3
“Se
queste ombre vi hanno offeso, pensate
(e
cada ogni malinteso)
Di
aver soltanto sonnecchiato
Mentre
queste visioni vi hanno allietato.
E
questo tema ozioso e futile
Non
più di un sogno vi sarà utile”
(William
Shakespeare, Sogno di una Notte di Mezza
Estate)
“Avete
bevuto quella limonata, vero? Questo essere ci ha messo dentro un
po’ di
polvere elfica. Una di quelle polveri che... vi fa fare cose che
altrimenti non
fareste di certo. Tipo... tipo danzare. Stavate danzando al chiaro di
luna”.
Elsa
ricordava l’esitazione nelle
parole e nello sguardo azzurro di Oberon. All’inizio non ci
aveva badato, era
troppo concentrata a cercare di ricordare cosa fosse successo in quel
giardino.
Era troppo concentrata sul timore di aver fatto qualcosa di... sbagliato. Ma c’era stata
un’esitazione.
“Vi
fa fare cose che altrimenti non fareste di certo”.
Elsa
fissava le pergamene in futhark
antico dispiegate sul tavolo del salone. Era riuscita a tradurre
qualche parola
in più e iniziava ad intuire che potesse trattarsi del
resoconto di una
battaglia avvenuta centinaia di anni prima. Tuttavia non era proprio in
grado
di studiare quelle pergamene. Erano trascorsi già alcuni
giorni dalla sera del
matrimonio ed Elsa non poteva levarsi dalla testa la faccenda della
polvere
elfica nella limonata.
“Credevo
che le fate non si innamorassero”.
“Non
lo fanno, infatti. E nemmeno mentono, principessa. Non che non esistano
le
eccezioni...”
Le
fate non potevano mentire. E gli
elfi? Oberon era il sovrano delle fate, ma era un elfo. Elsa non aveva
mai
sentito nulla riguardo alla capacità degli elfi di mentire.
Potevano farlo? A
lei sembrava che Oberon ne fosse capace. O forse era una delle
eccezioni di cui
lui stesso aveva parlato.
“Ma
lo sai già, vero?”.
Quello
stralcio di conversazione...
quello stralcio che veniva dal buco nero nella sua memoria. La
sensazione che
aveva percepito quando era tornata in sé. La sensazione...
che qualcuno
l’avesse baciata. Quel qualcuno le aveva anche morso le
labbra. E dato che
c’era solo sua sorella lì con lei...
Anna
aveva tutti i capelli in
disordine, le guance arrossate e gli occhi brillanti.
“Ma
lo sai già, vero?”.
Perché
aveva chiesto ad Anna una
cosa simile? Che cosa sapeva?
“Stavate
danzando ed era un bellissimo spettacolo, ma non avrei mai voluto che
qualcuno
vi vedesse... così”.
...che
qualcuno vi vedesse così.
***
Il
soldato finì gambe all’aria e
perse anche l’elmo, che rotolò sui ciottoli del
cortile, fino ai piedi di
un’altra guardia, che sorrideva.
Anna
strinse l’elsa della spada. – Siete
stanco?
-
No, principessa – rispose il
soldato, alzandosi e scuotendo il capo. – Non sono stanco, ma
voi siete troppo
brava per uno come me.
-
Ma non potete arrendervi! Abbiamo
appena cominciato!
-
In realtà abbiamo cominciato
mezz’ora fa. Perdonatemi se ve lo faccio notare. –
Si rimise l’elmo,
calcandoselo sul capo.
-
Oh! Davvero?
-
Sì, davvero – intervenne
Kristoff, avvicinandosi a sua moglie. – Anche
perché sono qui da quando hai
iniziato. Il tuo soldato ha ragione.
Sollevato,
l’uomo raggiunse il suo
compagno e insieme tornarono sui bastioni del palazzo.
-
Gli hai dato una bella lezione. È
stato... divertente – disse Kristoff, circondandole la vita
con le braccia e
posandole un bacio sulle labbra.
-
Lo so. E mi hanno insegnato loro
ad usare la spada. Credo che serva anche ai soldati scaldarsi un
po’ i muscoli.
Sai che alcuni dormono durante il turno di guardia? Elsa non vuole
assumere nuovi
soldati. Non che questi siano così male, però...
forse hanno bisogno di qualche
distrazione per non mettersi a dormire.
-
Rimarranno svegli a lungo dopo
questa batosta. Come te, stanotte. Sbaglio o non hai fatto altro che
rigirarti?
-
Sì... mi dispiace, ti ho
disturbato?
-
No. Ma dove sei andata? Ad un
certo punto mi sono svegliato e non c’eri...
-
Da Sven.
-
Sven?
-
Da Sven. Abbiamo... parlato un
po’. Voglio dire, io ho parlato, Sven è rimasto ad
ascoltare. Spero di non
averlo annoiato troppo. Forse voleva dormire.
-
Quindi preferisci la compagnia di
Sven alla mia. Devo essere geloso?
-
Credo che Sven preferisca la tua compagnia.
-
Farò due chiacchiere con lui. In
fondo possiede un certo fascino. Un fascino da renna.
La
verità era che non aveva fatto
altro che rigirarsi perché si era permessa di ripensare alla
sera del
matrimonio. A quel borioso di Oberon e al suo folletto. Sarebbe stato
tutto
perfetto se non fosse stato per quei due.
Le
scocciava moltissimo non ricordare
che cosa fosse accaduto. Si era detta che non era importante, che se
nessuno
l’aveva vista fare qualcosa di imbarazzante come ballare al
chiaro di luna
allora poteva lasciar perdere. Se con lei, in giardino, ci fosse stato
qualcun
altro, qualcuno che non aveva mai visto in vita sua, avrebbe potuto, se
non
fingere che non fosse successo, almeno convincersi che non
c’era nulla di cui
preoccuparsi, nulla per cui tormentarsi. Avrebbe potuto dirsi che si
era trattato
di un sogno e niente di più. Uno sogno che, come molti
sogni, al mattino era
svanito, risucchiato dalla luce intensa del giorno.
Ma
si trattava di sua sorella. E
non era sicura di aver solo ballato al
chiaro di luna. Nemmeno Elsa lo era. Tutte le volte che i loro sguardi
s’incontravano anche solo casualmente, Anna aveva
l’impressione che sua sorella
avesse dei sospetti, che condividesse i suoi stessi pensieri e le sue
stesse
preoccupazioni.
Prima
di tutto avrei dovuto farmi le trecce. Poi mi chiedo perché
il re delle fate si
sia dovuto presentare al mio matrimonio. Terzo, mia madre, oltre a
conoscere un
pirata, conosceva anche un elfo irritante e borioso. Quarto, non
berrò mai più
limonate in vita mia.
***
-
Elsa!
La
regina di Arendelle distolse lo
sguardo dalle pergamene. Anna entrò in salone, correndo e
con un foglio ingiallito
arrotolato e stretto nella mano destra.
-
Anna, cos’è successo?
-
Elsa... sei ancora su quelle
pergamene?
-
Ehm, sì.
-
Sono stata da Gran Papà. Gli ho
parlato della polvere elfica e...
Elsa
la fissò con gli occhi
sgranati. – Hai parlato a Gran Papà di quello
che... è successo al matrimonio?
-
No, certo che no... cioè, sì,
gliene ho parlato, ma non gli ho raccontato tutto. Gli ho solo detto
che
qualcuno ha messo della polvere elfica nella mia limonata e che, a
causa di
quella polvere, mi sono comportata... in modo strano, ma non ricordo
cosa sia
successo esattamente. Volevo che mi aiutasse a ricordare.
-
E... hai ricordato?
-
No. Gran Papà ci ha provato, ma
ha detto che la magia elfica può essere annullata solo da un
elfo. Quindi da
Oberon. Non possiamo ricordare, ma... abbiamo ottenuto qualcosa.
È pur sempre
un inizio.
-
Non abbiamo ottenuto niente,
Anna.
-
Invece sì. Sappiamo che solo un
elfo può annullare l’incantesimo sulle nostre
menti. Un elfo o una fata. Ma non
hai ancora sentito la parte migliore... Gran Papà mi ha
detto anche come
trovare Oberon. Mi ha dato una mappa.
-
So anch’io dove vive Oberon. Alla
Corte Seelie.
-
Già. E Gran Papà mi ha anche
detto come entrare, anche se mi ha sconsigliato di andarci. Conosce
Oberon e lo
giudica una persona... irritante e poco affidabile. E ha ragione. Ma se
non ci
andiamo non sapremo mai cos’è successo.
– Anna era entusiasta. Sembrava che non
stesse parlando di un viaggio in chissà quale regno
sconosciuto, ma di qualcosa
di emozionante, che non comportava pericoli di alcun genere.
– É a Misthaven.
-
Oh... Misthaven!
-
In realtà la nave dovrebbe
approdare più a est rispetto al punto in cui sono approdata
la scorsa volta.
-
Non posso, Anna. Sono la regina.
Mi è impossibile abbandonare il regno.
-
Non è vero, è solo una scusa.
-
Una scusa? Abbiamo sconfitto
Hans, ma prima o poi potrebbe anche riprovarci. Lui o uno dei suoi
fratelli...
-
Non ci riproverà. Non ora. Sono
sicura che si sta ancora leccando le ferite. E il suo occhio nero non
sarà
neppure guarito. Te lo ricordi, il suo occhio, no? Insomma, io ho
ancora i
lividi!
-
Anna...
-
Hai anche mandato delle spie
nelle Isole del Sud. Puoi sempre rivolgerti a loro per sapere che cosa
sta
combinando.
-
E Kristoff? Cos’hai intenzione di
raccontare a Kristoff?
-
Gli ho già detto che il folletto
di Oberon ha fatto qualcosa alla mia mente. Vorrebbe venire con me ma
l’ho
convinto a non farlo. Qualcuno deve pur rimanere qui.
“E
quanto ci metterai a tornare indietro, stavolta?”.
“Poco.
Davvero. Dammi due... no, due settimane no. Facciamo un mese”.
“Un
mese?”.
“Tre
settimane? Questa volta la situazione è diversa”.
“Ma
il posto è lo stesso, se non sbaglio. Misthaven. E questa...
come si chiama...”
“Corte
Seelie. E il re si chiama Oberon. E la regina Titania”.
“D’accordo,
lasciamo perdere i loro nomi. Potrebbe essere pericoloso”.
“Sai
che me la caverò. E poi la scorsa volta sono tornata sana e
salva. Ho persino...
dato una lezione a quel mago malvagio con problemi alla pelle,
perché, al
contrario di lui, io sono molto più carina e
gentile”.
“Ah,
su questo non c’è dubbio. Penso che tutti
sarebbero d’accordo”.
“Non
Belle, probabilmente. Lei proprio no. Scommetto che a lei non danno
fastidio i
suoi problemi alla pelle. Devo andare laggiù, Kristoff. So
che mi capisci”.
“É
davvero così importante? Cosa pensi che sia
successo?”.
“Sì che
lo è. Insomma, è frustrante avere dei
vuoti di memoria. Potrei aver fatto qualcosa di cui... dovrei pentirmi.
Mi rende
nervosa e mi irrita. Come mi irrita Oberon. E il suo folletto, anche.
Un folletto
non mi ha mai irritato tanto quanto Puck. Non che io abbia spesso a che
fare
con dei folletti... beh, a parte Tremotino. Sai, lui ha qualcosa dei
folletti.
Gli occhi, forse. Anche la statura. Non è molto
alto”.
-
Se non vuoi venire con me, posso
andarci da sola. Tornerò con i miei ricordi e anche con i
tuoi – disse Anna.
-
Non andrai da sola. Toglitelo
dalla testa! – La voce di Elsa salì di tono.
Risuonò secca e dura. Le ricordò
quando era venuta a trovarla nella cella in cui Ingrid
l’aveva rinchiusa.
Allora era una finta, solo un tranello per ingannare la Regina delle
Nevi, ma
Anna aveva avuto paura che Elsa non le credesse, che fosse realmente
arrabbiata
con lei. Erano stati minuti terribili.
Anna
la fissò, senza dire niente.
-
Non voglio che tu parta da sola –
continuò sua sorella.
-
Hai solo paura di scoprire che
cos’è successo davvero quella sera!
Fu
Elsa a rimanere in silenzio,
stavolta.
-
Scusa... non volevo dire... –
iniziò Anna, arrossendo. – Anzi, sì.
Volevo dirlo. Perché è quello che penso. Forse
non avrei dovuto dirlo in quel modo, ma l’ho detto, quindi...
e se è così, lo
capisco. Me lo puoi dire. Perché sono tua sorella e puoi
dirmi qualsiasi cosa,
ma anche perché anch’io ho paura. Per me non
è diverso.
Elsa
la guardò per un lungo istante,
continuando a tacere. I suoi occhi scrutarono intensamente il viso di
Anna. Grazie
alla luce del sole che giocava con le ombre del salone lo sguardo della
regina
sembrava possedere una sfumatura più azzurra.
Per
qualche istante parve lottare
contro se stessa. Poi colmò la distanza che la separava da
Anna e le prese
entrambe le mani.
-
Sì, io... – iniziò Elsa. Le
sfuggì, distogliendo lo sguardo. – Sento che
è tutto qui, nella mia mente. Ma
non sono sicura di volerlo sapere. Ho paura di aver fatto... di averti fatto qualcosa di male.
-
Perché sei convinta di essere
l’unica colpevole? Qui nessuno è colpevole, a
parte quella maledetta polvere
elfica. E Puck. E Oberon, naturalmente. Non sai quanto vorrei prenderlo
per le
orecchie a punta e sbatterlo giù dal suo trono... Oberon,
intendo.
-
E Puck no?
-
Anche. Ma prima Oberon. Sia per
la polvere elfica che per il modo in cui si è rivolto a te.
-
Come si sarebbe rivolto a me?
-
Non l’hai sentito? Tutti quei... Vostro
Splendore. Vostra Magnificenza. È
un borioso.
Elsa
si concesse un sorriso. – Non
so bene quante volte l’hai già ripetuto.
-
Non lo consideri un borioso?
-
Credo che volesse solo essere
cordiale.
Anna
aggrottò la fronte. –
Cordiale? Voleva essere tutt’altro che cordiale, infatti ti
stava sempre
appiccato. E non era stato invitato. Ricordami di dirglielo quando lo
vedrò.
Cioè, quando lo vedremo.
Elsa
posò le dita sulla sua nuca e
l’attirò più vicina a sé.
Appoggiò la fronte contro quella della sorella. Anna
chiuse gli occhi e trattenne il respiro, destabilizzata
dall’improvvisa
vicinanza.
-
Va bene – disse Elsa.
-
C-Cosa?
-
Verrò con te a Misthaven. Alla
Corte Seelie.
-
Sul serio? – Anna si scostò
leggermente e guardò Elsa con occhi grandi e pieni
d’entusiasmo.
-
Ti ho detto che non saresti più
andata in nessun posto in cui io non possa raggiungerti. Credevi che
scherzassi?
-
No... una regina come te non
scherzerebbe mai su una cosa del genere.
***
Partirono
tre giorni dopo.
Le
spie di Elsa inviate nelle Isole
del Sud dopo la sconfitta di Hans non portarono notizie preoccupanti.
Il
principe si stava ancora leccando le ferite, come aveva sperato Anna, e
i suoi
dodici fratelli erano occupati fra taverne, bordelli o erano intenti a
rimuginare su quanto era accaduto. Si diceva che alcuni di loro si
sarebbero
rifiutati di seguire Hans in un’altra impresa suicida come
quella che li aveva
quasi condotti alla morte.
Quasi
nessuno seppe che la regina
stava lasciando il regno. La mattina della partenza si imbarcarono su
una nave
mercantile piccola e anonima, usando due nomi falsi. Anna si
presentò come Joan
e scelse per sua sorella il nome Eiry.
-
Eiry? – esclamò Elsa, dopo che
furono salite sulla nave.
-
Stavo improvvisando e ho detto il
primo nome che mi è venuto in mente. O forse l’ho
letto in qualche storia. Ti
sta benissimo, Eiry.
-
Oh... sì?
-
Preferivi qualcos’altro? Qualcosa
tipo... Christine... o Henrietta?
-
Henrietta? Che nome sarebbe?
-
Non lo so. Un nome orribile.
Voglio dire, un nome orribile da dare a te. Chi ha il coraggio di
chiamare la
propria sorella Henrietta?
Elsa
sorrise.
-
Forse preferivi che ti chiamassi
Emma.
Un
attimo di silenzio.
-
Perché mi dici questo? – volle
sapere Elsa, guardandola con il sopracciglio aggrottato.
-
Beh, perché Emma è un nome da
Salvatrice. È un bel nome. Sono sicura che tu
lo consideri un bel nome. E lo è. È mille volte
meglio di Henrietta. Poi visto
che ti fidavi tanto di Emma...
-
Tu no?
Ad
Anna occorse qualche secondo per
rispondere. – Certo. È stata così
gentile con te. L’ho ringraziata, sai?
-
E allora?
-
Niente. Cioè, no, è che... non ho
potuto fare a meno di notare quanto foste legate. Non che questa sia
una brutta
cosa. Trovo sia molto bello. Eri da sola, in un mondo che non conoscevi
e, per
fortuna, c’era qualcuno disposto ad aiutarti. Scommetto che
hai lasciato un gran
vuoto nel cuore di Emma... o meglio, se io fossi Emma sentirei un gran
vuoto
perché non ci sei più. Magari avrebbe voluto
tenerti con sé a Storybrooke...
-
Anna.
-
Sì?
-
Respira.
-
Lo sto facendo.
Elsa
abbassò il cappuccio della mantella
che aveva indossato quella mattina, prima di lasciare il palazzo.
– Non pensavo
che ti desse fastidio.
-
Non mi dà fastidio! – si affrettò
a dire Anna. Poi roteò gli occhi. – Okay, va bene.
Forse un po’ sì. Ma non devi
spiegarmi niente.
-
Emma era un’amica. La sentivo
molto vicina perché eravamo... siamo
molto
simili. Mi ha aiutata quando ho usato i miei poteri per intrappolare la
città.
Avrebbe potuto non farlo, ma si è fidata di me. È
per questo che tra noi si è
creato un legame.
-
É la stessa cosa che ha detto
Kristoff.
-
Kristoff?
-
Beh, anche lui l’ha notato. E
credo abbia notato che io l’avevo notato. Insomma, hai
capito, no?
Elsa
aveva capito benissimo, per
questo l’aveva abbracciata
***
La
nave fece rotta verso Misthaven
e vi approdò una mattina soleggiata, due giorni dopo aver
levato l’ancora ad
Arendelle. Il capitano, un uomo di poche parole e che era abituato a
non fare
domande, aveva detto loro che c’era la possibilità
di attacchi da parte di navi
pirata durante la traversata.
-
Non vi voglio indorare la
pillola. Abbiamo avuto seri problemi mentre ci dirigevamo verso
Arendelle.
Siamo riusciti a respingerli perché i miei uomini sono tutti
addestrati e
perché erano in pochi. Ma non so come sarà, nel
tornare indietro.
-
Oh, pirati! – aveva esclamato
Anna. – Vi supplico, no. I pirati no. L’ultimo
pirata che ho conosciuto mi ha
chiusa in un baule. Con l’aiuto di... beh, di qualcun altro.
Non era l’ultimo
che ho conosciuto, in realtà. Ne ho conosciuto un altro,
dopo, solo che...
Il
capitano aveva aggrottato le
folte sopracciglia scure.
-
Sì. In un baule. Ci credereste?
Volevano che morissi annegata. Anzi, che morissimo.
C’era anche Krist... ehm, voglio dire... un mio
amico.
-
Oh.
Elsa
aveva interrotto la sorella
prima che potesse parlare troppo. – É una storia
complicata.
Non
ci furono attacchi da parte di
navi pirata, comunque.
Anna
consultava spesso la mappa che
le aveva fornito Gran Papà, borbottando frasi sconnesse fra
sé e sé.
Quando
giunsero a Misthaven tenne
sempre la mappa sott’occhio, soprattutto quando la foresta si
chiuse su di loro
e si ritrovarono a camminare fra sassi, rovi, sentieri coperti di
erbacce,
alberi secolari e a tendere le orecchie ogni qualvolta udivano un
rumore
provenire dal folto della boscaglia.
-
Quanto dovrebbe mancare? – chiese
Elsa, ad un certo punto, mentre osservavano un enorme tronco caduto,
che
sbarrava loro il passaggio.
-
Non molto. Almeno, non molto
secondo la mappa. Il lago dovrebbe essere vicino.
-
Il lago?
-
Giusto. Non ti ho detto come si
entra alla Corte Seelie. Dal lago. Dobbiamo attendere che cali la notte
e
quando la luna piena si rifletterà sulle acque del lago...
beh, allora potremo
entrare.
-
Nel senso che vedremo una porta
magica?
-
No. Si entra attraverso il
riflesso della luna. Insomma, sì, il riflesso sulle acque
è una porta.
-
Dobbiamo tuffarci nel lago?
-
Ehm... lo so che non è un’idea
grandiosa. L’acqua sarà sicuramente fredda
– Anna, dopo aver cercato di
aggirare il tronco caduto, decise di provare a scavalcarlo. –
E quindi sarà
spiacevole. Per me, voglio dire. Non per te. Ma non
c’è un altro modo per
entrare, Gran Papà è stato molto chiaro.
Anna
stava per aggiungere qualcos’altro
riguardo alla Corte, al riflesso che diventava una porta al momento
giusto e
riguardo a quanto le dispiacesse doversi immergere nell’acqua
gelata, ma
scivolò sul muschio che ricopriva il tronco e cadde
dall’altra parte,
accompagnando la caduta con un gridolino di sorpresa e uno svolazzo di
gonne
blu e mantella rossa.
-
Anna! Ti sei fatta male? –
domandò Elsa, allarmata, raggiungendola e scivolando a sua
volta.
Lei
si sollevò, portandosi una mano
alla testa. – Ouch. No. Credo di no.
Elsa
la prese per mano e l’aiutò a
rialzarsi. Un lungo ciuffo di capelli rossi le pendeva davanti al viso,
scompostamente. Le sarebbe di sicuro uscito un livido sul fianco e si
era
sbucciata un po’ le nocche.
-
Sei ferita – le fece notare sua
sorella.
-
Oh. Non è niente. Sono abituata
alle cadute. Avresti dovuto vedere quella dal ciglio della montagna.
Elsa
non commentò. Anna alzò la
testa per guardarla e vide che la sua espressione era tesa.
-
Va bene. Forse è meglio non
parlare di cadute. Soprattutto di cadute come... come quella.
Ogni tanto, di notte, sogno ancora di cadere, sai? Qualche
notte prima del matrimonio ho sognato di essere di nuovo sul ciglio
della
montagna. Sapevo che sarei caduta, ma continuavo a camminare.
È stato la notte
in cui anche tu hai avuto quell’incubo ed io sono venuta
nella tua stanza a
svegliarti.
Elsa
sfiorò le sbucciature sulle
nocche con la punta delle dita, poi si portò la sua mano
alle labbra e vi
depositò un bacio. Un bacio leggero, ma stranamente
prolungato.
Anna
rimase là, a guardarla, con la
bocca semiaperta. E gli occhi incollati a quelli di Elsa.
Così... simili ai suoi.
Incollati
alle sue labbra.
Desiderò
ardentemente che Elsa la
baciasse. Voleva che l’attirasse a sé e la
baciasse, come aveva fatto quel
giorno, nei giardini di Arendelle. Un bacio. Anzi, no. Più
di uno. Sulla bocca,
sul collo, sulla guancia. Doveva baciarla
e basta.
E
rendendosi conto che Elsa, forse,
non l’avrebbe fatto, si sporse per farlo lei stessa. La
sorella non si
ritrasse, emise solo un sospiro. Un sospiro che sapeva di
rassegnazione, di
sconfitta. E di attesa.
Un
ramo si spezzò con uno schiocco
secco.
Risuonò
un TUMP.
Udirono
entrambe dei passi in
avvicinamento.
Elsa
si girò di scatto, portando
subito una mano avanti, pronta a scagliare il suo potere contro
chiunque avesse
tentato di far loro del male, mentre con l’altro braccio
spingeva Anna più
indietro.
-
Elsa! – iniziò Anna.
C’erano
tre persone davanti a loro,
sbucate dal nulla.
Erano
donne ed erano armate. Due
impugnavano le lance, la terza aveva un’ascia appesa alla
cintura, l’arco e la
faretra piena di frecce agganciate alla schiena. A giudicare dagli
abiti, erano
delle guerriere. Avevano braccia forti e fisici atletici,
nonché l’aria di chi
non si lasciava intimorire facilmente.
Aspetta,
che?
Non
credeva ai suoi occhi. Per la
seconda volta in pochi giorni Anna non credeva ai suoi occhi.
-
Chi siete? – domandò la donna con
l’ascia, venendo avanti di un passo.
Le
sorelle restarono un attimo
interdette.
Chi
siamo noi?, pensò
Anna. No, chi siete VOI?
-
Ho chiesto chi siete – E questa
volta non era più una domanda. Gli occhi neri le scrutavano,
aspettandosi
qualcosa e subito.
-
Oh. Beh, dunque... mi chiamo
Joan. E questa è mia sorella Eiry – rispose Anna,
venendo avanti di un passo,
mentre stringeva il braccio di Elsa. Arrotolò la mappa e
offrì loro un sorriso
che avrebbe dovuto risultare incoraggiante.
-
Joan, eh? Che strano nome. Non
sembrate del posto – le fece notare la donna con
l’ascia, guardinga.
Le
due compari abbassarono un po’
le lance.
-
Infatti non lo siamo. Noi veniamo
da Ar... – Anna si interruppe appena in tempo. – Da
nord.
-
Da nord? Ci sono molte cose a
nord.
-
Ci dispiace molto – intervenne
Elsa. – Non volevamo entrare senza permesso nel vostro
territorio. Siamo
dirette a...
-
Nel loro territorio? –
disse Anna.
La
guerriera con l’ascia allungò
una mano, fulminea, e strappò la mappa dalle mani di Anna.
-
Ehi! Ma che...?
Con
un fruscio la mappa venne
srotolata.
-
Che cos’è, Varja? – chiese una
delle due guerriere bionde che reggevano le lance.
-
Una mappa. La Corte Seelie! –
Varja alzò gli occhi. Sembrava molto divertita. –
E cosa c’è di così importante
per voi alla Corte Seelie?
-
Beh, i nostri... – cominciò Anna.
Sbatté le palpebre. – Qualcosa che ci appartiene e
che... dobbiamo riprenderci.
Quindi, se volete scusarci... noi andremmo.
Alle
loro spalle vi furono dei
movimenti. Tramestii, passi, foglie secche schiacciate dalle suole
degli
stivali. Le tre guerriere non erano venute da sole.
Presumibilmente
erano circondate.
Nel
girarsi, Elsa colse il balenio
di una punta di lancia che le parve un po’ troppo vicina al
corpo di sua
sorella.
-
Ferma! – gridò. Le sue dita
sfiorarono l’arma della guerriera.
Anna
ebbe il tempo di contare altre
sei donne, tutte con abiti in pelle o in cuoio, tutte con le armi in
pugno e
tutte in atteggiamenti poco amichevoli.
Poi
la punta della lancia cominciò
a ghiacciare. Il gelo si diffuse lungo l’asta in legno,
minacciando le mani
della guerriera, che lanciò un’imprecazione e
gettò via la sua arma.
-
Che cosa sta succedendo? – gridò
Varja.
Fiocchi
di neve presero a turbinare
intorno ad Elsa.
Le
voci si sovrapposero, in una
cacofonia che si fece subito preoccupante.
-
Varja!
-
É magia!
-
State indietro!
-
É un mostro!
-
Non date del mostro a mia
sorella!
Una
freccia sbucò dal folto degli
alberi, seguita subito da una seconda. Sibilarono, tagliando
l’aria e
dirigendosi verso il bersaglio.
Elsa
sollevò entrambe le mani.
Esplose un fascio di luce biancoazzurra e le frecce congelarono
all’istante,
precipitando sull’erba.
Altre
guerriere uscirono allo
scoperto. Puntarono asce, lance, spade e incoccarono altre frecce.
-
Dì a tua sorella di fermarsi –
ordinò Varja, rivolta ad Anna. – Qualsiasi cosa
stia facendo, dille di smettere
o le mie compagne vi attaccheranno. Non credo che possa affrontarle
tutte e,
anche se potesse... non glielo consiglio. Dovrà combatterci
e, allo stesso
tempo, proteggere te. E non ha l’aria di una donna che uccide
senza farsi
problemi.
-
Io non voglio farvi del male. Mi
dispiace... – iniziò Elsa, sconvolta da
ciò che stava accadendo. I fiocchi
continuavano a roteare intorno a lei. Le guerriere la fissavano con gli
occhi
sbarrati, ma non indietreggiavano. Anzi avanzavano, un passo alla
volta, pronte
a colpire.
-
Silenzio! – gridò Varja.
Anna
afferrò saldamente la mano
della sorella, intrecciando le proprie dita alle sue. Le rivolse
un’occhiata. Voleva
rassicurare Elsa, ma era convinta che i suoi occhi trasmettessero
angoscia e
non sicurezza.
Tuttavia
Elsa agitò una mano e i
fiocchi scomparvero.
Le
guerriere si avvicinarono
ancora, formando un cerchio intorno a loro.
-
Adesso venite con noi – annunciò Varja,
freddamente.
-
Venire con voi... dove?
– chiese Anna.
-
Dalla regina. Legate bene le mani
della bionda. Non voglio sorprese.
-
Non potete legare mia sorella!
Non voleva farvi male! E se legate mia sorella allora dovrete legare
anche me.
Pensate che io non possa darvi una lezione se...
-
Avete sentito cos’ha detto Joan, se
è davvero questo il suo nome? Vuole essere legata!
Alcune
ridacchiarono.
-
Accontentiamola. Asteria,
Agave... legate anche lei. Abbiamo un po’ di strada da fare,
ma credo che la
regina avrà molte domande per voi.
-
Ma quale regina? – chiese Anna,
osservando le due guerriere che erano apparse con Varja armate di lance
unire i
polsi di Elsa per potervi passare la corda intorno.
-
Ippolita – Varja parlò come se si
stesse rivolgendo ad una povera stupida. – La Regina della
Amazzoni. Camminate!
***
Ciao
a tutti e buon anno, cari
lettori!
Primo
capitolo di questo 2015. Urge
qualche spiegazione:
La
citazione iniziale, tratta da Sogno di Una
Notte di Mezza Estate, appartiene
al folletto Puck ed è parte della battuta che chiude
l’ultimissimo atto della
commedia.
Asteria
e Agave sono nomi di
Amazzoni e pure Ippolita, che è, come Oberon, Titania e
Puck, un personaggio di
Sogno di Una Notte di Mezza Estate.
Varja,
invece, è un nome che mi sono inventata di sana pianta. Non
ha un significato
particolare, o almeno non credo. Mi piaceva semplicemente il suono.
Eiry,
il falso nome di Elsa, è di
origina nordica e significa “neve”. Me
l’ha suggerito un amico. Mentre
Christine ed Henrietta non sono messi lì a caso. Sono i nomi
di personaggi
interpretati da Georgina Haig in altre serie/film.
L’idea
del riflesso della luna
sulle acque del lago come porta per accedere alla Corte Seelie
è presente anche
in Shadowhunters – The Mortal Instruments.
E niente. Penso sia tutto. Mi
auguro che la storia sia di vostro gradimento. Ovviamente ogni critica,
anche
la peggiore, è gradita. ^_^