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Autore: Targaryen    30/12/2014    9 recensioni
Accanto alla Luna sfregiata una nube scura nasconde per un istante le stelle. L’ombra che custodisce al suo interno oscilla frenetica tra infiniti universi, scartando quelli a cui non appartiene, per tornare ad essere infine materia ed energia. Abissi di sangue si fanno strada tra il fumo e l’Arcadia si tuffa nel suo mare, entrando in orbita intorno al mondo che il suo equipaggio chiama casa.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Miime
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Canto delle Stelle'
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Sentinelle
 


"La maggior parte degli uomini sono come una foglia secca, che si libra e si rigira nell'aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c'è vento che li tocchi, hanno in loro stessi la loro legge ed il loro cammino." (Hermann Hesse)
 


“Anche le paure ancestrali sono attimi che si ripetono nel tempo, e finché esisterà la razza umana è necessario un simbolo di libertà …” (*)
In un unico movimento misurato Harlock prende posto sul suo seggio e appoggia il capo all’alto schienale, lo sguardo rapito dai ricordi e un profondo senso di lontananza a sfumare il ponte che lo ancora alla realtà. Il chiarore del giorno ha dissolto le ombre figlie dello spazio e dinanzi a lui Yama è una sagoma nera che si staglia sul rosso deserto della Terra. La sabbia nasconde le rovine e sale verso il cielo in vaste colonne spiraleggianti, tramutando la volta in una cupola polverosa attraverso cui saettano di tanto in tanto violente lame di luce. Eppure, da qualche parte, tappeti di fiori ondeggiano al vento arido e caldo e celebrano la vita che non è stata vinta, affidando alle correnti parole di speranza a lungo dimenticate. Parole che egli finalmente riconosce dopo oltre un secolo di torpore.
Un disordinato battito d’ali e la figura nera di Tori-san sfreccia alla sua destra in un turbinio di piume. Harlock pare ridestarsi e sorride quando l’uccello artiglia la spalla di Yama, appollaiandosi su di essa e gracchiando con soddisfazione. Il giovane non vi fa caso e sfiora con le mani la ruota del timone, seguendo le curve del legno e saggiandone la trama. Appoggia il palmo sulle maniglie e resta immobile, come fosse riluttante a porsi alla guida di un vascello che non gli appartiene.
Sfruttando il canale lasciato aperto, la Gaia Fleet continua a trasmette senza sosta la propria richiesta di resa incondizionata. Harlock non sa di quante navi ancora operative il nemico disponga, ma sa di essere circondato e sa che la battaglia non è vinta.
Chiude l’occhio per un istante e si abbandona al respiro dell’Arcadia. Avverte il moto lento ed inesorabile della materia oscura che scende serpeggiando e che ritorna al motore da sempre suo custode. Percepisce il tocco di Tochiro che guida il risveglio del computer centrale ma, prima di ogni altra cosa, sente l’essenza di Meeme sciogliersi dall’abbraccio della nave e scivolare via, libera come era un tempo, padrona del suo cuore di luce e non più prigioniera. La segue mentre cammina lungo le dimensioni, sostanza, energia e di nuovo sostanza, sino a ritornare da lui fluendo attraverso l’aria in una nebbia di luce verde.
Solleva le palpebre e non si sorprende quando lei si materializza al fianco di Yama, il suono inconfondibile del cristallo che incontra il metallo sotto ai suoi piedi e i capelli sospesi a mezz’aria.
“Io sono la donna che ha dedicato la propria vita ad Harlock”, afferma, “Vivo da tempo insieme all’Arcadia e con lei morirò.” (*)
La sua voce riecheggia nell’enorme plancia disseminata di detriti e Harlock avverte quell’ombra di paura penetrata nel suo cuore attraverso una carezza dissolversi come brina in un mattino di primavera, e il dubbio irrazionale di non rivederla fugato da uno sguardo.
Nascosto, nel ventre dell’Arcadia, il computer centrale sprigiona rossi bagliori e si accende. I propulsori si flettono e si tingono d’oro, bruciando la polvere e accumulando potenza.
Harlock sposta lo sguardo su Yama.
“Arcadia, decollo”, (*) ordina con voce ferma.
Tochiro comprende, espande la propria coscienza attraverso circuiti ed ingranaggi e la sua creatura inizia a muoversi da sola. Yama ha udito per la prima volta il nome di Tochiro Oyama dalle labbra del fratello e non è al corrente del segreto custodito dal metallo in cui l’Arcadia è stata forgiata, ma sente la grande ruota resistere al suo tocco e si limita ad appoggiare le mani su di essa, assecondandone il moto. Non ne conosce il motivo, ma sa che quella è la cosa giusta da fare.
Meeme lo osserva per un istante con occhi imperscrutabili, quindi si allontana e raggiunge Harlock.
L’Arcadia procede con sempre maggiore velocità avvolta da cenere e fumo, scavando la terra e lasciando una scia scura dietro di sé. Implacabile si solleva e riprende a divorare l’aria, solcando il cielo infernale di quel mondo dalle cui spoglie morenti prese vita un secolo addietro e puntando verso il nero che la sovrasta. Sul pennone la bandiera plasmata nella materia oscura si rinnova e torna a sventolare nel vuoto.
In piedi alla destra di Harlock, Meeme lo guarda con una profonda preoccupazione scolpita nelle sue grandi iridi aliene. Ma nessuno, oltre a colui che la alimenta, è in grado di leggere in esse.
Entrambi si volgono quando un rumore concitato di passi si sovrappone al sibilo degli anelli in movimento e accompagna l’ingresso della ciurma. Gli uomini si precipitano ai loro posti, chi celermente e chi mostrando il segno di ferite più o meno gravi.
Harlock li scruta uno ad uno per sincerarsi delle loro condizioni e avverte il cuore saltare un battito.
“Dov’è Kei?”, domanda a Yattaran.
Questi raggiunge la sua postazione e inizia a premere bottoni e ad attivare interruttori con gesti resi rapidi dall’abitudine.
“E’ stata colpita nello scontro, capitano”, risponde senza voltarsi, “L’ho accompagnata in infermeria. Zero dice che se la caverà.”
Harlock si concede un sospiro di sollievo e si alza, cercando di bilanciare il peso sul lato sinistro e di ignorare il dolore che lo affligge. La ferita non sta guarendo, e la consapevolezza di ciò che questo significa lo spinge quasi ad amarne il tormento. Ad ogni fitta la sua incredulità cede un pezzo di sé stessa sino a sfumare in una sensazione indefinita, che svanisce lentamente arrendendosi alla tempesta di emozioni che quel cambiamento sta scatenando nel suo animo. Dopo oltre un secolo la  vita ha ripreso a scorrere in lui, restituendogli la possibilità di morire e di espiare la sua colpa.
Avverte Meeme avvicinarsi sin quasi a sfiorarlo e sente il suo sguardo su di lui. Sente la sua apprensione crescere e si maledice per esserne ancora una volta la causa e per costringerla a temere per quella vita di cui, sino a pochi istanti prima, non poteva disfarsi.
“Harlock …”
La voce di lei è un sussurro che solo lui può udire.
“Non ora, Meeme.”
Non ha parole per tranquillizzarla né può fare ciò che lei vorrebbe.
“Yama, prendi il posto di Kei”, ordina.
Il giovane ubbidisce e nella rapidità con cui si porta alla consolle di destra Harlock riconosce quasi una sorta di liberazione da un peso troppo gravoso. Yama possiede coraggio ed integrità morale, e la sofferenza lo ha reso adulto prima del previsto, ma ha bisogno di tempo per imparare, per far pace col passato e per trovare le giuste domande con cui interrogare il futuro. Allora, solo allora, potrà farsi portavoce dei suoi stessi ideali.
Costringendosi ad ignorare i segnali per nulla rassicuranti che il suo corpo gli sta lanciando, Harlock raggiunge il timone e lo afferra saldamente proprio nell’istante in cui l’Arcadia buca la coltre di materia oscura che riveste la Terra e si immerge nell’infinito. Le navi della Gaia Fleet fanno la loro comparsa nel campo visivo mentre i sistemi di rilevazione, di nuovo pienamente operativi, ne mostrano numero e posizione.
Harlock chiude gli occhi per una frazione di secondo, in preda ad un improvviso capogiro, e non si sorprende quando la mano di Meeme si stringe intorno al suo braccio. Nessuno dei suoi uomini pare aver notato l’insolita lentezza con cui ha attraversato la plancia e nessuno sembra aver fatto caso alla tensione che trasuda dai gesti della donna.
Meeme vorrebbe parlare, ma lui scuote il capo domandandole tacitamente di non farlo e torna a fissare lo spazio costellato di scintillii metallici.
“Sono troppe, capitano”, dichiara Yattaran dando voce alla verità che tutti loro conoscono.
Il messaggio registrato della Gaia Fleet intima loro nuovamente la resa. Con un cenno infastidito Harlock ordina a Yama di silenziare l’audio.
Da qualche parte, oltre le grandi paratie trasparenti della sala comandi, gli anelli terminali del Jovian Blaster incombono sul pianeta al di sotto di loro. Il suo nucleo può essere ricaricato e, come ha sparato le prime due volte, può farlo una terza e con precisione sempre maggiore, vanificando il sacrificio di Ezra. L’illusione è caduta e la Terra ha esaurito la propria utilità. L’intento del Plenipotenziario è  sin troppo palese e forse non cambierebbe neppure se egli venisse messo al corrente dei fiori che hanno ripreso a crescere sul suo suolo martoriato. Il passato di cui essa è testimone va eliminato come si elimina un ricordo spiacevole.
Harlock si volge verso la donna in piedi alla sua destra.
“Meeme, ho bisogno di te al motore.”
La sua voce è salda, ma le sue parole assomigliano più ad una richiesta che ad un ordine. Richiesta alla quale Meeme sembra restia ad ubbidire. Il suo atteggiamento dovrebbe mettere in allarme l’equipaggio, ma l’attenzione degli uomini in plancia è rivolta altrove e nessuno vi fa caso.
“Per favore”, sussurra Harlock solo per lei.
Meeme esita per un breve istante, quindi si allontana e raggiunge la sua postazione alle spalle dello scranno adornato da teschi.
La prima bordata li manca e illumina la fiancata di babordo con un bagliore azzurro e violento, ma con quella successiva non sono altrettanto fortunati e la lingua di plasma graffia la corazza esplodendo nel silenzio di quella notte senza fine. Un fremito corre lungo le paratie, ma il metallo intriso di materia oscura prende vita e ripara i danni mentre l’Arcadia continua ad avanzare.
“Yattaran, sensori ad ampio raggio! Trova il Jovian Blaster!”, ordina Harlock inclinando la nave per evitare un terzo colpo.
L’universo intorno a loro ruota e il disco ferito della Luna attraversa il campo visivo per poi stabilizzarsi nella sua nuova posizione.
Con il ridursi della distanza le navi della Gaia Fleet cominciano a mostrare contorni più distinti e a rivelarsi per ciò che sono: incrociatori pesanti inviati per colpire e per non lasciare scampo.
Harlock stringe i denti e si prepara a manovrare nuovamente, ma sa che non riuscirà a farlo ancora per molto. E’ consapevole del sangue che imbratta il tessuto dell’uniforme e che solo il nero nasconde a sguardi distratti, e sente i suoi riflessi divenire sempre più lenti. D’istinto il suo pensiero corre a Meeme che lo sta osservando dal fondo della sala, e non è la paura della fine di ogni cosa a fargli temere improvvisamente la morte, ma la certezza del dolore che la sua scomparsa causerebbe in lei.
“Capitano, perché non entriamo In-skip?”, domanda Yama.
Ai suoi piedi il detonatore delle cento bombe a vibrazione dimensionale attende quasi dimenticato.
“Voglio che quelle navi ci seguano”, risponde Harlock, lottando per mantenere ferma la voce.
Una nuova raffica di colpi li raggiunge, più vicina e meglio calibrata. La struttura portante geme mentre l’uomo conduce la corazzata riuscendo ad evitarne la maggior parte.
“Jovian Blaster individuato, capitano!”, esulta Yattaran alzando le braccia al cielo.
Harlock avverte un rivolo di sudore freddo scorrergli lungo il volto e la vista offuscarsi per un attimo.
“Sullo schermo, Yattaran!”
Sulla paratia trasparente della plancia, in corrispondenza del punto in cui dovrebbe trovarsi l’arma ultima della Gaia Sanction, spunta una luce intermittente contornata da numeri di un rosso brillante. Harlock disegna mentalmente la rotta e devia dalla direzione che li avrebbe catapultati nel cuore dello schieramento nemico. La traiettoria percorsa piega verso Marte e l’uomo quasi sorride quando le navi della Gaia Fleet si muovono in sincronia con l’Arcadia senza interrompere l’attacco.
Dal livello inferiore giunge la domanda che tutti vorrebbero fare.
“Perché non rispondiamo al fuoco, capitano?”, qualcuno chiede.
Harlock non risponde e non si sorprende quando Yama lo fa per lui.
“Stiamo simulando danni. Cannoni non operativi e In – skip non funzionante.”
Le parole di Yama sono seguite da un lungo silenzio, durante il quale le batterie nemiche tacciono e gli anelli terminali del Jovian Blaster escono lentamente dal cono d’ombra della Luna, rivelando sé stessi e posizionandosi perfettamente al centro dell’obiettivo lampeggiante.
“Meeme, per favore, aggancia la bomba a vibrazione rimasta sulla Terra.”
Yattaran e Yama si volgono verso Harlock. La sua voce è incrinata e l’uomo pare appoggiarsi al timone come in cerca di sostegno. E Meeme sfiora i pulsanti della sua consolle con una celerità insolita per lei. Qualcosa non va e ora i due se ne rendono conto.
“Capitano …”
Il sussurro di Yattaran ne anticipa il movimento, ma Harlock lo inchioda sul posto con lo sguardo.
“Resta dove sei!”, comanda.
Il primo ufficiale ubbidisce senza fiatare. Ci sono alcuni ordini che possono essere messi in discussione, ma questo non è uno di essi.
“Ordigno agganciato, Harlock”, comunica Meeme.
Anche il suo tono è diverso e una nota nuova pare averne spezzato la melodia. Una nota che trasmette disagio ed urgenza.
“Grazie. Riportalo nel traino.”
I medesimi pulsanti vengono accarezzati in una diversa successione e tutto è compiuto.
“Eseguito.”
La voce della donna è accompagnata dal bagliore di un colpo che fende il buio a tribordo. Harlock muove ancora la grande ruota e di nuovo la prospettiva dinanzi a loro si trasforma. Gli anelli, vicinissimi, occupano ormai gran parte del campo visivo.
“Yattaran, disattiva il collegamento tra il detonatore e tutte le bombe eccetto quella nel traino. E riduci al minimo il raggio di azione della carica.”
“Sì, capitano.”
Alla richiesta di Harlock angoscia e tensione calano sul ponte di comando come le ali della notte. Le sue intenzioni sono ormai palesi, ma nessuno avanza obiezioni né propone alternative.
I minuti si susseguono impietosi l’uno dopo l’altro, scanditi dalle bordate delle navi che li inseguono e che non possono distanziare per non svelare l’inganno. Poi, finalmente, il primo anello del Jovian Blaster incontra la loro rotta e l’Arcadia lo infila fulminea.
“Collegamenti disattivati, capitano”, riferisce Yattaran.
“Bene”, approva Harlock, ma pronuncia quella singola parola con una voce che è quasi un gemito e che induce Yattaran a volgersi di scatto nella sua direzione. Yama lo imita e, come lui, sbianca in volto di fronte all’immagine dell’uomo riverso sul timone, con un mano premuta sul fianco e il capo abbassato. I capelli nascondono il suo viso, ma non occorre vederlo per rendersi conto che è contorto in una maschera di sofferenza.
Ai suoi piedi il sangue macchia il pavimento di metallo e si propaga insieme alla paura dei suoi uomini.
“Harlock!”
La voce di Meeme è quasi un grido. Lo raggiunge da lontano e lui vi si aggrappa per non precipitare nell’incoscienza. E’ al limite e lo sa. Sente i suoi primi passi che accompagnano il suo nome e con uno sforzo disumano si riporta in posizione eretta.
“Restate ai vostri posti! Tutti!”, urla con tutto il fiato che ha in corpo.
Il tono racchiude una determinazione quasi disperata e l’espressione impressa sul suo volto distoglie chiunque dal replicare.
Immersi nella luce del Sole gli enormi anelli intorno a loro si ergono come sbarre di metallo liquido. La Gaia Fleet ha cessato il fuoco per timore di danneggiarli nel momento stesso in cui l’Arcadia ha attraversato il primo cerchio, e i loro occhi sono ora puntati sul vascello pirata che sta percorrendo il lungo serpente del Jovian Blaster. Harlock si domanda se qualcuno di loro immagini anche solo lontanamente cosa li attende.
“Yama … Meeme … Detonazione e salto In – skip al mio ordine!”
Un anello, un altro e un altro ancora, e poi il centro. Yama stringe il detonatore, il dito pronto a premere il pulsante e lo sguardo fisso su colui che chiama ormai “capitano” con le labbra e con il cuore. Come Kei, come Yattaran, come tutti loro ma non come Meeme. Meeme chiama Harlock per nome, sempre, e Yama ha capito da tempo che anche lei lo fa con le labbra e con il cuore.
“Ora!”
L’ordine di Harlock spezza il silenzio e ferma il respiro. L’attesa muore con la sua voce e l’Arcadia compie il balzo, le mani di Meeme che modellano l’energia che la sostiene e il vuoto che prende il suo posto.
Il vuoto e poi una vibrazione. Qualcosa si materializza laddove la nera corazzata è svanita, un minuscolo aggregato di metallo e circuiti che si dilegua ancor prima di rivelarsi. E quella vibrazione si trasforma e cresce di intensità, tramutandosi in un sisma racchiuso in una piccola bolla che distorce il tessuto dello spazio e del tempo. Nessuna esplosione, nessun muro di fiamme che investe i sensi … solo il silenzio e la realtà che vacilla.
Qualcuno, sugli incrociatori chiusi a bozzolo intorno a quel piccolo cuore di devastazione, capisce e inverte la rotta, ma è troppo tardi. Il seme si espande e diviene una sfera, il cui raggio cresce lentamente per poi occupare in una frazione di secondo tutto il volume che gli è stato concesso dalle mani umane che l’hanno costruita. Un piccolo universo che nasce di nuovo, penetrando la struttura della materia e giocando con le dimensioni, non per creare ma per distruggere.
Coloro che si trovano all’interno del suo raggio d’azione non avvertono nulla. La loro coscienza si spegne, semplicemente, e tutto finisce sulle note di quel tremore che scuote per un istante l’intero creato. Troppo per non disturbarlo, ma troppo poco per destarlo dal suo sonno e farlo regredire all’infanzia. L’onda passa e del Jovian Blaster non resta nulla, neppure il ricordo. Nessuna carcassa di metallo che possa raccontare della sua esistenza e di quella delle navi della Gaia Fleet. 
Accanto alla Luna sfregiata una nube scura nasconde per un istante le stelle. L’ombra che custodisce al suo interno oscilla frenetica tra infiniti universi, scartando quelli a cui non appartiene, per tornare ad essere infine materia ed energia. Abissi di sangue si fanno strada tra il fumo e l’Arcadia si tuffa nel suo mare, entrando in orbita intorno al mondo che il suo equipaggio chiama casa.
Harlock fissa per un istante lo spettro che tormenta le sue notti, finché un velo impalpabile annebbia la sua vista e il corpo smette di dargli ascolto. Il timone scivola tra le sue dita e il buio si stringe intorno a lui sino ad impedirgli di vedere. Non si oppone, non perché non vorrebbe ma perché non può. In un ultimo barlume di coscienza muove le labbra pronunciando quel nome che così spesso le ha abitate, ma la voce lo tradisce ed ancora una volta la chiama attraverso il silenzio mentre si arrende all’oblio.
Non avverte le grida dei suoi uomini che si precipitano verso di lui, e non sente Meeme raggiungerlo per prima e accompagnare la sua caduta con il proprio corpo. Non vede Yama tornare fulmineo alla propria postazione e contattare il dottor Zero, né si rende conto dell’arrivo di quest’ultimo, della sua consueta ilarità improvvisamente svanita e del metallo che penetra nella carne riparando e ricostruendo.
Ma le mani di lei, che si aggrappano a ciò che resta della sua immortalità per tenerlo ancorato al mondo dei vivi, le riconosce, e riconosce l’abbraccio rassicurante della sua anima che lo avvolge sciogliendo il gelo che minaccia di sopraffarlo. Vi si abbandona senza timore, perdendosi in lei e in quel loro amore che non ha bisogno di parole e dimenticando tutto il resto. Dimenticando la sua colpa e dimenticando il suo passato.
 
***
 
Harlock non ha memoria del tempo trascorso dalla conclusione della prima battaglia di quella loro nuova guerra, ma sente che non può essere misurato in ore e che nel suo stato di inconsapevolezza più di una volta non ha assistito al sorgere dell’alba sul nero orizzonte che nasconde l’infinito.
Si risveglia nel suo letto, con le mani di Meeme strette intorno alla propria e la calda luce dorata dell’unica stella che riconoscerebbe ovunque ad accarezzarlo e a sussurrargli parole di perdono.
“Bentornato”, gli sussurra invece Meeme, e gli sorride lasciando che i suoi occhi raccontino tutto il resto.
Egli alza l’altra mano abbandonata tra le coltri e copre le sue, sfogliando le pagine di quel loro libro fatto di sguardi e trovandovi tutto ciò che desidera sapere. Insieme a lei naufraga nella gioia per quell’inaspettato ritorno alla vita, soffre il suo dolore sul ponte di comando e mille volte le domanda perdono di fronte alla cieca paura che l’ha afferrata al pensiero di poterlo perdere per sempre. Vive sulla propria pelle il senso di impotenza dinanzi all’unità medica che snocciola file di numeri che non hanno per lei significato, e infine sente il canto della sua anima pervasa dal sollievo quasi insopportabile di saperlo salvo. Se ne sazia e abbassa le palpebre, accogliendo in sé il sospiro della nave. In esso percepisce, forte come un tempo, la presenza dell’amico che ha condiviso il loro destino e quel nodo che continuava a tormentarlo si scioglie come d’incanto. Il cambiamento non ha interessato lui.
Poi un pensiero e l’ansia che ritorna.
“Kei sta bene. E’ stata qui poco fa”, lo anticipa Meeme strappandogli un sorriso, “E il Jovian Blaster non esiste più.”
Le parole di lei sono balsamo per la sua anima, ma c’è un’altra domanda che lo tormenta sin dal giorno del suo ferimento e che non può più ignorare. Qualunque sia la verità, egli deve sapere.
“Tutto è tornato ad essere come prima?”, chiede.
Le membrane nittitanti attraversano veloci i lucenti occhi verdi della donna.
“Per me sì, ma non per te”, risponde.
Harlock trattiene il respiro e stringe con più forza le sue mani, chiedendole di non fermarsi.
“Ora puoi morire, ma non puoi invecchiare”, gli rivela lei con una sfumatura nella voce che egli non riesce a definire, “La tua genetica non consente alla mutazione di regredire completamente.”
Poi, con un movimento inaspettato, Meeme distoglie lo sguardo e cerca lo spazio oltre la paratia trasparente. Vi è una sorta di esitazione in lei che Harlock non aveva mai incontrato prima e che lo mette in allarme.
“Meeme …”
La donna riporta su di lui la propria attenzione, ma i suoi occhi lasciano trasparire disagio ed egli non può impedire al proprio battito di accelerare.
“Provo felicità per questo”, confessa lei, “Non invecchiare è innaturale per te e conosco il tuo desiderio, ma io non sono abbastanza forte per farlo mio.”
Un lungo silenzio prima che torni a parlare, il tono dimesso e lo sguardo rivolto alle loro dita intrecciate.
“Non riesco a pensare ad una vita in cui tu non ci sei, e provo vergogna per il mio egoismo. Forse voi umani potete sempre ricominciare dopo la fine di tutto, ma non io. Non questa volta. Ho perduto troppo, Harlock, e non posso perdere te. Non voglio perdere te.”
Harlock teme per un istante che il proprio cuore si fermi e senza riflettere la attira a sé, stringendola quasi con disperazione.
“Va bene così, Meeme”, sussurra.
La sente arrendersi lentamente a quell’abbraccio e ad un pianto che non ha lacrime. Un pianto muto, che racconta il suo dolore attraverso cascate di luce e che è frutto dell’angoscia vissuta in quei giorni più che dell’ammissione di poco prima. E Harlock lo sa.
Il silenzio li culla per un tempo imprecisato ed è la voce di lui a porvi fine.
“Ciò che so essere giusto non è sempre ciò che desidero, Meeme”, le rivela.
Lei sussulta, un movimento appena percettibile per un essere umano ma colmo di significato per una figlia di Yura.
“Non so se io sono abbastanza forte e non voglio saperlo, ma forse questo è l’unico modo che ho per rimediare”, continua Harlock, “La Terra tornerà ad essere il mondo che ricordiamo, ma occorreranno molti anni e questa mia nuova condizione mi permetterà di proteggerla finché ce ne sarà bisogno. Quando la restituiremo all’umanità forse saremo stanchi o forse no, ma decideremo insieme come proseguire questo nostro viaggio perché insieme lo abbiamo iniziato.”
Di nuovo il silenzio, più lungo di prima, quindi Meeme si solleva e cerca il suo volto. Lo guarda, lasciando trasparire gioia e sorpresa in una curiosa combinazione. I suoi lineamenti paiono indecisi su quale espressione privilegiare e Harlock quasi sorride.
“La Gaia Sanction si riorganizzerà e nel frattempo noi recupereremo le bombe a vibrazione”, aggiunge, “Senza la centesima carica non sono una minaccia per l’universo, ma possono fare danni e io non voglio essere responsabile di altre morti. Non se posso evitarlo.”
Ha preso quella decisione il giorno in cui Yama ha mostrato loro il fiore raccolto sulla Terra, eppure solo ora avverte il peso che gravava su di lui annullarsi nella consapevolezza della sua scelta. E solo ora comprende appieno quanto profonda fosse la sua avversione per un piano che riteneva a torto l’ultima speranza dell’umanità.
Si guarda intorno per un istante e ha quasi la sensazione di riuscire a toccare con mano il dolore seppellito in quel vascello a causa degli errori commessi, ma per la prima volta da quel giorno maledetto il muro invalicabile che per così tanto tempo ha ottenebrato i suoi sensi appare malfermo e costellato di varchi, attraverso cui riluce un futuro che egli che non sapeva di possedere e che gli sorride con occhi di giada.
Occhi più vasti del suo mare di stelle e più verdi dei prati del suo mondo perduto.
 
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(*) Citazione da “Space Pirate Captain Harlock” di Shinji Aramaki.



E naturalmente ... Felice Anno Nuovo a chiunque passi da queste parti!
 
  
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