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Autore: syontai    04/01/2015    3 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 61
Un salvataggio all’ultimo incantesimo

Leon prese la mano di Violetta conducendola lontano da occhi indiscreti. Non aveva voglia di condividerla con nessuno, approfittava avidamente di ogni momento che poteva trascorrere con lei. Solo con lei. La sentì ridacchiare, come se lo stesse schernendo per l’impazienza che stava dimostrando in quel momento. E difatti essa prese il sopravvento, tanto che non appena svoltato l’angolo, sicuro che quell’ala del castello fosse poco frequentata, intrappolò rapidamente la ragazza tra le sua braccia, facendola arretrare per quanto fosse possibile. Quando la schiena di Violetta aderì perfettamente alla parete Leon si gustò quell’attimo di trionfo nell’averla lì, tra le sue braccia. In quel momento non poteva desiderare nient’altro. Gli occhi di Violetta, intrappolati, così come il resto del corpo, dalle sue iridi smeraldo, che indugiavano su ogni tratto del suo viso, in particolare sulle sue labbra e su quel timido sorriso che le rendeva ancora più irresistibili. Si arrese quasi subito e accostò la fronte alla sua, chiudendo gli occhi e godendosi appieno ogni sensazione, prima di sfiorare le sue labbra. Erano calde. Calde, delicate, morbide. Affondò la lingua tra di esse, lasciò che la sua bocca ne reclamasse il possesso, mentre le mani di Violetta risalivano lentamente accarezzandogli le braccia, per poi fermarsi esitanti sulle sue spalle. Leon rabbrividì al contatto delle dita con il collo, un brivido di piacere che lo travolse, interrompendo ogni contatto con il cervello. La strinse a sé con più forza e la sentì gemere tra le sue labbra. Si separò continuando però a lasciarle dei piccoli baci. Come dirle che in quel momento avrebbe voluto fare l’amore con lei più di ogni altra cosa? La desiderava, anima e corpo. Ma era quest’ultimo a manifestare gli effetti di un desiderio tanto forte. Violetta sorrise, le mani che scivolavano lascive sul petto, per poi fare leva su di esso allontanandolo di poco. Una distanza che gli risultava insopportabile. Violetta non disse nulla, si limitò a sorridere, quindi gli prese la mano, conducendolo per il corridoio. Prima camminava lentamente, poi aumentò il ritmo fino a correre. Leon si ritrovò a correre insieme a lei, cercando di capire il motivo di tanta fretta, ma soprattutto dove volesse portarlo. La stretta si fece più debole, il principe si rese conto che non riusciva a stargli dietro, era troppo veloce. Ma non voleva lasciarla. Svoltarono a destra e la mano di Violetta abbandonò la sua in un gesto che nella sua mente si ripeteva al rallentatore, ma che sapeva essere durato un attimo appena. Poi si ritrovò da solo. Davanti a lui non c’era nessuno.
“Violetta! Violetta!”. L’eco della sua stessa voce era tutto ciò che animava l’ambiente. Violetta se ne era andata, l’aveva abbandonato. E sentiva ancora il sapore del suo dolce bacio. Sentiva tutto in modo così vivido che lo stupore iniziale venne amplificato, trasformandosi in paura, in dolore. Si lasciò cadere sulle ginocchia, con la testa tra le mani, mentre la pareti continuavano ad echeggiare il nome della ragazza che gli aveva fatto toccare con mano la felicità più pura, per poi negargliela come l’essere più crudele.
Leon si svegliò, con il cuore in subbuglio, completamente cosciente. Ricordava tutti i dettagli di quel sogno, da quelli più dolci a quelli più dolorosi. Si rigirò tra le coperte, che come macigni sembravano intrappolarlo. Sbuffò e chiuse gli occhi, sperando così di prendere nuovamente sonno, ma non appena lo fece subito le immagini di quel bacio, di quella corsa disperata, di quel senso di abbandono totale tornarono a fargli visita. Non poteva pensare al suo sorriso che provava un dolore pari a quello di centinaia di pugnali conficcati nel petto. Si mise seduto di scatto, guardandosi intorno disperato, con quell’assurda speranza di vederla lì, in piedi nella sua stanza, che tornava da lui, al sicuro tra le sue braccia. Non poteva continuare con quell’illusione, non poteva vivere in quello stato. Non riusciva a dimenticarla, quello ormai gli era chiaro. L’amore che provava nei suoi confronti era troppo forte, troppo autentico. Ma allo stesso tempo sentiva di odiarla per come si era presa gioco di lui. L’amore non era solo una debolezza, era anche una punizione infernale. Quel supplizio non avrebbe avuto fine, a meno che…c’era qualcosa che avrebbe potuto cancellare tutto. Si, la morte di Violetta avrebbe potuto aiutarlo a liberarsi di quella maledizione. In quell’assurdità Leon vedeva la luce flebile di una speranza. La speranza di poter tornare la persona di un tempo, senza scrupoli, senza cuore. Violetta però non doveva solamente morire. Avrebbe dovuto ucciderla con le sue stesse mani per provare a se stesso che ormai più nulla lo legava a quella ragazza. Nulla che non potesse essere spezzato.
 
Più salivano più Francesca perdeva la cognizione del tempo. I piani si succedevano all’infinito e come sempre su ognuno di essi c’era un custode ad aspettarlo. Tra Federico ferito, la vecchia tartaruga stanca e Marcela altrettanto sfinita erano costretti a fare molte pause per riprendere le forze. Ma Francesca non riusciva a stare ferma senza fare nulla, non dopo aver visto ciò che stavano facendo a Dj. Ogni minuto poteva essere quello fatale e il solo pensiero la terrorizzava. Sperava che la magia del mago la potesse guidare, ma la scia che aveva deciso di seguire alla cieca continuava a salire verso l’alto, in una spirale che però sembrava non avere fine.
“Una cosa non capisco” disse ad un tratto Federico, sorprendendo tutti, visto che in quegli ultimi tempi era stato stranamente taciturno. “Se ci stiamo avvicinando all’uscita perché il numero di guardie non è aumentato? Continua ad esserci un’armatura incantata per piano, ma come siamo riusciti a fare fuori le altre perché non dovremmo riuscirci con queste?”. Marcela e Tartalenta annuirono, ma Francesca si irritò di fronte a quell’osservazione: che cosa intendeva dire, che non aveva fatto abbastanza? Che gli aveva fatto perdere solo tempo?
“E magari sai anche darci una spiegazione per tutto questo!” sbottò innervosita. Federico sgranò gli occhi di fronte al tono che aveva usato, decisamente aggressivo nei suoi confronti, e provò a rimettersi in piedi, ricadendo a terra con un gemito. Sospirò, convinto che non si sarebbe mai abituato a non avere più la stessa autonomia di un tempo.
“No che non ce l’ho, volevo solo dire che era una cosa strana, tutto qui”. Nonostante la calma infusa in quelle parole, Francesca non si tranquillizzò affatto. “Allora la prossima volta, tieniti per te le tue osservazioni, a meno che non siano fondate. Riprendiamo” disse, voltandosi dall’altra parte di scatto. Forse aveva esagerato. Si, aveva decisamente esagerato, ma non poteva evitare di avercela con lui. Mentre lei cercava in tutti i modi di salvare Dj Federico aveva solo da ridire sul modo in cui li stava guidando.
“Regina”. Francesca ebbe un fremito non appena si sentì chiamare con quell’appellativo; erano ormai lontani i tempi in cui indossava la corona ed era a capo del Regno di Fiori. Subito le venne in mente il colpo di stato attuato da Natalia e il finto tradimento di Federico: ecco un’altra cosa che ancora non riusciva a perdonargli del tutto. In un certo senso l’aveva usata e sebbene sapesse che l’aveva fatto solo per non destare sospetti e servire Re Pablo, si chiese con quale coraggio l’aveva fatta rinchiudere in una cella se l’amava come aveva fatto intendere con quel bacio al chiaro di luna. La voce che l’aveva chiamata era di Marcela, che si era affiancata a lei. Le sorrise stancamente prima di puntare l’attenzione sulla lunga scalinata che li attendeva. “So che la mia opinione non conta molto…” esordì timidamente la donna, abbassando lo sguardo in modo reverenziale.
“Invece è essenziale che ognuno faccia la sua parte…sentirò volentieri ciò che hai da dirmi” la interruppe subito Francesca, posandole una mano sul braccio per farle forza.
“Mi sembra di aver capito che oltre che fuggire stiamo cercando di salvare un vostro amico. Ecco, credo che sia normale avere paura di non farcela, di arrivare troppo tardi. Però quella paura non deve allontanarci dalla ragione”.
“Se ti riferisci a quello che è successo prima, io…”. Francesca tentennò, improvvisamente in imbarazzo.
“Federico mi sembra una persona leale, sincera, coraggiosa. Chiunque vorrebbe avere una persona come lui al suo fianco” continuò sicura Marcela, per niente sorpresa del lieve rossore che aveva suscitato sulle guance della regina. Ma Francesca non rispose, si limitò a scrollare appena le spalle e a procedere. La scia di luce deviò improvvisamente, e invece di andare verso la solita scalinata, si fermò sul bordo della passerella prima di gettarsi nel vuoto. Francesca si fermò sconvolta e confusa allo stesso tempo. Avevano fatto tutta quella fatica per salire e adesso le indicava tutt’altra direzione? Si affacciò e riuscì a distinguere la scia che scendeva dritta fino a interrompersi ad un punto indefinito in basso.
“Che cosa succede?” chiese Federico, appollaiato al guscio robusto della tartaruga, che si mostrò altrettanto preoccupata nel vedere la loro guida lì, ferma, con lo sguardo perso nel vuoto.
“Non capisco…” mormorò confusa.
“Da che parte dobbiamo andare?” la interrogò nuovamente il ragazzo. Seguì a rallentatore la mano di Francesca che si sollevava per poi indicare il basso.
“D-dobbiamo saltare, almeno credo”. Tutti rimasero in silenzio, nessuno osava proferire parola. Marcela si affacciò per vedere quanto fosse profondo, ma come prima non si riusciva a distinguere il fondo, solo un’infinità di scale e pianerottoli che costellavano la parete circolare, come una spirale.
“Che aspettiamo? Saltiamo, no?”. Era stato proprio Federico a parlare, ostentando un sorriso spavaldo, mentre la gamba sana tremava al solo pensiero.
“Non hai paura?” chiese Francesca, sconvolta.
“Non immagini quanta” sorrise il conte Acosta, zoppicando fino a lei. Le strinse la mano e Francesca si sentì infondere di una strana forza. Tutto il malumore che li aveva accompagnati nelle ultime ore sembrava misteriosamente svanito: c’erano solo lei, Federico e la sicurezza che le trasmetteva anche solo con quel piccolo gesto. “Ma mi fido di te” sussurrò il ragazzo, guardandola teneramente. Tartalenta e Marcela erano rimasti ad osservarli, per nulla convinti.
“Dovete fidarvi” gli disse Federico, cercando di essere il più convincente possibile. Tese la mano libera, e sebbene non se l’aspettasse fu proprio Tartalenta ad afferrarla porgendogli la sua zampa rugosa. Marcela fece un passo indietro, dubbiosa.
“Non possiamo lasciarti qui, lo sai” spiegò Francesca, supplicandola con lo sguardo. La donna era terrorizzata e sapeva bene quanto la paura potesse minare la lucidità di una persona. A lei era successo spesso in quella cella, quando era stata imprigionata.
“Andatevene invece! Perché io non ho intenzione di saltare” esclamò decisa Marcela. “Preferisco essere abbandonata…non ho più nulla. Probabilmente il mio Matias non ci sarà ad aspettarmi”.
Matias…come mai quel nome non le era nuovo? Ma certo! Il furfante che insieme ad Esmeralda aveva provato a truffarli durante il loro viaggio per raggiungere il Palazzo di Cuori.
“Io ho incontrato a Matias, e non è vero quello che dici. Lui ti sta cercando senza sosta. Io so che c’è un’uscita. Mi fido del Mana che porto dentro di me, come mi fido di Dj. Sono sicura che in qualche modo lui ci stia guidando. Ma non posso abbandonarti, non sono disposta a lasciare nessuno”.
“Nemmeno una come me? Io sono solo una donna come tante altre…non sono speciale, non ti potrei aiutare ad ottenere ciò che cerchi” ribatté Marcela, cercando di continuare a mostrarsi fredda, sebbene il suo sguardo già lasciava intendere segni di cedimento. 
“Nessuno” ripeté Francesca convinta. “Ti condurrò dalla persona che ami, se me lo permetterai”.
“Solo ad una condizione” disse la donna, stavolta con un sorriso furbo che le increspava le labbra. Le si avvicinò all’orecchio, sussurrando qualcosa. Francesca sgranò gli occhi per un istante e sembrava le fosse stato chiesto qualcosa di folle, addirittura più folle che lanciarsi nel vuoto senza sapere se ad attenderli c’era la morte o la salvezza.
“Come ti viene in mente di chiedere una cosa del genere?” sbottò la regina esasperata.
“Abbiamo un patto?” sorrise Marcela. Francesca annuì appena, quindi tornò a fissare sotto di sé. Il buio completo. Ecco a cosa stavano andando incontro. Ognuno strinse la mano del compagno vicino e insieme si sentirono più uniti, traendo da quell’unione il coraggio necessario per fare un passo avanti. Francesca alzò il piede all’unisono con gli altri, e prima di lasciarlo cadere nel vuoto rivolse un’ultima occhiata a Federico, completamente assorto in quello che stava facendo, con una goccia di sudore che gli imperlava la fronte. Prima che potesse richiamare la sua attenzione, si trovava già nel mezzo di quella caduta spericolata senza fine.
E davvero sembrava non avere mai fine. L’aria fredda e umida le sferzava il viso, sollevandogli i capelli, tutto intorno a lei vorticava paurosamente. Per un secondo ebbe paura che Marcela lasciasse la presa, ma al contrario essa era ancora più salda. Si sforzò di non urlare, sebbene il panico richiedesse quella valvola di sfogo, e attese pazientemente che quella tortura avesse fine. Non morire, non morire, tutto ma non morire…questo si ripeteva, nella speranza che la sua storia non finisse effettivamente con quell’atto di follia. Tenne gli occhi chiusi, ripetendo quella muta preghiera fino a che le parole non presero a ripetersi al di fuori del suo controllo.
Il mondo si capovolse all’improvviso. Sentiva il brivido delle vertigini, ma allo stesso tempo il sollievo di sentire i piedi poggiare su qualcosa di solido. Non aveva importanza di che si trattasse, l’importante era avere un supporto. Quando aprì gli occhi essi erano puntati sul soffitto sotto di lei. O sopra di lei? Era tutto sottosopra. Passò qualche secondo prima che intorno a lei la stanza ruotasse, facendole sentire finalmente il piacere di essere sottoposti alla forza di gravità. Il pavimento su cui poggiavano era pieno di specchi poggiati a terra. Quello su cui si trovavano loro rifletteva al suo interno esattamente il punto da cui si erano lanciati, visto dal basso. Federico mosse un piede in avanti e si guardò intorno, per poi specchiarsi su uno specchio vicino: un altro corridoio della prigione, non troppo differente da quelli che avevano visitato, ma perfino più oscuro.
“Una prigione dentro lo specchio” mormorò piano, chinandosi e passando un dito sulla superficie trasparente sotto i suoi occhi. Essa si increspò appena, per poi tornare all’aspetto originario.
“E a cosa servirebbe?” chiese Marcela, che era rimasta sconvolta da quella rivelazione: tutto quel tempo era rimasta intrappolata dentro lo specchio. Ecco perché non ricordava assolutamente nulla di come fosse finita in quel posto. Quando Federico e Francesca le avevano chiesto di una possibile uscita infatti, le era venuto un immenso vuoto nella testa.
“Penso siano varchi…sono l’unico modo per entrare e uscire dalla prigione, e ognuno di essi ha la sua copia dentro la torre, in chissà quali posti. Noi ne abbiamo attraversato uno ed eccoci qui”.
Francesca aveva prestato attenzione solo fino a metà del discorso, perché un dubbio ben più atroce la stava attanagliando: e se Dj fosse in una stanza di quella prigione infinita? Però la luce l’aveva condotta fuori, quindi questo doveva voler dire che Dj non era intrappolato in quegli specchi.
“Specchi usati come varchi…mi chiedo come Ludmilla ci sia riuscita. Che io sappia l’unico specchio in grado di far viaggiare tra diverse dimensioni venne usato da Alice per tornare nel Paese delle Meraviglie, ma non venne mai ritrovato” proseguì Federico, affascinato e allo stesso tempo spaventato dalla portata di quella scoperta. “Fino a che punto sarà arrivata la magia in possesso della regina di Quadri?” sussurrò tra sé e sé.
“L'uscita!” esclamò Francesca d’un tratto, indicando la porta blindata in fondo alla stanza. Il gruppo si avvicinò alla porta, piena di lucchetti, mandate e catenacci. Federico tese l’orecchio, ma la superficie era troppo spessa, quindi non si riusciva a distinguere alcun rumore. Rivolse un’occhiata delusa a Francesca: “Non ho idea di cosa potrebbe aspettarci lì fuori”.
“Dovremmo prima pensare a come uscire” disse Marcela, ottenendo un cenno di assenso di Tartalenta.
“Questo non è un problema” sorrise tristemente Francesca, facendogli cenno di allontanarsi. Federico però non mosse un passo indietro. La fissava intensamente, con un’espressione seria e tesa.
“Non voglio che tu ricorra al Mana se non è necessario” esclamò.
“Finché non avremo Dj con noi sono l’unica in grado di usare la magia; e per quanto possa farmi male e possa essere imprevedibile sono disposta a provarci. Ho fatto una promessa”. Guardò per un attimo Marcela che sorrise speranzosa. Fu proprio quel sorriso e far nascere dentro di lei una determinazione ancora più forte: voleva salvare il suo amico, voleva che quella povera donna, intrappolata in quella terribile prigione senza via di uscita, potesse essere felice al fianco dell’uomo che amava. Era il suo orgoglio di regina, il suo istintivo desiderio di proteggere tutti, di fare per loro il meglio possibile, a permetterle di non curarsi del dolore che il Mana le procurava scorrendo nel suo sangue, appropriandosi della sua anima per divorarla. Quando sollevò la mano essa risplendeva della sua tipica luce bianca. Non si sorprendeva più di fronte alla manifestazione dei suoi poteri, ormai ne era pienamente consapevole. Ciò che però temeva ancora era il fatto che le potessero sfuggire di controllo, come l’ultima volta in cui aveva rischiato di ferire Federico a morte.
Il ferro battuto iniziò a tremare, scosso violentemente, fino a piegarsi con un lento stridulo. I cardini furono sventrati e la porta cadde con un tonfo verso l’esterno. Fuori quella stanza passavano persone con camici bianchi e rotoli di pergamena sotto braccio. Qualcuno invece portava delle valigette nere, sigillate accuratamente. Di fronte a quel frastuono tutti si voltarono verso di loro e li squadrarono dapprima con sorpresa, poi con timore e nervosismo.
“Avvisate le guardie!” urlò uno in mezzo alla massa. Tra i camici bianchi emersero delle lance acuminate, puntate contro di loro.
“I prigionieri stanno tentando la fuga!” esclamò a gran voce un uomo sulla cinquantina e un paio di baffi voluminosi, rivolgendosi ad una delle guardie che portava cucito all’altezza del petto lo stemma di Quadri.
“E novità delle novità, riusciranno anche nel loro intento”. Tutti alzarono la testa verso l’alto, da dove proveniva la voce e rimasero senza parole di fronte alla ragazza con la coda di gatto e il pelo viola che se ne stava beata a pancia in giù, guardandoli con aria di sufficienza e un divertimento mal celato. Come le guardie si fecero avanti, lo Stregatto planò verso Francesca e gli altri. Una nuvola di fumo viola esplose nell’aria, e quando tutto intorno si fu diradato, dei prigionieri non c’era più alcuna traccia.
 
“Davvero puoi fare questo?” esclamò Federico incredulo, guardandosi le mani. Non riusciva a credere di essere appena stato teletrasportato. Era successo tutti in un attimo. Ricordava che quando aveva viaggiato nel varco creato dall’elmo il dolore alla gamba era stato talmente lancinante da fargli quasi perdere del tutto i sensi.
“Certo che può, si tratta dello Stregatto, una delle creature leggendarie del Paese delle Meraviglie” lo riprese severamente Tartalenta con voce roca. Francesca provò un brivido di emozione incrociando lo sguardo di Camilla, che aveva preso a studiarli uno ad uno con aria vagamente interessata. Quindi si avvicinò a lei, sempre di più, fino a quando le punte dei nasi non si toccarono.
“Quindi sei tu la chiave” disse semplicemente Camilla, esibendo un sorriso a quarantadue denti.
“Chiave? Non so di cosa parli…”.
“E ci mancherebbe!” la schernì lo Stregatto, soffocando una risatina.
“Potremmo parlare dopo di questo? Dove siamo finiti?” chiese Marcela, molto più presa dal pericolo in cui si trovavano per prestare attenzione alle criptiche parole di Camilla.
“Si direbbe un’altra prigione…” mormorò con aria affranta Tartalenta, riferendosi al soffitto basso e sbilenco e alle pareti strette. Era un corridoio dall’andamento storto, che si restringeva dall’alto e ai lati, fino a diventare quasi una strettoia. Non c’era nessuna illuminazione, ma dal fondo proveniva una luce fioca.
“Credo di sapere dove ci troviamo…” mormorò Francesca. Quel posto le era molto familiare e avrebbe scommesso il suo Regno che raggiungendo la fine del corridoio avrebbero trovato il loro amico mago.
“Non potevi portarci qui da subito?” chiese sprezzante Federico allo Stregatto che in tutta risposta lo fulminò con lo sguardo.
“Credi forse che io possa viaggiare tra i mondi attraverso gli specchi? Non faccio mica miracoli! Ho aspettato che usciste per darvi una mano, ma se volete vi riporto lì e…” fece il gesto di chi sta per schioccare le dita e tutti impallidirono: d’altronde era risaputo che lo Stregatto fosse di un carattere pazzo e volubile e avrebbe potuto benissimo rimandarli in pasto alle guardie di Quadri.
“NO!” esclamarono in coro, tentando quasi di saltarle addosso per impedirle di mettere in atto quella minaccia. Camilla ridacchiò e scomparve; a mezz’aria era rimasto solo il suo ghigno. “State attenti, ho sentito dire che Ana non faccia sconti a nessuno…e io ovviamente non ci tengo a battermi con una maga” li avvisò la bocca a mezz’aria prima di sparire insieme al resto del corpo.
“Dalla padella alla brace” esclamò esasperata Marcela, cercando ancora una volta una conferma nello sguardo di Francesca. Sapeva bene che lei sarebbe andata fino in fondo per salvare l’amico, ma che possibilità avevano? Uno zoppo, una vecchia tartaruga, una persona normale…l’unica in grado di fronteggiare Ana era Francesca ma lei stessa si era mostrata titubante circa i suoi poteri.
“Ormai ci siamo, tornare indietro è una follia…”. Federico si era apertamente schierato dalla parte di Francesca. La missione era importante, ma per la sua riuscita era necessario l’aiuto di un mago e Dj era l’unico a disposizione. Si sentiva un po’ meschino a fare un ragionamento tanto pragmatico, ma d’altronde Pablo era stato chiaro: la missione era più importante di ogni altra cosa. Probabilmente se Dj non fosse stato un mago a malincuore avrebbero dovuto lasciarlo in quella sorta di prigione.
Tartalenta annuì, aggrappandosi a Marcela per reggersi in piedi. Francesca avanzò davanti a tutti, mentre Federico le veniva subito dietro; si arrangiava come poteva, reggendosi alle pareti.
Sbucarono dopo breve tempo in una stanza debolmente illuminata dalle candele. La stessa della visione, constatò Francesca, sicura di essere arrivata alla meta. In fondo si udivano dei lamenti deboli. “Dj!” esclamò Francesca avanzando rapidamente verso la fonte di quei lamenti. Il mago era ancora incatenato a quella che sembrava una ruota della tortura, ma era ridotto anche peggio di come lo aveva visto nella sua visione: aveva il labbro spaccato che sanguinava continuamente, insieme a tutti i tagli sul viso e lungo il corpo. Dalla bocca pendevano pezzetti verdi di una qualche pianta.
“Erbaluna…” mormorò Federico zoppicando al suo fianco. “Annulla i poteri di un mago” spiegò brevemente, osservando le catene a cui era stato legato Dj. Sembravano essere parecchi resistenti. Il prigioniero quando li vide ebbe un breve fremito, per poi far ricadere la testa in avanti, in preda all’incoscienza.
“Svelti prima che torni!” li riprese Marcela continuando a guardarsi indietro terrorizzata. Francesca annuì, quindi passò una mano sulla prima catena che gli teneva ferma la gamba destra. Essa si sciolse come fosse neve, emettendo una sottile voluta perlacea. Ripeté la stessa operazione per gli altri arti immobilizzati, quindi Dj cadde a terra con un tonfo, fino a quando Marcela e Tartalenta non riuscirono a sorreggerlo a malapena. Francesca prese nuovamente a respirare lentamente, mentre l’eccitazione per quel salvataggio le scorreva nelle vene. Ora però che erano riusciti a liberare il mago una nuova domanda riempiva la sua testa: come avrebbero fatto ad uscire da quel posto? Ci erano arrivati con la magia, ma non aveva la minima idea di come avrebbero potuto lasciarlo. Che fine aveva fatto lo Stregatto? Proprio ora che ne avevano bisogno più che mai. Erano ancora in tempo.
“Stregatto?” provò a chiamarlo. Nessuno rispose al suo appello, si sentiva solo il crepitare delle fiamme, che lentamente si innalzarono sottili, diventando addirittura più lunghe delle candele da cui avevano preso vita.
“Non pensavo che avrei avuto così tanti ospiti”. Dalle tenebre emerse una figura bassa e aggraziata allo stesso tempo. Portava un lungo mantello nero, con un cappuccio calato sul volto. “Perdonate il disordine, non sono abituata” disse Ana con un sorriso sinistro.
“Lasciaci andare, altrimenti…”.
“Altrimenti cosa? Sei solo una sciocca ragazzina che continua a creare problemi all’unica e legittima regina, Natalia” proruppe la ragazza, facendo comparire un globo nero tra le mani. “Non so come tu abbia fatto a lasciare le mia prigione, ma non ho alcun problema ad eliminarti!”. In una frazione di secondo scagliò quella sfera contro Francesca, che mise avanti le mani, nella flebile speranza che il Mana agisse per conto suo pur di difendere quello che riteneva essere il suo contenitore. Difatti, una barriera argentata si eresse, fatta di sottili fili che uscivano dalle punte delle dita. Ana la osservò prima confusa e sorpresa, poi pensierosa. Sicuramente non si aspettava una risposta al suo incantesimo.
“E così abbiamo scoperto di avere la magia, eh?” la derise Ana, socchiudendo gli occhi fino a ridurli a due fessure. “Cerberi Ungues”. Dalla mano si scatenò un lampo che ruggendo si scagliò contro la barriera, lacerandola proprio come se fosse dotato di artigli. I fili esplosero in tanti scintillii bianchi splendenti.  “In ogni caso non è sufficiente” rise sicura Ana.
Francesca rabbrividì: questa volta non bastavano dei semplici trucchetti. Stava affrontando una maga, per di più potente, e mentre lei non sapeva nulla del campo della magia, la sua rivale dimostrava di padroneggiare ogni tipo di incantesimo con la più assoluta tranquillità e sicurezza. L’idea di salvare Dj era stata fatta senza considerare quel dislivello che però si stava facendo sentire pesantemente. Gli sguardi dei suoi compagni erano fissi su di lei e non sapeva come fare a dire loro che ancora una volta avrebbe deluso le loro aspettative.
“Ho passato anni sui libri, anni a cercare di carpire ogni segreto che la magia tentava di tenermi nascosto, e tu credi di spaventarmi con qualche effetto appariscente?”. Ana parlava con rabbia, ma anche superiorità. Francesca era convinta che quella per loro era la fine, non c’era nulla che avrebbe potuto fare per fermarla.
Basiilisci Invocatio!”. Da dietro di lei comparve una figura allungata, alta quanto lei. Un corpo lungo e sinuoso di un verde spento scivolava lentamente, mostrando i suoi occhi gialli e accesi come fanali. La lingua biforcuta fuoriusciva ritmicamente sibilando e aveva il muso leggermente schiacciato.
“Ha invocato una creatura magica” disse Tartalenta, rabbrividendo di fronte allo sguardo mortifero del mostro.
“Francesca, devi usare i tuoi poteri al meglio, non puoi continuare a difenderti”. Il tono usato da Federico era rassicurante e severo allo stesso tempo. Francesca avrebbe voluto, ma cosa poteva fare? Non poteva rischiare di ferire gli altri lasciando fuoriuscire il Mana. C’era sempre quella paura a frenarla.
“Ce la farai” esclamò Federico, come se fosse in grado di leggerle nel pensiero. E forse era davvero capace di carpire i suoi pensieri dal suo sguardo, dal modo in cui osservava spaurita la creatura che avanzava strisciando verso di loro senza fare nulla. Francesca annuì. Le dita si intrecciarono tra loro come se fossero guidate da una volontà maggiore, facendo congiungere le mani in un atteggiamento di preghiera. Le pupille si dilatarono e da lì in poi sprofondò nell’oblio.
Federico capì subito che Francesca era caduta in una sorta di trance e per poco non trasalì quando la sentì dire parole apparentemente prive di senso, ma dal suono antico e armonioso. In lontananza udì il rintocco insistente delle campane, che si fece sempre più forte fino ad assordarlo. Quando si portò le mani alle orecchie venne inondato da una luce bianca e catapultato all’indietro addosso alla parete vicina. Un calore insopportabile torturò il suo corpo, finché il bagliore non si affievolì altrettanto rapidamente di come era nato. Il pavimento era completamente annerito, tranne un cerchio di cui Francesca occupava il centro. Tutti erano stati scagliati all’indietro. Tartalenta aveva perso i sensi e giaceva al fianco di Dj, mentre Marcela sembrava essersi leggermente ripresa e si guardava intorno terrorizzata. Dove prima si trovava la creatura era rimasto solo un cumulo di cenere, mentre Ana si era salvata scagliando all’ultimo secondo un incantesimo di protezione, che però era stato facilmente mandato in pezzi.
“C-com’è possibile?” ansimò la maga, sentendosi svuotata di ogni forza. Non riusciva a capire come avesse potuto la regina di Fiori evocare un incantesimo tanto potente con così poco sforzo. Cosa nascondeva quella ragazza? Il suo sguardo inespressivo era raggelante, le mani unite ancora in quella mistica preghiera che faceva appello alla forza distruttiva della natura.
“Francesca!” la richiamò Federico. La ragazza all’inizio non si voltò verso di lui, poi le sue iridi tornarono a brillare scure. Improvvisamente iniziò a tremare senza motivo. Intorno a lei l’aria vibrava ad ogni suo respiro.
“Sarebbe un piacere studiarti nel mio laboratorio…mi hai incuriosito” sogghignò Ana, ritrovando la sua spavalderia.
“Mi sono persa qualcosa?”. Un sorriso le comparve davanti, prima di scomparire e riapparire di nuovo al fianco di Francesca. Lentamente si delineò la figura dello Stregatto.
“Non ti riguarda!” sibilò la maga, lanciandole contro un raggio oscuro. Camilla prese la mano di Francesca e si smaterealizzò insieme a lei per poi ritrovarsi in un angolo della stanza, vicino a Federico e gli altri. “Tenetevi tutti per mano” gli ordinò Camilla, improvvisamente seria. Federico strinse la mano di Francesca, mentre la sinistra venne afferrata da Marcela che a sua volta teneva Dj sotto braccio e con le dita stringeva la zampa rugosa di Tartalenta. L’aria schioccò più volte, e tutto si dissolse intorno a loro. L’ultima cosa che sentirono fu il grido, colmo di una rabbia implacabile, di Ana, che non solo aveva perso il suo prigioniero senza avergliela fatta pagare fino alla fine, ma non aveva potuto nemmeno catturare Francesca per saperne di più del segreto che la rendeva tanto speciale.
Si ritrovarono tutti su una collinetta, a qualche lega dal Laboratorio che era ancora in fermento per la fuga dei prigionieri. “In quel posto si compiono terribili esperimenti. La prigione in cui siete stati è solo una sorta di contenitore delle cavie” spiegò Camilla con una smorfia.
“Beh, non dobbiamo perdere tempo…gli altri ci aspettano al castello di Quadri sicuramente” disse Federico, godendosi gli ultimi raggi di sole che scomparivano all’orizzonte.
“Federico, dobbiamo aspettare prima che Dj si rimetta” intervenne Francesca. Il ragazzo convenne, ma stabilì che si sarebbero fermati solo per un paio di giorni, ben nascosti per non essere rintracciati dalle guardie. Lo Stregatto appariva parecchio affaticato da quel viaggio che aveva dovuto fare, infatti li avvertì che avrebbe trascorso la notte con loro per recuperare le forze e ripartire il mattino dopo.
Intorno a un debole fuoco ognuno consumò silenziosamente il proprio pasto, rimediato da Camilla, per ringraziarli dell’ospitalità: qualche frutto, un coniglio e alcune erbe commestibili.
“Come mai quando ti ho chiamato non sei comparsa?” chiese Francesca in disparte allo Stregatto, stravaccato sul ramo di un albero.
“Il perché non posso certo dirtelo, sappi solo che mi è stato ordinato di fare così…” rispose con aria evasiva Camilla, voltandosi poi dall’altra parte e dandole le spalle, segno che per lei la conversazione era finita lì.
“Ehi”. Marcela le sfiorò lentamente il braccio, facendola scattare sul posto. Le due si sorrisero per un istante. “Ce l’abbiamo fatta” sussurrò la donna, con gli occhi lucidi per l’emozione.
Francesca non riuscì a fare altro che annuire, pensando ancora alla breve conversazione avuta con Camilla. Chi poteva averle ordinato di tardare a soccorrerli? Ma soprattutto perché?
“Ricordati della nostra promessa” aggiunse Marcela. Francesca si riscosse e avvampò di colpo, gettando lo sguardo verso Federico, che si era addormentato vicino a Dj, che per fortuna aveva ferite abbastanza superficiali. Sospirò per poi rivolgersi di nuovo alla sua interlocutrice: “Certo, una promessa è una promessa”.



















NOTA AUTORE: Ciao a tutti! A parte che vi chiedo perdono per i miei frequenti ritardi (ma credetemi che non ho veramente tempo in questo periodo- sigh), passo a commentare velocemente il capitolo per lasciarvelo :3 Un capitolo pieno di azione, incentrato su Francesca che finalmente riesce a fuggire con gli altri dalla prigione, che in realtà non era altro che un riflesso dentro una serie di specchi...La prigione di specchi inoltre da direttamente sul Laboratorio, lo stesso che ha fatto esperimenti sul povero Seba...Grazie a Camilla il gruppo riesce a liberare Dj, e sempre grazie a quest'ultima riescono a fuggire dalle grinfie di Ana (ogni volta la gente sfugge ad Ana per un soffio, povera ahahah). Francesca ha dato libero sfogo ai suoi poteri per fermare la creatura invocata dalla maga, e alla domanda del perché Camilla ha ritardato ad aiutarli, le viene detto che si è trattato di un ordine- ma da parte di chi? E per quale motivo? Fatto sta che Francesca è letteralmente la 'chiave' della storia...in un senso che capiremo più in là. La sua maledizione è necessaria e- oddio, basta o spoilero troppo XD In questo capitolo poi abbiamo visto la complice amicizia nata tra Marcela e Francesca, e soprattutto il sequel della love story tra Fede e Fran che procede tra alti e bassi xD
E POI IL DOLORE- ME LO SONO LASCIATO PER ULTIMO. A parte che quel sogno per me è un fiume di feels. E DOVEVO SCRIVERLO ANCHE SE FACEVA UN MALE CANE. Perchè il povero Leon- *piange* Solo che non è affatto bella la decisione che ha preso: pensa che liberandosi fisicamente del legame che lo unisce a Violetta riprenderebbe ad essere quello di un tempo. AIUTO. Sembra anche parecchio determinato (anche se la ama ancora, è palese *^*)...come proseguirà per la sfigatissima (in questa ff hanno tutti contro .-.) Leonetta?
Grazie a  tutti per continuare a leggere e apprezzare questa ff, alla prossima! :3 Con affetto,
syontai (E BUON 2015! :3)
 
  
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