Naruto fece scorrere lo sguardo sulla figura di
Hinata, seduta composta vicino a lui. Lo yukata
invernale le disegnava le spalle con una severità che non le si addiceva, con
quelle pieghe dritte e rigide. Nella semiluce provocata delle lanterne, il suo colorito
pallido assomigliava a quello di un fantasma, evanescente – aveva l’impressione
che, sforzando la vista, avrebbe potuto guardare oltre di lei. Gli occhi, fatti
da cocci di luna, erano fasciati da una garza pulita e profumata con melissa e
qualche altra erba medica, abilmente arrotolata attorno al capo.
«Naruto-kun» lo chiamò piano, la sua voce era trasportata
dal vento come un fiocco di neve, «mi stai guardando?».
Si accorse, assottigliando lo sguardo, che Hinata
non arrossiva. Le sue mani posavano tranquille sulle ginocchia flesse e la sua
postura rimaneva intatta, perfettamente in equilibrio, come se non fosse
imbarazzata a sentirsi osservata. All’improvviso, Hinata gli sembrò fatta per
vivere lì: sull’engawa di casa Hyuga,
con quello yukata che mal la valorizzava, con la
notte tra i capelli e la benda sugli occhi. Era quasi sicuro che, se i suoi
occhi potessero vedere, si sarebbero soffermati sulla neve che prendeva quello
strano colorito dorato, alla luce delle lanterne che illuminavano a tratti il
giardino.
«Com’è?» iniziò Naruto, guardandosi le mani che
chiedevano di essere piene di lei. Era un bisogno fisico che gli faceva prudere
le dita, «essere ciechi, intendo».
La sentì sospirare. Come una magia, quando quel
sospiro si levò in aria e sparì nel buio, piccoli fiocchi di neve presero a
danzare nell’aria, posandosi sull’erba già coperta da uno strato bianco.
«Nevica» le disse, senza aspettare la risposta alla
sua domanda. La osservò alzare il viso verso l’alto, accennare un sorriso, e
una folata di vento le spostò i capelli sulla spalla e sul viso, costringendola
a spostarli. Le sue dita ornate di piccole cicatrici gli sembrarono fate della
neve che scendeva, fatte di cristalli di ghiaccio – leggere e gentili, fragili.
La luce delle lanterne disegnava strane ombre su quei tagli, che ora facevano
sembrare le dita della Hyuga come sul punto di
frantumarsi. Erano composte da lastre di neve congelata che si accingevano a
separarsi in mille cocci, come fossero di vetro. Spostò lo sguardo sul viso di lei,
scoprendo con rammarico che anche sul suo volto si era creato lo stesso effetto
a causa dei graffi dell’ultima missione.
«Non sarò cieca per sempre, Naruto-kun»
gli disse, e la sua voce cristallizzò l’ansia crescente in Naruto, bloccando i
suoi battiti cardiaci e facendoli ripartire secondo un ritmo più moderato, «mi
sono solo affaticata durante la missione, tutto qui» e si girò verso di lui,
tirando le labbra in un sorriso. Le crepe de suo viso scomparvero e i graffi
ritornarono ad essere graffi, mentre le bende si confondevano con la sua
carnagione.
«Lo so… è che…» borbottò, guardandosi le mani, iniziando a giocare
con una pellicina dell’indice, «ho avuto
paura» confessò. E ne ha avuta davvero, quando aveva saputo dall’Hokage che il team Kurenai era tornato
da quella missione così lunga che si
era rivelata anche pericolosa. Si era catapultato in ospedale e gli avevano
detto che la signorina Hyuga sarebbe stata medicata presso la propria casa,
con i medici del suo clan. E una volta arrivato lì Hiashi
lo aveva cacciato, come un leone, ruggiva
per allontanare chiunque volesse avvicinarsi ai suoi cuccioli.
Non capiva perché se l’era presa così tanto, quel vecchio. Forse si trattava di
Naruto o forse perché sua figlia – la sua primogenita
– fosse stata ferita. Non riusciva a capire i sentimenti del capoclan nei
confronti della ragazza: un minuto prima quasi la disereda, affermando
pubblicamente che il clan sarebbe passato alla sorella minore, un minuto dopo
quasi impazzisce perché la figlia, anche se non in fin di vita, era stata
ferita in missione e aveva sforzato troppo il byakugan.
Ma non l’aveva mai supportata, da quel che ne ricordava Naruto. Le aveva sempre
reso le cose difficili, più di quello che erano già, come per metterla alla
prova.
«La prima volta che mi è successo avevo tredici
anni» gli disse, catturando la sua attenzione. Era di nuovo dritta, il viso
rivolto verso quei arbusti di camelie bianche che si confondevano con la neve,
«mi stavo allenando duramente e non sono potuta venire a vedere i fuochi
d’artificio con te, ricordi?».
Naruto sorrise. Sapeva di cosa stava parlando, e
ricordava perfettamente quando si era avventurato con Sakura e Neji per cercare
quella tale pianta medica, che alla fine non avevano recuperato.
«Neji-niisan mi aveva aiutato molto, durante quel periodo»
disse con un filo di voce. Le sue labbra si contrassero per un momento e le
mani si strinsero attorno al lembo dello yukata
scuro, «faceva in modo che non inciampassi nel gatto, o che non mi versassi
l’acqua addosso» continuò, ora, la sua
bocca si distorceva più volte, facendo uscire le sillabe rotte, incrinate, «ma
non diceva mai di essere lì. Stava in silenzio senza dire nulla, ma si prendeva
cura di me».
La fiamma delle lanterne sopra le loro teste sembrarono
diventare più forti, illuminarono il viso di Hinata, conferendole quel pallore
ambrato, e fecero scintillare le lacrime che sfuggivano alla benda.
Gli mancava. Gli mancava terribilmente, lo vedeva
nelle dita che torturavano lo yukata e nei capelli
che fluttuavano nel vento, nelle labbra incastrate nei denti, rosse per lo
sforzo di non lasciarsi sfuggire quel pianto che le opprimeva il petto. Nelle
lacrime, che le rigavano le guance e scivolavano via dal mento, fluttuando come
la neve per posarsi sui suoi palmi. Se ne stava lì, tremava per mantenere la
postura, resisteva al peso opprimente che le gravava sulle spalle, come se
stesse trasportando il cadavere del cugino sulla propria schiena.
«Hinata…» la chiamò
piano, e bastò quel sussurro a far diventare il suo corpo di ghiaccio compatto
e non più di fiocchi di neve. Rimase immobile, con le labbra socchiuse e le
mani distese sulle ginocchia, la benda intorno al palmo prese a colorirsi di
rosso – evidentemente un taglio si era riaperto, «sono sicuro che Neji sarebbe fiero di te». Gli sembrò la cosa
migliore da dire, la cosa più giusta, più vera. Sapeva che era così, sapeva che
Neji se n’era andato in pace, felice – sapeva che la forza di Hinata derivava
anche dalla determinazione che lui aveva messo nell’allenarla.
Le si avvicinò piano, colmando quei pochi
centimetri che li dividevano, le passò le braccia sulla schiena e sotto le
ginocchia flesse e se la portò sulle proprie gambe, stringendola a sé e
cullandola piano, accarezzandole i capelli. Avrebbe voluto che tutto quel
dolore liberasse il suo cuore, che il vuoto della perdita fosse colmato da neve
e fiori e che lei potesse essere felice senza la paura che i fantasmi del
passato la turbassero. La sentì chinarsi sulla sua spalla, le bende gli
sfiorarono il collo e il respiro caldo di lei attraversò la sciarpa,
accarezzandogli la pelle.
Rimasero così per minuti interi, Naruto si
concentrò sui battiti del cuore di Hinata e le accarezzò la schiena fino a
quando non li sentì rallentare e tornare regolare. Lei si strinse le braccia al
petto, scaldandosi le mani nella nicchia creata dal suo corpo e da quello di
Naruto.
«Naruto-kun» lo chiamò
piano, girando il viso in modo da rivolgere le labbra verso il suo collo, «vuoi
davvero sapere com’è essere ciechi?» gli chiese piano, appoggiando le mani
sulle sue spalle, ritornando dritta, seduta sulle sue gambe. Una strana aurea
aleggiava intorno ad Hinata, malinconica, distante. Naruto non rispose, si
limitò a fissarle il viso, cercando di scorgere l’ombra dei suoi occhi oltre le
bende, con scarsi risultati. «Chiudi gli occhi, non barare» gli disse, passando
le dita infreddolite sulle palpebre di lui.
Naruto obbedì, lasciando che il buio lo avvolgesse.
Un’iniziale sensazione di sconforto lo catturò, facendolo tremare appena. Gli
sembrò di udire molti più suoni: il fruscio dello yukata
di Hinata, una porta lontana che scorreva, anche i fiocchi di neve che si
posavano sul manto bianco del giardino parevano fare un suono, simile ai passi
di Hinata quando camminava lentamente, senza fretta. Poi, quelle stesse dita di
ghiaccio gli sfiorarono la curva del naso, la fossetta sopra le labbra, il
contorno della sua bocca, scendendo lungo la mandibola e poi gli zigomi. Al
tocco di Hinata, sulla sua pelle sentiva strani arabeschi congelarsi e poi
sciogliersi – erano come una carezza, una benedizione che lo ripagava da tutti
gli sforzi compiuti durante quegli anni.
«Ci si accorge di tante cose, quando non ci si può
affidare alla vista, Naruto-kun» gli sussurrò,
continuando, timida, a sfiorargli il collo e il pomo d’Adamo, scendendo poi
sulle spalle, «delle altre persone e di noi stessi» continuò, facendogli
piegare le braccia, prese la mano sinistra e ne sfiorò ogni cellula con la
delicatezza che si riserva ai vasi antichi, come se lui fosse una cosa
preziosa. Passò anche alla protesi, e seguì tutte le linee della fasciatura,
disegnò con le dita le vie dove scorreva il chakra,
risalendo sulla spalla. Le dita di Hinata ritornarono, più sicure di sé, sul
suo viso, sfiorandogli le labbra spaccate dal freddo, prendendogli il viso tra
le mani, appoggiando la fronte contro la sua, «ci si accorge di quanto si ama
una persona» gli sussurrò, e lui avrebbe tanto voluto aprire gli occhi, godere
di quel rossore che era sicuro le stava imporporando le guance.
«Volevi davvero bene a Neji, non è vero?» le
chiese, piano, alzando le mani, facendole vagare nel vuoto fino a quando non
riuscì a trovare le braccia di lei, le percorse con la stessa premura che lei
aveva riservato a lui, giungendo a mettere le mani su quelle di Hinata.
Lei non rispose, e lui non aveva bisogno che lei lo
facesse. Lui era lì, quando era successo, e ricordava le proprie parole quando
aveva chiamato soccorsi, quando nessuno era arrivato ad aiutare Neji.
«Hinata» la chiamò, sentendola sussultare appena,
«mi sono accorto di una cosa» le disse, accarezzandole la benda che le fasciava
il palmo e le vecchie cicatrici. Si allungò in avanti e sfiorò il proprio naso
con il suo, «mi sono accorto di quanto amo una certa persona» le sussurrò e, impaziente,
aprì gli occhi, solo per un secondo, solo per godere di quel rosso che
sbocciava nella neve delle sue guance, come quelle camelie porpora che si
alternavano a quelle bianche.
La strinse a sé, baciandola come se fosse neve che
lui non voleva sciogliere. La sentì vibrare sotto il suo tocco, sotto le dita
di Naruto che sia avventuravano sotto la seta nera dei suoi capelli e le
accarezzavano il collo e l’attaccatura di quei fili di notte che tanto gli
piaceva toccare.
Si staccò piano, alzando le palpebre per guardarla,
ammirarla ancora come l’aveva ammirata quando sembrava fatta di vetro sul punto
di spaccarsi, le sfiorò la guancia, passando il pollice su un graffio, nella
speranza di cancellarlo. «Non essere triste» le sussurrò, e lei annuì, prima di
ritornare abbracciata a lui, nascondendosi dell’incavo del suo collo.
All’entrata della stanza che portava all’engava, Hiashi li osservava nel
silenzio della penombra.
❅
• note d’autrice
Ammetto di non essere molto felice di fare queste note, perché in realtà questa fan fiction nemmeno volevo pubblicarla.
Tuttavia, un po’ perché mi dispiace non dare la possibilità ad un mio lavoro di non vedere la luce, un po’ perché – forse – qualcuno ci tiene a leggere i miei scarabocchi, l’ho pubblicata.
Come la naruhina che ho pubblicato prima di questa, non ha molte pretese, anzi, forse ancora di meno, dato che è stata scritta con il disimpegno più assoluto e immaginabile. Ho aperto word e, con l’idea di scrivere un po’ di angst di Naruto e Hinata (dato che non ne trovo mai), ho scritto questa… cosa. Il titolo, forse, è l’unica cosa che mi piace. Ma non ne sono sicura.
Comunque, la storia di Hinata temporaneamente cieca è stato oggetto di una puntata della serie, penso fosse un filler ma non sono sicura, in cui ho abbandonato il mio cuore e la mia anima, che poi sono morte definitivamente con la morte di Neji (;3;). Questa fan fiction è un po’ per ricordare anche lui, che è sempre stato messo da parte dai fans ma che, quando è morto, improvvisamente è stato ricordato da tutti.
Nejino, io ti amavo da subito, davvero. ♥
Inoltre, temo che Hinata possa essere un po’ OOC, e sto pensando di mettere l’avviso a riguardo (ditemi voi) – data la sua… serietà? Compostezza? Soprattutto durante la prima parte del racconto e l’ultima, quando fa chiudere gli occhi a Naruto. Ma ho pensato che, per come è fatta lei, abbia imparato qualcosa anche da quell’esperienza, quando le è capitato la prima volta, e abbia imparato qualcosa su Neji quel giorno. La sua filosofia, invece, accorgersi di tante cose su di sé e sugli altri e di quanto si ami una persona quando si è ciechi, è un po’ il mio pensiero, che ho voluto trasmettere a lei, maturato dopo aver creato un paio di personaggi ciechi e di aver amato uno che, nella sua opera stessa, non aveva la vista (Toph Beifong docet ♥).
Le camelie, sì. Alcune camelie fioriscono in inverno e possono essere sia bianche che rosse, ho controllato (e potete farlo anche voi, se desiderate) – e sono un fiore che allego molto ad Hinata sotto vari punti di vista.
Grazie per aver letto.
radioactive,