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Autore: C and S_StorieMentali    30/12/2014    4 recensioni
Samantha è la secondogenita di Clary e Jace. La sua vita sembra procedere come al solito, tra le peripezie per nascondere la sua identità di Shadowhunter agli amici mondani e tra i continui battibecchi con Max, il figlio di Simon e Isabelle. Samantha, però, non sa che il male è in agguato... E' del tutto ignara di quello che si nasconde nell'ombra, che di soppiatto entrerà nella sua vita, sconvolgendone gli equilibri e costringendo la giovane Cacciatrice a intraprendere un'avventura che mai avrebbe immaginato, un'avventura al termine della quale dovrà compiere una scelta che decreterà il suo destino e quello dell'intero Mondo delle Ombre... Tutto ciò che conosce crollerà, e, forse, anche la realtà dei mondani è in grave pericolo.
Dal CAPITOLO 1: "Premetto che essere la figlia dei due Shadowhunters più famosi degli ultimi tempi non è per niente così eccitante come sembra. Mi spiego: se i tuoi genitori, durante la loro adolescenza, hanno compiuto mirabolanti avventure che farebbero la barba persino a un cane parlante (di questo parleremo più tardi... Effettivamente riguarda più me che loro, la storia del cane), be', tutti si aspettano grandi cose da te."
SPOILER COHF!
Genere: Azione, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sotto molti punti di vista, mi sono sempre considerata uguale a mio padre. Tra di noi c’è sempre stato un feeling particolare, qualcosa che va ben oltre la somiglianza fisica. Entrambi siamo testardi, orgogliosi e non molto rispettosi delle regole (e qui un ringraziamento particolare va a zio Alec, che –durante le pause dai suoi viaggi in giro per il mondo con Magnus- mi ha raccontato come si comportava il piccolo Jace).
E quando ero andata a dirgli che non volevo avere Max come guardia del corpo e che ero abbastanza grande e vaccinata da potermi benissimo proteggere da sola, non mi aspettavo una reazione così esagerata. 
-Devi assolutamente risolvere questa storia!- dissi alzando la voce -Non puoi punirmi in questo modo... Non è giusto, e lo sai. Non puoi costringermi ad avere Max come balia tutto il tempo.-
Le sopracciglia di mio padre schizzarono verso l’alto. Era seduto alla scrivania della Biblioteca. -Samantha, non lo faccio per essere severo... Non è una punizione.- disse con voce pacata -È solo per il tuo bene. Dovresti stare particolarmente attenta, per il tuo sangue, e invece fai sempre l'esatto opposto. Questa tua bravata è stata l'ultima goccia. Cerco solo di proteggerti.-
-Sono abbastanza grande per proteggermi da sola: ho quindici anni, e non puoi negare che io sia piuttosto brava nel combattimento. Non c'è bisogno che Max... Oh Raziel, lui è così snervante e…-
Mio padre si mise in piedi, la luce del mattino baluginò tra i suoi capelli biondi striati di grigio e nei suoi occhi uguali ai miei.
-Ora basta.- disse, continuando a tenere un tono di voce basso. Avrei preferito che urlasse. -Non sei abbastanza grande o matura per vedertela da sola. Max continuerà a fare quello che dico io. Ho preso la mia decisione e non ammetto repliche.-
Avrei voluto ribattere in modo efficace, ma non riuscii a trovare qualcosa di sufficientemente sarcastico. Così sfoderai il mio ultimo asso nella manica. Feci la mia migliore espressione da cucciolo ferito e piagnucolai: -Ma papà, credevo che non mi sottovalutassi! Perché non ti fidi di me?-
Ora non puoi che cedere, vero paparino? Pensai.
-Come pretendi che possa fidarmi di te se sei così impulsiva? Ti metti sempre nei guai, non ascolti nessuno, neanche tuo fratello, e non hai alcun freno!- quelle parole taglienti fecero scoppiare le mie speranze come una bolla di sapone.
Eh, no! dissi a me stessa, questo non lo doveva proprio dire. Non si doveva permettere.
-Come puoi anche solo pensare di farmi la predica se sei il primo ad avere la fama  di esserti sempre comportato così?-
Ora anche lui si era arrabbiato sul serio.
-Sono tuo padre e non osare più rivolgerti a me in questo modo- sibilò con voce glaciale –Max si prenderà cura di te. Il discorso è chiuso.-
Certo, fantastico Jace Herondale, fa' come ti pare, come sempre. Continua a trattarmi come una bambina. Tutto questo lo pensai, ma non lo dissi ad alta voce. Chiusi gli occhi per un paio di secondi e sospirai. Mio padre era stato troppo lapidario, non me la sentivo di replicare ancora. Abbassai lo sguardo sulle espressioni sofferenti degli angeli sotto la scrivania. Anch’io mi sentivo come se stessi reggendo un enorme peso sulle spalle.
Mi girai e mi allontanai. Uscii sbattendo la porta, con tutte le intenzioni di andare a picchiare qualcuno (possibilmente qualche borioso, arrogante ed incredibilmente fastidioso esemplare di cacca ambulante sotto il nome di “Max”).
Tuttavia, trovai mia madre ad aspettarmi.
-Tuo padre ha ragione. E non dovresti rivolgerti a lui in quel modo.-
Questo fece male. Credevo mi avrebbe appoggiata.
-Non dovresti ascoltare le conversazioni altrui.-
Sospirò e si avvicinò a me. Mi ritrassi, ma lei sembrò non accorgersene e continuò -Lo so che ti sembra ingiusto, ma... Siamo solo preoccupati, Samantha. Sai che io e tuo padre abbiamo passato cose terribili, ed eravamo più grandi di te di pochissimo. E nel nostro sangue la percentuale angelica era molto più bassa rispetto alla tua. Capisci, tesoro?-
Aveva un'aria grave. Odiavo quando mia madre mi faceva queste specie di prediche chiamandomi tesoro. Era come se cercasse di indorare la pillola, che era la cosa che sopportavo di meno quando qualcosa andava male. La verità si deve dire nuda e cruda. Cercare di addolcirla o usare nomignoli mielosi è una grande stronzata.
Sollevò una mano quel tanto che bastava per accarezzarmi una guancia -le arrivavo al naso- e io la lasciai fare.
Ovviamente, sapevo che erano davvero preoccupati, ma non avevo cinque anni!
Non dissi niente. Abbassai lo sguardo e mi diressi verso la mia stanza per prepararmi ad andare a scuola.
*****
-Potresti, di grazia, smettere di fissarlo come un'idiota?- dissi a Chloe, che aveva gli occhi grigi sbarrati e sognanti puntati su Max. -Starei cercando di mangiare.-
Mi guardò e scosse la testa, i boccoli castani ondeggiarono.
-Proprio no, Sam- fece, la fronte aggrottata -vedi, lui è così... perfetto! È bello, terribilmente figo, intelligente, e...-
-E tu ti sei presa una cotta stratosferica- conclusi con voce strascicata.
Chloe annuì, abbassando lo sguardo e arrossendo leggermente. Quel giorno si era truccata. Sbuffai e addentai un pezzo del polpettone plasticoso della mensa.
-Non piace anche a te, vero? Ho visto che lo guardavi.-
Per poco non mi strozzai. -Certo, noti che lo guardo, ma non come lo guardo! Davvero non ti sei accorta che avevo un'espressione disgustata e vagamente omicida?-
Chloe ci pensò un attimo. -Be', non capisco cosa tu abbia contro di lui. Voglio dire, neanche lo conosci!-
Avrei voluto urlarle che in realtà era lei quella che non lo conosceva. Ma non potevo. Pensai a quante altre volte il peso del mio segreto era stato così ingombrante. Una volta, ad esempio, Chloe mi aveva invitato a passare l'estate da sua zia. Fui costretta a dirle di no, non solo per proteggere sia me che lei dai demoni, ma anche perché sarebbe stato troppo difficile nascondere i marchi: la zia di Chloe abitava in una casa al mare e io non potevo indossare qualcosa di meno coprente di maniche lunghe e pantaloni.
-È solo che non sembra uno apposto, tutto qui.-
-Quindi- disse Chloe con aria contrariata -ti sta antipatico solo perché non ti sembra uno apposto?-
-Io...- cercai di trovare una scusa il prima possibile.
-Vaffanculo!- la voce incavolata di Lucas mi salvò. Mi voltai verso il mio amico. Era di altezza normale e piuttosto mingherlino, ma non scheletrico. Insomma, non era certo una montagna di muscoli, però era in forma.
Comunque io non me ne ero mai importata, perché conoscevo Lucas, i suoi occhioni blu e i suoi capelli biondo cenere sin da quando conoscevo Chloe.
Eravamo sempre stati quasi come fratelli. Un po' come i tre moschettieri, ma meno fighi. O almeno in parte: dall'inizio dell'anno scolastico, Lucas si era messo in testa di dover compiere un'ascesa sociale. Quando i "fighi" della scuola si erano resi conto che aveva un aspetto passabile avevano deciso di accoglierlo fra loro, nonostante continuasse ad essere amico mio e di Chloe, che ci eravamo rifiutate di prendere parte al suo piano.
Così lui aveva iniziato ad uscire con Kara Wellson, che era una del terzo anno e aveva occhi castani e capelli color biondo tinto, oltre a un balcone ed un culo decisamente considerevoli, per cui la maggior parte della popolazione maschile della nostra scuola la teneva in alta considerazione, anche i ragazzi più grandi.
Così Lucas era finito a pranzare spesso al tavolo della gente popolare la mattina e a giocare di nascosto ai videogame di pomeriggio. Nel seminterrato di casa sua (-Cosa credi, Sam? Non posso mica permettermi che Kara scopra che passo due ore al giorno giocando online con tizi oltreoceano che neanche conosco! Mi pianterebbe all’istante!).
Il mio amico si lasciò cadere pesantemente sulla sedia accanto a me e sbatté il suo vassoio sul tavolo.
-Ma guarda chi c'è!- dissi -Come mai non sei con Kara?-
Lucas mi guardò, torvo.
Non disse niente, fece un semplice gesto col mento in direzione di un tavolo.
E allora capii. La bella Kara si stava letteralmente strusciando su Max, che era seduto al solito posto di Lucas.
-Oh...- feci, comprensiva -Be', Lukie, lo sai che la tua ragazza è una stronza, non dovresti meravigliarti tanto.- Guardai di nuovo verso Max e Kara, circondati da cheerleader e giocatori di football. Lei aveva quell'odiosa divisa da cheerleader tutta aderente. Max, strano a dirlo, era abbastanza rosso in viso e guardava in basso. Se si fosse girato di un millimetro, probabilmente la sua faccia sarebbe stata spiaccicata contro le enormi tette di Kara.
-E poi, quello nuovo non sembra neanche a suo agio- dissi, con un tono solo vagamente convinto.
In quel momento mi ricordai di Chloe e mi voltai nella sua direzione. Teneva gli occhi fissi sul disgustoso piatto della mensa.
-Be'- esclamai -credo proprio che passerò un po' di tempo con voi due depressi per amore.Bleah!- feci finta di mettermi un dito in gola e mimai un conato di vomito. Mi misi a ridere. Niente. Mi sentii incredibilmente scema. Erano entrambi muti e sordi.
-Okay.- sospirai, tornando a mangiare e pensando all'ennesimo problema che la presenza di Max a scuola stava causando.
*****
Finalmente suonò la campanella che segnava la fine della sesta ora. Mi fiondai fuori dalla scuola, sperando di poter mettere una buona distanza tra me e IPC. Non feci in tempo ad imboccare la strada di casa che lui mi affiancò, trattenendo a stento un ghigno. Decisi di ignorarlo e posi la mia attenzione sul paesaggio circostante. I taxi gialli sfrecciavano lungo la strada, lasciando dietro di loro una nuvola di smog. Stavo per tossire, quando Max scoppiò in una fragorosa e alquanto irritante risata. Mi voltai e lo fulminai, seccata, ma lui non smise di sghignazzare.
-Posso capire cos’è che ti fa ridere tanto?- sbottai.
-È il tuo comportamento. Nessuno aveva mai fissato dei noiosissimi taxi così intensamente pur di ignorarmi. A giudicare dall’impegno che ci stai mettendo, credo di dovermi sentire molto lusingato.- Abbassò la testa per piantare i suoi occhi nei miei, divertito. Era incredibile quanto potesse irritarmi. Lo odiavo per questo. Lo odiavo per essere sempre perfetto. Lo odiavo perché i miei migliori amici stavano soffrendo per colpa sua.
-Tieni a freno il tuo ego smisurato.- dissi -Stavo solo considerando l’idea di prendere un taxi.- Mi resi conto di quanto quella scusa fosse patetica mentre la pronunciavo: l’Istituto si trovava a due isolati dalla scuola.
Max non si prese la briga di puntualizzare. Si limitò ad un -Sì, come no!- continuando a sogghignare. Oh Raziel, cosa avrei fatto pur di toglierli quel sorrisetto dalla faccia. Contemplai l’idea di grattarglielo via con un coltello mentre dormiva. Certo, userò un coltello.
-Perché, non credi che prendendo un taxi faremmo prima?- dissi, sfidandolo a controbattere.
-Ti sbagli. Se mi mettessi a correre, riuscirei ad arrivare all’Istituto in un battibaleno.-
-Be’, anch’io ci riuscirei. E ti farei mangiare la polvere.- ribattei, sicura.
-Certo, credici. Tu- mi puntò un dito contro –non puoi competere con me.-  e indicò sé stesso.
Scoppiai in una risata senza allegria e, con fare arrogante, lo squadrai da capo a piedi (cosa piuttosto difficile, vista la differenza d’altezza). -Riuscirei ad arrivare prima di te anche passando da Central Park.- lo sfidai.
Aggrottò la fronte, poi disse: -Ci sto.-
Ci mettemmo in posizione, accovacciati.
-Paura, Lewis?- lo provocai.
-Ti piacerebbe, Herondale- rispose.*
-Tre…- cominciai a contare.
-…due…- continuò Max.
-…uno!- gridammo insieme.
Scattai come una molla e, velocissima, mi diressi verso Central Park, mentre Max mi stava alle calcagna. Attraversai l’entrata, trovandomi in uno dei luoghi di New York che preferivo. Lo adoravo anche in pieno inverno, con la neve che copriva le altalene che amavo da bambina, e gli alberi spogli. Man mano che mi addentravo nel parco, mi sembrava di allontanarmi dalla città, dai suoi rumori e dal suo malsano odore di smog, e mi piaceva da impazzire, anche se il vento gelido mi sferzava le guance e mi affettava l’aria nei polmoni. Invece di attraversare il parco tagliandolo, decisi di passare accanto al laghetto, per poter ammirare la patina di ghiaccio che vi si era sicuramente creata sopra. Per un momento, mi dimenticai di Max, mi dimenticai della scommessa, mi dimenticai il rancore. Sapevo di poter vincere, ma esistevamo soltanto io e il lago, ed ero a malapena consapevole del fatto che IPC fosse scomparso dalla mia vista.
Avrà preso una scorciatoia, pensai, o avrà sicuramente continuato a correre sul sentiero che avevamo accordato.
Smisi di correre e mi avvicinai alla riva: come avevo pensato, c’era uno strato ghiacciato che copriva l’acqua. Lo sfiorai con la punta della scarpa e sentii uno strano scricchiolio. Spostai il piede e notai una piccola crepa sulla superficie altrimenti liscia. Con un suono decisamente sinistro, altre fratture cominciarono a diramarsi dalla prima, espandendosi a raggiera.
Sentii un rumore secco alle mie spalle e mi voltai per ispezionare la zona con lo sguardo: non c’era nulla di insolito, oltre ad un moccioso di dieci anni che si aggirava nei pressi del laghetto.
Decisi di riprendere la corsa. Risentii quello strano rumore, ma più vicino, praticamente alla mia destra. Si trasformò in una sorta di basso ringhio, e un brivido freddo mi corse giù per la schiena. Quando mi voltai, mi resi conto che il moccioso non era affatto ciò che credevo. Un Kappa. Un Kappa. Feci una risata amara, pensando a quanto poco attenta ero stata.
Il demone puntò i suoi occhi gialli e piccoli su di me ed emise un ruggito, spalancando il becco pieno di zanne lunghe e ricurve. Mi sentii rizzare i peli sulla nuca e, continuando a correre, mi tolsi lo zaino dalle spalle e mi misi a frugarci dentro febbrilmente. Il Kappa si fermò, ma solo per prendere la rincorsa. Maledizione, è veloce, pensai. Ti prego, dimmi che ho un pugnale. Il mostro era ormai a pochi metri da me, e io riuscivo a sentire il suo odore ripugnante.
Pregando di trovare anche solo un paio di forbici, l’unica “arma” che invece riuscii a reperire fu il righello di 60 centimetri che a scuola usavamo per l’ora di arte.
-Wow,- dissi a me stessa con sarcasmo. Immaginavo che parlare con sé stessi fosse una delle ultime cose che si fanno in punto di morte -ora sì che sono pronta per uno scontro!-
Il Kappa spiccò un salto, il guscio da tartaruga e le squame che scintillavano, ed io mi buttai a terra, rotolando di lato. Mi alzai e gli rifilai un calcio nel ventre, facendolo retrocedere. Non sarò stata armata, certo, ma rimanevo comunque una buona combattente. Brandii il righello e colpii il demone alla testa. La mossa sarebbe stata più efficace se il Kappa non l’avesse parzialmente schivata. Il mostro cercò di azzannarmi la spalla, ma con uno scatto felino lo evitai e gli rifilai un potente calcio nel petto che lo fece crollare. Ero riuscita a tramortire il Kappa, ma era ancora pericoloso: non potevo ucciderlo. Stavo per darmi alla fuga, quando il lago esplose. Un colpo sulla schiena mi mozzò il fiato ed io caddi riversa sull’erba. Non ci fu bisogno di alzare lo sguardo per capire che un altro demone mi aveva aggredita. Fu sufficiente la puzza del suo alito fetido sulla mia nuca.
Indistintamente, sentii anche l’altro demone che si rialzava. Potevo affrontarne uno, ma contro due Kappa e con nessuna arma di adamas a disposizione non ce l’avrei mai fatta. Riuscii a girarmi di schiena sull’erba, e il demone numero 2 spalancò il becco, beandomi della vista delle sue zanne affilate.
Hai due secondi prima che un Kappa ti faccia a fettine, mi dissi, pensa, Samantha, pensa… Ma certo! Ogni oggetto che hai a disposizione può diventare un’arma. Queste parole mi rimbombarono nella mente con la voce di mio padre: era una delle prime nozioni sul combattimento che ogni Shadowhunter deve apprendere.
Rafforzai la presa sul righello e feci scattare il braccio destro in avanti, trafiggendogli la gola. Il mostro si contorse e, soffocando, mi ricoprì di una sostanza giallognola che mi si appiccicò ai vestiti e ai capelli, e che aveva un odore nauseante.
Mi rimisi in piedi a fatica ed estrassi il righello dalla bocca del Kappa, pronta ad occuparmi del secondo demone. Mi guardai intorno, ma lo trovai sgozzato a qualche metro da me. E accanto al mostro, in piedi e senza neanche un graffio o un capello fuori posto, c’era Max. Si era tolto la giacca e la felpa ed ora indossava una maglietta nera a maniche corte. Le rune nere spiccavano sulle sue braccia e abbracciavano le curve dei suoi bicipiti. Il sudore aveva reso la maglietta aderente, come una seconda pelle, e si distinguevano le linee del torace sotto di essa. Dovevo averlo osservato basita fin troppo a lungo, perché, passandosi un pugnale di adamas da una mano all’altra ghignò e mi disse: -Un righello, Herondale? Seriamente?-
-Non avevo alcun bisogno del tuo aiuto- tagliai corto, piccata.
-Se fossi in te, sarei più gentile- ribatté lui, divertito.
-E perché mai?- domandai, sarcastica.
-Perché sono sicuro che tu non voglia che Jace venga a conoscenza dell’accaduto.-
Mi guardò strafottente, pronto a godersi la mia reazione. Strinsi i pugni e lo fissai intensamente. Se uno sguardo avesse potuto uccidere, Max avrebbe preso fuoco sotto i miei occhi e sarebbe andato a fare compagnia ai Kappa. Lo odiavo, con tutta me stessa.
-Cosa vuoi, Lewis?-
Scoppiò a ridere e mi guardò, una decisa scintilla di divertimento negli occhi. -Tieniti a disposizione, Herondale.-
Giurai a me stessa che prima o poi lo avrei ammazzato.    




COMMENTO SCRITTRICI:
Ehm-ehm, *colpetto di tosse* ecco il CAPITOLO 3. Speriamo che vi sia piaciuto, perché abbiamo amato scriverlo. 
Ci scusiamo per non aver aggiornato ieri come promesso, ma abbiamo avuto un piccolo contrattempo.
Comunque, vogliamo ringraziarvi per averci inserito tra i preferiti, ricordati o seguiti e per aver recensito solo dopo il prologo e i primi due capitoli. Non ci saremmo mai aspettate questo successo così presto, anche se speriamo di riscuoterne sempre di più.
Quindi grazie, grazie, grazie. :D
P.S. Fateci sapere cosa pensate di questo capitolo! ;)
*Per queste due battute ci siamo ispirate a Harry Potter ("Paura, Potter?"-"Ti piacerebbe, Malfoy") perché lo amiamo. <3
   
 
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