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Autore: Il Pavone e la Piantana    02/01/2015    2 recensioni
Junior e Willow sono i figli di una nuova Panem, nata sulle ceneri dei caduti e sulle cicatrici di una libertà pagata con il sangue. Sono i figli della rinascita e del dolore, della promessa di un nuovo futuro e dei fantasmi del passato, spesso talmente oscuri da adombrare perfino il giallo brillante della speranza.
«Credevo fosse normale...» Dico, in un sussurro. Mi sembra brutto dirlo a voce troppo alta, come se lo rendesse più reale.
«Ma è normale. Esattamente come te». Risponde, fredda, con un'espressione seria sul viso. Perché io sono come lei, sono il figlio di eroi di guerra che portano sulle loro spalle i dolori del passato, rendendo le nostre vite più difficili di quelle di chiunque altro.
[…]
Mi allungo nell'erba, strofinando lente le braccia lungo i fianchi, fingendo di essere di nuovo una bambina che disegna con il proprio calore una ghiandaia nella neve fresca. Ma non c'è neve da raccogliere, qui. Solo cocci, gusci vuoti di conchiglie e un listello di legno che ormai suona solo note stonate.

{Fa parte della serie Colors. || Fanfiction fortemente psicologica che tratta in modo esplicito alcune patologie psichiche}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Cresta-Odair, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Colors.'
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XIV.




La zia mi lascia singhiozzare per un po', finché non sono così stanca e triste e affranta che mi addormento con la testa sulle sue gambe.
Sogno fiori di dente di leone strappati e mostri nascosti sotto le coperte e cuori strappati e bimbi che piangono perché vogliono la mamma.
«Lei sembra avere più sale in zucca di te, demente.» La voce della zia mi solleva dalle ombre, strappando le mie braccia al tentativo di rattoppare il petto squarciato di mia madre.
«Che cazzo le hai detto?» Hanno rubato tutto il mare e il sole alla voce di Junior e tremo all'idea che tutto questo faccia ancora parte del mio incubo.
«Quello che ho detto a te, solo che lei ascolta.»
«La porto a letto.» Taglia corto, staccando le mani di Johanna dai miei capelli. Zia Jo dice qualcosa che non afferro e sospira.
Nei miei incubi, però, non c'è Junior a sollevarmi tra le sue braccia, un braccio sotto l'incavo le ginocchia e uno intorno alle mie spalle. Posso aprire gli occhi, sbattendo le palpebre sulla mascella contratta di Junior, per accertarmi di essere sveglia. «Buongiorno, Will.» Mi bacia ma non sorride. Non mi mette giù, anche se sono sveglia, come se avesse paura di lasciarmi cadere.
«Mettimi giù, so camminare.»
Non so perché lo dico.
Do fiato alla bocca senza riflettere - come al solito - e le labbra di Junior guizzano in una smorfia di disappunto.
I piedi toccano il pavimento della mia stanza.
Mi dispiace.
«Junior, aspetta.» Lo blocco sulla porta per un braccio.
Dove crede di andare?
«Non voglio che tu pianga per me, Will.» Trema tanto che, se non lo conoscessi, direi che è sul punto di piangere.
«Non si piange, mocciosa.» La sua voce, nella cornetta, è una carezza così delicata da far male.
«Mi manchi, Junior.» Rye continua a piangere fino a bucarmi le orecchie e la testa e il cuore. Voglio la mamma e Junior e zia Johanna e che tutto smetta e torni come prima. «Vieni a prendermi.»
«Vengo domani.» Sospira e il suo sospiro mi scompiglia i capelli lungo il filo del telefono «Ma tu devi promettermi di smettere di piangere.»
Annuisco, senza pensare al fatto che lui non possa vedermi.
«Promesso.»

Mi passo il dorso della mano sulle guance, stizzita.
Non hai capito niente.
«Vuoi sapere cosa ho detto a Johanna?» Stringo forte il suo gomito. Sento l'articolazione sotto le mie dita, il gelo della sua pelle.
Scuote la testa, guardando lontano. «Non ignorarmi, Finnick Junior Odair!» Lo scuoto, spingendolo a girarsi. «Non puoi scappare per sempre. Quindi sturati bene le orecchie.» Annuisce, sbuffando. Prendo un respiro profondo, scendendo lungo il suo braccio con le dita. Trovano la sua mano. La stringo forte, accarezzandone i tagli. «Le ho detto che non ti lascio.»
«Perché dici così?» Le sue dita strette intorno alle mie «Vedi? Io non ti lascio.»
«Non ti lascio andare in ogni caso, Junior. Neanche se mi cacci e mi respingi e smetti di volermi. Non ti lascio mai, non l'ho mai fatto.»
Ed è vero.
Continuerei a stringere la sua mano, impedendogli di andare a largo.
E non ho bisogno della sua costanza, di tenerlo chiuso in una gabbia o ancorato al fondale per impedirgli di volare via.
Mi basterebbe una conchiglia, un frammento di stella, una goccia di mare, per ritrovare la sue dita e intrecciarle alle mie, attraverso qualsiasi distanza.
Junior deglutisce un paio di volte e poi mi abbraccia stretta, lasciando piccoli baci fra i miei capelli.
E poi mi bacia, sollevandomi il mento con due dita, chinandosi per arrivare alla mia altezza.
Sono baci nuovi, che sanno di disperazione e di paura del futuro e di realtà, ma non sono meno belli di quelli che ci siamo scambiati sulla spiaggia o in questo letto.
Sono veri e tristi e travolgenti. E c'è un pezzo di Junior in ognuno di loro.
Ogni bacio contiene domande e risposte, dubbi e certezze, l'ultimo saluto prima di lasciarsi e il primo quando ci si ritrova.
Sussurra buongiorno, buonanotte, arrivederci, addio e bentornato, ed è tutti i saluti e le lacrime e le risate del mondo.
È un bacio rubato al mattino, una carezza regalata al risveglio, l'ultimo sospiro prima di scivolare nel sonno. È la prima onda, il primo tuffo, l'impatto shockante con l'acqua gelata e il primo sorso d'acqua salata, che brucia e pizzica fino ai polmoni.
Il braccio di Junior è il più comodo dei cuscini.
Sorrido, lasciando che le sue mani mi cullino, giocando con i miei capelli, le labbra, la linea del mio fianco.
Ogni tanto le labbra prendono il posto per le dita per un piccolo bacio, un soffio, un morsetto. Il suo naso e i suoi denti mi fanno il solletico, ma vorrei che non smettesse. Mai.
«Quando mio padre e mia madre vivevano in questa casa,» mormora sulla mia pelle, senza smettere di baciarla, «mio padre aveva riempito ogni stanza di uccelli, perché mia madre potesse svegliarsi con il loro canto. Aveva intagliato gabbie di legno e aveva insegnato a ognuno di loro a cantare solo per la mamma.» Sospira fra i miei capelli, chiudendo le palpebre. «Si occupava di loro, perché anche se mia madre amava il loro canto si dimenticava di nutrirli.» Un altro bacio, un altro sospiro. «Lui faceva queste cose, per lei. Per farla felice. E si occupava anche di lei, quando si dimenticava di sé stessa.» Li sento quasi cantare, in questa casa piena di ombre e di spettri, e li vedo agitare le loro ali variopinte nelle gabbie di legno rubato al mare e nodi, sui loro piccoli trespoli di corallo e conchiglie, illuminate dalla luce del mattino.
C'è una tale tristezza nella sua voce che non sono più certa di voler conoscere la fine della storia, ma glielo domando comunque, perché so che me lo dirà in ogni caso.
«Cosa è successo agli uccelli, Junior?»
Mi guarda negli occhi, a lungo, con quell'intensità di fuoco verde e mare, e brucia tanto che potrei quasi toccare le fiamme, allungando le dita.
«Mio padre non è più tornato.» Accomoda la mia testa sulla sua spalla, sospirando. «E sono morti tutti.»
Rimaniamo a lungo in silenzio, nel canto fantasma degli uccellini dimenticati, condannati a morire di fame e solitudine nelle loro gabbie modellate dall'amore, ognuno in lotta con i suoi mostri nell'armadio.
«Quando due persone si amano e dormono insieme, abbracciate, non hanno più paura del buio.»
«Troveremo un modo, Junior.» Lo sussurro sul suo petto, disegnando fiori e ali colorate sul suo stomaco. «Il mare lo trova sempre.»

I tre giorni seguenti scorrono veloci e inarrestabili come acqua.
Portiamo un recalcitrante Rye e delle entusiaste - anche troppo - gemelle al mare.
All'ennesimo tentativo di insegnargli a tuffarsi in un modo che non preannunci la sua morte certa - con tanto di pezzi di cranio sfracellati sulle rocce - mio fratello morde il mignolo destro di Junior così forte da farlo sanguinare.
«Questo è per mia sorella.» Sibila, tuffandosi con la grazia di una slavina a due centimetri esatti da un masso appuntito a pelo d'acqua.
Junior impreca e calcia lo scoglio, imprecando più forte.
E io lo bacio, sulle labbra e sul mignolo e di nuovo sulle labbra, promettendogli di curare ogni ferita con i miei baci.
E lo faccio, ogni notte.
Io curo le sue ferite e lui cura le mie, con baci infiniti e carezze e sussurri e bisbigli. Imparo a conoscere il suo corpo, e le sue labbra imparano a memoria ogni sentiero che riescono a tracciare sul mio.
Mi sveglio ogni mattina con Junior nel naso, nella bocca, negli occhi e nel cuore, e ogni notte lui si infila tra le mie lenzuola, come nei miei sogni, facendomi disimparare a dormire su qualsiasi cosa non sia il suo petto, la sua spalla, le sue braccia.
L'ultimo giorno sta scorrendo troppo in fretta e non riesco a fermare il tempo, trattenendolo fra le mie mani chiuse a coppa. Continua a scivolare via, acqua fra le mie dita.
Facciamo il bagno con le gemelle, incrociando le braccia per costruire un trampolino dal quale possano tuffarsi.
Mi tira a sé per la vita, quando sono distratte, per rubarmi minuscoli baci a fior di labbra.
«Mi sposerai, quando non sarai più una mocciosa?» Ride sulle mie labbra, baciandone gli angoli.
Sono ubriaca. Di Junior, d'amore, di felicità. Gli salto al collo, dimentica della gemelle, del mondo, del mare e della sabbia, baciandolo senza bisogno di respirare, e lui si sottrae, sfuggendo in acqua per nascondere le sue orecchie paonazze.
«Sarò sempre una mocciosa!» Lo inseguo, tuffandomi per riacciuffarlo. Junior mi schizza e ride e arrossisce e credo di non essere mai stata più felice di così.
Poi il significato delle mie parole raggiunge il suo cervello pieno d'acqua. Si blocca, sospeso nell'atto di schizzarmi acqua salata con i palmi aperti, e assume quell'espressione alla Willow è cattiva e mi ha fatto la bua!.
Lo fa perché sa che non riesco a resistere al bambino ferito che si sovrappone all'adulto esasperante.
Maledetto.
Infilo gli indici nel bordo del suo costume, tirandolo verso di me. Si lascia trasportare dalle mie dita e dall'acqua senza opporre resistenza.
«Ma ti sposerò lo stesso, un giorno, anche se sei cattivo.» Gli sorrido tanto che mi fa male la faccia e la faccia deve fare male anche a lui, a furia di risate e sorrisi e baci.
«Willow, non in pubblico!» Sguscia via dalle mie braccia, dalle mie labbra, distendendosi al sole.
«Perché no?» Metto il broncio, tamburellando il piede sulla sabbia.
«Perché lo dico io.» Rotola sulla pancia, voltandomi la schiena. «E io sono più grande quindi ho sempre ragione.»
E poi capisco perché no.
Lunghi capelli biondi che ondeggiano in lontananza sopra lunghissime gambe, prosperosi fianchi abbronzati e un ancor più prosperoso seno, strizzato in un minuscolo costumino rosso che lascia pochissimo all'immaginazione. Giusto il tono dei peli pubici e la tinta esatta dei capezzoli.
Una delle bionde di Junior.
E io, nel mio prendisole bianco, sembro una patetica, bassa bambina rachitica, accostata a quei pezzettini di tessuto sul punto di esplodere.
«Ciao Finn!» Esclama, giuliva, e vorrei vederla annegare, strozzata dal suo costume da sgualdrina.
Provo una malsana gioia nell'immaginarla diventare prima rossa, poi cianotica e infine bluastra, soffocata dalle sue grazie.
Dovrebbe essere illegale, andare in giro conciati in questo modo.
Si inginocchia nella sabbia, posando una mano sulla spalla di Junior, e il costume nella mia immaginazione si trasforma lentamente nelle mie mani da bambina rachitica, chiuse ad artiglio intorno al suo collo biondo.
«Ciao, Sandy.» Junior resta immobile, lasciandosi toccare da quelle mani laccate di rosso.
Sandy? Che razza di nome è Sandy?
La stretta intorno al collo di Sandy si stringe e si stringe, strozzando anche Junior.
«Non sei venuto mercoledì, Finn.» Le unghie laccate si muovono, lente, sfiorando il disegno di lentiggini sulla sua spalla.
La odio.
Bucava conchiglie per me, mercoledì. Stronza.
Io non posso baciarlo, ma Sandy la stronza può toccare le sue lentiggini come fossero sue.
«Ciao!» La voce mi esce fuori più stridula di quello che vorrei. Da patetica, rachitica mocciosa. Contento, Junior?
Anzi no,
Finn.
Contento, Finn?
Le tendo la mano, sperando che la accetti per spezzarle ogni singola falange. «Io sono Willow, la sua-»
La sua cosa?
La voce rimane sospesa a mezz'aria come la mia mano, nell'attesa della stretta di Sandy-la-stronza.
La sua cosa? La sua pseudo cuginetta con la cotta con cui lui ha magnanimamente deciso di fare l'amore e passare la sua settimana di ferie in simpatia?
Quella che domani riparte, così può tornare a divertirsi sul serio con le bionde tettone?

Il cuore mi cade nei talloni e il mio mondo si riempie di crepe e frana, inghiottendomi.
Sandy-la-stronza alza un sopracciglio.
«Niente, solo Willow che ora deve scappare. Addio.» Mi giro sui tacchi, di corsa, terrorizzata all'idea che Sandy-la-stronza possa vedermi piangere.
Diventa tutto appannato e la sabbia mi rallenta, ma continuo a correre.
Sono così furiosa che divento fuoco e tempesta e voragine, che distrugge tutto, spazzandolo via.
Tutto. Tutto distrutto.
Mi bruciano le piante dei piedi e i polmoni e gli occhi e il cuore.
Soprattutto il cuore.
E vaffanculo le collane di conchiglie e gli uccellini morti di solitudine e le promesse e i baci e le torte al cioccolato e le carezze e gli scogli e la sabbia che appartiene al mare e i fiori e le ali colorate e i delfini e tutto. Ma soprattutto vaffanculo tu, Junior.
No, scusa,
Finn.
Vaffanculo tu, Finn.

«Willow!» Una mano mi agguanta un braccio, costringendomi a voltarmi. «Ma si può sapere cosa ti prende?» Junior mi guarda, ansante e stravolto dal fiatone, chinandosi sulle ginocchia senza lasciarmi andare.
È così dispiaciuto e sfatto - la famosa espressione Will è cattiva e mi ha fatto la bua! - che sono quasi tentata di scusarmi.
Quasi.
Poi ripenso alle unghie laccate di Sandy-la-stronza sulle sue efelidi e la colazione mi risale l'esofago.
«Ti rendi conto che mi hai mollato tuo fratello e le gemelle?»
Ah.
Allora è questo, il punto.
Non ha tempo di badare ai mocciosi, con Sandy-la-stronza nei paraggi.
Mi sembra giusto, Finn.
«Scusa.» Ribatto, scrollandomelo di dosso con uno strappo secco «Per fortuna da domani nessuno di noi ti disturberà più.»
Apre e chiude la bocca un paio di volte. Mi afferra per le spalle e boccheggia, un pesce fuor d'acqua, mentre la fronte gli si imperla di sudore.
«Sei impazzita?» Ha gli occhi tanto sgranati che tendo le mani per raccoglierli, nel caso dovessero scivolargli fuori dalle orbite, rotolando in strada.
Scuoto con decisione la testa. Non me ne frega niente della sua sceneggiata. Tornasse a farsi toccare dal costumino di Sandy-la-stronza.
«Ancora qui, Finn? Non torni da Sandy?» Junior impallidisce sotto l'abbronzatura fino a diventare verdastro.
E si sbatte con violenza i palmi sul viso.
Più volte.
Slap!
«Smettila di picchiarti, scemo!» L'istinto ha la meglio sulla rabbia. Gli prendo i polsi fra le mani, scostandoli dal suo viso.
Ha le guance arrossate ed è ancora più sudato.
Ed è sempre bellissimo, accidenti a lui.
«La sua ragazza! Ecco cosa volevi dire!» Ride e tenta di abbracciarmi, indifferente agli schiaffi che tiro alle sue braccia nel tentativo di liberarmi.
«Non mi toccare!» Strepito, continuando a cercare di staccarmelo di dosso.
È come colpire un gigantesco muro di gomma: inutile.
«Sei gelosa! La mia mocciosa è gelosa!»
Mi bacia i capelli e io sospiro, rassegnata.
Stiamo rasentando la follia. Spero se ne accorga.
Continua a vaneggiare cose senza senso per un po'. Lo lascio fare, paziente, finché la pazienza non si esaurisce.
«Abbiamo finito?» «No!» Il cretino gongola, continuando a sudarmi freddo addosso. «Ti sto abbracciando in pubblico, mocciosa prepotente, non ignorarmi.»
Oh.
Il mio cuore striscia lentamente dai talloni al suo posto nel petto, ridacchiando nella scalata.
Ero così furiosa da non essermene neppure resa conto.
«Non potrei neanche volendo,» borbotto, appoggiando il viso sul suo petto «mi stai sudando addosso, Finn
Resto immobile per un po', ascoltando il battito del suo cuore.
La tempesta passa, veloce come era arrivata, e le nuvole nere si disperdono, scoprendo frammenti del nostro cielo color acquamarina.
«Ti dà tanto fastidio?» Domanda, chinandosi per baciarmi la fronte.
«Chi? Sandy-la-stronza?»
Sì, da morire. Per caso si nota? Ricomincia a sghignazzare, scompigliandomi i capelli.
«Si chiama solo Sandy. È una collega, siamo nella stessa squadra.»
Bene! Ora sì che parto tranquilla!
«Ed è felicemente fidanzata.» Lo sento ridere, mentre mi accarezza la schiena. La sua risata mi gorgoglia nel petto, irresistibile. «Con una bella ragazza di nome Wave.»
Ride e io mi sento ufficialmente la mocciosa più demente di Panem.
Sandy e Wave.
E io sono un'idiota.
«E non farebbe differenza in ogni caso, Will. Io vedo solo te.»
Io vedo te.
Il cuore mi schizza violento fra le orecchie, lasciandomi stordita.
Alzo lo sguardo, cercando la sua espressione di questo momento per imprimerla esattamente nella memoria e portarla via con me, domani, come una foto o una conchiglia da stringere fra le dita quando sentirò la sua mancanza e non avrò le sue braccia a farmi da giaciglio.
«Mi riferivo al mio nome, comunque. Ti dà tanto fastidio?»
Scuoto la testa, ancora troppo inebetita per parlare. Perché dovrebbe?
«No. Junior mi piace.» Balbetto, sfiorandogli il mento con le dita.
«Ma io mi chiamo Finnick, mocciosa. E ho quasi trent'anni, è normale che nessuno mi chiami più così.» Mi scosta una ciocca di capelli dietro l'orecchio con un sorriso dispiaciuto.
«No.» Mi imbroncio, cocciuta, puntando la fronte contro il suo petto. «Tu sei il mio Junior.»
«Come Sua bassezza reale desidera.» Ride ancora, dandomi un ultimo, piccolissimo bacio sulla fronte, e mi scioglie dal suo abbraccio per prendermi per mano per un lungo istante, prima di ricominciare a camminare, senza sfiorarmi, verso la spiaggia.
Cammino in silenzio, seguendo il ritmo dei suoi piedi sulla sabbia. Vorrei stringergli la mano, non riesco a capire il perché di questo suo rifiuto per le effusioni in pubblico.
Mi ferisce, quasi si vergognasse di me. Glielo domando, piano, quando vediamo le gemelle, affidate a Sandy-che-non-è-una-stronza, ricoprire la povera malcapitata di sabbia.
«Ti vergogni di me?» Vedo la sua schiena paralizzarsi. I muscoli si tendono, sotto le lentiggini, per tornare a rilassarsi. Non si volta.
«Non dirlo mai più, Will.» È il suo tono senza sole e riesce a toglierlo anche a me. Non c'è luce, quando Junior non sorride. «Se la cosa è così importante per te lo farò, ma non credevo che avessi bisogno di attaccarci un'etichetta sulla fronte.»
Lo è.
Ma lui lo è di più. Con le sue luci e le sue ombre e le curve e gli angoli.
Io vedo te.
E non voglio, non vorrei mai mettere le sue ali in una gabbia per un capriccio infantile, lasciandolo morire di fame e solitudine.
«Non ti voglio cambiare, Junior.» Lo supero di qualche passo, sfiorandogli un gomito nel passargli accanto. «Vorrei solo capire.»
Lo sento borbottare e lamentarsi - che non c'è niente da capire, che sono una mocciosa viziata e ficcanaso e bla bla bla - ma le sue parole si perdono nel vento che gonfia il mio vestito, accarezzandomi le gambe.
Mi avvicino a Sandy - ormai sepolta dalla sabbia fino alle orecchie - con la coda fra le gambe e le mani in mano, strofinando i piedi nella sabbia.
«Ciao, io sono Willow Mellark.» I suoi occhi nocciola - scommetto che non è davvero bionda - si illuminano in un lampo di comprensione, udendo il mio cognome. Sorride, agitando l'unico dito lasciato scoperto dalla sabbia. «E sono una deficiente, scusami per prima.»
«Non ti preoccupare.» Sorride ancora, tentando di liberarsi «Ho capito cosa era successo quando Finn mi ha portato questi piccoli mostri supplicando di non lasciarli uccidere nessuno mentre ti correva dietro.»
Ha una bella voce, Sandy-che-non-è-una-stronza. E sembra anche simpatica.
Ma decido comunque di non aiutarla ad uscire dalla sua trappola di sabbia, perché nessuno tocca il mio Junior con quelle unghie laccate di rosso.
«Non la aiutiamo?» Chiede Junior, dopo un po', sedendosi al mio fianco nella sabbia
«Nah.» Sorrido con la mia espressione più innocente, strizzando gli occhi per proteggerli dal sole. «Ha l'aria di divertirsi così tanto...»
Lui mi fissa a bocca aperta, sollevando le sopracciglia. Guarda Sandy - il granello umano - e poi di nuovo il mio sorriso innocente.
Il sole gli bacia la punta del naso in modo irresistibile.
Voglio baciarti.
«A me non sembra.»
«Le gemelle si divertono, però.» Mi stringo nelle spalle, spostando il peso indietro sulle braccia.
«Allora Sandy è spacciata. Mai interrompere una mocciosa che si diverte.» Commenta, distendendosi con la testa su una delle mie gambe.
Ha una testa pesantissima, ma non mi sposterei neanche se il mare si rovesciasse su di noi in questo istante.
Chiude gli occhi, torcendo il naso in una piccola smorfia. Vedo le sue iridi muoversi appena sotto il reticolo di vene sottili delle palpebre. Gli accarezzo i capelli, lasciando annegare le mie dita in questo mare di onde d'oro e rame e bronzo, e lui sospira.
È bellissimo.
«Dicevo sul serio, prima.» Avvicino la fronte alla sua, richiudendomi come un'ostrica sulla sua perla.
«Cosa? Che sono grande, forte e saggio e ho sempre ragione?» Mugugna, tenendo gli occhi serrati.
«No, che sei cattivo. E brutto.» Collego le lentiggini sul dorso del suo naso disegnando stami di denti di leone con i polpastrelli. «Ma sono una mocciosa altruista, quindi ti sopporto comunque.»
Rotea gli occhi dietro le palpebre chiuse, sbuffando.
«Sul serio?»
«Sì, sul serio.» Le mie dita trovano il contorno della sua bocca. Sfioro il minuscolo neo color caffè latte sul suo labbro inferiore, un granello di spiaggia che porta sempre sul viso. «Sono fissata con i casi umani. Anzi, potrei presentarti come progetto personale in Accademia.» Spalanca gli occhi, trattenendo il fiato.
«Sì?» «Sì!» Sorrido, entusiasta, baciandogli la tempia «Papà è andato a vedere la struttura, ieri. Dice che è diversa da Biologia.» Cerco di ricordare tutti i dettagli che mio padre mi ha comunicato per telefono dopo la visita all'Accademia di Psicologia. Era così entusiasta che voleva farne degli schizzi da portarmi domani. «Gli alloggi sono esterni, perché è tutto in vetro, dai pavimenti ai soffitti alle pareti. Dicono che è perché tra la mente umana e uno psicologo non devono esserci segreti, e vogliono farci abituare all'idea. E poi c'è un giardino con le farfalle e delle lucciole che brillano anche di giorno e...»
Ma Junior non mi ascolta più. Si tira a sedere, rigido e meccanico, e il sangue torna a circolare lungo la mia coscia. Si scrolla la sabbia di dosso, senza guardarmi, e si rimette in piedi.
«Junior?» Lo tiro per il bordo del costume, perplessa.
«Non voglio parlarne.» Dice, risoluto, continuando a scuotersi invisibili granelli dalle gambe.
«Di cosa?» Rimango immobile, una mano sugli occhi per schermarli dal sole, lo sguardo sul suo collo irrigidito.
«Di tutto.» Inizia a scrollarsi anche i capelli, metodico e teso come una lenza. «Non ci voglio pensare e basta.»
«Okay.» Incrocio le braccia al petto, stizzita. «Facciamo finta che io non stia per partire.» Le mie stesse parole mi tornano in faccia, violenta risacca, impastandomi la bocca come un pugno di sabbia. «Tu non vuoi pensarci, Junior, e io invece non penso ad altro.» Nascondo il viso fra le ginocchia, abbracciando le mie gambe. È un tarlo che mi consuma. Sono impotente: non posso bloccare la lancetta del nostro orologio, né riesco più a fingere che la mia casa siano sempre state le sue braccia e il nostro mare. La mia testa non fa che girare e girare, inceppandosi sulle immagini di treni e rotaie e appuntamenti telefonici e permessi al lavoro.
Lui invece scappa, fuggendo dalla realtà come fa da ogni cosa che potrebbe farlo soffrire.
Ma non c'è più tempo neanche per fuggire. I minuti si inseguono e si sgretolano come sabbia, anche se abbiamo ancora troppe cose da fare e da dirci, baci da dare e da ricevere.
«Non abbiamo più tempo per prenderci in giro.» Sospiro, cullando la fronte fra le mie ginocchia. Guardo le dita dei miei piedi perdersi nella sabbia tiepida. Poi le sue. È immobile, continua a darmi le spalle, incerto sulla direzione da prendere per scappare dalla realtà. «Dovremmo parlare di cose come il futuro. E la realtà, tipo cosa farai lunedì, cosa farò martedì e cosa faremo ogni giorno della settimana, per ogni settimana in cui saremo divisi.»
«Adesso?»
La marea della mia rabbia risale, lenta, spumeggiando fra le mie tempie.
Inspira e espira. Espira e inspira. Ricordati che lo ami, non vuoi strozzarlo davvero. Inspira e espira.
«Sì, Junior. Adesso.» La mia irritazione ribolle nel mio tono acido. «O domani, se preferisci, seduti intorno a un tavolo con i miei genitori che fanno colazione. Oppure lunedì, per telefono.» Calcio una manciata di sabbia, immaginando di ficcargliela dritta in gola. «Come ti pare, Finn
Anche i suoi piedi se la prendono con la sabbia.
«Bene.» Trasuda nervosismo, riuscendo a stizzirmi ancora di più.
Bene, cosa? Non va bene niente, razza di demente! Bene un corno!
«Hai detto come ti pare,» sento lo scricchiolare dei granelli fra le sue dita mentre disegna due enormi virgolette nell’aria “e a me pare che non voglio parlarne.”
«Bene.»
Strozzati, deficiente.
«Bene.» Ripete, superandomi per andare a salvare Sandy-chissenefrega-se-è-stronza-o-no dalle grinfie delle gemelle.
Raccatto i teli con studiata – dalle mie mani che prudono dalla voglia di schiaffeggiarlo – lentezza, per poi scagliarli con violenza sul fondo delle borse. La paglia trema e geme sotto la mia stretta.
Lui scappa.
Dai problemi, dalle conseguenze, dalle responsabilità.
Lo vedo scherzare con la bionda tettona, aiutandola a ripulirsi dalla sabbia, dimenticandosi qualsiasi cosa io abbia potuto dirgli. Rincorre le gemelle con una tale noncuranza che avrei voglia di urlare fino a farmi esplodere i timpani.
Batto i denti tanto forte da schiacciarmi la lingua, e lui corre e saluta e prende le mie sorelle per le braccia, come se non esistessi.
Non vuole affrontare il discorso perché, per quanto forte mi stringa ogni notte, evidentemente per lui non c’è alcun discorso da affrontare.
Sono io la stupida adolescente innamorata che continua, cocciuta e ostinata, a costruire castelli di sabbia, dimenticando che ogni notte la marea li spazzerà via, riportandoli al suo posto.
Domani torneremo al nostro posto anche noi, io sulla terra, precipitando dalla mia nuvoletta rosa, e lui nel suo mare, e di noi non resterà che un’impronta sulla battigia.
La marea torna sempre, davvero, distruggendo qualsiasi cosa al suo passaggio.




Note di fine capitolo:
Buonsalveh!
Ricordiamo che su Colors Fanfic troverete tutte le storie che appartengono a questa serie, nonché il quindicesimo capitolo in anteprima di Aquamarine.
Grazie come sempre a tutti coloro che ci seguono e ci supportano...siete cuorih ♥


Ringraziamenti:
Come per ogni nostra fanfiction, non possiamo esimerci dal ringraziare tutte le persone che ci sono state vicine nella stesura della storia, quelle persone che, in qualche modo, hanno contribuito a rendere Aqua la storia che è, quindi i nostri ringraziamenti più sentiti vanno a:
radioactive che non solo ha creato per noi questo fantastico banner – e non ci stancheremo mai di dire che è una grafica nata – ma che ci ha promptate, aiutate, ispirate e che è la persona che più ci ha aiutate e spronate a scrivere Aqua. Questa fanfiction è anche sua;
_eco che ci ha fatto immaginare un incontro tra JJ e Will;
gabryweasley che ci ha seguite sin dall’inizio, amando Aqua tanto quanto noi. Che ci chiedeva di passarle i pezzi e li leggeva dicendoci sempre cosa ne pensasse.
Se amiamo tanto Aquamarine è anche merito loro ♥ Grazie per tutto, vi amiamo! ♥


Veniteh a fare le bolleh d'Assenzioh con noi nel gruppoh Facebook gestito dalla nostra meravigliosah famiglia disfunzionale ♥ A Panda piace fare le bolle d'assenzio [EFPfanfic]
Abbiamo apertoh anche una pagina Facebook dedicatah a questa serie, doveh potreteh farci qualsiasi domanda su questa raccoltah, seguire tutti gli aggiornamentih, salutareh Finnickinoh che ballah nella p0rn Narnia e devolvere zolletteh alla sua causah ♥ Vi aspettiamoh numerosih ♥ Colors.

   
 
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