CAPITOLO 5
Giovanni fece ritorno con il suo gruppo al loro nascondiglio
tra i monti senza esser stato inseguito da nessuno.
Il gruppo armato non
aveva incontrato difficoltà di alcun tipo, a parte la fitta nebbia della
pianura, che però aveva svolto anche un ruolo di protezione nei loro confronti.
Infatti, avevano proseguito a velocità moderata per quasi
tutta la fascia pedemontana, stando attenti a non perdersi. La nebbia aveva
attutito i suoni e li aveva inghiottiti tutti nel buio, facendo sparire la banda
al suo interno, come se in realtà loro fossero stati solo fantasmi.
Nessuno li aveva inseguiti probabilmente anche perché sarebbe
stato veramente difficile star dietro ad un grosso gruppo armato senza sapere
neppure quale strada avessero scelto o quale sarebbe stata la loro destinazione,
dovette constatare il capo dei briganti.
Con un clima così umido e freddo, le guardie avevano
preferito starsene al coperto a Ravenna, ed iniziare le ricerche della ragazza
solo l’indomani mattina, non appena la nebbia avesse accennato ad alzarsi. Ma
sarebbe stato troppo tardi. Infatti, era quasi mattina quando Giovanni tornò a
casa, tra le sue amate montagne.
La nebbia l’avevano lasciata in pianura, e ora, lì tra i
monti il sole stava per prepararsi a sorgere. L’aria era gelida, e Giovanni
cercò di coprire meglio con il suo mantello la ragazza, che nel frattempo si
era calmata e non cercava più di agitarsi. Forse si era arresa al suo destino.
Giovanni era in imbarazzo, ma cercava di non mostrarlo. Non
si era mai imbarazzato di nulla, ma non aveva mai avuto a che fare con una
ragazza nobile. E, per l’appunto, ora stava stringendo forte quel corpo
femminile tra le sue braccia.
Una fitta gli
attraversò lo stomaco. Aveva trent’anni ma non aveva mai avuto una relazione duratura
con una ragazza. Non ne aveva il tempo, e conduceva una vita sregolata e al di
fuori della legge.
Poi, tutto ad un tratto, prese coscienza di ciò che stava
pensando, e cercò di accantonare tutti quei suoi insulsi ed inutili pensieri.
Pensieri dovuti ad una lunga notte insonne e piena zeppa di pericoli.
Un brigante non se ne fa nulla di una donna al suo fianco, si
disse. Al massimo, per svagarsi un po’, c’era Lina, la prostituta dei briganti,
che viveva in un isolato casolare più a valle. Era una donna strana, e non si
sapevano le reali motivazioni per cui aveva deciso di seguire i briganti e di
vendere il proprio corpo a loro, ma in realtà il motivo di tutto ciò lo si
poteva facilmente intuire.
Ultimamente, aveva iniziato anch’essa a discostarsi dal
gruppo, dopo esser riuscita a mettere da parte un po’ di gruzzolo e ad avere un
tetto sulla testa. Ora cercava di far valere la propria indipendenza, ma quando
le andava si concedeva ancora a chi la pagava. Però, sempre più raramente.
Magari, se la contessina gli avesse causato problemi, si
sarebbe rivolto a lei per chiedere consiglio riguardo alle donne e ai loro
comportamenti.
Ancora una volta, si sgridò da solo. Lui era un brigante, un
uomo adulto e un fuorilegge, e non doveva starsi a fare scrupoli sul
comportamento di una ragazza. Lei avrebbe accettato passivamente tutto ciò che
lui le avrebbe imposto.
Giunto di fronte al casolare in pietra disabitato che aveva
fatto precedentemente preparare per la ragazza, fermò il cavallo. Subito dietro
di lui si fermò pure Mario, che scese da cavallo e si avvicinò al suo capo.
Giovanni gli allungò la ragazza, e Mario la prese,
stringendola forte. La ragazza si lasciò sfuggire un lamento.
‘’Piano. Fai a modo, è una ragazza, non un sacco di patate. E
ci serve tutta intera, quindi occhio a non farle male’’, disse Giovanni,
sorridendo verso il suo braccio destro, che si limitò ad annuire, imbarazzato.
Giovanni, mentre scendeva da cavallo, continuò a sorridere.
Quella volta sarebbe stato un compito duro per tutti. I briganti della sua
banda non erano abituati a trattare fanciulle indifese, e il comportamento
impacciato di Mario ne era la prova.
Mario era il più vecchio della banda. Con i suoi quarant’anni,
con la barba che iniziava ad avere qualche filo bianco ed un corpo muscoloso e
tonico, era di gran lunga il più saggio del gruppo, e Giovanni se lo teneva
sempre vicino proprio perché aveva sempre a portata di mano una soluzione per
tutto.
Ma si vedeva chiaramente
che non aveva molta esperienza con l’altro sesso. Un conto era cercare una
prostituta, un altro conto era avere a che fare con una nobildonna appena
rapita da una diligenza.
Giovanni si accinse ad aprire il catenaccio che teneva
sigillata la porta del casolare, e scosse la testa verso l’amico, divertito.
Mario arrossì, mentre la ragazza aveva ripreso a dimenarsi tra le sue braccia,
opponendo resistenza. Era quasi una scena comica, poiché il veterano dei
briganti cercava di stare attentissimo con la ragazza, mentre lei si dibatteva
come una selvaggia.
Alla fine, Mario e Giovanni entrarono in casa e si chiusero
la porta dietro di loro.
Fu solo allora che Mario mise a terra la ragazza, e Giovanni
le si avvicinò, e le tolse il bavaglio.
Teresa, appena le tolsero il bavaglio, mosse subito la bocca,
che le era rimasta intorpidita.
Aveva tutto il corpo indolenzito, a causa della lunga
cavalcata, durante la quale era dovuta stare in una posizione scomoda. Ma
almeno, fino a quel momento, nessuno le aveva fatto del male.
Si trovava di fronte a due briganti barbuti e vestiti di
abiti rattoppati, più simili a pezzenti che ad altro. Durante tutto il viaggio
era dovuta stare attaccata al corpo di quello che sembrava il capo, e che tutti
chiamavano Zvàn, e aveva dovuto sopportare anche il suo pessimo odore. Una cosa
a dir poco nauseante.
‘’Benvenuta. Questa sarà la tua casa, almeno fintanto che tuo
padre non avrà pagato un buon riscatto’’, disse il capo dei briganti.
Teresa si guardò
attorno, cercando di ambientarsi a quel nuovo ambiente. Si trovava in un casolare
sperduto, composto da due camere.
Capì immediatamente
che quella era una catapecchia che era stata rassettata di recente solo per lei.
Infatti, i mobili erano pochissimi, di legno mal lavorato e
tutti con numerose pecche. Il pavimento, fatto di duri pezzi di pietra
irregolari, lasciava intravedere un po’ di terreno sottostante. Un piccolo
tavolo si trovava in mezzo a quella stanza semivuota, mentre a lato della porta
d’ingresso c’era una piccola stufetta, con un po’ di legna accatastata poco
distante. Teresa notò che lì dentro faceva freddo. Come se le avesse letto nel
pensiero, Mario si accinse ad accendere la piccola stufa.
‘’Ti piace? Non è di
certo la villa signorile alla quale eri abituata, ma questo è il meglio che
possiamo offrirti’’, disse ancora Zvàn, con una vena di ironia, interrompendo
l’accurata ispezione di Teresa.
Teresa, come se si
rendesse conto solo in quel momento della sua situazione, tremò forte, e si
sentì in preda al panico. Ovviamente, non rispose al brigante.
‘’Ragazza! mi capisci
quando parlo?’’, le chiese ancora il brigante, che continuava a fissarla.
Certo che ti capisco, brutto ceffo, si disse Teresa dentro di
sé. Quei briganti parlavano il dialetto romagnolo, quella lingua dura e
gutturale che spesso utilizzava suo padre. Una lingua che lei conosceva bene,
poiché entrambi i suoi genitori, da quando era piccolissima, spesso e
volentieri lo parlavano, e tutt’ora, a volte, per parlare con suo padre
utilizzava lei stessa quel linguaggio.
‘’Zvàn, forse la ragazza non ci capisce. Boh, capirà un’altra
lingua del sud. O forse è sorda. Come facciamo, adesso?’’, chiese Mario con
fare preoccupato, mentre nel frattempo si era appostato con le spalle contro la
porta.
‘’Mario, non diventare una mammina apprensiva, per favore.
Quando l’ho catturata, ieri sera, parlava e capiva benissimo la nostra lingua,
e non era neppure sorda’’, disse Giovanni, rivolto all’amico. Poi, fece qualche
passo verso la ragazza.
‘’Teresa, capisci quando parlo o no?’’ tuonò Giovanni, avvicinandosi
paurosamente a lei e utilizzando il nome che aveva pronunciato suo padre quando
avevano allontanato la figlia da sé. Teresa, spaventata dalla reazione del
brigante, annuì.
‘’Sì, vi capisco’’, disse.
‘’Bene. Allora non ci
sarà alcun problema o incomprensione tra noi. Tu vivrai qui fintanto che tuo
padre non pagherà il tuo riscatto. Non ti mancherà nulla, e ti sarà fornito
tutto ciò che chiederai, nel limite del possibile. Ti saranno serviti tre pasti
abbondanti al giorno, e potrai usufruire come vorrai di questa misera
abitazione. Nella stanza a fianco di questa c’è una spaziosa camera da letto.
Poi, vedrai tu stessa. Nessuno qui ti farà del male, quindi puoi stare tranquilla. Io mi chiamo Giovanni, e
questo è Mario. Appostato di fronte alla tua porta ci sarà sempre qualcuno a
sorvegliarti. Se ti servirà qualcosa, chiedi. Intesi?’’, concluse Giovanni.
Teresa annuì.
‘’Molto bene, allora.
Andiamo Mario, abbiamo molto lavoro da fare’’, disse poi Giovanni, rivolto
all’amico.
I due uscirono, e
chiusero la porta con un catenaccio esterno.
Teresa raggiunse una
sedia e le si afflosciò sopra.
E ora che farò, si chiese. Di certo non avrebbe collaborato
con quei dannati briganti. Questo no. Avrebbe causato loro numerosi problemi.
Nonostante le sue numerose paure, iniziò a studiare un piano per fuggire.
Si alzò dalla sedia e andò a studiare l’altra camera. Non
c’era una porta a separare la cucina dalla camera da letto, per far in modo che
il calore della stufa si distribuisse un po’ ovunque.
Notò subito che se la cucina non era molto spaziosa, la
camera da letto lo era. Era più allungata, certo, ma aveva un letto
dall’apparenza confortevole e pulito.
Anche quella stanza
era quasi vuota, c’era solo un minuscolo tavolino, posizionato a fianco del
letto, con sopra una brocca piena d’acqua e un bicchiere.
La stanza era ben illuminata da due finestre, che si
affacciavano su uno spiazzo erboso. Poteva aprire i vetri verso l’interno, ma
lei non poteva fuggire perché le finestre avevano possenti grate di ferro.
Teresa notò che ad un vetro era mezzo rotto, e mancava un angolo inferiore. Il
buco era stato tappato con un pezzo di stoffa.
A fianco della
finestra, c’era un piccolo armadio. Lo aprì, e notò che era vuoto. Benissimo,
si disse. Si guardò la sua bella veste, munita di una magnifica gonna, che si
era sporcata tutta e lacerata in più punti. Avrebbe avuto bisogno di cambiarsi,
ma non ne aveva l’opportunità.
Teresa sospirò. Non vedeva possibili vie di fuga, ed era
ridotta come una stracciona.
Inoltre, ben presto
avrebbe fatto molto freddo e sarebbe caduta molta neve. E lei si trovava dentro
ad un rudere disperso tra i monti.
Andò verso il letto, e le si distese sopra. Fu subito
inghiottita dal soffice materasso, che era stato imbottito di foglie secche di
granturco, un modo molto semplice ed economico
utilizzato dai contadini per riposare meglio. Almeno c’era anche un cuscino,
constatò.
Improvvisamente, notò che non sarebbe riuscita a trattenere a
lungo i suoi bisogni fisici. Le serviva un bagno, ma non c’era. Sapeva che
tutti i minuscoli bagni delle case dei contadini erano situati fuori di casa,
di solito a fianco della stalla o nel retro dell’abitazione. Erano minuscole
capanne, create solo allo scopo di offrire una momentanea protezione a chi ne
aveva bisogno. Ma lei non poteva uscire.
Si alzò dal letto e si avvicinò alla porta dalla quale era
entrata poco fa, ricordandosi di ciò che le aveva detto Giovanni.
‘’Scusa, avrei bisogno
di… ’’, disse, a voce alta, con crescente imbarazzo, e cercando le parole
giuste per esprimersi. Comunque, non riuscì a completare la frase.
Una persona sghignazzò, al dì la della robusta porta di
legno. Aveva già capito qual’era il problema.
‘’Arrivo’’, disse una
voce indistinta.
Sentì un rumore di
passi che si allontanavano, per riavvicinarsi poco dopo. La porta si scostò di
poco, giusto il necessario per far entrare un secchio di ferro arrugginito, che
fu gettato rozzamente in mezzo alla cucina, provocando un forte fracasso che
fece sobbalzare la ragazza.
Poi, la porta tornò a
richiudersi, e il rumore del catenaccio risuonò per tutta la stanza.
‘’Un secchio!?’’, disse Teresa, stupita.
‘’Ehi, ragazza, che ti aspettavi? Accontentati’’, disse
nuovamente la voce, continuando a ridere e con toni volgari.
Teresa prese il
secchio, e lo mise in un angolo della stanza da letto. Quella prigionia sarebbe
stata veramente dura, si ripeté.
Poi, la voglia di scoprire dov’era finita e la voglia di
fuggire lasciarono spazio alla disperazione. Teresa si prese il volto tra le
mani e si mise a piangere. Quei brutti ceffi avrebbero richiesto un sacco di
soldi al padre per liberarla. E constatò che lei sarebbe stata la sua rovina.
Doveva fare qualcosa, immediatamente. Ma non sapeva di preciso cosa.
Voleva solo tornare da suo padre, e tornare a casa. Voleva
solo quello.
Ma forse voleva troppo. In ogni caso, doveva escogitare un
piano.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, e grazie per aver letto anche questo capitolo! J
Ringrazio tantissimo le persone che hanno inserito la mia
storia tra le seguite o le preferite. Grazie a tutti, siete gentilissimi J Questa è una delle mie prime storie
e vi ringrazio della fiducia che avete riposto in me. Spero di non deludervi J
Spero anche che vogliate spendere un secondo del vostro tempo
per lasciarmi anche solo una minuscola recensione, se vi va J Ringrazio tutti coloro che lo
faranno, e vi prometto che cercherò di ricambiare.
Grazie, di nuovo, a tutti J a lunedì prossimo J