2
“Ma
ora sei
divisa, sei spaccata in due,
Carne della sua
carne, ma cuore del mio cuore;
E profonda per
l’una è la radice amara,
E dolce per
l’altro il fiore eterno”
[Algernon
C. Swinburne, Il Trionfo del Tempo]
Sì, il matrimonio andò davvero
bene.
Vi
furono una serie di interessanti
miracoli.
Prima
di tutto Anna riuscì a
camminare fino all’altare, lungo il corridoio centrale della
sala del trono
gremita di invitati, fino a Kristoff che l’aspettava, senza
inciampare né dare
l’impressione di essere troppo goffa. E riuscì a
dire tutto ciò che doveva dire
senza dimenticarsi niente.
Anche
Sven si comportò bene.
Avanzò, impettito e fiero, di fianco ad Elsa, lanciando
qualche occhiata alla
gente che fissava la scena, a volte attonita, a volte incuriosita o
perplessa.
Di sicuro nessuno di loro aveva mai visto una renna accompagnare una
regina, il
giorno del matrimonio di sua sorella. Una renna che, tra
l’altro, era amica
dello sposo.
Il
secondo miracolo fu che, durante
il ricevimento, il vestito da sposa rimase immacolato. Incredibile.
Anna era
convinta che ci avrebbe rovesciato sopra qualcosa. Invece non accadde.
Ed Elsa
si era persino ricordata di servire soprattutto bevande chiare, anche
se
c’erano dolci al cioccolato in gran quantità e che
avrebbero potuto causare danni
inimmaginabili.
Era
tutto come doveva essere. E dopo
ciò che avevano passato ancora se ne stupiva. Prima il
diario della madre che
Elsa aveva trovato in soffitta, poi il suo viaggio a Misthaven che
aveva
portato ad un rinvio delle nozze, poi tutta la faccenda di Ingrid, Elsa
intrappolata in quell’urna, Storybrooke, la maledizione...
per non parlare di
quando, tornate ad Arendelle, erano state costrette a vedersela con
Hans e con
i suoi dodici fratelli, che avevano occupato il trono. Era stato un
vero spasso
guardare l’espressione di Hans, quando aveva posato gli occhi
su Elsa.
“Tu?!
Non è possibile! L’urna... come hai fatto ad
uscirne?”
“Pensavi
di esserti liberato di me?”
“No,
forse si riferisce anche a me, visto che mi ha chiusa in un baule. Ma
certo che
lo pensava. È un idiota, quindi non poteva che pensarlo. E
scommetto che non conosce
nemmeno la differenza fra un’urna ed un baule. Ma davvero
intendevo sposarti?
Se ci penso mi vengono i brividi. Te l’avevo detto che Elsa
te l’avrebbe fatta
pagare...”
Aveva
detto un mucchio di altre
cose.
E
ovviamente era stato uno spasso
anche avere la meglio su di lui.
Sì,
era tutto perfetto.
Anche
se...
Si
sporcò la punta del naso e
Kristoff le diede un bacio per tirarle via lo sbuffo di cioccolato.
-
Sbaglio o il vestito è ancora
bianco? – le disse Kristoff, mentre Anna si portava alle
labbra un’altra
cucchiaiata di gelato.
-
Oh, sì! Ma la giornata non è
ancora finita e c’è così tanto da
mangiare. Sento che questa volta scoppierò.
Oppure starò male. Oppure starò male e poi
scoppierò. Hai visto Elsa?
-
No. È da un po’ che non la vedo.
Sarà stata risucchiata da tutta questa gente. Chi ha
invitato così tante
persone? Tua sorella?
-
Credo di sì. Io di sicuro non
l’ho fatto. Elsa non mi ha lasciato fare niente.
-
Tipico delle regine. Vogliono
avere la situazione in pugno. In questo caso il matrimonio in pugno.
Anna
sbirciò in mezzo alla folla
per cercare la sorella e non la vide.
***
Elsa
appoggiò le mani alla
ringhiera della terrazza, osservando le luci di Arendelle sparse sotto
di lei. Dall’interno
venivano il chiacchiericcio rumoroso degli invitati, le risate, il
tintinnio di
piatti e bicchieri e il suono della musica.
Anche
lei pensava che il matrimonio
fosse davvero riuscito.
“Non
posso andare all’altare se non sei felice come lo sono
io”.
“Anna,
io sono... molto felice”.
E
lo era.
Felice
per sua sorella, per quel
matrimonio. Felice che tutto si fosse concluso per il meglio.
Eppure
c’era anche qualcos’altro.
Qualcosa
che non era tristezza, ma
le andava vicino. Qualcosa che l’aveva portata ad
allontanarsi un attimo da
tutta quella confusione. Qualcosa che premeva, ma non usciva. Come...
-
Anna si stava appunto chiedendo
dove fossi finita... – La voce di Kristoff la colse alla
sprovvista.
-
Ero solo... uscita a prendere una
boccata d’aria.
Kristoff
si avvicinò, mettendosi
vicino a lei. – Devo farti i complimenti per
l’organizzazione. Non c’è niente
che non vada in questo matrimonio.
-
Pensavi che ci sarebbe stato?
-
No. Sei la regina. E anche se hai
un cuore tenero, la tua prepotenza riesce a fare miracoli.
-
Anche i sarti fanno miracoli. Non
l’avrei mai detto, ma stai molto bene.
Kristoff
si lisciò pieghe
inesistenti sulla giacca scura con i bottoni dorati. – Sono
felice di averti
sorpreso. E vogliamo parlare di Sven?
-
Di Sven che sfila vicino a me
oppure di Sven con un abito da cerimonia?
-
Entrambe le cose. Ma la prima è
la più divertente.
Elsa
sollevò un sopracciglio,
lanciandogli un’occhiata.
-
In senso positivo, intendo – si
corresse lui, in fretta.
-
Certo.
-
E hai preso il bouquet al volo!
Vuol dire che presto organizzerai il tuo, di matrimonio?
-
Non penso che succederà tanto
presto.
-
E perché no? Ci sarà pur qualche
principe prepotente e dal cuore tenero disposto a sfidare la sorte e a
portarti
all’altare.
-
Sfidare la sorte?
-
Sfidare la sorte. O sfidare la
prepotenza. Non sarà difficile. C’è
così tanta gente a questa festa. A
proposito, da dove sono sbucati tutti?
-
Li ho invitati. Sono amici di
famiglia... anche se alcuni non li vedo da un po’.
-
Oh! Trent’anni sono sicuramente
parecchi. Solo che noi li portiamo... molto bene. Ma vogliamo tornare
al punto
di partenza?
-
Quale sarebbe?
-
Perché hai lasciato la festa? –
Kristoff si sporse leggermente verso Elsa.
-
Te l’ho detto. Avevo bisogno di
una boccata d’aria.
-
Chissà perché, credo che ci sia
qualcos’altro. Non sei molto brava a nascondere le cose.
-
Vedo che ricominci ad essere
impertinente, uomo delle renne.
-
E io vedo che voi, Maestà, state
evitando l’argomento. Forse non volete raccontare
così vi preoccupa all’uomo
delle renne?
No,
pensò
Elsa. Non posso. Non questo.
Non
avrebbe mai potuto raccontarlo
a nessuno. Non avrebbe mai potuto parlare apertamente di ciò
che sentiva senza
causare sgomento. Non avrebbe potuto parlarne nemmeno con
un’amica come Emma,
se fosse stata lì. O forse, se gliene avesse parlato,
l’avrebbe sconvolta per
sempre.
Non
avrebbe mai potuto parlare di
quanto fosse stato bello baciare Anna nei giardini di Arendelle. Di
quanto fosse
stato bello stringerla a sé e respirare il suo fiato. Di
quanto fosse stato assurdamente
bello. Di quanto avesse
desiderato poter trovare la forza di distogliere lo sguardo da lei che
raggiungeva Kristoff all’altare. Di come si fosse sentita
cedere le ginocchia
quando l’aveva vista con il vestito bianco che era
appartenuto a Gerda.
“Non
è successo niente. Cioè... sì,
qualcosa è successo, ma non era niente di male.
E di sicuro non sono arrabbiata con te. Come potrei? È
stato... bello”.
-
Non c’è niente che mi preoccupa.
Sta tranquillo. Torna dentro. Anna starà cercando anche a
te, a questo punto.
Arrivo tra un attimo.
Kristoff
non insistette, le posò
una mano sulla spalla come per rassicurarla e la lasciò
sulla terrazza.
***
Più
tardi Anna notò uno strano
individuo occupato a parlare con sua sorella.
Era
molto alto, vestito di verde,
calzava un paio di lucidi stivali di cuoio, aveva i lineamenti del viso
un po’
affilati e le orecchie lievemente a punta. I lunghi capelli scuri gli
ricadevano
sulle spalle. Non avrebbe saputo dire se fosse attraente o meno, sapeva
solo
che era strano. Non per via delle orecchie. E che i suoi occhi azzurri
avevano
qualcosa di magnetico e di... innaturale. Qualcosa di non umano.
Qualcosa di
malizioso, anche.
Beh,
certo, non è umano. Se lo fosse non avrebbe le orecchie a
punta.
Aveva
anche la carnagione
chiarissima e la pelle sembrava sottile come carta.
Vicino
a lui c’era una creatura
minuta, con il mento aguzzo, un cappello calcato sul capo e... e aveva
anche
lui le orecchie a punta, più lunghe rispetto a quelle del
suo compare.
Spuntavano in mezzo a ciuffi castani e scompigliati.
Aspetta,
che? Non posso crederci.
-
Oh, ecco la sposa – disse
l’individuo, porgendo la mano piena di anelli ad Anna, che la
prese, perplessa.
Lui le sfiorò il dorso con le labbra. – Sono lieto
di conoscervi. Il mio nome è
Oberon.
-
Oberon, il sovrano delle fate? – domandò
Kristoff.
L’uomo
sorrise, compiaciuto. – Re
degli elfi, prima di tutto. Ma sì. Colto sul fatto.
-
Elsa, abbiamo invitato il sovrano
delle fate?
Elsa
aprì la bocca per rispondere,
ma Oberon la precedette. Non sembrava per niente irritato dal tono di
Anna.
Anzi, era più che altro divertito. - Siete davvero
incantevole, Anna. Mi
ricordate molto vostra madre.
Kristoff
roteò gli occhi.
Sven,
che ruminava poco distante,
sbuffò.
-
Aspettate... che? Voi conoscevate
mia madre?
-
Oh, sì. Ho assistito alla sua
incoronazione e anche al suo matrimonio. Conoscevo anche le sue
sorelle, a dire
il vero. Beh, conoscevo la sorella minore. La maggiore non la si vedeva
in giro
tanto spesso. Per questo mi sono permesso di presentarmi. Erano anni
che non
presenziavo ad un matrimonio. Mi piacciono i matrimoni, sapete? E
questo è
così... perfetto. Come chi l’ha organizzato, del
resto. – Si voltò di nuovo
verso Elsa. Il folletto accanto a lui borbottava qualcosa di
incomprensibile e
ogni tanto allungava una mano per sgraffignare cibo dai piatti.
– Mia cara
regina... quello che si dice su di voi è vero: ve
l’hanno mai detto che
l’appellativo Vostra
Maestà è troppo
poco? Dovrebbero chiamarvi Vostro
Splendore. O Vostra Magnificenza.
Anna
lo guardò di sottecchi. Era un
borioso. Non lo sopportava. Il semplice fatto che guardasse Elsa in un
certo
modo e che le stesse un po’ troppo vicino era già
di per sé sufficiente a
renderglielo antipatico.
-
Credo che stiate esagerando –
rispose Elsa, nel frattempo, allontanandosi di un passo
dall’elfo che
troneggiava accanto a lei. – Dove avete lasciato vostra
moglie?
-
Titania avrebbe tanto voluto
essere presente, ma ha preferito occuparsi di una noiosa riunione con
altre
fate. E mi ha rifilato questo dannato folletto, solo perché
non vuole che gli
rovini la seduta, combinando qualche pasticcio. Cosa in cui Puck
è molto bravo,
non è vero?
-
Sì, mio signore. Come volete voi
– rispose Puck, sgranocchiando delle noccioline. Aveva occhi
grandi, verde
bosco, nei quali scintillava l’astuzia.
-
Ancora mi chiedo perché mi sono
lasciato convincere. E smettila di mangiare, ingordo!
-
Titania... è proprio una fata,
vero? – chiese Anna, incuriosita sua malgrado.
-
Sì, lo è, mia cara.
-
Credevo che le fate non si
innamorassero.
-
Non lo fanno, infatti. E nemmeno
mentono, principessa. Non che non esistano le eccezioni...
-
E lei è un’eccezione?
-
No. Non direi.
-
Perché vi ha sposato, allora?
-
Essere sposati non significa
amare follemente il proprio o la propria consorte. Oh, non
fraintendetemi... provo
affetto per Titania. Quando non mi fa uscire dai gangheri. E credo che
lei ne
provi per me.
Anna
lo fissò, con la fronte
aggrottata.
-
C’è altro che desiderate sapere?
– chiese Oberon.
-
Perché non gli raccontate di
quando Titania si è invaghita del somaro? – disse
Puck. La sua voce era
stridula. Anna sobbalzò nel sentirla.
-
Invaghita di un somaro? –
Kristoff cominciava a chiedersi, a sua volta, che cosa stesse
succedendo. Era
stato catapultato in mezzo a due individui assurdi, sbucati dal nulla.
-
É una storia interessante – disse
Oberon. – Avete tempo?
-
Avete appena detto che le fate
non si innamorano – replicò Anna.
-
Infatti Puck ha detto invaghita.
Non innamorata. Quella parte
lasciatela alla fata rosa. Come si chiamava, a proposito?
-
Nova, mio signore – rispose Puck.
-
Già, Nova. Mia moglie si è
invaghita di un somaro e Nova di un nano. Non so cosa sia peggio.
-
Il somaro, mio signore.
-
Non esserne tanto sicuro, Puck.
Ma consideriamo anche il fatto che, nel caso di Titania, si trattava di
un
incantesimo...
-
E poi era colpa vostra. È stata
una vostra idea.
-
Era solo uno scherzo.
Anna
non riusciva a raccapezzarsi. –
Quindi voi avete fatto invaghire vostra moglie di un somaro? E come?
-
Succo del fiore vermiglio di
Cupido. Dovreste provarlo. È molto efficace. Basta spremerlo
sugli occhi di una
persona addormentata e quella s’innamora del primo che vede,
al risveglio.
-
É orribile.
-
No, mia dolce Anna, è stato
divertente.
-
E Titania ha visto un... somaro?
-
In realtà ha visto Nick Bottom,
un tessitore. Un comune essere umano, al quale Puck ha dato una testa
d’asino,
perché è un folletto maligno. Mi sbaglio?
Non
ci furono repliche da parte del
folletto.
Anche
perché Puck era sparito.
***
Puck
si era infilato sotto una
delle tavolate senza farsi vedere dal suo signore, Oberon. Tutto il
cibo e le chiacchiere
l’avevano stufato. Aveva voglia di divertirsi un
po’ e aveva approfittato di un
momento di distrazione del re degli elfi per defilarsi.
“Non
combinare guai, al matrimonio, dannato folletto”, aveva
raccomandato la sua signora, Titania.
Ma
era più forte di lui. C’erano
delle... pulsioni proibite in quella sala. Le percepiva. A lui
piacevano le
pulsioni proibite, ma non gli piaceva per niente il fatto che non
venissero
espresse come meritavano.
Le
due sorelle, per esempio.
La
regina di Arendelle e la
principessa che si era sposata con quell’essere umano
cresciuto dai troll... aveva
scordato il nome del marito. Pazienza. Aveva scordato anche il nome
della
renna. Comunque... tra le due sorelle c’erano delle...
pulsioni interessanti.
Vibrazioni. C’era una tensione inusuale, molto inusuale
proprio perché avevano
lo stesso sangue. Ma a Puck non dava fastidio. Lui proprio non vedeva
la fonte
del problema.
Spaccate
in due. Sono spaccate in due.
Eccola,
la fonte del problema.
Si
infilò una mano nella tasca
della giubba e ne estrasse una fiala, che brillava di una vaga luce
verdognola.
Non
succo del fiore vermiglio di
Cupido. Qualcosa di meglio.
Svitò
il tappo e si apprestò a fare
quello che doveva.
***
Alcuni
invitati avevano già
iniziato a lasciare il palazzo.
Di
Puck nessuna traccia, nonostante
Oberon si fosse impegnato a cercarlo insieme a due guardie che Elsa
aveva messo
a sua disposizione.
-
Quando possiamo cacciarlo? –
domandò Anna alla sorella.
-
Il folletto o Oberon?
-
Tutti e due. Ma prima Oberon.
Elsa
sospirò. - Non posso
permettermi di cacciarlo, Anna. È il sovrano delle fate.
-
Beh, il sovrano delle fate è...
irritante. E pieno di sé. E non è nemmeno stato
invitato. Ed è irritante.
-
L’hai già detto, irritante.
-
E Puck si è mangiato tutte le
palline di cioccolato.
Elsa
sorrise, intenerita. Era anche
per questo che adorava sua sorella. Perché a volte sembrava
una bambina. Una
bambina che potevi rendere felice con poco.
-
Te ne faccio portare delle altre,
se vuoi.
-
No, Elsa... è meglio di no.
Scoppierò.
-
É una sorpresa che non sia ancora
accaduto.
Anna
afferrò il bicchiere pieno di
limonata e se lo portò alla labbra, bevendone qualche sorso.
– Cos’è questa
roba?
-
Limonata?
-
Ha uno strano sapore, per essere
solo limonata.
***
-
Dove ti eri cacciato, folletto
dei miei stivali?! – esclamò Oberon, quando Puck
sbucò dal nulla per mettersi
di nuovo al suo fianco.
-
Scusatemi, mio signore.
-
Ti ho fatto una domanda.
-
Ho mangiato molto, mio signore.
Tutto delizioso. Tutto! – Si sistemò meglio il
berretto sulla testa e intrecciò
le dita delle mani. – Ma stava per scapparmi un gigantesco
rutto, quindi mi
sono nascosto. Non è educato. Siamo in presenza di una
regina.
-
Bugiardo! So benissimo che non ti
sei nascosto solo per questo. Cos’hai fatto? Dimmelo subito!
– Gli occhi
azzurri di Oberon lampeggiavano d’ira. Lo prese per un
orecchio e glielo torse.
-
Oh! Mio signore, il mio povero
orecchio!
-
Non avrai più un orecchio se non
mi dici che cos’hai combinato!
***
Anna
si sentiva terribilmente
accaldata, per questo si allontanò dal salone per uscire
all’aperto. Alcune
ciocche di capelli rossi erano sfuggite all’acconciatura. Si
fece aria con
entrambe le mani. Guardandosi intorno, si rese conto che i colori del
giardino
sembravano più brillanti. Che il bianco del suo stesso abito
sembrava ancora
più bianco. Il sole stava tramontando e il suo arancione era
particolarmente
intenso.
Anna
inspirò profondamente.
“Mia
cara regina... quello che si dice su di voi è vero: ve
l’hanno mai detto che
l’appellativo Vostra Maestà è troppo
poco? Dovrebbero chiamarvi Vostro
Splendore. O Vostra Magnificenza”.
Quanto
lo detestava. Erano bastate
poche parole. Anna l’aveva già inquadrato. Che
razza d’uomo era... anzi, che
razza d’elfo, nel suo caso... colui che si portava un
folletto ad un matrimonio
e permetteva che la moglie si invaghisse di un poveretto trasformato in
un
somaro? Aveva voglia di tornare dentro e cantargliele.
Sì,
ecco. Sarebbe rientrata e
gliene avrebbe dette quattro. Poco importava che fosse il sovrano delle
fate!
Lui
era il sovrano delle fate, ma
lei era Anna di Arendelle e quello era il suo matrimonio!
Si
girò di scatto per tornare su
suoi passi e finì addosso ad Elsa.
-
Anna...
-
Ah, sei... sei tu.
Persino
Elsa sembrava accaldata. Un
effetto strano e bellissimo. Il lieve rossore sugli zigomi, gli occhi
nei quali
le sembrava di specchiarsi perfettamente, i capelli argentei nella
penombra. La
curva della bocca le appariva pura e perfetta. Era come guardare un
dipinto.
-
Stavo... stavo per rientrare,
sai... volevo... – iniziò Anna. Ma si rese subito
conto di essersi scordata il
motivo per cui voleva rientrare. Si era scordata di Oberon, del
folletto, degli
invitati. Di tutto. Non voleva affatto rientrare.
Voleva
restare lì, con Elsa china
su di lei, dolorosamente vicina.
Anna
rimase immobile per un
istante, poi si liberò dei guanti bianchi, gettandoli via,
le allacciò le
braccia intorno alle spalle e premette il viso contro il suo collo.
Chiuse gli
occhi, per escludere il mondo con le sue sfumature troppo accese, per
escludere
la luce al di là delle finestre, lo scintillio del cielo, il
chiacchiericcio
distante. Respirò l’odore di Elsa, sentendo il
battito del suo cuore contro il
proprio.
-
Anna. – ripeté lei.
Alzò
gli occhi sui suoi, adagio,
sperando di non trovarvi un rifiuto.
E
avrebbe dovuto trovarlo, il
rifiuto. Sarebbe stato meglio. Sarebbe stato giusto.
Non
lo trovò. Lo sguardo di Elsa
era fisso nel suo ed era uno sguardo chiaro, trasparente come vetro,
pieno di
desiderio. La regina di Arendelle sollevò una mano e
cominciò a toglierle le
forcine dai capelli, lasciando che le ciocche ricadessero sulle spalle
scoperte.
È
una follia, si
disse Anna, senza sapere che Elsa
aveva pensato la stessa cosa quando l’aveva baciata per la
prima volta, nei
giardini, non molto lontano da dove si trovavano in quel momento.
Ma
a lei piacevano le follie. Le
piaceva quella follia.
Elsa
accostò la guancia alla sua.
Il respiro contro il suo orecchio la fece rabbrividire. –
Anna... sei così
bella. Sei assolutamente perfetta.
Anna
cercò di parlare, ma emise
soltanto un gemito.
-
Volevo farlo quando ti ho vista
in abito da sposa... e anche dopo. Non sono più riuscita a
smettere di
guardarti... – Le parole uscivano dalla bocca di Elsa senza
alcun freno. Se
faceva una pausa tra una frase e l’altra era solo
perché aveva il respiro
corto, affannato. – Ma lo sai già, vero?
-
So... che?
Elsa
la baciò. L’aveva già baciata,
ma sempre con molta attenzione, in modo incerto, prudente, come se
temesse di
farle del male.
Questo
bacio era diverso. Era più
profondo, più frenetico. Ad Anna bruciavano le labbra e le
bruciava anche il
sangue nelle vene. Il piacere era intenso ed era anche struggente, una
sensazione spaventosamente pressante che dilagava e la sommergeva.
***
Oberon
diede a Puck un bel calcio
nel sedere, colpendolo proprio con la punta dello stivale. –
Imbecille! Cosa ti
è saltato in mente? Non riesci a renderti conto di quello
che hai fatto, vero?!
-
Mio signore, siate magnanimo –
implorò Puck, rialzandosi in piedi e incassando la testa
nelle spalle. – Volevo
solo aiutare.
-
Aiutare? Nessuno te l’ha chiesto!
-
Ma non ce n’era bisogno, mio
signore. Non avete visto anche voi...
-
Ho visto molto chiaramente, Puck!
E ti avevo raccomandato di non combinare pasticci!
-
Posso... posso porvi rimedio, se
il mio signore lo desidera.
-
Certo che lo desidero! Ma ci
penso io a porvi rimedio. Sei capace di complicare ancora di
più le cose. E non
sia mai che qualcuno si accorga di quello che sta succedendo. Maledetta
Titania! Mi sentirà, te lo assicuro.
-
Che cosa sta succedendo?
Oberon
si voltò, con i grandi occhi
azzurri dilatati. – Ah, salve, Christopher.
-
Veramente il mio nome è Kristoff
– lo corresse lui.
-
Certo, naturalmente.
-
Mi è sembrato di capire che avete
dei problemi.
-
No, è tutto a posto. Questo
maledetto essere mi era sfuggito e ha rischiato di combinare un guaio.
Ma non
vi preoccupate. L’ho riacciuffato.
-
Vedo.
Ci
fu silenzio. Poco più in là la
renna di nome Sven ciondolava, con l’aria assonnata.
-
Se state cercando vostra moglie,
credo che... sia di sopra – disse Oberon.
Puck
osservò Kristoff, sbirciando
da dietro la schiena del re.
-
Di sopra?
-
L’ho vista salire le scale. Starà
ancora cercando Puck insieme alla regina. Ho chiesto loro di aiutarmi.
Vi
prego, informatele che è tutto sotto controllo e che me ne
sto andando. Non ho
intenzione di permettere a questo folletto di... combinare qualche
pasticcio
ben più serio. Titania me la pagherà, oh se me la
pagherà! È stata un’idea sua.
Kristoff
non vedeva l’ora che se ne
andasse, in effetti. – Bene, allora...
-
Ah! Non disturbatevi ad
accompagnarmi, Krusoff. Conosco la strada.
-
Non intendevo affatto
accompagnarvi. – Evitò di correggerlo di nuovo.
Aveva l’impressione che il
sovrano delle fate avesse capito benissimo il suo nome, ma lo
sbagliasse di
proposito.
***
-
Aspetta... che? Cos’è successo?
Cos’ho fatto ai capelli? Lo sapevo che avrei dovuto farmi le
trecce. E dove ho
messo i guanti? Perché non ho più i guanti?
– Anna parlava a raffica. Aveva la
testa leggera, come se avesse bevuto troppo.
Elsa
scosse il capo. Si chiese
immediatamente per quale motivo fosse in giardino, sdraiata sul prato
vicino a
sua sorella, la cui acconciatura si era disfatta. Ora i capelli
ricadevano
liberi sulle spalle. Inoltre il vestito da sposa non era più
così immacolato.
-
Che cosa ci facciamo qui fuori? –
chiese la regina di Arendelle, frastornata. Aveva avuto
l’impressione di udire
uno scampanio nelle orecchie prima di rendersi conto di non essere
più in salone.
L’ultima cosa che ricordava era Anna che le diceva che il
folletto di Oberon si
era mangiato tutte le palline di cioccolato. Dopo... il vuoto. Un buco
nero.
-
Oh, signore mie... è colpa di
Puck e sono davvero rammaricato – Oberon porse la mano ad
Elsa per aiutarla ad
alzarsi e fece lo stesso con Anna. Sorrideva, mettendo in mostra denti
lucenti
e perfetti. – Avete bevuto quella limonata, vero? Questo
essere ci ha messo
dentro un po’ di polvere elfica. Una di quelle polveri che...
vi fa fare cose
che altrimenti non fareste di certo. Tipo... tipo danzare. Stavate
danzando al
chiaro di luna.
-
Danzando? – Elsa si sforzò di
scacciare la confusione. Si portò le dita alle labbra. Non
seppe nemmeno dire
perché lo fece. Le toccò e basta. –
Anna, stai bene?
-
Credo... credo di sì. Ho trovato
i guanti. Davvero stavamo ballando?
-
Sì, sì – rispose Oberon, in
fretta e annuendo vigorosamente. Persino Puck annuiva, stringendo il
suo
berretto fra le mani. – Stavate danzando ed era un bellissimo
spettacolo, ma
non avrei mai voluto che qualcuno vi vedesse... così.
Anche
Anna si portò le dita alle
labbra dopo essersi rimessa i guanti. Notandola, Elsa si chiese se
Oberon
stesse dicendo loro la verità o se stesse tralasciando
qualcosa di proposito.
Ma
cosa?
I
pensieri che le attraversarono la
mente veloci come lampi la riempirono di sgomento. Spalancò
gli occhi, fissando
quelli azzurri del sovrano delle fate. Fiocchi bianchi comparvero
intorno a
lei.
-
Tutto bene – rispose Oberon. –
Sarà meglio che io... me ne vada. E alla svelta. Vi
ringrazio per l’ospitalità,
Vostro Splendore. È
stato un
matrimonio... con i fiocchi. Le fate non avrebbero saputo fare di
meglio. Lo
dirò a Titania. E con te, stupido folletto, facciamo i conti
dopo. – Rifilò un
altro calcio nel sedere a Puck, costringendolo a mettersi in moto.
-
Pensavo che avessimo già fatto i
conti, mio signore.
-
Ti sbagli di grosso. Non abbiamo
neppure incominciato. Cammina!
Quando
non ci fu più alcuna traccia
di Oberon, Anna guardò Elsa, che fece sparire i fiocchi con
un gesto seccato
della mano.
-
Wow... beh... fortuna che nessuno
ci ha viste... ballare. Penso che sarebbe stato davvero imbarazzante.
Avevo
capito subito che quel... come si chiama... Oberon avrebbe portato solo
guai.
Lui e il suo folletto. Voglio dire, non che abbia qualcosa contro i
folletti.
Figurati, perché dovrei? Sono solo folletti... –
Il tono di Anna non era per
niente convinto. L’ultima cosa che ricordava era se stessa
intenta a bere un
bicchiere di limonata e a dire ad Elsa che quella bevanda aveva un
sapore
strano. – Tu... ricordi qualcosa?
Elsa
frugò nella sua mente, ma fu
inutile. Non c’era niente.
Osservò
Anna; aveva gli occhi
scintillanti, le guance arrossate, i capelli disordinati, quasi
qualcuno vi
avesse infilato le mani. Si passava la lingua sulle labbra, come se, su
di
esse, fosse rimasto qualcosa... la traccia di un sapore. Un...
“Cos’è
questa roba?”.
“Limonata?”.
“Ha
uno strano sapore, per essere solo limonata”.
-
Elsa? Stai bene?
Non
ne era sicura.
-
Sì...
-
Forse dovremmo...
-
Rientrare... certo.
-
Mai più elfi e folletti alle
feste, ti prego. Mai più elfi e folletti ai matrimoni. Anzi,
che ne dici di:
mai più elfi e folletti ad Arendelle?
“Ma
lo sai già, vero?”.
“So...
che?”.
Elsa
si chiese da dove venisse
quello stralcio di conversazione. Dal buco nero, forse. Dal vuoto che
si era
creato nella sua mente a causa della polvere elfica.
Cos’altro c’era in quel
vuoto? Cos’aveva fatto? Cos’avevano
fatto?
Forse si stava preoccupando inutilmente e Oberon aveva detto la
verità? Non
sembrava... sconvolto. Sembrava rammaricato e, al tempo stesso,
divertito,
anche se aveva preso a calci il suo folletto.
Si
girò verso la sorella e le tese
la mano. Anna gliela strinse.
-
Sì, mai più elfi e folletti ad
Arendelle. D’accordo.
***
La
citazione all’inizio del
capitolo è presente anche in Shadowhunters:
Il principe di Cassandra Clare, così come il
riferimento alla polvere
magica che scioglie le inibizioni è ispirato ad un episodio
del romanzo. In
quel caso si trattava di polvere stregonesca e non di polvere elfica.
Oberon
e Puck, così come anche
Titania, sono personaggi di Sogno di una
Notte di Mezza Estate di Shakespeare. Nel capitolo ci sono
diversi
riferimenti all’opera originale (per esempio, il succo del
fiore di Cupido che
ha fatto invaghire Titania di Nick Bottom, trasformato in un somaro da
Puck).
E niente. Spero che la storia vi
piaccia e che continuerete a seguirla.