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Autore: La Nuit du Chasseur    02/01/2015    2 recensioni
"... Dici che potremmo concederci il lusso di sentirci, e di tanto in tanto di vederci anche? Senza promesse, senza dare un nome a questa cosa, solamente non perdersi di vista, non dimenticarci l’uno dell’altra. Dici che possiamo?”.
“Dico che possiamo, bambina” le disse sulla bocca.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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         Christine

         Quell’agosto era sicuramente un mese speciale, e tutti stavano cercando di viverlo al meglio. Shannon posò la tazza ormai vuota sul divano e si sfregò il viso: ennesima chiamata a cui Miriam non rispondeva, suo fratello aveva fatto sesso con Shayla, Tomo sembrava sparito da un paio di giorni. E fra davvero pochissimi giorni sarebbe nato suo figlio, di cui ancora non avevano voluto sapere il sesso, per conservare la sorpresa. Senza dimenticare l’inquieta lotta per il nome, sul quale non riuscivano proprio a mettersi d’accordo serenamente.
La situazione era appesa ad un filo, e nonostante lui fosse agitato e felice, avrebbe preferito che Jared e Tomo fossero leggermente più stabili. Si sarebbe goduto tutto di più, insomma.
A torso nudo, pantaloni del pigiama e nel silenzio di tomba, decise di agire, perché starsene con le mani in mano non era proprio possibile. Corse in camera e facendo il meno rumore possibile cercò di arraffare i primi abiti che gli capitavano a tiro, per poi sgattaiolare via di corsa, senza svegliare Emma, che quei giorni alternava scorpacciate di gelato al cioccolato e lunghe dormite. In pratica quando non mangiava, dormiva e viceversa. Shannon sorrise guardandola, un attimo prima di chiudere piano la porta.
Le lasciò un biglietto scritto velocemente e fermato sotto il piccolo cactus che lei gli aveva regalato mesi prima, quando avevano deciso di essere genitori, di cogliere al volo la sfida più importante. Era un bonsai e aveva bisogno di poche cure, essendo una pianta grassa, ma ricordava ad entrambi che anche le anime più resistenti hanno diritto ad amore e dedizione. Subito dopo averle lasciato scritta la sua destinazione, velatamente, afferrò le chiavi della macchina e uscì, pieno di speranze e buone intenzioni.

        Miriam era seduta sul divano, con una tazza di thè caldo in mano. Christopher era sotto la doccia e dal bagno proveniva un odore di vaniglia misto ad un canticchiare che stava diventando alquanto fastidioso. Si frequentavano da circa due settimane, e la relazione procedeva in maniera a dir poco spedita: un paio di sere prima lui aveva portato a casa di lei alcune sue cose di prima necessità, come uno spazzolino e qualche abito pulito, e quella sera stessa avrebbero cenato con i genitori di Christopher, arrivati in città per una breve visita.
Miriam prese un sorso di thè e penso che lei non avrebbe voluto andare a quella cena, ma che ci era stata semplicemente condotta in maniera subdola: si rendeva conto che Christopher agisse su di lei in modo da farle fare quel che più voleva lui, ma semplicemente non aveva la forza di opporsi. Si asciugò una lacrima velocemente, prima che lui potesse vederla, visto che l’acqua della doccia era stata chiusa, e respirò forte: era la cosa migliore per lei. Christopher era la cosa giusta per lei.
Finì il suo thè e andò a sciacquare la tazza nell’angolo cottura, prima di riporla nello scolapiatti e decidere il da farsi. Dopo aver messo su il suo sorriso migliore, andò in camera a scegliere cosa indossare, e ci trovò Christopher intento a spostare delle cornici sul mobile alto. “Cosa fai?”
“Stavo sistemando meglio le cornici” rispose senza neanche guardarla. “E pensavo che questa non mi piace, che ne dici di toglierla?”
Miriam fissò la foto ed ebbe una fitta al cuore: erano tutti insieme, l’avevano scattata alle Hawaii, quasi un anno prima e c’era anche Kiki. Quel giorno Shannon ed Emma avevano ufficializzato la loro relazione, Tomo e Kiki si tenevano stretti l’uno all’altra, e Jared rideva come se fosse il momento più bello della sua vita. E forse lo era davvero anche per lei. Avevano scattato la foto grazie ad un turista che passava di lì e che non li aveva riconosciuti: aveva pensato che fossero semplicemente degli amici in vacanza ed era rimasto a guardarli a lungo, mentre andava via con sua moglie, forse perché emanavano felicità e spensieratezza. Forse perché erano semplicemente bellissimi.
Miriam ripensò a quel giorno, a quanto erano felici e poi vide come erano ridotti, neanche un anno dopo. Sorrise lentamente e disse solo: “Fa come vuoi, è una vecchia foto, non conta niente ormai”. E poi si diresse verso l’armadio per vestirsi.
Shannon arrivò al comprensorio in poco tempo, lasciò la macchina sul ciglio della strada, e dopo aver preso la merenda che aveva comprato durante il percorso, la chiuse con il telecomando da lontano e con una leggera corsa entrò nell’ampio chiostro curato e prese la scala giusta. Dopo qualche minuto era davanti la porta di Miriam, alzò il braccio per bussare, quando il destino decise di aiutarlo: la porta si aprì e lui si ritrovò davanti una Miriam sorridente che si apprestava forse ad uscire di casa.
“Ehi” disse solamente, ridendo.
“Shannon” rispose lei, con il sorriso svanito e l’espressione di chi vedeva un fantasma.
“Ciao, ti ho portato la colazione. Si, forse è tardi, ma muffin e caffè non hanno orario!” disse allegramente, affacciandosi piano con il corpo, per convincerla a lasciarlo entrare.
“Grazie, sei stato molto gentile, sono i miei preferiti”. Miriam gli prese i muffin dalle mani, ma non accennava a volerlo lasciare entrare.
“Lo so” rispose fiero. “Posso entrare? Facciamo due chiacchiere?” continuò dolce e speranzoso.
“Non ora, davvero ora non posso”
“Stavi uscendo?”. La vedeva continuare a guardarsi indietro, come se dal suo appartamento potesse improvvisamente spuntare qualcuno, come se ci fosse qualcosa da nascondere. Shannon tentò di sbirciare, ma lei parò la visuale con il suo corpo e contemporaneamente accostando di un minimo la porta.
“Si, veramente si” rispose sorridendo. “Non si vede?”
“Non credo di averti mai vista conciata così, effettivamente. Stai per partecipare ad una sitcom degli anni Cinquanta, per caso?” la prese in giro bonariamente, sorridendo e indicando il suo outfit.
In quel momento, una voce: “Cara, chi è? Dai che facciamo tardi?”. Shannon perse il sorriso e la guardò in maniera interrogativa. Miriam si ammutolì e chiese scusa con lo sguardo. Christopher fece la sua entrata in scena, affacciandosi dietro Miriam e guardando chi si celasse sull’uscio di casa. “Salve” disse educatamente.
“Buongiorno” rispose Shannon, guardandolo da capo a piedi e chiedendosi da dove uscisse quel damerino vestito da pinguino. Poi un lampo lo colpì: l’uomo che aveva visto Jared, quello che non sembrava un venditore porta a porta. “Miriam, posso parlati un attimo?” disse duramente.
“Non ora, te l’ho detto, stavo uscendo”
“E’ imporante, ti rubo solamente due minuti, davvero”
“Non ora” sibilò Miriam, affilando gli occhi.
“Ci scusi, davvero, ma dobbiamo andare. Faremo tardi e, potrà immaginare, in certi posti il ritardo non è proprio consentito” intervenne l’uomo, mettendo un braccio dietro la vita di Miriam e spegnendo la luce, a lasciare intendere che non c’era proprio più tempo.
“Certamente, lo capisco. Allora buona giornata” disse educatamente Shannon, spostandosi leggermente per lasciarli passare, e contemporaneamente allargando un braccio per segnalare che il passo era loro.
“Grazie, molto gentile” continuò l’uomo sorridendo. Chiuse la porta a chiave, poi offrì il braccio a Miriam, che lo afferrò come una scialuppa salvavita, e si avviarono verso la scala, mentre Shannon rimaneva lì fermo a guardare quella scena che gli provocò solo rabbia. Tanta rabbia.

        Tornò al MarsLab con il muso lungo e i nervi a fior di pelle. Si fermò e prendere un secondo caffè, sperando che lo aiutasse ad affrontare le cose, perché sapeva di dover tacere a suo fratello di aver incontrato Miriam. Sferrò un pugno al volante e subito dopo si massaggiò la mani arrossata: stava proteggendo una donna che non lo meritava, a discapito di suo fratello e del suo migliore amico.
Parcheggiò al volo sulla strada, poi entrò a grandi passi nel cancello, attraversando il giardino e trovando, come al solito, la porta finestra aperta e persone che correvano a destra e sinistra. La crew era al lavoro, e la frenesia regnava sovrana, cosa che non fece che peggiorare l’umore di Shannon.
Si diresse velocemente in sala, non togliendo gli occhiali da sole e sorridendo forzatamente a chi lo salutava. Non appena aprì la porta della sala, vide chiaramente Shayla saltare dal divano e prendere in mano dei fogli che avevano tutta l’aria di essere stati abbandonati per altri scopi. Accanto a lei c’era Jared, che aveva spostato appena la testa nell’intento di capire chi osasse disturbare.
“Scusate” mormorò Shannon facendo qualche passo. “Prendo solamente delle cose e vado”
“No, tranquillo, stavamo rivedendo una scaletta, ma ho un mucchio di cose da fare, oggi” rispose Shayla, con un tono di voce fra l’imbarazzato e l’isterico.
Shannon la guardò per qualche momento e notò che la spallina della sua maglia era un po’ troppo abbassata per una che sta solo parlando di lavoro. Decise di soprassedere e avviarsi verso il giardino, munito di auricolari, spartiti e chitarra.
Non seppe quantizzare il tempo che rimase seduto in posizione semi sdraiata a cercare di comporre qualcosa di decente. Non sapeva neanche perché ci provasse, visto che i bisogni della band in quel momento erano del tutto lontano dall’avere materiale nuovo, solamente sentiva l’impulso di chiudersi nella musica e la musica dei Mars non faceva che ricordargli che stava mentendo a tutti.
Quando lasciò il plettro e appoggiò la testa sulla spalliera del divanetto in vimini davanti la piscina, notò che suo fratello era in piedi davanti a lui. Lo guardò e si tolse una cuffia: “Finito?”
“Scusa?”
“Chiedo se hai finito di farti la segretaria in sala” rispose stizzito Shannon.
“Non me la stavo facendo, non è una segretaria, e comunque non sono affari tuoi”
“No, infatti non lo sono. Non mi interessa con chi scopi, solo ti chiederei di non farlo mentre la gente lavora al nostro fottuto progetto”
“Ma che cazzo hai oggi?”
“Niente. Lavoriamo?”
“Tomo ancora non…” Jared non fece in tempo a finire la frase che squillò il cellulare. Rispose, rimanendo ancora a guardare suo fratello in maniera dura. “Ciao, amico” disse.
“Jared, ciao. Senti io oggi ho un po’ di casini, ci vediamo nel pomeriggio”
“Tomo, dobbiamo provare” si lamentò Jared.
“Si, si certo. Ma devo portare ad accordare la chitarra e a far sistemare l’amplificatore” inventò lui, mentre Vicky lo abbracciava distraendolo.
“D’accordo, senti non voglio sapere altro. Se nel pomeriggio non arrivi, vengo a prenderti per i capelli ovunque tu sia, chiaro?”
“Chiarissimo, a dopo”.
Shannon guardò perplesso Jared, che lo informò subito: “Tomo non viene, dice che deve accordare la chitarra…” disse con poco entusiasmo. Shannon indicò la chitarra di Tomo, perfettamente accordata e al suo posto, in sala. Jared la fissò e scoppiò a ridere: “Qualcuno qui si diverte più di noi, fratello”
“A quanto pare” rispose Shannon, per niente divertito. “A questo punto io me ne vado”. Si alzò e ripose la chitarra nella sua custodia. “Torno nel pomeriggio, sperando che qualcuno abbia voglia di fare qualcosa”
“Possiamo iniziare le parti che riguardano la batteria, questa mattina” tentò Jared. Si sentiva un po’ come un bambino che cercava di non far arrabbiare il papà, e considerando i loro caratteri e tutto il resto, non capiva molto come si stavano mettendo le cose.
“Lascia perdere. Torna a fare quel che stavi facendo” disse. “Ultimamente vi riesce molto bene” aggiunse borbottando e andando verso l’uscita del Lab a grandi passi.
 
        Quando Tomo chiuse la telefonata, si accorse che era con Vicki da tre giorni esatti, e il tempo che avevano passato vestiti era stato decisamente poco, ed era servito solamente a cambiare casa e passare da quella in affitto di Vicki a quella dove fino a qualche mese prima vivevano insieme.
Appena chiuso la porta avevano iniziato a baciarsi di nuovo e una volta spogliatisi di nuovo, non avevano più saputo cosa fossero gli abiti per ore intere.
“Buongiorno, tesoro” le disse piano, annusandole il collo e svegliandola. Vicki sorrise senza aprire gli occhi, si stirò i muscoli e si girò fra le lenzuola, sentendo le braccia di Tomo stringerla e sentendosi davvero in pace.
“Perché mi svegli?” chiese con il broncio.
“Perché dobbiamo recuperare moltissimo tempo” le rispose malizioso Tomo. Poi lasciò che la sua mano vagasse sul corpo di Vicki e si posasse sulla sua coscia, prendendo a baciarla con sempre più audacia.
“Tomo, ti prego, sono stanca!” si lamentò lei, ma la sua reazione fu accavallare la gamba su quelle di Tomo e rispondere al bacio, aprendo gli occhi a guardarlo. Lo bloccò un secondo e gli accarezzò le sopracciglia, contemplando la sua bellezza e la sua espressione felice: “Ti amo”
“Anche io”
“L’ho già detto, vero?”
“Sei ripetitiva”
“Anche tu”
“Non è vero”
“Si, non fai che chiedermi del sesso. Da tre giorni!”
“Come se ti dispiacesse!”
“Certo che no, perché stai ancora parlando!?”. Tomo rise e la sovrastò con il suo corpo, prendendosi la sua aria, la sua linfa vitale.
Dopo l’ennesimo sforzo fisico si ritrovarono accoccolati sul letto, stanchi, ma felici. “Hai tenuto libera la mia parte di armadio, vero?” gli chiese guardandolo torva, ancora nuda fra le sue braccia.
“Ovviamente no, dovrai conquistartela di nuovo”
“Carino, io domani porto di nuovo tutto qui, vedi di farmi trovare il mio spazio”
“Chi ti ha detto che ti rivoglio a casa, scusa?”
“Tu, nelle due ore passate, in molteplici modi, direi”
“Colpito e affondato” le rispose baciandola e accorgendosi che avrebbe dovuto correre al MarsLab, se non voleva essere trucidato da Jared. Si fece una doccia, e la lasciò gironzolare ancora per quella che era di nuovo casa sua: non appena uscì dalla porta, si girò a sbirciare dalla finestra a fianco e la vide avvolta in un accappatoio sistemare alcune riviste sul tavolino basso del soggiorno. Era bello rivederla lì, di nuovo nella sua vita e fra le sue cose. La felicità a volte è una cosa così piccola.

         Shannon arrivò a casa dopo circa mezz’ora. Aveva pensato di andare al mare, per rilassarsi, ma poi la voglia di stare con Emma aveva preso il sopravvento e si era diretto velocemente a casa.
Una volta sceso dall’automobile, non gli servì togliere gli occhiali da sole per riconoscerla: poco distante, poggiata ad una macchina che non aveva mai visto c’era la perfetta casalinga americana anni Cinquanta. Si avvicinò riluttante, pensando seriamente di far finta di non averla vista, e appena le fu abbastanza vicino si mise le mani in tasca, nel completo silenzio.
“Ciao” esordì lei, imbarazzata.
“Ciao”
“Senti volevo chiederti scusa per… si, insomma, per questa mattina”
“Per avermi cacciato di casa?”
“Non ti ho cacciato di casa”
“Si, ma guarda è l’ultimo dei miei problemi”
“E allora cos’hai? Mi sembri così ostile”
“Cosa ti è successo Miriam?”
“Di cosa parli?”
“Lo sai” le rispose duro.
“No, non so di cosa tu stia parlando, onestamente” gli disse sicura, toccandosi appena i capelli per avere una scusa che le permettesse di distogliere lo sguardo.
Shannon sorrise amaro e iniziò a snocciolare situazioni che per Miriam erano pugnalate al cuore: “Beh… Mi allontani, mi menti, non rispondi a Tomo, lo eviti e ti neghi al citofono. Sei arrivata anche a far dire che non ci sei in ufficio”
“Ah, lo sai…”
“Noi parliamo, Miriam. Sai, ci conosciamo da vent’anni”
“Sto cercando la mia strada, ecco qua”
“E per cercarla devi smettere di sentire i tuoi amici, le persone che si preoccupano per te?”
“Non ho smesso, noi ci siamo sentiti spesso ultimamente”
“Si, certo, perché chiamavo io. Ti ho lasciato stare, ma poi vengo a scoprire… a scoprire tutto questo” disse quasi con disprezzo, guardandola dall’alto in basso e sentendo la rabbia montargli dentro. 
“Ma tutto questo cosa, Shan?” chiese esasperata Miriam, anche se iniziava a sentirsi a disagio, perché sapeva benissimo di cosa parlasse.
“Chi è quello?” chiese Shannon a bruciapelo e la domanda sembrò quella di un uomo innamorato e geloso. Shannon invece era solo amareggiato e si sentiva preso in giro.
“Christopher. Lavoriamo insieme”
“Anche a casa?”
“Shannon, ma che vuoi? E’ la mia vita!”
“E goditela infatti, ma se permetti io non farò da spettatore mentre distruggi le speranze di mio fratello e menti al mio migliore amico, lasciando da parte me stesso”
“Io non sto distruggendo niente, è lui che ha rotto e lo sai”
“Dove sono i tuoi jeans? Dov’è il tuo sarcasmo? I tuoi capelli sciolti? Dove sei tu, cazzo!”
“Ora vuoi sindacare come mi vesto per caso?”
“No, solo dirti che ti vesti di merda ora”
“Grazie, sei gentile. Detto da te poi…”
“E quel damerino che ti porti appresso?”
“Christopher non è un damerino, è un uomo perbene, con un lavoro rispettabile e una famiglia molto buona alle spalle. Tutto il contrario…” di fermò prima di dire l’irreparabile, ma quelle parole bastarono a creare il gelo.
“Continua pure”
“Sai che non intendo…” tentò di difendersi.
“No, lo intendi eccome invece. Beh, mi dispiace, il cattivo ragazzo pieno di tatuaggi e con una famiglia pessima alle spalle, se ne va a lavoro. Ah, no scusa: vado a scopare con qualcuna in puro stile rock, perché io non ho un lavoro” le disse iniziando a camminare, fino a darle le spalle. Miriam gli corse incontro, dispiaciuta per quello che aveva detto e lo fermò tirandolo per un braccio.
“Shannon, dai, non volevo offenderti, scusami”
“La verità è che ha ragione Jared: sei una bambina viziata, che non sa cosa vuole dalla vita e che ha avuto fin troppa carne sul fuoco da sempre. Tu scappi da tutto perché non sai affrontare i problemi, gli stessi problemi che ti crei da sola, perché sei bravissima in questo. Sono settimane che cerco di aiutarti, e tu invece mi nascondi le cose così. Se sei convinta che questa sia la tua strada, percorrila pure, ma fidati: non ci metterai tanto a scappare anche da lì” le disse pieno di astio.
“Shannon…”
“Ah, e dimenticavo: Jared ti ama davvero, purtroppo” e dicendo ciò sparì, correndo verso la sua macchina. Ora aveva davvero bisogno di mare.

        Miriam rimase in mezzo al marciapiede e scoppiò in lacrime: aveva perso Jared, e poi anche i suoi amici. Si era così concentrata talmente sulla sua indipendenza sociale, che aveva davvero avuto degli amici suoi, perdendo però le uniche persone che l’avessero mai fatta sentire a casa.
“Miriam?” si sentì chiamare e girandosi trovò Emma davanti a lei, sul vialetto di accesso della casa che condivideva con Shannon. Si asciugò gli occhi e cercò di sorridere, anche se voleva sprofondare: erano diventate amiche in quei mesi, e da quando lei aveva rotto con Jared, Miriam si era negata anche ad Emma, che aveva provato milioni di volte a vederla e sentirla. Tutto quello che riceveva in cambio erano finte scuse per non uscire e per non vederla, cosa che aveva indispettito Emma, ma che aveva solo più tardi ricondotto alla morte di Kiki. Pensava che Miriam fosse sotto choc e aveva deciso di lasciarle spazio, così la chiamava di tanto in tanto, le scriveva sms, cercava di starle accanto per quel che poteva, ma vedeva che dall’altra parte c’era la freddezza totale.
“Vuoi entrare? Ci prendiamo una tazza di thè” tentò Emma.
Miriam annuì e la seguì in casa. Emma mise a bollire l’acqua e la fece accomodare in cucina, cercando un appiglio da cui iniziare la conversazione.
“Come stai?” disse infine Miriam, per rompere il ghiaccio.
“Oh, come una mongolfiera!” scherzò Emma, sorridendole. Le voleva bene, la capiva un po’, perché negli anni lei era cresciuta molto, ma all’inizio era stato difficilissimo stare accanto a Jared e nel mondo dei Mars. Sempre in movimento, in balia degli eventi e dell’umore altalenante dei ragazzi. Lei era stata forte ed era sopravvissuta, ma capiva che per una persona insicura potesse essere mortale. Solo che Miriam sbagliava i modi: invece di chiedere aiuto si chiudeva in se stessa e feriva chi cercava solamente di starle accanto. Come lei, e Shannon, e Tomo.
“Ti trovo radiosa”
“Saranno le creme costosissime che uso. Mi illudo che servano” le rispose. “E tu, come stai?”
“Altalenante, direi”
“Hai cambiato look, vedo”
“Si, ho fatto un po’ di shopping e ho cambiato qualcosa. Ti piace?”
“E’ uno stile molto diverso da quello che adottavi prima”
“Già…”
“E ti fa sentire meglio?”
“Cosa sai, Emma?”
“Oh, più o meno tutto, ragazzina. Ho qualche anno più di te, ed esperienza necessaria a capire cosa ti succeda. Fidati, ci sono passata”
“Nel senso che tu e Jared?!” chiese allibita.
“No, ovviamente no. Ma all’inizio della mia carriera con lui era un trauma continuo: lui è un manico dell’ordine, un perfezionista. Mi trattava malissimo, era duro, antipatico e meschino con me, e a volte se non fosse stato per Tomo l’avrei ucciso, subito dopo essere scoppiata in lacrime. Poi ho imparato, ed ora credo di essere una delle poche persone che riescono a tenergli testa”
“Io non lavoro per lui, però”
“Si, però dovresti imparare a comportarti con lui. E con Shannon e Tomo. Loro ti vogliono bene, Miriam” le disse con dolcezza.
“Ora non importa più, tanto. Jared mi ha lasciata. Shannon mi odia. E Tomo ha anche smesso di cercarmi” disse affranta.
“E non ti chiedi perché?”
“Ma cosa dovrei fare, io?” urlò lei alzandosi in piedi. Era stufa che tutti le dicessero come comportarsi.
“Avere rispetto per chi cerca di aiutarti, Miriam. So che non è stato un gran periodo, ma noi abbiamo solo cercato di starti accanto”
“Ok, sono il mostro cattivo. Hai finito?”
“No, non ho finito, Miriam: perché tu fai la vittima, ma non ti rendi conto di quanto sia tu a rovinare le cose”
“Io… io non ho rovinato nulla. Voglio solo essere lasciata in pace”
“Gli amici non ti lasciano mai in pace. Shannon…” iniziò, ma Miriam la fermò subito.
“Shannon non deve permettersi di ficcare il naso nella mia vita privata”
“Lui ha cercato di aiutarti, ha tenuto il segreto con tutti e gli è costato molto, ti chiamava per starti accanto e tu non hai detto una parola su niente. Poi arriva e ti trova cambiata, diversa, sorridente e con un altro. Puoi biasimarlo?”
“Voi siete il suo mondo, cazzo” sbottò Miriam, quasi incapace di dire altro.
“Ancora con questa storia? Sei noiosa, Miriam” le disse, ora duramente.
“E allora perché mi hai invitato ad entrare? Lasciatemi in pace, no? Lasciatemi vivere tranquilla. Jared mi ha lasciato, io lo amo alla follia e mi sto facendo andare bene un’altra persona perché è buona con me. Perché vi accanite su di me?”
“Jared è ancora innamorato di te, se solo lo capissi. Lui ama le persone dure, sicure, che sanno andare avanti nonostante tutto e che non si piegano a nulla. Per questo io sono sopravvissuta, Miriam: ho smesso di piangere e ho iniziato ad urlargli contro, a tenergli testa. Svegliati, ragazzina: puoi ancora averlo, se solo riuscissi a smettere di farti problemi”. Emma fu dura, come lo era stata a Madrid mesi prima, nel backstage. Ma aveva visto in quegli occhi la scintilla della paura e credeva che servisse il polso duro per spegnerla.
Miriam la guardò triste: forse aveva ragione, pensò, ma l’orgoglio le impedì di dirglielo. Prese la sua borsa e fece per andarsene, quando Emma la gelò ancora con una frase: “Ah, e quel look fa schifo. Eri molto più vera prima, mi dispiace”.

        Miriam uscì da quella casa e se ne andò in preda a violenti singhiozzi. Odiava tutto e tutti e Christopher che continuava a tampinarla di telefonate non la aiutava per niente. Fece quello che era brava a fare: scappare, andando a rifugiarsi nella sua caffetteria, quella che condivideva con Jared, sperando che lui non ci fosse.
Ma prima ancora di riuscire a formulare quel pensiero in testa, ferma sul vialetto della villetta di Shannon ed Emma, le si fermò il cuore: Jared la fissava, lontano qualche metro, bello come il sole e serio come il più duro dei giudici.
Miriam sospirò e iniziò a camminare, sicura. Non appena gli fu vicino, si fermò un attimo, e lo guardò, dritto negli occhi, che Jared mostrò togliendo gli occhiali da sole. Non ci fu tempo per dire niente, per tentare di porre parole fra loro: lo sguardo che si lanciarono era molto più onesto e sincero di tutto quello che avrebbero voluto dirsi.
Miriam si concesse un altro secondo solo, per dirgli davvero addio forse, per imprimersi negli occhi e nella mente quello che davvero era l’amore puro, poi scappò, permettendosi il lusso di correre, perché non gliene fregava molto di quello che ora Jared pensava di lei. Lei voleva andare via, e nessun orgoglio o nessun tattica avrebbero potuto fermarla.

        Jared rimase sconvolto: perché Miriam era lì, da Shannon? Quando il fratello aveva lasciato il Lab, era stato combattuto fra il mandarlo al diavolo e andarlo a cercare. Shannon gli aveva risposto male, aveva assunto un atteggiamento scontroso e sicuramente non onesto nei suoi confronti e la rabbia che era salita gli aveva impedito di fare il primo passo. Ma poi aveva ragionato che suo fratello stava tentando di tenere insieme i cocci di un vaso che iniziava a fare acqua da tutte le parti, e che né lui, né tantomeno Tomo lo stavano davvero aiutando. Così aveva preso le chiavi ed era corso al chiosco di burrito dove sapeva che Shannon si rifugiava quasi sempre quando le cose non andavano. Non aveva trovato nessuno ed era rimasto a chiedersi dove poterlo scovare: ora parlargli era diventata una cosa impellente, quasi più necessaria dell’aria. Così aveva optato per casa, perché forse Emma avrebbe potuto aiutarlo, ma lì aveva avuto l’unico incontro che non avrebbe mai voluto avere.
Era rimasto lì impalato a vederla correre via, chiusa in un look così diverso da quello che lui ricordava, con le lacrime che le premevano negli occhi, senza che lei si premurasse di nasconderle.
Da quando aveva fatto sesso con Shayla, qualche giorno prima, le cose stavano scivolando via in maniera innaturale: lui non la amava, e poteva dire la stessa cosa dei sentimenti di Shayla per lui. Per questo non poteva dire di essere sereno, di aver dimenticato Miriam o di aver finalmente smesso di soffrire. Ma in una maniera che non sapeva spiegare, Jared si sentiva semplicemente meglio, come se avesse trovato il modo per allontanare la lama che gli affondava nella carne da quando lui e Miriam si erano lasciati, come se finalmente fosse deciso di riprendersi la sua vita e il suo sorriso.
Corse verso l’ingresso e bussò. Bussò fino a farsi venire dolore alle nocche delle mani, fino a che una Emma leggermente preoccupata corse ad aprirgli: “Ah, sei tu! Jared mi hai spaventato!”
“Cosa ci faceva lei qui?” la assalì Jared, senza salutarla, né perdere tempo ad entrare. Doveva solo sapere.
“Vieni, parliamo un po’”
“Emma…”
“Entra”. Il suo tono non ammetteva repliche, e infatti Emma vide Jared abbassare lo sguardo ed entrare in casa, non senza assumere un atteggiamento particolarmente ansioso di sapere.
Si diressero in cucina, dove Emma iniziò a preparare un thè per entrambi, poi guardò fuori dalla finestra: il sole era sparito e le nuvole, grigie e minacciose avevano invaso il cielo.
“Sembra che sia in arrivo un temporale” disse con noncuranza, dando le spalle a Jared.
“Cosa ci faceva lei qui?” chiese ancora Jared, dominando la voce.
“Ha avuto un litigio con Shannon, ed io l’ho solo invitata in casa per parlare”
“Litigio con Shannon?”
“Non so i dettagli, ho solo visto dalla finestra che discutevano in strada e quando Shannon è andato via sono uscita per toglierla di lì”
“Tu… cosa?”
Emma sbuffò e disse di nuovo: “L’ho invitata ad entrare, le ho offerto un thè e ci ho scambiato due chiacchiere”. Stava per continuare a raccontare, ma fu interrotta dalla furia di Jared, che alzandosi in piedi le urlò contro: “Emma, ma sei impazzita? Ma da che razza di parte stai?”
“Jared, smettila! Non è una gara, non si tratta di tifare per qualcuno. È la vostra vita e ve la state rovinando entrambi per uno stupido battibecco” urlò di rimando Emma, livida in volto. “E comunque non ci sono andata leggera, ma questo non ti interessa”
Jared la fissò per qualche minuto, sentendosi un cretino per aver dubitato dell’affetto che la donna nutriva per lui. Poi si sedette di nuovo e fissando il piano della cucina trovò il coraggio di chiedere l’unica cosa che voleva sapere: “Come sta?”. La sua voce era un sussurro e solo lui sapeva quanto gli costasse ammettere che gli mancava e che voleva davvero che lei stesse bene. Ammettere che gli interessa sapere che stesse bene.
Emma sorrise piano e poi gli disse: “Sta male, Jared. Esattamente come te…”
“Io sto benissimo” ruggì lui, tornando a guardarla come un animale ferito. O un bambino capriccioso.
Emma sospirò e fece finta di non aver sentito quell’intromissione inutile: “Come te, dicevo. È confusa, sta facendo una marea di caos e non se ne rende conto. Dovreste parlare”
“Io ci ho provato”
“Ah si?”
“Si” sospirò Jared, lasciandosi andare contro la spalliera dello sgabello e alzando gli occhi sul soffitto. Li chiuse e continuò: “Tu me l’avevi consigliato ed io l’ho fatto, solo che ci ho trovato un altro e me ne sono andato. E’ tutto finito, Emma”
Emma non trovò niente di intelligente da dirgli, le venne solo voglia di schiaffeggiare Miriam e farla tornare sulla retta via. Aggirò il bancone della cucina e andò verso Jared, mettendogli un braccio sulla spalla e attirandolo a sé. “Vieni qua, testone”
“Non ho bisogno di coccole”
“Tuo nipote vorrebbe nascere seranamente e fra te e quell’altro non si sa quanto ci riusciremo. Potresti gentilmente non opporre resistenza a questo momento di affetto?” gli disse, scherzando. Jared si alzò in silenzio e la abbracciò, stringendola quanto bastava a sentire la sua pancia premere sul suo petto: sarebbe stato bello avere quella sensazione da Miriam, pensò per un momento, prima di chiudere gli occhi e lasciare andare quel pensiero doloroso.
Emma si accoccolò in quell’abbraccio e sperò che Jared potesse smettere di soffrire, perché lei si, lei gli voleva davvero molto bene.

         Quella settimana passò pigramente. Jared e Shannon non si erano chiariti e si parlavano quasi solo per questioni urgenti. Tomo viveva su una nuvola e passava tutto il tempo al telefono con Vicki ed Emma era nervosa, sempre più nervosa.
Quel 16 Agosto, Emma aveva deciso di tornare al Lab a vedere come stavano le cose. Mancava da lì da troppo tempo e nonostante sapeva che la sua sostituta fosse eccellente, le mancavano i suoi amici e il suo ufficio molto anticonvenzionale.
Entrò raggiante con la colazione per tutti, ma si stupì nel trovare in sala solo Jared, seduto al pianoforte con le cuffie sulle orecchie. Gli si avvicinò piano e scostando la cuffia sussurrò: “Sono tornata!”
“Ehi, mi hai messo paura!” le disse alzandosi e abbassando le cuffie sul collo. “Che ci fai qui?”
“Sorpresa! Mi annoiavo in casa”
“Con questo tempo hai pensato bene di metterti in macchina?” la sgridò lei, notando che le nuvole ormai erano più frequenti del sole a Los Angeles. Era senza dubbio un agosto strano.
“No, ho preso un taxi, rompiscatole!” reagì lei, facendogli la linguaccia. “Dove sono tutti?”
“Non saprei. Tuo marito è scappato via poco fa e Tomo è corso da Vicki. Cioè in realtà ha detto che doveva andare a ritirare un pacco, ma sono sicurissimo si sia messo d’accordo per una sveltina nel bagno dell’ufficio di Vicki”
“Jared!”
“Ma che c’è? E’ così! Sono dieci giorni che tuba e non si stacca dal cellulare un attimo. Ogni tanto prende e sparisce con scuse assurde, poi torna dopo qualche ora con un sorriso assurdo. Cosa vuoi che faccia? Vada a giocare al golf?”
“Sei un maniaco!” rise Emma, sedendosi sul divano.
“Disse colei che ha sposato Mister like having sex2
Emma rise ricordando quel particolare: "Erano bei tempi quelli, per lui. Altro che ora: guardami!" si lamentò riferendosi alla sua forma fisica perduta.
"Ma smettila... Shannon mi ha confessato di trovarti irresistibile" gli sussurrò Jared, con una mano davanti la bocca per non farsi sentire da invisibili spettatori. Poi, serio, le disse: "Come stai?"

“Bene”
“Sicura?”
“Si, sono nervosa, ma credo sia il tempo. I temporali mi agitano”
“Sei australiana” disse Jared, come se il collegamento che aveva fatto nel suo cervello fosse ovvio. 
“E cosa c’entra?”
“Gli australiani sono abituati a ben peggio che a dei semplici temporali”
“Jared, oggi sei più strano del solito e non ho voglia di sapere perché, davvero”. In quel momento Shayla entrò in sala, con un sorriso particolarmente acceso, che si spense non appena vide che Emma era seduta sul divano. “Ciao, Shayla” disse educatamente Emma, squadrandola. Non le era andato giù l’episodio di qualche tempo prima, anche se sapeva che Shannon non aveva flirtato con lei per un secondo fine.
“Ehi, Emma, ciao!” rispose. Finta, fintissima.
“Shayla, ti serviva qualcosa?” intervenne Jared, guardandola e spogliandola con gli occhi.
Shayla lo guardò e pensò di rispondere: “Si, mi servivi tu in realtà” poi si morse la lingua e sorridendo disse: “No, niente di importante. Posso tornare dopo”
“Sicura niente di importante?” la sfidò Jared, sorridendole appena e vedendo che lei arrossiva.
“No, assolutamente” rispose sicura, riprendendo quel controllo che Jared trovava così intrigante.
“Strano, mi sembrava che ieri avessimo parlato di quel…” si interruppe e cercò la parola giusta. “… progetto e avessimo concordato che era davvero importante”
“Il mezzo che usi per porre in essere il progetto però, no, lui non è così importante, Jared” gli disse, calcando sul suo nome, perché sapeva che lo mandava in estasi.
Emma li osservò a bocca aperta: stavano flirtando davanti a lei? Davvero stava accadendo? Rimase in silenzio, fino a che Shayla, certa di aver colpito Jared, lasciò la sala. Poi parlò: “Scusa, da quanto?”
“Cosa?”
“Non ho tempo. Da quanto?”
“Non è niente di serio. L’abbiamo fatto due, tre volte al massimo”
“Hai capito Shayla…” rise Emma, improvvisamente più rilassata.
“Te l’ho già detto che è tardi per essere gelosa di me” la prese in giro lui.
“Ah ma guarda… puoi anche portare avanti questa storiella per anni eh. Almeno smette di puntare mio marito” si lasciò sfuggire. Shannon le aveva confidato di sapere che Shayla avesse un debole per lui, anche se le aveva giurato di non averne mai approfittato, né di averlo mai detto a nessuno, per rispetto dei suoi sentimenti.
“Scusa!?”
Emma si morse la lingua, sentendo di aver parlato troppo. Poi lo guardò e con occhi colpevoli si accinse a fargli giurare di non dire niente a nessuno. Come al liceo. Solo che un dolore improvviso al ventre la bloccò e la costrinse a smettere di parlare.
“Emma, che c’è?”
“Io… io…” non riusciva a parlare.
“Emma, spiegami, dimmi che c’è!” disse fermamente Jared, prendendola per le braccia. “Ti senti male?”
“Credo che mi si siano rotte le acque” sussurrò appena lei.
“Cosa?”
“Le acque, Jared. Mi si sono rotte le acque” ripetè Emma, sempre più in preda al panico.
“E questo…”
“Jared, tuo nipote sta nascendo!” urlò Emma, sperando che quella frase gli fosse chiara.
“E che cosa facciamo?”
“Chiama qualcuno, non voglio che nasca in sala, ti prego, Jared!” urlò di nuovo lei. Era arrivata la prima contrazione e non era per niente un bel momento come tutti lo descrivavano: dov’era la magia del parto? Pensò piegandosi su se stessa. Lo sapeva che era un bufala, lo sapeva che aveva ragione a non amare per niente quella cosa.
“Ok, intanto tu vieni qui, siediti che ora chiamo Shannon”
“Shannon…” si interruppe iniziando a continuare. “Non è…” ancora una contrazione che le tagliò il respiro. “Un medico!” disse infine, riuscendo a completare la frase.
“No, giusto, non lo è. Chiamo il tuo ginecologo!” disse come se avesse avuto l’intuizione del secolo. “Il numero?”
“Hai la macchina?” riuscì a dirgli, mentre cercava di ragionare.
“Si”
“Bene” respirò forte per placare l’arrivo di un’altra contrazione. “Portami in clinica”
“D’accordo, andiamo” disse Jared in preda al panico. Prese le chiavi e si diresse verso la porta, quando fu sulla soglia sentì un lamento e si arrestò. “Emma, muoviti!” urlò non vedendola dietro di lui.
“Devi aiutarmi, Jared” si lamentò lei, ancora seduta sul divano. “Ti prego, ragiona, cerca di ragionare. Ti prego” disse quasi fra le lacrime vedendolo tornare indietro per sorreggerla.

         Miriam arrivò alla caffetteria, dove ormai passava troppo tempo, e si sedette in un posto lontano, ordinando un caffè nero, amaro, così come amara si era trasformata la sua mattina, lei che voleva solamente chiedere scusa a Shannon e spiegargli alcune cose.
Si prese il viso fra le mani, finendo di passare le dita fra i capelli, poi guardò l’oceano e pensò a Kiki: in poco meno di un mese era successo l’inferno. Aveva perso Jared, aveva scoperto del suicidio della sua amica, aveva evitato Tomo con tutte le sue forze, aveva litigato con Shannon, offendendolo per giunta e si era battuta contro le parole scontrose di Emma. Aveva perso tutto e si sentiva più sola di prima: forse l’indipendenza che tanto aveva cercato non era così importante. Nell’ultimo periodo, infatti, dopo aver iniziato a frequentare Christopher, si era circondata di persone affabili e gentili, che iniziava a credere fossero davvero amici. Aveva raccontato loro di essersi trasferita da un paio di mesi per lavoro, il che era molto distante dalla realtà, ma quella realtà lei voleva cancellarla; erano quasi tutti colleghi dell’ufficio, e alcuni erano loro amici, con il risultato che Miriam era entrata in un gruppo che somigliava pericolosamente a quello che aveva avuto a Parigi per anni e che per anni aveva denigrato.
Il suo umore ne aveva risentito: aveva smesso di ascoltare la sua musica preferendo generi molto più chic, quali classica o jazz, aveva dismesso i jeans strappati che piacevano tanto a Jared, in favore di gonne al ginocchio dai colori pastello e camicie di lino o seta. Aveva smesso di lasciare i suoi capelli ribelli liberi, costringendoli in acconciature stilose e perfettamente d’altri tempi. Era molto cambiata, ma sembrava non accorgersene molto, o comunque sembrava stare bene con la sua nuova persona. Solo Shannon le aveva sbattuto in faccia la realtà e lei per difendersi da un’accusa che sembrava colpirla troppo nel profondo, aveva offeso la sua vita in maniera meschina e acida.
Il chiacchiericcio del locale fu azzerato per un momento da un tuono e Miriam si rese conto che il temporale che annunciavano da giorni era finalmente arrivato: amava la pioggia, forse l’avrebbe aiutata. Finì il suo caffè, pagò e chiamò un taxi per tornare a casa, o forse per sparire chissà dove.

         “Shannon, corri in clinica. Tua moglie sta partorendo” disse Jared, facendo la gincana nel traffico. Buttò un’occhiata al sedile del passeggero e vide Emma stringere i denti e poi non riuscire a trattenere un urlo che lacerò l’abitacolo dell’auto in maniera più fastidiosa dei tuoni che si stavano abbattendo su Los Angeles.
“Emma! È Emma che urla?” disse Shannon dall’altro lato del telefono. Jared aveva inserito il bluetooth e la chiamata era in vivavoce nell’abitacolo.
“Si, è lei che urla, Shan, chi vuoi che sia?”
“Se si perde la nascita di suo figlio lo ammazzo” sussurrò Emma, stringendo i denti.
“Ha detto…”
“Jared, ho sentito! Sono in vivavoce!” lo aggredì Shannon.
“Ok, ok, sta calmo. Corri, noi stiamo arrivando. Ah e chiama il ginecologo” aggiunse.
“Dici che è meglio al cellulare o allo studio?”
“Shannon, ma che cazzo ne so io! Chiamalo e basta!” gridò Jared, lasciando il volante per l’esasperazione.
“Jared, il volante!”. Emma allungò un mano per prendere il controllo dell’auto. “Non voglio morire” disse poi, guardandolo come se avesse voluto ucciderlo.
“Jared sta attento, è mia moglie quella in macchina con te!”
“Shan, non sto uccidendo nessuno. Sbrigati”.
“Avresti potuto chiamare un taxi, sarebbe stato più sicuro” borbottò Shannon.
Jared riprese il controllo e poi alzò gli occhi al cielo: “Si avrei potuto chiamare un taxi, è vero, ma il taxi avrebbe impiegato del tempo per arrivare…”
“Basta!”. Emma li mise a tacere entrambi e per un momento nessuno fiatò. “Tu guida, veloce” disse a Jared. “Tu, ovunque sia, fra cinque minuti vedi di essere in clinica. Ti distruggo la batteria, Shannon” aggiunse rivolta al marito.
“Corro, amore, tu respira…”
“E nel frattempo cerca di dimenticare il termine respira”
“D’accordo. A dopo”
Jared rimase in silenzio e la portò in clinica, chiedendosi perché mai avesse dovuto assistere lui al momento topico della nascita di suo nipote. 

        A Los Angeles si stava abbattendo un temporale senza precedenti, ancora  più forte di quello della settimana prima. Soffiava un vento freddo e violento e le palme di West Hollywood erano quasi piegate. Strano, considerando che fosse pieno agosto.
Miriam si strinse nel pullover grigio topo più grande di almeno una taglia e si acciambellò sul divano, nel silenzio assoluto, squarciato solo dalla pioggia. Quando era tornata a casa dall’ufficio, bagnata fradicia, si era fatta una doccia calda e si era chiusa negli abiti più sformati che avesse, sperando che quelli la aiutassero a sparire davvero. Erano passate quattro ore e lei era ancora lì, purtroppo. Sbuffò dirigendosi verso l’angolo cottura. Il suo primo giorno di ferie passato così, che felicità!
Guardò il calendario appeso al frigorifero e provò un’ondata di rabbia che la attanagliò tanto da farle venire l’idea di scagliarlo giù dalla finestra: odiava quei fogli di carta che la costringevano a fare i conti con la realtà, sempre. Trentatre giorni senza Jared. Venti senza Shannon, Emma e Tomo. Era dura, durissima. Chiuse gli occhi sostenendosi all’isola della cucina e sentì il bollitore arrivare in salvo, segnalando che l’acqua era pronta.
La verso nella tazza e ci infilò una bustina di thè alla cannella e arancia, mettendo anche un cucchiaino di miele. Il miele nel thè era qualcosa di tipicamente francese, e in quei giorni lei sentiva molto la mancanza di Parigi, di sua madre, della Senna e dei bistrot. Pensò, andando a sedersi sul divano, di sfruttare quei giorni di ferie per tornarsene un po’ in Europa, forse le avrebbe fatto bene.
Il campanello la svegliò da quel pensiero, e la costrinse a lasciare sul tavolino il portatile, aperto sulla pagina di un noto sito web per prenotazione di voli.
Con la tazza di thè in mano andò ad aprire e si ritrovò davanti Chris, elegantemente chiuso nel suo impermeabile nero, con un vassoio di cupcakes in mano.
“Ciao, cara” la salutò, avvicina dosi per un dolcissimo bacio sulla guancia. Le cose fra loro erano ormai così da qualche settimana, anche se Miriam non avrebbe saputo dire esattamente da quando si erano ufficializzate. Lo osservò e si fece violenza per non pensare a Jared: i due uomini erano così differenti fra loro, pensò. Chris le aveva permesso stabilità e indipendenza, era un uomo buono, di ottima famiglia, che vestita di classe e faceva un lavoro molto ambito. Aveva una villetta in una periferia residenziale di Los Angeles, un ottimo conto in banca e l’estate andava sempre negli Hamptons, sulla East Cost, dove aveva dei parenti e una casa in riva al mare. La vita con lui era rosa, sempre dentro le righe, sempre rispettando le regole; era una vita che a Miriam stava stretta, era scappata da Parigi per quello e perché con Jared aveva trovato un mondo in cui portare jeans strappati e girare in infradito era considerato normale. La normalità con Jared era la semplicità di poter fare quello che vuoi quando vuoi, era il non sapere cosa volesse dire la parola etichetta e il potersi permettere ridere forte, anche a tavola. Pensò che aveva lasciato andare tutte quelle belle sensazioni per un capriccio che ora non ricordava neanche più e che si era, di nuovo, ingabbiata in qualcosa che la rendeva morta dentro.
Sospirò e tornò vigile, mentre Chris la stava bombardando di informazioni su quella settimana, in cui anche lui aveva preso, casualmente, le ferie. Come Miriam. Casualmente.
“… quindi ti va bene?” le disse guardandola.
“Ehm, si credo di si, Chris” rispose Miriam poco convinta. Non sapeva a cosa stesse dando il consenso, perché non aveva sentito nulla di ciò che le era stato detto.
“Non mi hai ascoltato, vero?” le chiese quasi paterno, come se volesse sgridarla dolcemente.
“No, scusami” si arrese lei.
“Ti ho detto che pensavo di partire domani per New York, e raggiungere gli Hamptons solo dopo domani, così avremo il tempo di fare un viaggio calmo e magari cenare romanticamente nella Grande Mela. Conosco un posto molto bello, dove mi piacerebbe portarti”
“Ah, New York… sai, in realtà stavo pensando di tornare a Parigi per qualche giorno”
“Parigi? Chery, ma la mia famiglia ci aspetta per il ricevimento di nozze di mia cugina Margaret, non posso assolutamente mancare. Sii ragionevole”
“Va bene, vorrà dire che tornerò a Parigi in autunno” disse Miriam, remissiva come solo negli ultimi tempi aveva imparato ad essere. La verità era che era stufa di litigare, lottare, urlare e quindi si stava semplicemente facendo trasportare da una situazione che le sembrava giusta.
“Chris, scusami ho bisogno di fare una doccia”. Era una scusa pietosa, ma doveva allontanarsi da lui e stare sola. Voleva che lui andasse via, ma non aveva il coraggio e la forza per dirglielo. Così preferì chiudersi in bagno.
“Sicuro, tranquilla. Io guarderò un po’ di televisione e poi andiamo a cena fuori” disse sicuro. Miriam annuì ed entrando in camera pensò di organizzare un bagaglio, anche se non aveva assolutamente voglia di partire, men che meno di andare a conoscere la famiglia di Chris negli Hamptons.
Aprì l’armadio ed iniziò a prendere vestiti, piegandoli ordinatamente sul letto. Camicie di seta dai delicati colori pastello, gonne plissettate, pantaloni di lino scuri, ballerine impreziosite da strass delicati. Guardò il suo nuovo guardaroba, interamente consigliatole da Chris e le venne un moto di rabbia: aveva sempre indossato quelle cose per il lavoro, per le occasioni eleganti, ma dentro di sé, in casa era una ragazzaccia da tshirt e Converse. Ora non sapeva neanche più dove fossero finite le sue Converse. Chiuse gli occhi amareggiata, e pensò che aveva permesso che Chris costruisse la donna dei suoi sogni, plasmandola sulla sua forma delicata e fragile dopo la rottura con Jared. Iniziò a frugare freneticamente dentro l’armadio, cercando qualcosa, qualsiasi cosa che le ricordasse come si sentiva viva quando Jared era nella sua vita e si accorse che non le mancava solo la libertà, come credeva, ma le mancava proprio lui. La sua pelle, il suo odore, i suoi sorrisi, le sue mani… i suoi occhi.
Si sedette a terra, poggiando la schiena al letto e in quel momento vide i jeans che le aveva regalato Shannon in inverno: erano un modello strano, asimmetrico e con toppe di tutti i colori sparse sulla stoffa dura. Li aveva amati dal primo momento che li aveva visti ed erano diventati un po’ il suo capo preferito. Erano relegati in fondo ad un cassetto, dove aveva messo anche le sue maglie e tutte le pashmine che Chris odiava tanto e che erano state sostituite da preziosi foulard.
Li prese piano, rimanendo seduta in terra e li odorò: avevano ancora l’odore del detersivo che usava Jared e quasi riuscì a percepire l’odore di casa sua. Li guardò a lungo e poi piano, li indossò, sentendoli comodi come sempre. Guardandosi allo specchio capì che aveva messo da parte, di nuovo, se stessa, permettendo a qualcuno di farle il lavaggio del cervello, senza nemmeno lamentarsi. Shannon aveva ragione, Emma aveva ragione.
Dopo aver litigato con lui, e aver urlato in faccia ad Emma la stessa mattina, non li aveva più sentiti. Né loro, né Tomo. Erano scomparsi, avevano smesso di chiamarla, di cercarla e se in un primo momento ne era stata completamente felice, con il passare dei giorni, si era resa conto che quella felicità non esisteva veramente e che lei avrebbe voluto tanto parlargli di nuovo a tutti e tre. Rivoleva i suoi amici, quello che erano loro e quello che lei era quando stava con loro.
Era un sensazione strana, che non riusciva a spiegare, ma le mancava il sentirsi compresa e non giudicata, le mancava il potersi presentare a casa loro con i capelli legati male e il trucco sfatto, sicura che nessuno le avrebbe fatto notare nulla. Le mancavano loro, in tutto e per tutto. Ma era tardi per rimediare: aveva chiesto scusa un’infinità di volte, non le avrebbero più creduto.
Abbassò gli occhi piano, sganciando i jeans pronta a toglierseli, pensando che avrebbe potuto continuare la sua vita senza di loro, permettendosi di indossare quei jeans di tanto in tanto per ricordarli. Jared era un discorso a parte: non avrebbe mai più amato, come aveva amato lui. Non avrebbe mai più provato le sensazione che le regalava lui. Ma se l’era cercato, ed ora avrebbe dovuto farci i conti. Forse per sempre. Si rassegnò e sospirò pesantemente, quando sentì il cellulare squillare. Lo prese al volo e si stupì: era Tomo.
Rimase imbambolata fino a quando il cellulare smise di squillare e subito dopo le arrivò un sms. Lo aprì con le mani tremanti: “Miriam, volevo solo dirti che Shannon ed Emma sono diventati mamma e papà. Credevo ti facesse piacere saperlo”. Una botta allo stomaco, forte, inaspettata la colpì. Ed improvvisamente scoppiò a piangere.

         Emma era stremata, stanca e spossata. Il travaglio era durato tanto ed il parto era stato doloroso e complicato, ma niente era troppo se paragonato alla felicità di svegliarsi nella sua camera e vedere Shannon seduto che parlava con il piccolo.
“Ehi…” disse debolmente, per attirare l’attenzione.
“Guarda chi c’è, la mamma” disse sorridendo Shannon alla piccola, alzandosi in piedi e avvicinandosi al letto. “Emma, dobbiamo ancora scegliere il nome, lo sai?” le chiese sorridendo e ricordando quanto avessero discusso nei mesi precedenti per quella questione.
Emma lo guardò e sospirando disse: “Ciao, Christine”, poi toccò piano il nasino della bimba, che aprì gli occhi e fece uno sbadiglio immenso.
“Emma…”
“Christine Leto, suona bene, mi piace e poi così non sarai costretto a confonderti fra la tua batteria e tua figlia. Ti sto evitando un sacco di grattacapi, Shannon” lo prese in giro lei. Sapeva quanto tenesse a quel nome, e quanto volesse darlo a sua figlia, lo sapeva senza che lui glielo avesse mai minimamente accennato. Sapeva a chi apparteneva quel nome, ma in fin dei conti non le importava molto: il passato è qualcosa che ci si porta dietro senza volerlo, e farcene una colpa è un errore. Il passato aveva portato Shannon ad essere quel che era, ad essere l’uomo che lei amava, ad essere finalmente suo, e niente al mondo avrebbe potuto convincerla del contrario: Shannon le aveva già ampiamente dimostrato tutto l’amore che aveva per lei. Avevano fatto un patto e avevano costruito qualcosa di grande, i nomi erano semplicemente sequele di lettere che ci identificavano.
Shannon sorrise e la guardò negli occhi, accarezzandole piano la guancia: “E’ un bel nome” disse solamente, sentendo finalmente, dopo anni, una piacevole sensazione di sollievo e felicità.
Dopo neanche mezz’ora, Emma sentì bussare alla sua porta. Shannon era andato a prendere un caffè e lei stava riposando, osservando la bimba dentro la sua culla, accanto al letto.
“Avanti” sussurrò appena, senza neanche girarsi a guardare chi fosse. La porta si aprì e rivelò tutto il suo mondo riunito lì per lei, per loro. Guardò quelli che negli anni erano diventati amici preziosi e si commosse ancora, dando la colpa agli ormoni, ma sapendo bene che così non era.
“Auguri, tesoro!” le disse Vicky correndo ad abbracciarla. Era bello averla di nuovo lì, pensò Emma: era ormai chiaro che lei e Tomo fossero tornati insieme, anche se nessuno aveva ancora fatto annunci ufficiali. Jared non la guardò nemmeno e si avvicinò subito alla culla, prendendo in braccio Christine, in maniera un po’ goffa: “Insomma, nove mesi a chiamarti mostriciattolo, e tu mi spunti fuori femmina. Un’altra donna, se cresci come tua madre, ti assicuro che ti ripudio!” disse guardandola negli occhi come se la piccola potesse capire. Poi, preso da un dubbio continuò: “A proposito, ma come ti chiami!?”
“Christine” rispose Emma sorridendo e guardando Jared sciogliersi al cospetto di tre chili di cucciolo di uomo. Era incredibile come cercasse di nascondere l’emozione e come invece, ad un occhio allenato ed esperto, fosse in balia degli eventi. “Comunque grazie Jared, è bello sentirti dire cose così commuoventi!” lo scimmiottò Emma. 
“Uhm?!”
“No, dico mi hai salutata in maniera… non so neanche come descriverla guarda”
“Ehi, qui la star è Christine, mica tu!” la rimbrottò lui, prendendo confidenza con la bambina e andando a sedersi su una poltrona.
“Se non lo conoscessi davvero bene, potrei pensare che vi sta invidiando” disse Tomo a bassa voce, rivolto a Shannon che aveva appena rimesso piede dentro la stanza. Shannon guardò suo fratello e per un momento credette di vedergli un lampo negli occhi: sapeva benissimo che quel lampo aveva un nome e veniva dall’Europa, ma non disse niente e lasciò cadere la questione.
“Mille auguri, cara, è una bellissima bambina” si intromise Constance, avvicinandosi e prendendole una mano fra le proprie.
“Grazie! E’ un’emozione immensa, Constance, qualcosa di indescrivibile”
“Lo so, lo so bene…” rispose commossa, guardando prima Shannon e poi Jared e ripensando a tantissimi anni prima.
Tomo spezzò il momento romantico e disse: “Comunque… io ti avevo promesso una cosa, e visto che sono un uomo di parola, ecco qui il tuo regalo”. Estrasse una piccola scatolina trasparente sormontata da un fiocco rosa. Al centro, su un letto di alghe vi era un piccolissimo hosomaki al salmone. Gliela porse sorridendo, fra le proteste di tutti quanti ed Emma la prese davvero commossa, pensando che non addentava del sushi da nove mesi ed era stato terribile.
“Oh, Tomo, mio Tomo, salvatore della Patria e dell’umanità tutta. Da oggi potrai chiedermi ciò che vuoi, davvero!”
“Tu sei un pazzo. Emma, amore, dai qua, non puoi mangiarne lo sai, su non fare la bambina!” iniziò Shannon, cercando di accaparrarsi la scatolina.
“Bambina? Si c’è una bambina ed è lì da qualche parte, ma in questo momento non mi interessa” rispose lei difendendo con le unghie il suo regalo e provocando l’ilarità di tutti. Jared era estraniato, definitivamente, e cullava Christine, cantando piano Alibi. Se non fosse stato per l’elemento sushi, sarebbe stata una cena bellissima.
“Calmatevi tutti!” disse ad un certo punto Tomo, cercando di attirare l’attenzione. “Può mangiarlo, il salmone è grigliato” disse ancora, vedendo l’espressione di Emma mutare. “Lo so, lo so, da ora non potrò più chiederti niente, però di più non potevo fare, su!”
“Sei un traditore, mi hai illuso” scherzò lei, aprendo la confezione e mangiando in un sol boccone l’hosomaki della discorsia. “Mmm… però è buonissimo!” esclamò subito dopo, con la bocca ancora piena e un’espressione beata sul volto.
“Vedi? Sono ancora il tuo Tomo preferito?” la prese in giro lui, chinandosi a baciarle i capelli.
“Si, ancora” disse lei, ridendo.

         Erano felici e rilassati, avevano dato fondo alle scorte di caffè della clinica e Constance aveva portato dei dolcetti per tutti, che erano stati spazzolati nelle due ore successive. Christine era un angelo e veniva continuamente sballottata a destra e sinistra: sembrava che tutti se la litigassero, mentre Emma li guardava tutti impazziti di fronte alla piccola.
“Come stai?” le chiese Shannon, piano, sedendosi sul letto vicino a lei.
“Bene, sono felice” gli disse di rimando poggiando la testa al suo petto.
In quel momento l’infermiera portò un fascio di rose immenso in camera di Emma, e tutti rimasero a fissarlo per la sua bellezza e per la curiosità di sapere chi fosse il mandatario.

        “Io non capisco, Chris. Sono miei amici, vorrei salutarli e fare loro gli auguri!” urlò Miriam. Aveva spiegato a Christopher cosa fosse successo e gli aveva detto che stava pensando di andarli a trovare, ma Christopher non si era mostrato felice, né comprensivo e avevano iniziato a litigare.
“Non sono tuoi amici, Miriam, sono persone lontane da te e dal tuo mondo, non lo capisci?”
“No, perché non è così. Mi sono stati molto vicini quando mi sono trasferita qui… io, io…” si fermò non sapendo che dire, perché la verità era che lei si era trasferita lì solo per Jared. Per nient’altro e ammetterlo davanti a Chris avrebbe instaurato una lite senza fine. Litigavano sempre quell’argomento, lui era stato chiaro fin da subito: non voleva che lei li frequentasse, erano gente che non c’entrava niente con lei, con loro, ed era bene che lei stesse lontano da quel mondo dissoluto. Ricordava ancora quando le aveva detto quelle parole la prima volta, una pugnalata le avrebbe fatto meno male. Ma la sua reazione era stata quella che lui voleva: gli aveva sorriso piano e aveva cambiato argomento, accettando quella che era a tutti gli effetti un’imposizione.
“Tu cosa, Miriam, sentiamo” la sfidò lui, poggiando le mani sui fianchi e assumendo un’espressione dura in volto.
“Io ho il diritto di fare ciò che voglio” disse lei, riprendendosi.
“Si, è vero. Allora vai, poi quando ti faranno sentire sbagliata, quando ti tratteranno come una qualsiasi persona vuota e senza importanza, non venire da me a piangere” le disse, tornando a sedersi davanti la tv.
“Loro…” iniziò Miriam, ma la mano di Chris fu più veloce, si alzò e non le diede la possibilità di continuare. La zittì con un gesto, senza bisogno di dire niente.
Miriam si chiuse in stanza e iniziò a piangere, voleva davvero andare da Shannon, ma non riusciva a fregarsene di Chris, non riusciva ad essere libera e serena. Rimase lì per un tempo infinito, fino a quando lui la andò a chiamare per uscire a cena fuori. Miriam prese tempo e fece l’unica cosa che poteva fare: chiamare un fioraio e mandare dei fiori ad Emma. Sul biglietto ci fece scrivere una cosa semplice: “Congratulazioni, sarete dei genitori meravigliosi. Vostra, Miriam”.
Chiuse la conversazione sentendo un dolore acuto alla bocca dello stomaco: poteva essere un modo per sanare qualcosa, se non con Jared ovviamente, almeno con i suoi amici ed era sicura che Tomo l’avesse avvertita per quel motivo. Invece ora avrebbero tutti pensato l’ovvio: a lei non interessava più nulla.

        “Signora Leto, questi sono per lei” le disse l’infermiera sorridendo e passandole l’enorme mazzo di fiori.
“Grazie. Di chi saranno, Shan?”
“Non lo so, siamo tutti qui. Qualche ammiratore segreto? Devo essere geloso?” le chiese assumendo una finta espressione arrabbiata.
“L’unico amante felice che io sia diventata mamma di un altro ce l’ho io, al mondo” lo prese in giro lei, prendendo il bigliettino e leggendolo. Appena lesse il nome smise di ridere e lo passò velocemente a Shannon, girando lo sguardo per vedere cosa facesse e dove fosse Jared. Per fortuna era totalmente rapito da Christine, continuava a passeggiare per la stanza parlandole di tutto e di più e non stava prestando minimamente attenzione a quel che succedeva al di fuori della bolla in cui si era rinchiuso insieme a sua nipote. Le parlava con un tono adulto, di problemi reali, di situazioni vere, le raccontava di loro, di come l'avevano aspettata e di come sarebbe cambiato tutto. 
Shannon lesse il biglietto e poi se lo ficcò in tasca, con un’espressione dura. Incrociò lo sguardo di Tomo e mimò con lo sguardo Miriam. L’uomo gli fece cenno di uscire un secondo e Shannon lo seguì nel corridoio.
“L’ho avvertita io prima. Pensavo che le facesse piacere e volevo darle il modo per tornare da noi” spiegò, quasi scusandosi.
“Evidentemente non le interessa molto tornare da noi, men che meno da Jared” liquidò la questione Shannon.
“Shan…” tentò Tomo.
“No, Tomo, no. Lei è cambiata, tu non ci hai parlato. Ora sta con quel tipo in cravatta, ha detto delle cose terribili e non è neanche venuta qui oggi. E’ finita, per tutti” rispose.

Tomo annuì tristemente, sapendo che l’amico aveva perfettamente ragione.


       


L'angolo di Sissi 

Happy New Year!!!!!!!!!!! 
Ecco a voi un regalo di buon 2015... un capitolo nuovo di zecca! 

E' stato un parto (parola scelta a caso...) ... ammetto uno dei più difficili che abbia mai scritto,
quindi se fa schifo perdonatemi e date la colpa alle lenticchie e al cotechino. 

In questo capitolo abbiamo finalmente la nascita di Christine, 
piccola dolcissimo batuffola rosa! 
Ammetto di aver ceduto al clichè che il nome della batteria di Shannon sia legato ad una donna,
ma non è importante ai fini della storia. 
Shannon ed Emma sono bellissimi, e mi piace aver costruito in quella stanza un clima allegro
e spensierato, come sono loro per me. 

Miriam spiega un pò la situazione, il suo cambiamento, ma inizia anche a dare segni di sofferenza,
forse aiutati dalla "ramanzina" che le fanno prima Shannon e poi Emma. 
Che ne pensate? 
Effettivamente si mostra come una persona debole, che non sa dire di no e che si aggrappa a questo nuovo personaggio 
(odioso) convinta che sia lui la chiave per smettere di soffrire. 

Piccola postilla: la storiella fra Shayla e Jared non è seria, non continuerà, lo giuro. 
Mi sono arrivate lamentele da ogni dove e ho deciso di fare questo piccolo spoiler, 
come regalo di inizio anno! 

2. Like having sex è riferito ad una nota intervista in cui Shannon rispondeva così al giornalista che chiedeva 
come gli piacesse passare il tempo libero.
Qui il video! AVVERTENZA: sedetevi, prima di vederlo. 

Io vi saluto e vi auguro un 2015 pieno di amore e fanfiction!!! 

Ci sentiamo prossimamente, abbracci marsosi! 

Sissi 

 
  
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