo».
«Una finestra? Tutto qui?», vorrebbe chiederle Mu, ma la lingua dell’Ariete è una cosa morta nella sua bocca. Per lui, parlano i suoi occhi, confusi e smarginati come quelli del bimbo che vede il mare per la prima volta.
«Tutto qui, Mu», gli risponde Athena. Sorridendogli. «Tutto qui.».
 
9.

Athena non gli ha detto le cose che ha risposto ad Aiolia e a Marin, perché ognuno è diverso, ognuno è fatto a modo suo ed ognuno merita una risposta personale ai quesiti che gli arrovellano l’anima. Né Mu ha ricevuto un responso netto dalle labbra di Athena – di Saori? – qualcosa che gli indicasse quale strada seguire; perché Athena non è un oracolo. E anche gli oracoli andavano analizzati, interpretati, scandagliati, ed accettati. Perché niente e nessuno può dire cosa sia vero e cosa sia falso, o tracciare una linea netta. Perché la vita dell’uomo è una catena di scelte, di svolte e di possibilità. Un ventaglio. Un mazzo di carte. Una pioggia di chicchi di riso sul sagrato di una chiesa.
Una finestra aperta nel cielo, pensa Mu, alzando gli occhi alle stelle. Non è la sua costellazione, quella che cerca lassù, tra l’indaco ed il nero della notte, perché Hamal e Sheratan sfavillerebbero furiose lassù, invitandolo ad agire. Cerca invece l’azzurro calmo e sereno di Spica, che splende gloriosa tra le mani – tra le braccia – della Vergine – di Athina – come se stesse ridendo di lui. Come ridono di lui gli occhi di stella di Athina ogni volta che i loro sguardi si incontrano. E Mu si sente stanco. Stanco e stupido. Come se avesse tentato di travasare il deserto con un colino, o di catturare il vento con un retino per farfalle. Le spalle gli dolgono. La testa è una nuvola di ovatta pigiata. Le palpebre sono pesanti. Eppure, anche se il letto alle sue spalle chiama il suo nome con la stessa grazia di una sirena, Mu non vuole staccarsi dalla finestra. Dalla finestra e da quel cielo ingemmato di stelle.
L’amore è una finestra aperta sul cielo, pensa Mu. Fissando Spica. Che sembra quasi risplendere al ritmo del suo cuore. Ancora cinque minuti, si dice l’Ariete. Non ha raggiunto una decisione, né la raggiungerà stasera, fissando le stelle. Perché le decisioni improvvise sono come fuochi di paglia. Ardono, furiose e fulgide contro il nero della notte, ma si consumano in un battito di ciglia, o poco più. E non può trattarsi di una fiammata, quello che lo ha portato a non dormire per una notte intera, ad ignorare gli sguardi tra Athina e Milo e a non sentire quel dolore nel petto. Come un pugnale conficcato nell’anima. Non può essere solo un capriccio. Non l’accetto, si dice l’Ariete. Conscio che di fronte a lui si sta aprendo un ventaglio di nuove possibilità, che sfrigolano, come il burro nella padella calda. Prima, si precludeva ogni scelta. Perché per scegliere devi avere due o più opzioni. Altrimenti non si parla di scelta. Si parla di obbligo. Ma adesso che ha parlato con Athena, Mu vede. Che c’è una possibilità, a lungo ignorata. Un’eventualità a portata di mano. Una porta socchiusa. Una finestra aperta nel cielo. E decider se affacciarsi – oltre quella porta, oltre quella finestra – è una decisione che spetta solo a lui. E a volte, poter scegliere, poter vagliare le opzioni a nostra disposizione, è già una risposta.
Una finestra aperta nel cielo, pensa Mu. Affacciato al balcone della notte, gli occhi fissi su Spica. La testa ad Atene. Il cuore che s’è già involato verso Naxos. E Athena, dalla Tredicesima Casa, sa che è questione di giorni – forse di ore – prima che anche il suo corpo decida di raggiungere la maggiore delle Cicladi. E quella casa dalle mura bianche ed il tetto di un azzurro struggente, che s’affaccia sul mare e su una spiaggia di sabbia finissima. Perché l’amore è la risposta, pensa Saori. Pensa Athena. Pensano tutt’e due insieme, affacciate alla finestra della notte.
 
To every broken heart
For every heart that cries
Love left a window in the skies
And to love I rhapsodize
 
 
 

Avevo questa storia da SECOLI sul pc. Al posto di Mu avrebbe dovuto esserci Shaka, visto che Athina è modellata sulla mia amica Len (che adora Shaka, ma suvvia, nessuno è perfetto). Purtroppo, mettere Shaka in questa storia avrebbe richiesto un OOC con tutti i crismi, e sinceramente non me la sono sentita. Va bene tutto. Ma fino ad un certo punto.
Così ho tirato in ballo Mu. Che odio visceralmente, ma tant'è. Anche i pecoroni hanno diritto ad un quarto d'ora di pace, no?
Non so quando si piazzi questa cosa, né se abbia senso pubblicare adesso questa cosa, ma tant'è. Il dado è tratto.
La canzone, Window in the Skies, appartiene agli U2, ma suppongo che questo già lo sappiate.
Non ho la più pallida idea di che fine faccia Galan in Episode G - ci siamo detti addio molto presto - semmai avessi scritto una castroneria, chiudete un occhio, come al solito.
E alla fine della fiera, buon 2015 a tutti voi.

 

 

 
   
 
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