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Autore: metaldolphin    02/01/2015    5 recensioni
Quando si lavora all'Istituto di Medicina Legale, bisogna avere sangue freddo e nervi saldi: io lo so bene, perchè è lì che mi sono presa la più grossa paura della mia vita...
Se volete seguirmi, vi racconto come è andata!
Genere: Generale, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Quella sera dormii male, fu come stare su una nave in tempesta in balia delle onde e al mattino il mio aspetto scarmigliato rivelava capelli arruffati ed occhiaie di tutto rispetto.

Al lavoro la solita routine ci portò a terminare le autopsie del giorno prima: non c’erano stati nuovi arrivi e non ci fu bisogno di chiedere il pomeriggio libero.
Andai in ospedale quasi di corsa, impaziente di rivedere Zoro.

Era ora di pranzo e comprai, nel breve tragitto, da mangiare, qualcosa di più appetibile di ciò che passava l’ospedale.
Feci capolino dalla porta e notai che dormiva. Cercai di non fare rumore e posai l’involto di cibarie sul tavolo da letto, quindi sedetti sulla solita sedia e lo osservai riposare.
Mi venne spontaneo allungare una mano a sfiorargli i capelli, dato che non indossava la bandana che giaceva abbandonata sul comodino; erano morbidi al tatto ed indugiai con le dita a carezzarli.
Come due giorni prima, aprì gli occhi e mi guardò, ma non sussultai per lo spavento, anche se ritrassi imbarazzata la mano.
Socchiuse gli occhi ancora sabbiosi di sonno e mi sorrise… credo che avesse capito che ogni volta che lo faceva perdevo un battito e, come sempre, avvampai.

Mangiò di gusto un po’ di tutto, amava più il salato che il dolce, con particolare predilezione per riso e carne.
Lamentò la mancanza di un qualche alcoolico, che fosse vino, birra o qualcos’altro poco gli importava, ma in ospedale era impossibile fargliene avere e poi non credevo che gli avrebbe giovato, in quelle condizioni.

Quel pomeriggio passò troppo in fretta e, prima che andassi via, mi trattenne per il polso.
-Nami,- disse con la sua voce calda e profonda -aspetta.
Il tono che aveva usato era velato di tristezza e la cosa mi inquietò.
Da sotto il cuscino estrasse una busta di carta sigillata e fece per porgermela, ma all’ultimo istante la tirò indietro e mi guardò negli occhi.
-Sai mantenere una promessa?
Era serio ed io annuii, convinta.
Pose la busta, bianca e senza scritte, sulle mie mani, che tenne strette tra le sue, così grandi e forti.
Assaporai quel contatto, poi spostai lo sguardo da quell’intreccio al suo viso.
-Promettimi che non la aprirai prima di domattina.
Era una strana richiesta, ma risposi con un secco: -Lo prometto- e solo allora lui sorrise, mi diede una stretta più forte e mi lasciò andare. Avrei voluto dargli un bacione sulla guancia, mi pareva giusto in quel momento, ma non lo feci.

Tornando a casa, la busta rimase sul sedile dell’auto accanto al mio, scomodo passeggero che sembrava schernirmi e fui tentata più volte di infrangere la promessa appena fatta.
Più tardi, fu come se mi guardasse dal comodino vicino al letto, dove l’avevo posta, pronta per essere aperta al mio risveglio, e quella notte dormii ancora peggio della precedente.

Erano le cinque del mattino, quando il telefono squillò, facendomi sobbalzare sul letto.
Col cuore in tumulto, risposi: era Chopper.
-Nami, Zoro è da te?- chiese allarmato.

Persi un battito.

-No… - riuscii a dire a fatica, la bocca arida -cosa è successo?
-È scomparso- mi comunicò con evidente disagio.
-Arrivo subito- gli gridai quasi, con la disperazione che mi faceva ritrovare la voce, chiudendo la comunicazione e balzando giù dal letto contemporaneamente.
Saltai dentro i vestiti, afferrai telefono, busta e chiavi e corsi all’auto gettando tutto in borsa strada facendo.

Lungo il tragitto non incontrai nessuno, ma due macchine della polizia stazionavano con i lampeggianti accesi all’ingresso dellì’ospedale. Trovai Chopper e Kureha che mi informarono sugli ultimi sviluppi della vicenda: -A quanto pare ha chiamato un taxi, ma non abbiamo idea di dove possa essere andato.
Ebbi un’intuizione improvvisa.
-Venite con me!- li esortai e mi seguirono senza dire una parola.
Non avvisammo la polizia, non volevo che si spaventasse, ero sicura che mi avrebbe ascoltato, grazie allo speciale rapporto che avevamo instaurato.

Guidai come un pilota di formula uno, tanto che i miei due passeggeri si aggrapparono ai sostegni dell’abitacolo a due mani e stringendo i denti.
Slittai più volte sul ghiaccio notturno che velava le strade, nella periferia in direzione del lago.
Dove la strada terminava, nella luce spenta dell’aurora, al passaggio dei fari dell’auto, Chopper avvistò una figura che si incamminava verso la lontana riva gelata.
Frenai, facendo slittare l’auto che tamponò la recinzione e scesi che ancora non si era fermata del tutto.
-Zoro! No!- gridai, ma quello mi sorrise, alzò una mano in segno di saluto e fece un salto sulla superficie gelata.
Il ghiaccio si ruppe con un rumore secco, mentre continuavo a correre e a gridare e lui sparì senza emettere un suono.

Il giorno arrivò, illuminando un’affollata riva dove poliziotti, vigili del fuoco ed i loro mezzi stazionavano in un tripudio di lampeggianti, fari e uomini rana avvolti in pesanti mute che si avvicendavano in brevi immersioni a causa dell’acqua gelida.

Lo cercarono e lo attesi per giorni, ma non fu trovato nulla.

Io sapevo perché, ma non potevo dirlo a nessuno: tre ore dopo che lo avevo visto sparire nel ghiaccio, persa ogni speranza, avevo ricordato la busta.
Ed era ormai mattina.

Da sola, seduta nella mia auto, col riscaldamento acceso al massimo per il freddo che non voleva lasciarmi, l’avevo aperta con mani tremanti e gli occhi che non smettevano di lacrimare.
Il contenuto, scritto con grafia chiara ed attenta, mi lasciò confusa:

“Carissima Nami,
Innanzitutto ti chiedo di perdonarmi.
In questi giorni mi sei stata vicina, nonostante lo spavento che ti ho fatto prendere e mi dispiace davvero, adesso, darti questo dolore.
Ti devo una spiegazione, anche se io stesso non ho le idee ben chiare, ma ci proverò ugualmente.
Devi sapere che non appartengo a questo tuo mondo, tanto strano e complicato.
Ho avuto modo di conoscerlo attraverso quello strano aggeggio che chiamate Tv e devo dire che dopotutto non è poi così male: ha pregi e difetti, esattamente come il mio.
Credo che quello che ho vissuto con te sia solo una specie di sogno, perché so che dovrei essere morto.
Ma non per le ragioni che credi tu.
Vedi, la mia realtà è ben diversa.
Sono uno spadaccino ed un pirata e stavo affrontando una dura prova, prima di svegliarmi e vederti.
La mia Ciurma era prossima alla sconfitta a causa di un nemico particolarmente forte, che stava per prendere la vita del mio Capitano.
Io l’ho sfidato a prendere la mia ed ha accettato. Non puoi immaginare il dolore che ho provato ed ho sentito il freddo della morte… poi ho visto te.
Te, che sei uguale ad una mia compagna e che ne porti lo stesso nome.
Sarà sogno o coincidenza, non so spiegartelo. Ma mi piace. Perché ti ho sentita vicina da subito e la cosa mi ha aiutato molto.
Nel mio mondo ci sono anche Chopper, Kureha e Law, dove, anche se in modi diversi, sono anche lì dei medici. Anzi, Chopper è il medico di bordo della mia nave!
Non essere triste per questo Spadaccino malmesso. Sono sicuro che mentre leggerai questa lettera sarò già tornato dai miei amici, dalla mia Nami che conosco e che, anche se meno dolce di te, ti somiglia tanto. Sono certo che si prenderà cura di me come hai saputo fare tu.
Sii felice come lo sarò io, non ti dimenticherò. Non dimenticarmi.
P.S.: Scusami se ti ho preso i soldi dalla borsa: mi servivano per il taxi e non credo che potrò renderteli…”


Era firmata a suo nome e all’inizio lo credetti il delirio di un pazzo.

Ma non fu ritrovato mai nulla di lui, nemmeno al successivo disgelo.
Nessun corpo, nessuno dei suoi effetti personali: svanito nel nulla per come era apparso.

Ed io, la Nami di questo mondo complicato, capii che in quella lettera c’era la verità.

La carta è ormai ingiallita dal tempo ed io sono anziana.
Ogni tanto la rileggo, ricordando con nostalgia i tre giorni passati con lo zombie dell’obitorio.





Nota dell’autore a pie’ (di pagina)
Ok, è il mio ad essere il delirio di una pazza, dato che qui in effetti si scopre che questa è una AU che poi tanto AU non è...
A voi la scelta:
Può essere il sogno di uno Zoro in coma dopo lo scontro con Kuma...
Può essere che la realtà effettiva sia quella descritta e che lo Zoro presentato fosse davvero un pazzo suicida…
Può essere che fossero entrambe realtà esistenti e che per qualche misterioso motivo Zoro si fosse trovato in un’universo parallelo… in tal caso date la colpa a Fringe e ai suoi universi paralleli, che ho mescolato all’episodio di Thriller Bark (si era capito il riferimento, no?)
Qualsiasi spiegazione scegliate o la vostra fantasia possa suggerire, la colpa di eventuali svarioni tecnici o medici è esclusivamente della sottoscritta, che si è comunque divertita molto a scriverla.

Un bacio alla Zomi che ha in sé uno spirito da patologa: spero che il tuo sogno si possa avverare e te la dedico, tesoro!
 
   
 
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