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Autore: Angel_R    14/11/2008    5 recensioni
Gabriella, dopo vari trasferimenti, arriva ad Albuquerque, dove incontra la studiosa Taylor, la pianista Kelsi, e l’amante della danza Martha. Troy è il capitano della squadra di basket e il ragazzo più ammirato della scuola. Sharpay è la Regina di Ghiaccio alla quale non si deve mai dire di ‘no’, mentre Ryan, suo fratello gemello, si rifugia sempre nel suo posto preferito, il teatro… Sembra tutto normale, ma se Troy non fosse carino e gentile? E se Gabriella non lo vedesse di buon occhio? E se Sharpay non amasse il teatro ma i pom-pon? E se Ryan non fosse morbosamente attaccato alla sorella? E se… e se volete saperne di più… leggete!! Questa è la mia primissima long, quindi recensite in tanti!! Anche i commenti negativi sono ben accetti, servono a migliorare, sempre che non siano offensivi… Grazie in anticipo!!^^.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11: Sempre di domenica?!



La prima cosa che vidi la mattina dopo fu l’orario segnato dalla sveglia digitale sul comodino: 11:43.
Mi sedetti sul letto e tutti gli avvenimenti del giorno prima mi scorsero davanti agli occhi.
Decisi che un caffè sarebbe stato proprio l’ideale per connettere il cervello nel modo migliore .
Scesi in cucina, dove trovai mia madre intenta a leggere il giornale.
“Buongiorno”.
“Ben svegliata. Ti sei divertita ieri sera?”.
“Sì, certo”, risposi distrattamente versandomi una tazza di caffè fumante.
Non appena mi sedetti al tavolo, il telefono squillò.
“Gabby, è Taylor”, m’informò mia madre dopo aver alzato la cornetta.
"Arrivo".
“Ehi! Buongiorno! Senti, io e le altre ci siamo messe d’accordo per pranzare fuori oggi, sei dei nostri?”.
“Ah… Okay, lasciatemi il tempo di fare una doccia”.
“Certo. Ti passo a prendere fra mezz’ora”.
“Va bene, ciao”.
Riappesi e salii le scale.
Il getto d’acqua della doccia mi svegliò del tutto. In venti minuti ero pronta.
Taylor arrivò puntuale, come al solito. L’appuntamento era in una piccola tavola calda molto accogliente.
Kelsi e Martha erano già arrivate.
“Allora?”.
“Allora, cosa?”.
“Cos’è successo dopo che ve ne siete andati? O parli tu o te lo faccio fare con la forza”.
Stavamo aspettando le nostre ordinazioni, e Taylor stava facendo il terzo grado a Kelsi.
“Siamo andati a fare un giro in macchina, e ci siamo fermati in un posto”.
“Quale posto?”.
“Una specie di parco, poco fuori Albuquerque”.
“Romantico. E cos’è successo? Dai, ma devo chiederti tutto io?”.
“D’accordo… cisiamobaciati”, disse tutto d’un fiato.
“Finalmente, ce l’avete fatta!”, esclamò Taylor battendo le mani sul tavolo.
“Che cosa vuol dire?”.
“Che lo sapevamo già che vi piacevate a vicenda, ma nessuno di voi due faceva il primo passo”, la informò Martha con disinvoltura.
“Davvero?”. Era sorpresa. “Potevate dirmelo prima? Almeno non avrei perso tutto questo tempo!”.
Scoppiammo a ridere.
“Ma sentitela!”.
“E tu? Hai dovuto aspettare molto dopo che ce ne siamo andate?”, mi chiese Taylor.
“Cosa? Ah, no”.
Non volevo mentire di nuovo, ma di certo non potevo dir loro cos’era successo davvero…
Le nostre ordinazioni arrivarono e, per fortuna, non mi furono fatte altre domande.

“Ci rivediamo domani, ciao”.
Avevamo finito di mangiare, e ognuna stava tornando a casa.
Quando arrivai nella mia, trovai mia madre all’ingresso che afferrava la borsa, pronta a uscire.
“Devo uscire, è per…”
“… lavoro”, finii io. “Ma è domenica”.
“Lo so, mi dispiace, ma sarò a casa prima di cena. Ciao tesoro”.
'Sempre la solita storia', pensai.
Presi i libri di scuola e li appoggiai sul tavolo della cucina e misi a bollire dell’acqua per prepararmi un po' di tè.
Il mio cellulare squillò, e, senza neanche guardare chi fosse, risposi.
Sì?”. Il mio bruttissimo vizio di non chiedere mai 'Pronto?'.
Suono o mi apri tu?”.
Bolton? Ma che…?”.
Il campanello suonò.
Adesso va meglio? Apri”.
Andai all’ingresso e mi trovai a faccia a faccia con Troy.
“Finalmente”.
“Che vuoi?”.
“Devi aiutarmi”.
“Io non ti devo proprio niente, e poi mi stavo mettendo a studiare e… oh no, il tè!”.
L’acqua ormai bolliva, e la versai in una tazza.
“Non me lo offri? Non sei una brava padrona di casa”.
“Che vuoi?”, gli chiesi di nuovo prendendo una seconda tazza.
“Te l’ho detto, devi aiutarmi”, ripeté indicando alcuni libri che teneva sottobraccio. “Mercoledì c’è il test di chimica, e io devo superarlo a tutti i costi. So che tu sei un piccolo genietto, quindi…”.
“Quindi mi stai chiedendo delle ripetizioni”.
“Chiamale come vuoi”.
Ci sedemmo al tavolo e gli porsi la sua tazza.
“Qual è l’imbroglio?”.
“Nessun imbroglio, solo studio”.
Lo fissai per qualche secondo, sembrava serio, ma, ormai, avevo imparato che non ci si deve mai fidare molto di lui.
“E poi”, riprese, “ti devi ancora sdebitare per ieri sera. Sia per averti scaldata, sia per il passaggio. Io non faccio mai niente per niente”.
“Non avevo dubbi. Dovevo immaginarmelo”, sbuffai. “D’accordo, ti aiuto. Ma solo perché odio avere debiti”.

Studiammo tutto il pomeriggio.
Mi faceva uno strano effetto vedere Troy Bolton nella cucina di casa mia mentre mi ascoltava attento.
Quella domenica, scoprii che, se davvero lo voleva, il capitano dei Wildcats, sapeva essere serio e capace di concentrazione.
Erano quasi le 17:00, e mia madre ancora non era tornata.
Per fortuna, altrimenti le avrei dovuto spiegare chi fosse Troy, e non ne avevo di certo voglia.

“Sei brava a spiegare queste cose”.
“E tu sei bravo a fare finta di capirle”.
“No, dico sul serio, e poi, mi sto cominciando ad abituare a passare le domeniche insieme a te”.
All’improvviso si sentì la musichetta di una suoneria.
“E’ il mio. Dimmi”. A quanto pare non ero l’unica che si dimenticava il classico 'Pronto?'.
La conversazione durò pochi secondi.
“Devo andare. Erika è da un’amica e mi hanno chiesto di passarla a prendere”.
“Posso venire?”, chiesi senza riflettere.
Perché l’avevo fatto?!?

“Mi piacerebbe rivedere tua sorella”, aggiunsi in fretta.
Lui mi guardò un po’ sorpreso e poi sorrise. “Non riesci a starmi lontano, eh?”.
“Guarda che ho detto che voglio vedere tua sorella, ma se ti dà fastidio, non vengo”.
Cominciai a raccogliere i libri sparsi sul tavolo. Troy mi afferrò una mano e mi tirò leggermente verso di lui.
“Sia chiara una cosa: se metti della musica sdolcinata alla radio, ti lascio in mezzo alla strada”.

In auto nessuno dei due parlò.

It's amazing how you can speak right to my heart
without saying a word you can light up the dark.
Try as I may I could never explain what I hear when you don't say a thing.

La radio accesa era l’unico suono che spezzava il silenzio.
“Questa fa al caso nostro. Non ti ho mai sentito così buona e tranquilla”, disse Troy.
“Non avevi detto che non volevi canzoni… aspetta, com’era? Ah, sdolcinate?”.
“Ho detto che non volevo che le mettessi tu”.
Sbuffai e cambiai stazione.
Non sapevo spiegarmi il perché, ma il mio umore era un po’ nero, in quel momento.
Mi stavo ancora chiedendo perché avevo deciso di andare con Bolton.
Ero talmente assorta nei miei pensieri, che quasi non notai che Troy aveva accostato.
“Siamo arrivati?”.
“No, ma io non guido se non ho una buona compagnia di fianco a me”.
“Che cosa dovrei fare? Comportarmi come le tante che ti sei fatto qua dentro?! Se è così, io posso tornare a casa a piedi”.
Scesi dall’auto e cominciai a camminare. Non sapevo neanche dove fossi. Mi sentii afferrare per un braccio.
“Si può sapere che cavolo hai? So che voi donne avete dei cambi d’umore frequenti, ma tu le batti tutte”.
“Lasciami stare!”. Cercai di divincolarmi, ma la sua stretta era salda.
“Non ci muoviamo di qua finché non mi dici cos’hai”.
“Io non ho fretta”.
“Bene”.
Fissò i suoi occhi nei miei. Non volevo dargli nessuna soddisfazione distogliendo lo sguardo, quindi sostenni il suo.
Rimanemmo così per qualche secondo, che per me erano ore, poi, all’improvviso, Troy mollò la presa dal braccio per mezzo secondo, per poi afferrarmi la mano.
“Muoviamoci, Erika sta aspettando”.
Arrivato all’auto, aprì la portiera dalla parte del conducente, staccò le chiavi dal quadro, e richiuse lo sportello.
“Che fai?”.
“Ho detto che non guido con qualcuno lunatico come te al mio fianco”.
C’incamminammo lungo il marciapiede.
Troy era davanti ed io qualche passo dietro di lui. Lo affiancai. Non volevo fargli venire la malsana idea che avesse potuto portarmi ovunque volesse.
“Perché hai accettato che venissi?”, chiesi.
“Perché me lo hai chiesto?”.
“Per Erika”, dicemmo all’unisono.
“E’ da domenica scorsa che mi chiede di te”.
“Sei diverso con lei”.
“Dici? Credo di essere solo me stesso”.
“Appunto”.
Mi fissò per qualche secondo, poi, apparve… Il Sorriso.
“Ancora con questa storia?”.
“Che ci vuoi fare? Sono testarda”.
“Bene, allora siamo in due”.
Si fermò di scatto e mi tirò di lato, piazzandosi davanti a me.
“Che cosa credi di fare? Guarda che io…”.
“Bolton, cosa ti porta da queste parti?”, sentii dire da qualcuno.
Mi sporsi oltre la spalla di Troy, e mi trovai di fronte ad un ragazzo alto e ben piazzato.
“Non penso siano affari tuoi, Roberts”.
“Ah, affari di cuore a quanto pare. Di certo una cosa che non ti manca è il gusto per le belle signorine”, ghignò allungando una mano e appoggiandola sotto il mio mento.
Mi fece alzare il viso per vedermi meglio.

Gli scostai la mano. “Guarda che non sono una bambola in vetrina, tieni giù le mani”.
“Fossi in te, non le permetterei di parlare così. Dovresti farglielo capire”.
“Io non devo avere il permesso di nessuno per parlare, soprattutto da Troy o da uno come te”.
Una grossa vena comparve sul collo taurino di Roberts. Si stava facendo sempre più grosso.
Troy si spostò di lato in modo da essere esattamente tra me e l'altro ragazzo.
“Non vorrai mica sprecare le forze per una ragazzina. Aspetta di trovarti di fronte a me sul campo. In fondo sono io che t’interesso, no?”.
Roberts sembrò calmarsi. “Hai ragione, e, una volta lì, ti farò vedere di cosa sono capace”.
Mi lanciò uno sguardo carico di rabbia e se ne andò.
“E’ mai possibile che tu non riesca a tenere a freno quella lingua?!”, sbottò Troy.
“Cosa?! Ma hai sentito quello che mi ha detto?! Di certo non potevo starmene zitta e lasciarlo continuare!”.
“Tu non sai cos’è capace di fare quello se solo volesse. Si chiama Dave Roberts, ed è il playmaker della squadra di basket che affronteremo alla finale. La sua squadra e i Wildcats si odiano da sempre”.
“Non m’importa, per me può far parte di qualsiasi squadra e odiare chi vuole, ma certe cose non le tollero, soprattutto se sono dette a me. Ah, a proposito, chi sarebbe la ‘ragazzina?’ ”.
Troy scoppiò a ridere. “Certo che con te non ci si annoia mai, eh? Solo tu puoi essere in grado di rispondere in quel modo a Roberts”.
“Te l’ho detto che io non sono come quelle che sei abituato a frequentare tu”.
“E’ proprio per questo che mi piaci”.
Il suo viso era a pochi centimetri dal mio.
Non credevo a quello che avevo sentito.
Rimasi immobile per qualche secondo, poi, come se niente fosse, mi guardai intorno.
“Dove siamo? Non conosco questo quartiere”.
“La casa dell’amica di Erika è proprio qui dietro”.

“Finalmente sei arrivato, pensavo che ti fossi perso. Gabby, ci sei anche tu, che bello”, esclamò la sorellina di Troy vedendomi.
“Lo sapevo”, disse indicando le nostre mani ancora unite.
“Tu non sai niente, andiamocene”, le rispose il fratello incamminandosi.
“Non sei venuto in macchina?”.
“Sì, ma l’ho lasciata per strada. Gabby aveva voglia di fare quattro passi”.
Era la prima volta che mi chiamava per nome. Lo fulminai con lo sguardo.
“Non ti allargare, io per te sono Gabriella”.
“Acida”.
“Cinico”.
“Basta voi due! Siete peggio dei bambini”, esclamò Erika.
Raggiungemmo l’auto.
“Adesso devi lascarmi la mano”, dissi a Troy.
“Posso guidare con l’altra”.
Mi divincolai dalla sua presa e mi sedetti nel sedile di dietro con Erika.
“Ehi, non sono un taxi”.
“Taci e guida”, gli ordinò sua sorella.
Troy accese la radio.
“Sono contenta che adesso sta con te. Tu sei gentile e simpatica, invece quella Sharpay è antipatica e mi tratta sempre male quando viene a casa”.
“Erika, io e tuo fratello non stiamo insieme”.
“Davvero?”, chiese lei triste e delusa.
“Già, ma questo non vuol dire che tu ed io non possiamo vederci”.
“Sì, però quando Troy è con te, è più gentile, invece, quando sta con quella, è stupido”. Ed ecco che il musetto da cucciolo fece la sua comparsa.
Eravamo arrivati sotto casa mia, e, dopo aver salutato Erika, scesi dall’auto.
Stavo per aprire la porta di casa, quando mi sentii afferrare per un braccio. Per l'ennesima volta.
“A me non saluti?”.
“Ciao Troy”.
“Mi piace come pronunci il mio nome, dovresti farlo più spesso”.
Non risposi e distolsi lo sguardo.
“Sei ancora arrabbiata? Sei proprio strana”.
“No, non lo sono. Solo che… stavo pensando… Oggi hai cominciato a mantenere la tua promessa. Hai cominciato a dimostrarmi di essere gentile e affidabile, quando vuoi”.
“Beh, non potevo mica farti mettere le mani addosso da quel maiale di Roberts”.
“Non è per quello, ma perché siamo stati insieme tutto il giorno, e non hai mai tentato di approfittarti della situazione”.
Sembrava sorpreso, e lo ero anch’io, sinceramente.
Troy sorrise e si avvicinò di più a me.
“Te l’avevo detto, eri tu che non mi credevi”.
“E chi me lo dice che se non avessi dovuto dimostrarmi qualcosa non ci avresti provato?”.
“Beh, questo non lo saprai mai”.
“Tu dici? In fondo sabato scorso non ti sei fatto molti scrupoli”.
“Quel bacio non significava niente”.
I nostri visi erano a poca distanza l’uno dall’altro. Troy si avvicinava sempre di più, finché non posò le sue labbra sulle mie.
Quel contatto divenne un vero e proprio bacio, diverso da quello a casa di Taylor.
Non sapevo definirlo.

“E questo ha un significato?”, chiesi.
“Questo lo dovrai scoprire da sola”, disse sorridendo.
Lo vidi allontanarsi ed entrare in auto.
Perché non mi ero ribellata? Perché l’ho lasciato fare? E, soprattutto, perché ho ricambiato quel bacio??



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Fine undicesimo capitolo.

Finalmente riesco a pubblicare questo capitolo!
Come ho già detto nello scorso, sto andando un po' a rilento nello scrivere questa storia.
Ho già qualche capitolo pronto, ma non sono molto avanti, quindi mi devo dare una mossa...
Il problema è che quando vengo colpita da quella brutta malattia chiamata 'calo d'ispirazione', faccio fatica a guarirne...
Qualche suggerimento per la cura??

Comunque, passiamo ai ringraziamenti:

lovejero
: mi fa piacere che tu preferisca quel pezzo di conversazione!! Mi sembrava il più adatto per Troy e Gabriella.
A dire il vero mi diverto molto a scrivere i loro dialoghi. Voglio farli apparire sempre divertenti ma ricchi di significato... spero davvero che questo mi stia riuscendo...
E comunque hai ragione... Troy ha un Sorriso bellissimo... ma mai quanto gli occhi XD!!^^

a crazycotton: sono contenta che un Ryan un po' diverso dal solito piaccia!!
Penso che la tua mezza idea fosse proprio quella giusta, vero? In effetti sono diventata un po' prevedibile... ma tra poco le cose cambieranno un pochino.
Non dico nient'altro U.U

romanticgirl: grazie mille!! I complimenti fanno sempre piacere!! Spero che ti piacciano così anche i prossimi capitoli e di non deludere le persone che seguono questa storia^^

Mi fanno molto piacere le vostre recensioni. Mi sono anche utili per proseguire^^


Arrivederci alla prossima!!^^
Ah, dimenticavo, la canzone che ascoltano alla radio Troy e Gabriella, è la prima strofa di “When you say nothing at all”, di Ronan Keating.

Nella prossima puntata:
“Ciao. Non mandarmi via, volevo solo scusarmi per oggi, non sono stata molto gentile, lo so, ma non volevo, davvero. E’ che spesso parlo troppo e non mi rendo conto di ciò che dico. Me lo dicono tutti che dovrei imparare a pensare prima di parlare, ma è più forte di me”, dissi tutto d’un fiato.
“Già, anzi, scusami tu, non dovevo aggredirti in quel modo”.
“Allora non sei più arrabbiato con me?”.
“No, non lo ero neanche prima”.
“Bene!”, esclamai sorridendo.


Angel_R
  
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