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Autore: Stephanie86    01/01/2015    3 recensioni
[Post!4x11 | Elsanna | Incest | Crossover]
Elsa ed Anna sono tornate a casa. Le loro vite sembrano essere tornate alla normalità.
Ma c'è qualcosa, fra loro. Le sorelle lo sanno e anche se fanno di tutto per ignorare quei sentimenti, essi emergono e le spingono verso una linea di confine che due sorelle non dovrebbero mai superare.
E cosa accade quando il sovrano delle fate, Oberon, si presenta al matrimonio di Anna, accompagnato dal suo dispettoso folletto, Puck? Le cose possono solo farsi più complicate.
Nuove avventure attendono Elsa ed Anna.
_______________________________
Stavano l’una di fronte all’altra, adesso. Il fiato di Elsa le agitava leggermente una ciocca di capelli.
- Non permetterò più a nessuno di separarci. E non andrai più in nessun luogo in cui io non possa raggiungerti – continuò Elsa.
- Questo suona tanto come un 'finché morte non ci separi' – disse, quasi senza riflettere.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Anna, Elsa, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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3

 

  

 
“Se queste ombre vi hanno offeso, pensate
(e cada ogni malinteso)
Di aver soltanto sonnecchiato
Mentre queste visioni vi hanno allietato.
E questo tema ozioso e futile
Non più di un sogno vi sarà utile”

(William Shakespeare, Sogno di una Notte di Mezza Estate)

 

 
“Avete bevuto quella limonata, vero? Questo essere ci ha messo dentro un po’ di polvere elfica. Una di quelle polveri che... vi fa fare cose che altrimenti non fareste di certo. Tipo... tipo danzare. Stavate danzando al chiaro di luna”.

Elsa ricordava l’esitazione nelle parole e nello sguardo azzurro di Oberon. All’inizio non ci aveva badato, era troppo concentrata a cercare di ricordare cosa fosse successo in quel giardino. Era troppo concentrata sul timore di aver fatto qualcosa di... sbagliato. Ma c’era stata un’esitazione.

“Vi fa fare cose che altrimenti non fareste di certo”.

Elsa fissava le pergamene in futhark antico dispiegate sul tavolo del salone. Era riuscita a tradurre qualche parola in più e iniziava ad intuire che potesse trattarsi del resoconto di una battaglia avvenuta centinaia di anni prima. Tuttavia non era proprio in grado di studiare quelle pergamene. Erano trascorsi già alcuni giorni dalla sera del matrimonio ed Elsa non poteva levarsi dalla testa la faccenda della polvere elfica nella limonata.

“Credevo che le fate non si innamorassero”.

“Non lo fanno, infatti. E nemmeno mentono, principessa. Non che non esistano le eccezioni...”

Le fate non potevano mentire. E gli elfi? Oberon era il sovrano delle fate, ma era un elfo. Elsa non aveva mai sentito nulla riguardo alla capacità degli elfi di mentire. Potevano farlo? A lei sembrava che Oberon ne fosse capace. O forse era una delle eccezioni di cui lui stesso aveva parlato.

“Ma lo sai già, vero?”.

Quello stralcio di conversazione... quello stralcio che veniva dal buco nero nella sua memoria. La sensazione che aveva percepito quando era tornata in sé. La sensazione... che qualcuno l’avesse baciata. Quel qualcuno le aveva anche morso le labbra. E dato che c’era solo sua sorella lì con lei...

Anna aveva tutti i capelli in disordine, le guance arrossate e gli occhi brillanti.

“Ma lo sai già, vero?”.

Perché aveva chiesto ad Anna una cosa simile? Che cosa sapeva?

“Stavate danzando ed era un bellissimo spettacolo, ma non avrei mai voluto che qualcuno vi vedesse... così”.

...che qualcuno vi vedesse così.

 

***

 

Il soldato finì gambe all’aria e perse anche l’elmo, che rotolò sui ciottoli del cortile, fino ai piedi di un’altra guardia, che sorrideva.

Anna strinse l’elsa della spada. – Siete stanco?

- No, principessa – rispose il soldato, alzandosi e scuotendo il capo. – Non sono stanco, ma voi siete troppo brava per uno come me.

- Ma non potete arrendervi! Abbiamo appena cominciato!

- In realtà abbiamo cominciato mezz’ora fa. Perdonatemi se ve lo faccio notare. – Si rimise l’elmo, calcandoselo sul capo.

- Oh! Davvero?

- Sì, davvero – intervenne Kristoff, avvicinandosi a sua moglie. – Anche perché sono qui da quando hai iniziato. Il tuo soldato ha ragione.

Sollevato, l’uomo raggiunse il suo compagno e insieme tornarono sui bastioni del palazzo.

- Gli hai dato una bella lezione. È stato... divertente – disse Kristoff, circondandole la vita con le braccia e posandole un bacio sulle labbra.

- Lo so. E mi hanno insegnato loro ad usare la spada. Credo che serva anche ai soldati scaldarsi un po’ i muscoli. Sai che alcuni dormono durante il turno di guardia? Elsa non vuole assumere nuovi soldati. Non che questi siano così male, però... forse hanno bisogno di qualche distrazione per non mettersi a dormire.

- Rimarranno svegli a lungo dopo questa batosta. Come te, stanotte. Sbaglio o non hai fatto altro che rigirarti?

- Sì... mi dispiace, ti ho disturbato?

- No. Ma dove sei andata? Ad un certo punto mi sono svegliato e non c’eri...

- Da Sven.

- Sven?

- Da Sven. Abbiamo... parlato un po’. Voglio dire, io ho parlato, Sven è rimasto ad ascoltare. Spero di non averlo annoiato troppo. Forse voleva dormire.

- Quindi preferisci la compagnia di Sven alla mia. Devo essere geloso?

- Credo che Sven preferisca la tua compagnia.

- Farò due chiacchiere con lui. In fondo possiede un certo fascino. Un fascino da renna.

La verità era che non aveva fatto altro che rigirarsi perché si era permessa di ripensare alla sera del matrimonio. A quel borioso di Oberon e al suo folletto. Sarebbe stato tutto perfetto se non fosse stato per quei due.

Le scocciava moltissimo non ricordare che cosa fosse accaduto. Si era detta che non era importante, che se nessuno l’aveva vista fare qualcosa di imbarazzante come ballare al chiaro di luna allora poteva lasciar perdere. Se con lei, in giardino, ci fosse stato qualcun altro, qualcuno che non aveva mai visto in vita sua, avrebbe potuto, se non fingere che non fosse successo, almeno convincersi che non c’era nulla di cui preoccuparsi, nulla per cui tormentarsi. Avrebbe potuto dirsi che si era trattato di un sogno e niente di più. Uno sogno che, come molti sogni, al mattino era svanito, risucchiato dalla luce intensa del giorno.

Ma si trattava di sua sorella. E non era sicura di aver solo ballato al chiaro di luna. Nemmeno Elsa lo era. Tutte le volte che i loro sguardi s’incontravano anche solo casualmente, Anna aveva l’impressione che sua sorella avesse dei sospetti, che condividesse i suoi stessi pensieri e le sue stesse preoccupazioni.

Prima di tutto avrei dovuto farmi le trecce. Poi mi chiedo perché il re delle fate si sia dovuto presentare al mio matrimonio. Terzo, mia madre, oltre a conoscere un pirata, conosceva anche un elfo irritante e borioso. Quarto, non berrò mai più limonate in vita mia.

 

***

 

- Elsa!

La regina di Arendelle distolse lo sguardo dalle pergamene. Anna entrò in salone, correndo e con un foglio ingiallito arrotolato e stretto nella mano destra.

- Anna, cos’è successo?

- Elsa... sei ancora su quelle pergamene?

- Ehm, sì.

- Sono stata da Gran Papà. Gli ho parlato della polvere elfica e...

Elsa la fissò con gli occhi sgranati. – Hai parlato a Gran Papà di quello che... è successo al matrimonio?

- No, certo che no... cioè, sì, gliene ho parlato, ma non gli ho raccontato tutto. Gli ho solo detto che qualcuno ha messo della polvere elfica nella mia limonata e che, a causa di quella polvere, mi sono comportata... in modo strano, ma non ricordo cosa sia successo esattamente. Volevo che mi aiutasse a ricordare.

- E... hai ricordato?

- No. Gran Papà ci ha provato, ma ha detto che la magia elfica può essere annullata solo da un elfo. Quindi da Oberon. Non possiamo ricordare, ma... abbiamo ottenuto qualcosa. È pur sempre un inizio.

- Non abbiamo ottenuto niente, Anna.

- Invece sì. Sappiamo che solo un elfo può annullare l’incantesimo sulle nostre menti. Un elfo o una fata. Ma non hai ancora sentito la parte migliore... Gran Papà mi ha detto anche come trovare Oberon. Mi ha dato una mappa.

- So anch’io dove vive Oberon. Alla Corte Seelie.

- Già. E Gran Papà mi ha anche detto come entrare, anche se mi ha sconsigliato di andarci. Conosce Oberon e lo giudica una persona... irritante e poco affidabile. E ha ragione. Ma se non ci andiamo non sapremo mai cos’è successo. – Anna era entusiasta. Sembrava che non stesse parlando di un viaggio in chissà quale regno sconosciuto, ma di qualcosa di emozionante, che non comportava pericoli di alcun genere. – É a Misthaven.

- Oh... Misthaven!

- In realtà la nave dovrebbe approdare più a est rispetto al punto in cui sono approdata la scorsa volta.

- Non posso, Anna. Sono la regina. Mi è impossibile abbandonare il regno.

- Non è vero, è solo una scusa.

- Una scusa? Abbiamo sconfitto Hans, ma prima o poi potrebbe anche riprovarci. Lui o uno dei suoi fratelli...

- Non ci riproverà. Non ora. Sono sicura che si sta ancora leccando le ferite. E il suo occhio nero non sarà neppure guarito. Te lo ricordi, il suo occhio, no? Insomma, io ho ancora i lividi!

- Anna...

- Hai anche mandato delle spie nelle Isole del Sud. Puoi sempre rivolgerti a loro per sapere che cosa sta combinando.

- E Kristoff? Cos’hai intenzione di raccontare a Kristoff?

- Gli ho già detto che il folletto di Oberon ha fatto qualcosa alla mia mente. Vorrebbe venire con me ma l’ho convinto a non farlo. Qualcuno deve pur rimanere qui.

“E quanto ci metterai a tornare indietro, stavolta?”.

“Poco. Davvero. Dammi due... no, due settimane no. Facciamo un mese”.

“Un mese?”.

“Tre settimane? Questa volta la situazione è diversa”.

“Ma il posto è lo stesso, se non sbaglio. Misthaven. E questa... come si chiama...”

“Corte Seelie. E il re si chiama Oberon. E la regina Titania”.

“D’accordo, lasciamo perdere i loro nomi. Potrebbe essere pericoloso”.

“Sai che me la caverò. E poi la scorsa volta sono tornata sana e salva. Ho persino... dato una lezione a quel mago malvagio con problemi alla pelle, perché, al contrario di lui, io sono molto più carina e gentile”.

“Ah, su questo non c’è dubbio. Penso che tutti sarebbero d’accordo”.

“Non Belle, probabilmente. Lei proprio no. Scommetto che a lei non danno fastidio i suoi problemi alla pelle. Devo andare laggiù, Kristoff. So che mi capisci”.

“É davvero così importante? Cosa pensi che sia successo?”.

 “Sì che lo è. Insomma, è frustrante avere dei vuoti di memoria. Potrei aver fatto qualcosa di cui... dovrei pentirmi. Mi rende nervosa e mi irrita. Come mi irrita Oberon. E il suo folletto, anche. Un folletto non mi ha mai irritato tanto quanto Puck. Non che io abbia spesso a che fare con dei folletti... beh, a parte Tremotino. Sai, lui ha qualcosa dei folletti. Gli occhi, forse. Anche la statura. Non è molto alto”.

- Se non vuoi venire con me, posso andarci da sola. Tornerò con i miei ricordi e anche con i tuoi – disse Anna.

- Non andrai da sola. Toglitelo dalla testa! – La voce di Elsa salì di tono. Risuonò secca e dura. Le ricordò quando era venuta a trovarla nella cella in cui Ingrid l’aveva rinchiusa. Allora era una finta, solo un tranello per ingannare la Regina delle Nevi, ma Anna aveva avuto paura che Elsa non le credesse, che fosse realmente arrabbiata con lei. Erano stati minuti terribili.

Anna la fissò, senza dire niente.

- Non voglio che tu parta da sola – continuò sua sorella.

- Hai solo paura di scoprire che cos’è successo davvero quella sera!

Fu Elsa a rimanere in silenzio, stavolta.

- Scusa... non volevo dire... – iniziò Anna, arrossendo. – Anzi, sì. Volevo dirlo. Perché è quello che penso. Forse non avrei dovuto dirlo in quel modo, ma l’ho detto, quindi... e se è così, lo capisco. Me lo puoi dire. Perché sono tua sorella e puoi dirmi qualsiasi cosa, ma anche perché anch’io ho paura. Per me non è diverso.

Elsa la guardò per un lungo istante, continuando a tacere. I suoi occhi scrutarono intensamente il viso di Anna. Grazie alla luce del sole che giocava con le ombre del salone lo sguardo della regina sembrava possedere una sfumatura più azzurra.

Per qualche istante parve lottare contro se stessa. Poi colmò la distanza che la separava da Anna e le prese entrambe le mani.

- Sì, io... – iniziò Elsa. Le sfuggì, distogliendo lo sguardo. – Sento che è tutto qui, nella mia mente. Ma non sono sicura di volerlo sapere. Ho paura di aver fatto... di averti fatto qualcosa di male.

- Perché sei convinta di essere l’unica colpevole? Qui nessuno è colpevole, a parte quella maledetta polvere elfica. E Puck. E Oberon, naturalmente. Non sai quanto vorrei prenderlo per le orecchie a punta e sbatterlo giù dal suo trono... Oberon, intendo.

- E Puck no?

- Anche. Ma prima Oberon. Sia per la polvere elfica che per il modo in cui si è rivolto a te.

- Come si sarebbe rivolto a me?

- Non l’hai sentito? Tutti quei... Vostro Splendore. Vostra Magnificenza. È un borioso.

Elsa si concesse un sorriso. – Non so bene quante volte l’hai già ripetuto.

- Non lo consideri un borioso?

- Credo che volesse solo essere cordiale.

Anna aggrottò la fronte. – Cordiale? Voleva essere tutt’altro che cordiale, infatti ti stava sempre appiccato. E non era stato invitato. Ricordami di dirglielo quando lo vedrò. Cioè, quando lo vedremo.

Elsa posò le dita sulla sua nuca e l’attirò più vicina a sé. Appoggiò la fronte contro quella della sorella. Anna chiuse gli occhi e trattenne il respiro, destabilizzata dall’improvvisa vicinanza.

- Va bene – disse Elsa.

- C-Cosa?

- Verrò con te a Misthaven. Alla Corte Seelie.

- Sul serio? – Anna si scostò leggermente e guardò Elsa con occhi grandi e pieni d’entusiasmo.

- Ti ho detto che non saresti più andata in nessun posto in cui io non possa raggiungerti. Credevi che scherzassi?

- No... una regina come te non scherzerebbe mai su una cosa del genere.

 

***

 

Partirono tre giorni dopo.

Le spie di Elsa inviate nelle Isole del Sud dopo la sconfitta di Hans non portarono notizie preoccupanti. Il principe si stava ancora leccando le ferite, come aveva sperato Anna, e i suoi dodici fratelli erano occupati fra taverne, bordelli o erano intenti a rimuginare su quanto era accaduto. Si diceva che alcuni di loro si sarebbero rifiutati di seguire Hans in un’altra impresa suicida come quella che li aveva quasi condotti alla morte.

Quasi nessuno seppe che la regina stava lasciando il regno. La mattina della partenza si imbarcarono su una nave mercantile piccola e anonima, usando due nomi falsi. Anna si presentò come Joan e scelse per sua sorella il nome Eiry.

- Eiry? – esclamò Elsa, dopo che furono salite sulla nave.

- Stavo improvvisando e ho detto il primo nome che mi è venuto in mente. O forse l’ho letto in qualche storia. Ti sta benissimo, Eiry.

- Oh... sì?

- Preferivi qualcos’altro? Qualcosa tipo... Christine... o Henrietta?

- Henrietta? Che nome sarebbe?

- Non lo so. Un nome orribile. Voglio dire, un nome orribile da dare a te. Chi ha il coraggio di chiamare la propria sorella Henrietta?

Elsa sorrise.

- Forse preferivi che ti chiamassi Emma.

Un attimo di silenzio.

- Perché mi dici questo? – volle sapere Elsa, guardandola con il sopracciglio aggrottato.

- Beh, perché Emma è un nome da Salvatrice. È un bel nome. Sono sicura che tu lo consideri un bel nome. E lo è. È mille volte meglio di Henrietta. Poi visto che ti fidavi tanto di Emma...

- Tu no?

Ad Anna occorse qualche secondo per rispondere. – Certo. È stata così gentile con te. L’ho ringraziata, sai?

- E allora?

- Niente. Cioè, no, è che... non ho potuto fare a meno di notare quanto foste legate. Non che questa sia una brutta cosa. Trovo sia molto bello. Eri da sola, in un mondo che non conoscevi e, per fortuna, c’era qualcuno disposto ad aiutarti. Scommetto che hai lasciato un gran vuoto nel cuore di Emma... o meglio, se io fossi Emma sentirei un gran vuoto perché non ci sei più. Magari avrebbe voluto tenerti con sé a Storybrooke...

- Anna.

- Sì?

- Respira.

- Lo sto facendo.

Elsa abbassò il cappuccio della mantella che aveva indossato quella mattina, prima di lasciare il palazzo. – Non pensavo che ti desse fastidio.

- Non mi dà fastidio! – si affrettò a dire Anna. Poi roteò gli occhi. – Okay, va bene. Forse un po’ sì. Ma non devi spiegarmi niente.

- Emma era un’amica. La sentivo molto vicina perché eravamo... siamo molto simili. Mi ha aiutata quando ho usato i miei poteri per intrappolare la città. Avrebbe potuto non farlo, ma si è fidata di me. È per questo che tra noi si è creato un legame.

- É la stessa cosa che ha detto Kristoff.

- Kristoff?

- Beh, anche lui l’ha notato. E credo abbia notato che io l’avevo notato. Insomma, hai capito, no?

Elsa aveva capito benissimo, per questo l’aveva abbracciata

 

***

 

La nave fece rotta verso Misthaven e vi approdò una mattina soleggiata, due giorni dopo aver levato l’ancora ad Arendelle. Il capitano, un uomo di poche parole e che era abituato a non fare domande, aveva detto loro che c’era la possibilità di attacchi da parte di navi pirata durante la traversata.

- Non vi voglio indorare la pillola. Abbiamo avuto seri problemi mentre ci dirigevamo verso Arendelle. Siamo riusciti a respingerli perché i miei uomini sono tutti addestrati e perché erano in pochi. Ma non so come sarà, nel tornare indietro.

- Oh, pirati! – aveva esclamato Anna. – Vi supplico, no. I pirati no. L’ultimo pirata che ho conosciuto mi ha chiusa in un baule. Con l’aiuto di... beh, di qualcun altro. Non era l’ultimo che ho conosciuto, in realtà. Ne ho conosciuto un altro, dopo, solo che...

Il capitano aveva aggrottato le folte sopracciglia scure.

- Sì. In un baule. Ci credereste? Volevano che morissi annegata. Anzi, che morissimo. C’era anche Krist... ehm, voglio dire... un mio amico.

- Oh.

Elsa aveva interrotto la sorella prima che potesse parlare troppo. – É una storia complicata.

Non ci furono attacchi da parte di navi pirata, comunque.

Anna consultava spesso la mappa che le aveva fornito Gran Papà, borbottando frasi sconnesse fra sé e sé.

Quando giunsero a Misthaven tenne sempre la mappa sott’occhio, soprattutto quando la foresta si chiuse su di loro e si ritrovarono a camminare fra sassi, rovi, sentieri coperti di erbacce, alberi secolari e a tendere le orecchie ogni qualvolta udivano un rumore provenire dal folto della boscaglia.

- Quanto dovrebbe mancare? – chiese Elsa, ad un certo punto, mentre osservavano un enorme tronco caduto, che sbarrava loro il passaggio.

- Non molto. Almeno, non molto secondo la mappa. Il lago dovrebbe essere vicino.

- Il lago?

- Giusto. Non ti ho detto come si entra alla Corte Seelie. Dal lago. Dobbiamo attendere che cali la notte e quando la luna piena si rifletterà sulle acque del lago... beh, allora potremo entrare.

- Nel senso che vedremo una porta magica?

- No. Si entra attraverso il riflesso della luna. Insomma, sì, il riflesso sulle acque è una porta.

- Dobbiamo tuffarci nel lago?

- Ehm... lo so che non è un’idea grandiosa. L’acqua sarà sicuramente fredda – Anna, dopo aver cercato di aggirare il tronco caduto, decise di provare a scavalcarlo. – E quindi sarà spiacevole. Per me, voglio dire. Non per te. Ma non c’è un altro modo per entrare, Gran Papà è stato molto chiaro.

Anna stava per aggiungere qualcos’altro riguardo alla Corte, al riflesso che diventava una porta al momento giusto e riguardo a quanto le dispiacesse doversi immergere nell’acqua gelata, ma scivolò sul muschio che ricopriva il tronco e cadde dall’altra parte, accompagnando la caduta con un gridolino di sorpresa e uno svolazzo di gonne blu e mantella rossa.

- Anna! Ti sei fatta male? – domandò Elsa, allarmata, raggiungendola e scivolando a sua volta.

Lei si sollevò, portandosi una mano alla testa. – Ouch. No. Credo di no.

Elsa la prese per mano e l’aiutò a rialzarsi. Un lungo ciuffo di capelli rossi le pendeva davanti al viso, scompostamente. Le sarebbe di sicuro uscito un livido sul fianco e si era sbucciata un po’ le nocche.

- Sei ferita – le fece notare sua sorella.

- Oh. Non è niente. Sono abituata alle cadute. Avresti dovuto vedere quella dal ciglio della montagna.

Elsa non commentò. Anna alzò la testa per guardarla e vide che la sua espressione era tesa.

- Va bene. Forse è meglio non parlare di cadute. Soprattutto di cadute come... come quella. Ogni tanto, di notte, sogno ancora di cadere, sai? Qualche notte prima del matrimonio ho sognato di essere di nuovo sul ciglio della montagna. Sapevo che sarei caduta, ma continuavo a camminare. È stato la notte in cui anche tu hai avuto quell’incubo ed io sono venuta nella tua stanza a svegliarti.

Elsa sfiorò le sbucciature sulle nocche con la punta delle dita, poi si portò la sua mano alle labbra e vi depositò un bacio. Un bacio leggero, ma stranamente prolungato.

Anna rimase là, a guardarla, con la bocca semiaperta. E gli occhi incollati a quelli di Elsa. Così... simili ai suoi.

Incollati alle sue labbra.

Desiderò ardentemente che Elsa la baciasse. Voleva che l’attirasse a sé e la baciasse, come aveva fatto quel giorno, nei giardini di Arendelle. Un bacio. Anzi, no. Più di uno. Sulla bocca, sul collo, sulla guancia. Doveva baciarla e basta.

E rendendosi conto che Elsa, forse, non l’avrebbe fatto, si sporse per farlo lei stessa. La sorella non si ritrasse, emise solo un sospiro. Un sospiro che sapeva di rassegnazione, di sconfitta. E di attesa.

Un ramo si spezzò con uno schiocco secco.

Risuonò un TUMP.

Udirono entrambe dei passi in avvicinamento.

Elsa si girò di scatto, portando subito una mano avanti, pronta a scagliare il suo potere contro chiunque avesse tentato di far loro del male, mentre con l’altro braccio spingeva Anna più indietro.

- Elsa! – iniziò Anna.

C’erano tre persone davanti a loro, sbucate dal nulla.

Erano donne ed erano armate. Due impugnavano le lance, la terza aveva un’ascia appesa alla cintura, l’arco e la faretra piena di frecce agganciate alla schiena. A giudicare dagli abiti, erano delle guerriere. Avevano braccia forti e fisici atletici, nonché l’aria di chi non si lasciava intimorire facilmente.

Aspetta, che?

Non credeva ai suoi occhi. Per la seconda volta in pochi giorni Anna non credeva ai suoi occhi.

- Chi siete? – domandò la donna con l’ascia, venendo avanti di un passo.

Le sorelle restarono un attimo interdette.

Chi siamo noi?, pensò Anna. No, chi siete VOI?

- Ho chiesto chi siete – E questa volta non era più una domanda. Gli occhi neri le scrutavano, aspettandosi qualcosa e subito.

- Oh. Beh, dunque... mi chiamo Joan. E questa è mia sorella Eiry – rispose Anna, venendo avanti di un passo, mentre stringeva il braccio di Elsa. Arrotolò la mappa e offrì loro un sorriso che avrebbe dovuto risultare incoraggiante.

- Joan, eh? Che strano nome. Non sembrate del posto – le fece notare la donna con l’ascia, guardinga.

Le due compari abbassarono un po’ le lance.

- Infatti non lo siamo. Noi veniamo da Ar... – Anna si interruppe appena in tempo. – Da nord.

- Da nord? Ci sono molte cose a nord.

- Ci dispiace molto – intervenne Elsa. – Non volevamo entrare senza permesso nel vostro territorio. Siamo dirette a...

- Nel loro territorio? – disse Anna.

La guerriera con l’ascia allungò una mano, fulminea, e strappò la mappa dalle mani di Anna.

- Ehi! Ma che...?

Con un fruscio la mappa venne srotolata.

- Che cos’è, Varja? – chiese una delle due guerriere bionde che reggevano le lance.

- Una mappa. La Corte Seelie! – Varja alzò gli occhi. Sembrava molto divertita. – E cosa c’è di così importante per voi alla Corte Seelie?

- Beh, i nostri... – cominciò Anna. Sbatté le palpebre. – Qualcosa che ci appartiene e che... dobbiamo riprenderci. Quindi, se volete scusarci... noi andremmo.

Alle loro spalle vi furono dei movimenti. Tramestii, passi, foglie secche schiacciate dalle suole degli stivali. Le tre guerriere non erano venute da sole.

Presumibilmente erano circondate.

Nel girarsi, Elsa colse il balenio di una punta di lancia che le parve un po’ troppo vicina al corpo di sua sorella.

- Ferma! – gridò. Le sue dita sfiorarono l’arma della guerriera.

Anna ebbe il tempo di contare altre sei donne, tutte con abiti in pelle o in cuoio, tutte con le armi in pugno e tutte in atteggiamenti poco amichevoli.

Poi la punta della lancia cominciò a ghiacciare. Il gelo si diffuse lungo l’asta in legno, minacciando le mani della guerriera, che lanciò un’imprecazione e gettò via la sua arma.

- Che cosa sta succedendo? – gridò Varja.

Fiocchi di neve presero a turbinare intorno ad Elsa.

Le voci si sovrapposero, in una cacofonia che si fece subito preoccupante.

- Varja!

- É magia!

- State indietro!

- É un mostro!

- Non date del mostro a mia sorella!

Una freccia sbucò dal folto degli alberi, seguita subito da una seconda. Sibilarono, tagliando l’aria e dirigendosi verso il bersaglio.

Elsa sollevò entrambe le mani. Esplose un fascio di luce biancoazzurra e le frecce congelarono all’istante, precipitando sull’erba.

Altre guerriere uscirono allo scoperto. Puntarono asce, lance, spade e incoccarono altre frecce. 

- Dì a tua sorella di fermarsi – ordinò Varja, rivolta ad Anna. – Qualsiasi cosa stia facendo, dille di smettere o le mie compagne vi attaccheranno. Non credo che possa affrontarle tutte e, anche se potesse... non glielo consiglio. Dovrà combatterci e, allo stesso tempo, proteggere te. E non ha l’aria di una donna che uccide senza farsi problemi.

- Io non voglio farvi del male. Mi dispiace... – iniziò Elsa, sconvolta da ciò che stava accadendo. I fiocchi continuavano a roteare intorno a lei. Le guerriere la fissavano con gli occhi sbarrati, ma non indietreggiavano. Anzi avanzavano, un passo alla volta, pronte a colpire.

- Silenzio! – gridò Varja.

Anna afferrò saldamente la mano della sorella, intrecciando le proprie dita alle sue. Le rivolse un’occhiata. Voleva rassicurare Elsa, ma era convinta che i suoi occhi trasmettessero angoscia e non sicurezza.

Tuttavia Elsa agitò una mano e i fiocchi scomparvero.

Le guerriere si avvicinarono ancora, formando un cerchio intorno a loro.

- Adesso venite con noi – annunciò Varja, freddamente.

- Venire con voi... dove? – chiese Anna.

- Dalla regina. Legate bene le mani della bionda. Non voglio sorprese.

- Non potete legare mia sorella! Non voleva farvi male! E se legate mia sorella allora dovrete legare anche me. Pensate che io non possa darvi una lezione se...

- Avete sentito cos’ha detto Joan, se è davvero questo il suo nome? Vuole essere legata!

Alcune ridacchiarono.

- Accontentiamola. Asteria, Agave... legate anche lei. Abbiamo un po’ di strada da fare, ma credo che la regina avrà molte domande per voi.

- Ma quale regina? – chiese Anna, osservando le due guerriere che erano apparse con Varja armate di lance unire i polsi di Elsa per potervi passare la corda intorno.

- Ippolita – Varja parlò come se si stesse rivolgendo ad una povera stupida. – La Regina della Amazzoni. Camminate!

 

***

 

 

Angolo autrice:

 

Ciao a tutti e buon anno, cari lettori!

Primo capitolo di questo 2015. Urge qualche spiegazione:

La citazione iniziale, tratta da Sogno di Una Notte di Mezza Estate, appartiene al folletto Puck ed è parte della battuta che chiude l’ultimissimo atto della commedia.

Asteria e Agave sono nomi di Amazzoni e pure Ippolita, che è, come Oberon, Titania e Puck, un personaggio di Sogno di Una Notte di Mezza Estate. Varja, invece, è un nome che mi sono inventata di sana pianta. Non ha un significato particolare, o almeno non credo. Mi piaceva semplicemente il suono.

Eiry, il falso nome di Elsa, è di origina nordica e significa “neve”. Me l’ha suggerito un amico. Mentre Christine ed Henrietta non sono messi lì a caso. Sono i nomi di personaggi interpretati da Georgina Haig in altre serie/film.

L’idea del riflesso della luna sulle acque del lago come porta per accedere alla Corte Seelie è presente anche in ShadowhuntersThe Mortal Instruments.

 
E niente. Penso sia tutto. Mi auguro che la storia sia di vostro gradimento. Ovviamente ogni critica, anche la peggiore, è gradita. ^_^


   
 
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