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Autore: RubyChubb    17/11/2008    9 recensioni
Aspettava da un’ora, seduta sulla sua valigia grigia e rigida, tutta graffiata. Intorno a lei migliaia di viaggiatori di ogni nazionalità, persone che esibivano cartelli con strani nomi neri di pennarello e famiglie che si ricongiungevano, tra baci ed abbracci.
Ma ancora nessuno per Joanna…
Seguito di "Four Guys in her Hair" - RubyChubb & McFly
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Four Guys in Her Hair & And That's How I Realize...'
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6.  Censored Tears
 
 

Sometimes I'm a selfish fake and you're always a true friend
I don't deserve you 'cause I'm not there for you
Please forgive me again



Tutti la fissavano immobili, bloccati, sbarrati. Il primo a muoversi fu Harry: le si avvicinò e l'abbracciò, le disse che le dispiaceva, che non sapeva che cosa stesse provando ma che, comunque, le era vicino. Poi lo segurono Tom e a Giovanna, altrettanto scossi. Dougie non si mosse: non era stato capace di guardarla in viso da quando Jonny gli aveva dato la notizia, con gli occhi verdi fissi dentro ai propri...  Non sapeva cosa fare. Avrebbe voluto consolarla ma non trovava le parole giuste, non sapeva se abbracciarla... Non ne aveva la più pallida idea. Comunque, lei non avrebbe gradito il suo conforto e decise di rimanersene semplicemente in disparte, dove non avrebbe potuto farle del male, né darle fastidio. Ci avrebbe pensato Danny a sostenerla, non lui, che non ne aveva alcun diritto.
“Beh... Mi dispiace, Joanna.”, disse Tamara, colpevole del tono che aveva usato.
Non era difficile intuire quanto fosse gelosa di Jonny e quanto si sbagliasse sul suo conto, soprattutto sul non dare a Danny la fiducia che gli spettava. Non c’erano dubbi su quali fossero i reciproci rapporti,  non avrebbe dovuto essere così ostile nei suoi confronti: se gliene avesse dato la possibilità, lo avrebbe capito, ma sembrava troppo impegnata nel diffidare di lei.
“Non ti preoccupare.”, le rispose Jonny, “Non è colpa tua... Ma adesso vorrei davvero andare a casa."
“Aspetta.”, le disse Tom, “Chiamo l’aeroporto per cercarti un volo disponibile, così non dovrai perdere altro tempo.”
“Buona idea.”, disse Danny sospirando.
C’era qualcosa che lo turbava, Dougie glielo leggeva nell’espressione contratta del suo viso.
“Tamara, posso parlarti un attimo?”, chiese il chitarrista alla sua fidanzata.
La prese in disparte, lontano da orecchie ed occhi indiscreti che subito tornarono a concentrarsi su Jonny. Si preoccuparono per lei, le chiesero se volese dell’acqua, oppure se volesse sedersi:  Jonny accontentò tutte le loro premure, e  si sedette con un bicchiere di acqua tra le mani mentre Tom, Giovanna ed Harry la attorniavano, senza sapere di preciso cos'altro fare. Avrebbe voluto esserne partecipe ma sapeva che le avrebbe solo causato altra sofferenza.
Se ne restò lì, con le mani in tasca, in piedi vicino ad una delle quattro gambe del gazebo, quella più lontana da lei.
La osservava.
Jonny non piangeva.
Jonny non versava una lacrima per suo padre morto.
Jonny non diceva niente.
Jonny era strana.
Ed erano tutti preoccupati per lei. 
Sapeva che cosa le aveva fatto suo padre... E forse anche cosa le stava passando per la testa, cosa stava pensando. Oppure no? Cosa poteva saperne lui? Per quanto lo riguardava, anche suo padre era morto, o quasi, perchè non era la stessa cosa;  sapeva che era ancora là fuori, da qualche parte, magari con una nuova famiglia, con altri figli.  Lasciò perdere ogni pensiero che lo riguardasse personalmente, quello non era il momento di riflettere su di sé.
D'improvviso, la voce di Tamara si alzò esponenzialmente.
“Cosa?!?”, esclamò, “No, te lo proibisco!”
Tutti si voltarono verso di due in disparte, con aria interrogativa.
“Tam... Basta, ne parliamo a casa, va bene?", Danny cercò di calmarla e le fece cenno di abbassare il tono.
Dougie notò subito il nervosismo di Harry, che guardava verso i due, a pugni strett, mentre Gi se ne stava china su Joanna e la implorava di non starli a sentire, avrebbero presto smesso di discutere.
"Ha bisogno di qualcuno che le stia accanto!”, disse ancora Danny, “E io devo farlo, non può tornare a casa da sola. E' sconvolta!”
“Non esiste! Lei torna a casa, tu rimani qua!”, insistette Tamara.
Giovanna alzò gli occhi verso Tom e gli chiese di farli smettere, per il bene di Jonny.
“Ci penso io.”, disse Harry, camminando velocemente verso i due.
Dougie si preparò a quello che avrebbe assistito: una bella dimostrazione di quanto l'insensibilità delle persone potesse ferire l'innocenza di un'altra.
“Jo, andiamo dentro, qua fa troppo caldo.”, le fece Gi, con tono allarmato, e si allontanò con lei.
Harry ebbe il buon senso di aspettare che le due ragazze sparissero dal raggio della sua voce.
“Smettetela!”, esclamò infuriato verso di due, "Non vi rendete conto di quanto stia male?”
“Lo so benissimo, Judd!”, protestò Danny, “Adesso fatti gli affari tuoi!”
“Oh sì, certo, adesso me ne torno sotto al gazebo e farò finta di niente!”, rispose l'altro, “Farò finta che non ci siano due deficienti a litigare mentre qualcuno, in salotto, non aspetta altro di essere portata all’aeroporto per tornarsene a casa e starsene con la sua famiglia!”
“Harry, lasciaci in pace!”, tuonò Tamara.
“Subito, signorina!”, disse lui, con sarcasmo, alzando le mani al cielo, “Finite di scannarvi, fate con calma, ci pensiamo noi a portare Joanna all’aeroporto.”
“Lo faccio io!”, lo fermò Danny, prendendolo per un braccio.
“No, tu non andrai affatto!”, si sfogò ancora Tamara, “Non ti azzardare a lasciare questa casa con lei!”
“Chiudi quella bocca!”, le si rivolse con foga Harry, che ormai ne aveva avuto abbastanza di quella sceneggiata.
Mai frase fu più appropriata di quella per farla zittire.
“Tamara, non vuoi che Danny vada? Perfetto!”, le fece Harry, “Allora non ci andrà!”
“Questa è proprio bella!”, esclamò Danny, stupito.
“Certo che è bella, cretino!”, gli si rivolse Harry, ancora più infuriato, “Non capisci che sei davanti a due alternative?”
“E quali sarebbero?”, domandò lui, retoricamente.
“La prima è quella in cui tu prenderai l’aereo con Joanna, la accompagnerai a casa, e tornerai trovando la tua vuota, senza Tamara.”, gli fece.
La ragazza annuì, contenta di aver trovato sostegno in Harry, ma c’era ben poco da festeggiare.
“L’altra, invece, è quella in cui tu sceglierai di rimanere qua, lasciando che qualcuno di noi la accompagni al posto tuo. Jojo starà comunque bene e tu, invece, avrai ancora la tua fidanzata.”, concluse Harry.
Danny lo fissò, poi si spostò su Tamara.
“Perché mi stai mettendo di fronte a questa scelta?”, le fece, “Lo sai che è del tutto inutile! Perché dubiti di me?”
Dougie scosse la testa, disgustato da quello a cui stava partecipando. Anche Tom, avvicinatosi a lui, era sulla sua solita lunghezza d’onda. Volse lo sguardo alla casa: le porte a vetro rifrangevano la luce del sole alto nel cielo, non gli permettevano di scorgere né Giovanna né Jonny. Li stavano sentendo? Pregò di no, altrimenti non avrebbe risposto delle sue azioni.
Tornò sulle frequenze dei tre litiganti.
“Danny, non puoi andarci, è fuori discussione.”, ripeté ancora Harry.
Il chitarrista sbuffò, alzando le braccia al cielo.
“Jojo non tornerà a casa da sola, te lo prometto.”, insistette Harry, posando con sicurezza una mano sulla sua spalla, “Qualcuno di noi sarà con lei.”
“E chi?”, ringhiò Danny, “Vuoi andarci tu, per caso?”
Harry scosse la testa.
Dougie non era d’accordo, assolutamente. Quel compito toccava solo ed esclusivamente a Danny, era fuori discussione, e se a Tamara non stava bene allora quella era la porta, poteva andarsene. Tutto ciò era la palese dimostrazione che anche quella ragazza, così come tutte le altre che lui aveva avuto, non era capace di fidarsi di lui. Così come ognuno di loro, Danny aveva la sua personale scala di priorità: musica, amici, e poi il resto. Chiunque fosse stato abbastanza intelligente da capire in quale categoria rientrare avrebbe subito saputo quando mettersi da parte per dare la precedenza alle cose più importanti. Tamara doveva aver ritenuto di essere più fondamentale dei suoi amici ed apparentemente aveva sbagliato di grosso, Danny  non sembrava averle ancora concesso di travalicare la posizione che le aveva affidato.
Ne rimase alquanto stupito.
“Mandiamoci Tom!”, esclamò Danny, “Mandiamoci lui, che non la conosce affatto!”
Dougie guardò verso Fletcher, che ricambiò scuotendo la testa.
“Aspetta!”, continuò Danny, mettendosi a ridere, “Mandiamo Dougie! Lui sì che sa come farla star bene!”
“Sì!”, disse Harry.
Si sentì gelare.
Danny rimase stupefatto.
“Sì cosa?”, gli fece, “Sì, un bel cazzo! Judd, stai scherzando, vero?”
“Dougie è più adatto di me e di Fletcher messi insieme... Se non badiamo a ciò che è successo.”
“Non se ne parla!”, si incaponì Danny, “Lui non andrà con Little!”
“E allora vuoi andarci tu?”, tornò a farsi sentire la voce squillante di Tamara, “Harry ha ragione, se adesso parti, me ne vado.”
"Tu non sai cosa è successo tra Dougie e Joanna!”, cercò di farla ragionare Danny, “Lei lo odia!”
No, lei non lo odiava.
Lo ripugnava, lo schifava, lo negava, lo aborriva, lo disprezzava, lo spregiava, lo detestava con tutta se stessa. Ma non lo odiava affatto.
“E quindi?”, sbuffò Harry, “Dougie deve semplicemente prendere l’aereo con lei, lasciarla alla sua famiglia e tornare qua. Fine! Cosa c’è di complicato in tutto questo?”
Perché stavano parlando come se lui non li stesse sentendo? Pensavano che fosse sordo? Oppure non avevano visto che lui era lì, perfettamente dotato di occhi ed orecchie? Magari, se avesse fatto sentire la sua voce avrebbero smesso di caricarlo di una responsabilità che non voleva assolutamente accollarsi.
“Hey!”, fece loro, “Guardate che io sono qua!”
“Lo sappiamo che ci sei, Poynter.”, gli fece Harry, “Ma non hai voce in capitolo.”
“Oh sì, certo, io accetterò le vostre decisioni senza oppormi!”
“Dougie.”, sentì la mano di Tom posarsi sulla sua spalla, anche lui sembrava favorevole a quella soluzione.
“Tom, per cortesia, non metterti in mezzo.”, gli disse, liberandosi del suo tocco, “Non ti rendi conto che non posso farlo? E comunque Jonny non vorrebbe.”
“Potrei farlo io, ma ha detto bene Danny, non la conosco.”, disse lui, con il suo solito tono calmo e rilassato, “E lo stesso vale per Harry. Si sentirebbe più che sola in nostra compagnia.”
“Perché non pensate un po’ anche a lei?”, disse Dougie, “Magari Jonny vuole semplicemente tornare a casa senza scocciatori!”
“Lo hai visto anche tu in che stato è.”, insistette Tom, “A me... Fa paura.”
Anche a lui...  Jonny stava spaventando tutti. Non si reagiva in quel modo alla perdita di un genitore, non si poteva rimanere così calmi, senza versare una sola lacrima di disperazione, neanche quando a morire era stato uno come suo padre.
“E so che sei preoccupato più di me e di Harry messi insieme...”, premette ancora Tom, “Fallo per il suo bene.”
“Ma lei non vorrà!”, gli ripeté, con maggiore forza.
“Le faremo capire che non può andare da sola.”, disse Tom.
No, non poteva accettare quella decisione. Guardò verso i tre scuotendo la testa, ancora immersi nella discussione ad una decina di metri da loro. Danny si accorse dei suoi occhi e si incamminò nella sua direzione, fermandosi proprio davanti a lui. Dougie fu pronto ad una sua reazione drastica.
"Apri bene le orecchie, Poynter.”, gli disse, il suo tono era tutt’altro che amichevole. “Ti chiedo una sola cosa.”
“Danny, io non voglio andare con Jonny, è fuori discussione.”, lo interruppe, cercando di essere convincente.
“Non mi interessa quello che voi.”, riprese lui, “Quello che è importante è che Little torni a casa, che sia sotto lo sguardo vigile di qualcuno.”
“Fallo tu, fregatene di Tamara!”, gli disse.
“Non posso.”, affermò Danny, stringendolo in uno sguardo sicuro e fermo, “Devi farmi questo immenso favore, da amico quale sei. Smettila di fare il bambino, comportati da adulto  e prenditi questa mia responsabilità.”
 
 
Così come aveva accettato di sedersi, di bere e di entrare in casa, al sicuro dalle parole taglienti che erano uscite dalle loro bocche, Little accettò di farsi accompagnare da Dougie. Aveva ascoltato, annuito, detto semplicemente ‘grazie’, ed alla fine aveva accettato tutto senza dire una parola, senza scomporsi, senza irritarsi, senza opporsi. Danny non sapeva più cosa fare, non voleva ancora credere che Little avesse detto di sì.
La Little che conosceva, la sua Little, non si sarebbe mai sottoposta a tutto quello. Dire che era preoccupato per lei era il più grosso eufemismo che la mente umana potesse produrre. Era terrorizzato, completamente spaventato.
Erano tutti lì, nel soggiorno, con le mani in mano, in attesa che Tom sbrigasse la sua telefonata e prenotasse un volo per Little e per Dougie. Erano seduti, tranne lui che passeggiava nervosamente alle spalle del divano dove si era accomodata Little, immersa nei suoi pensieri, lo sguardo perso sulle pieghe del tappeto sotto i suoi piedi.
Tom spuntò dalla cucina, il telefono in una mano e un blocchetto nell’altra.
“Allora...”, esordì, non appena l’attenzione si fu concentrata su di lui, “Il primo volo disponibile parte stasera alle otto e mezza da Gatewick ed atterra a...”, rilesse gli appunti, “A Firenze... Mentre quello di ritorno per Dougie ci sarà...”, tornò a controllare quello che aveva scritto nella sua sempre bella ed elegante calligrafia, “Beh... Ci sarà domani mattina alle quattro, niente disponibilità in altri aerei. Gli aeroporti rimangono gli stessi.”
“Ok.”, disse Danny, “Grazie, Tom.”
“Figurati.”, disse lui, stringendosi nelle spalle e in un sorriso rassicurante.
“E’ meglio che mi sbrighi a preparare le mie cose.”, disse Little, alzandosi.
“Sì, ti porto subito a casa.”, le fece, “Dougie, ti passo a prendere tra un’ora.”
“Va bene.”, disse lui, annuendo.
Fece per muovere un passo, poi si bloccò. Guardò verso Tamara, seduta sulla poltrona, da sola, vicino a lei Giovanna.
“Rimani qui?”, le chiese.
“Sì.”, rispose lei, seccamente.
Le si avvicinò e le dette un bacio sulla testa, percependo sulle labbra tutta la rabbia che provava per lui. Si sarebbe fatto perdonare, ma ora doveva pensare a Little, a farla tornare a casa senza problemi e provare a starle accanto in quella lontananza impossibile. Una lontananza in cui Tamara stessa l’aveva costretto contro la sua volontà, ma che aveva accettato di vivere. Non la voleva perdere.
Vide gli altri alzarsi ed abbracciare Little, sussurrarle di nuovo il loro dispiacere e ricevere in cambio nient’altro che le espressioni assenti, nascoste da piccoli sorrisi, segno della gratitudine che voleva dimostrare loro. Uscirono dalla casa in silenzio, camminando lungo il marciapiede. Lei se ne stava a testa alta, gli occhi davanti a sé. Lui non poteva fare altro che chiedersi cosa le stesse passando nella testa e nel cuore. Avrebbe voluto avere la chiave per accedervi, ma si doveva accontentare solo della possibilità di leggerle tutto negli occhi. E quello che vedeva non era nient’altro che un’infinita tristezza.
Finirono di preparare la valigia ed ancora nessuna parola era stata detta. Si sedettero davanti alla tv, cercando di distrarsi, non un filo di voce. Little era lì, accanto a lui,  ma dove si trovasse a lui non era dato sapere. Quel tempo in attesa fu uno dei più lunghi della sua vita: i secondi erano interminabili, ogni ticchettio dell’orologio che portava al polso sembrava segnare la fine di un’eternità.
Aveva caldo, si sentiva soffocare, l’aria era irrespirabile. Sì alzò, bevve, fece quattro passi in giardino, immerse una mano nell’acqua refrigerante della piscina. Tutto, pur di far aumentare lo scorrere mastodontico del tempo. Tornò dentro casa e trovò Little ancora al suo posto, seduta come l’aveva lasciata, con le mani distese lungo le gambe e lo sguardo fisso sullo schermo del televisore, straniata dal mondo. Si sedette ancora accanto a lei e le passò un braccio sulle spalle, stringendola. Rimase così per qualche tempo, non seppe dire quanto.
“Perché non piangi?”, le domandò, le parole uscite incontrollabili dalla bocca.
“Non lo so.”, rispose.
La risposta lo ammutolì.
“Dobbiamo andare.", disse lei.
Caricò la valigia nell’auto e fece salire Little al posto dell’accompagnatore. Si spostarono davanti all’abitazione di Dougie, a cento metri dalla sua, e suonò tre volte il clacson. Un paio di minuti ed anche lui fu in macchina. Il silenzio durò ininterrotto per tutto il viaggio, una sostanza vischiosa aveva censurato le loro bocche, bloccato i loro pensieri, immobilizzato i loro corpi. Solo la voce di Alanis Morissette usciva bassa dalle casse dello stereo.
What's the matter Mary Jane, you had a hard day, as you place the don't disturb sign on the door..
Quella canzone era sempre stata tra le sue favorite. Ad ogni parola, sembrava quasi voler parlare a tutti loro.
A Little.
Please be honest Mary Jane, don't censor your tears..
Tell me, tell me, what's the matter Mary Jane...


Arrivarono all’aeroporto, il volo era già segnalato dalle spie rosse sul grande tabellone. Sarebbero partiti tra un’ora e mezza, era il momento di fare il check in e sbrigarono subito quella formalità. Li guardava entrambi: davanti a lui, Little con il suo trolley e Dougie con uno zaino.
“Vado a prendermi qualcosa da bere.”, disse Joanna, “Ho sete.”
“Lascia andare me.”, le disse prontamente, “Rimani qui con Dougie.”
“No.”, fece lei, “Faccio da sola. Non ti preoccupare, non mi perderò.”
Gli affidò la sua valigia e se ne andò in cerca di un bar.
Era passata dall’accettare tutto quelle che le veniva detto al negare un semplice favore. Non era in grado di capirla. Quando tutto quello fosse passato, sarebbe tornata la Little di sempre. Ora, però, doveva sistemare una cosa.
“Dougie.”, lo chiamò, costringendolo a spostare la sua attenzione dal suo biglietto a lui.
“Sì...”, fece l’altro.
Non era facile, ma doveva farlo.
“Non fare cazzate.”, gli disse, e lo ripeté, “Non fare cazzate. O te la vedrai direttamente con me. Chiaro?”
Lui rimase in silenzio, statico.
“Sì, è chiaro.”, rispose poi.
“Controllala, portala dai suoi e torna a casa.”
“Sì, lo farò.”
“Promettilo.”, gli disse, con sicurezza.
Dougie sospirò, ma glielo promise. Aveva dovuto farlo, non voleva che lui facesse qualche stronzata che l’avrebbe fatta stare peggio. Doveva assolvere un compito difficile che sarebbe spettato a lui di diritto, ma volle provare a fidarsi di lui.
Prima del previsto, Little tornò da loro.
“Tutto a posto?”, le domandò subito.
“Sì.”, fece lei, agitando la bottiglia di Coca Cola che teneva in una mano.
“Bene...”, era arrivato il momento di farli accedere alla zona delle partenze, “Little, mi raccomando, se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiamami.”
“Certo.”, rispose lei, con un piccolo sorriso.
Gli scaldò il cuore, ma non fu sufficiente. Doveva abbracciarla.
“Fallo anche appena atterri... Ed ogni volta che vorrai.”
La sentì annuire e la baciò sulla fronte.
“E non ti preoccupare per Dougie, farà il bravo.”, le disse, con un po’ di ironia.
“Non c’era bisogno che venisse...”, disse Little, “Né lui, né tu.”
“Little, credimi, è per il tuo bene.”
“Ok.”
“Mi chiamerai, vero?”, le chiese ancora.
“Stai tranquillo, Jones.”, rispose lei, allontanandosi dalle sue braccia.
 
 
 
Non trovò nessun conforto nell’atterrare di nuovo in Italia. Non si sentì meglio nel posare il suo piede sinistro sul suolo mediterraneo. Non ebbe alcun sollievo nel respirare un’aria diversa, ancora più calda ed afosa di quella inglese. Davanti a lui Jonny, con il suo trolley, cercava di comprendere da che parte fosse l’uscita. Bastava semplicemente seguire la folla intorno a loro, ma lei sembrava persa. Si guardava intorno, con aria interrogativa, quasi spaventata.
“Vieni.”, le disse, prendendo il comando della situazione.
Camminò al suo fianco, silenziosa da quando Danny li aveva lasciati all’aeroporto. Dougie voleva essere da tutta altra parte, lontano da lì. Lui non le era utile, non sapeva come comportarsi, soprattutto in quella situazione. Aveva pianificato e voluto solo quello che c’era già stato: nient’altro che il fallito tentativo di chiederle scusa. Si sentiva totalmente inadeguato per quella responsabilità, incapace di fare come gli era stato detto.
‘Controllala, portala dai suoi e torna a casa.’
Doveva esserci Danny al suo posto, anche se non sapeva un bel niente di Jonny, della sua storia, del suo passato. Danny non aveva visto quella cicatrice, non aveva conosciuto quella Jonny, non sapeva che per lei non esistevano i suoi genitori, soprattutto suo padre. Per gli stessi motivi non era lui, Dougie, quello che doveva portarla a casa. Quella sarebbe stata una buona occasione per Danny di sapere tutto, di venire a conoscenza di quello che le era successo. Era sbagliato, era tutto sbagliato.
Cosa poteva fare? E se Jonny avesse avuto bisogno di una spalla su cui piangere? Con quale coraggio lui le avrebbe offerto la sua, dopo quello che le aveva fatto?
Solo per scrupolo nel suo zaino aveva messo qualcosa di pulito, ma non aveva la minima intenzione di passare la notte al di fuori degli imbarchi internazionali. Aveva sempre odiato sentirsi inutile, incapace come un bambino delle elementari e sapeva che, se avesse lasciato l’aeroporto, quello stato d’animo che già provava si sarebbe ingigantito all’ennesima potenza. Era quello a tentarlo, a mettergli in testa la frenesia di andarsene.
Voleva tornare a casa.
Rimaneva solo perché lo spaventava l’idea che Jonny potesse voltarsi e non trovare nessuno accanto, mentre il mondo intorno la ignorava.
Solo per non deluderla ancora
“Doug.”, lo chiamò Jonny, “Di qua. Ho visto Arianna.”
“Ok.”, le fece.
Accelerò il passo per restarle dietro e riconobbe davanti a loro la bella donna bionda e alta con la quale lei viveva. Si guardava intorno, li stava cercando con gli occhi e, quando li posò su Jonny, alzò le braccia per farsi notare. Poi vide anche lui, e la sua espressione si perse. Non lo aspettava, Jonny doveva non averle anticipato il suo arrivo. Il gruppo di persone intorno alla donna si dissolse e rivelò la persona accanto ad Arianna. Jonny si fermò di colpo, così come lui.
Miki, suo fratello, se ne stava con le mani in tasca, in attesa che si avvicinassero entrambi. Lo aveva riconosciuto? A vedere dall’espressione del suo viso, tutt’altro che amichevole e rilassata, non poteva dire altro che sì. Poteva non sapere il suo nome, ma sicuramente lo aveva localizzato come uno di quei quattro inglesi.
Arianna si avvicinò a loro ed annullò la distanza che ancora li separava,sbrigandosi ad abbracciare Jonny. Dougie prese il manico del suo trolley, mettendolo al sicuro da qualche malintenzionato, ed affrontò malamente l’occhiataccia di Arianna. Si tenne alla larga da posare i propri occhi sulla figura di Miki, ormai anch’essa vicino a loro, a braccia conserte in attesa del suo turno, ma appena Arianna sciolse la sua presa affettuosa sul corpo di Jonny, lei non gli prestò la minima attenzione.
Come se non esistesse.
Danny aveva raccontato a grandi linee cosa era successo: non sapeva i particolari, ma Dougie poteva benissimo riempire gli spazi mancanti.  
Le due donne parlavano tra di loro ma non le capiva, e lui se ne stava semplicemente lì, in attesa che Jonny lo congedasse. Con la coda dell’occhio teneva sotto controllo suo fratello: si aspettava che facesse qualcosa di plateale, una mossa stupida che avrebbe fatto innervosire Jonny. Quando lo vide avvicinarsi e metterle una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione, Dougie si drizzò sugli attenti, ma se ne rimase comunque calmo, a farsi gli affari suoi.
Li sentiva parlare ed i toni non erano per niente rassicuranti.
“Jo, devi tornare a casa con me.”, le diceva lui.
“Non ci penso neanche.”, rispose Jonny, liberandosi della sua mano, “Vado a casa mia, con Arianna.”
“Tua madre ha bisogno di te, vuole vederti.”
“Ed io non ho bisogno di lei, né voglio vederla.”
Si stava innervosendo.
“Chi è quello là? E’ quello che ti ha mandato quel bel regalo?”
Non comprese cosa quell’energumeno stesse dicendo ma lo vide puntare un dito verso di sé. Alzò gli occhi e lo sfidò con lo sguardo, per poi spostarlo velocemente altrove.
Non fare cazzate, rimbombò la voce di Danny nelle sue orecchie, ed inghiottì il magone.
“Non sono affari tuoi!”, gli rispose Jonny.
Sperò che lo stesse difendendo a parole. Aveva un po’ di muscoli, ma niente in confronto a quelli di Miki.
“C’era proprio il bisogno di farlo venire?”, tornò lui all’attacco, “Ti rendi conto di quanto sei stata stupida?”
“Io non sono stupida!”, gridò Jonny.
Dougie sentì i peli del suo corpo drizzarsi impauriti dal tono di voce ostile della ragazza, che aveva attirato l’attenzione di tutti i passeggeri vicino a loro.
“E non trattarmi come se lo fossi!”, urlò ancora in faccia al fratello, “Tu non sai un cazzo di me e di quello che sono!”
“Jo! Non parlarmi così!”, ripose lui, aumentando il volume per contrastarla, “Stai zitta!”
Vedeva Arianna, impotente di fronte ai due. Come lei, Dougie voleva sparire, volatilizzarsi. Non avrebbe dovuto essere causa di altro dolore per Jonny, lo aveva promesso a Danny. Ed invece...
“Jonny...”, la chiamò, avvicinandosi con discrezione, “Dì a tuo fratello che me ne vado. Fallo calmare.”
Lei si voltò e lo guardò, per poi scambiare quattro chiacchiere veloci e sommesse con Arianna.
“Il tuo volo è alle quattro, stanotte.”, disse Arianna, "Potresti..."
“No.”, le disse, "Ti ringrazio, ma non voglio essere d’impiccio, non voglio causare problemi.”
“Ma no, Dougie... Stai tranquillo.”, disse Jonny, sospirando.
Non poteva essere stata idea sua, ne era certo.
“Jonny, rimango qua in aeroporto.”, le disse cercando di essere il più convincente possibile.
Lei lo guardò dritto negli occhi. Stava forse cercando sostegno, coraggio? E come poteva darglielo?
Jonny si voltò, tornando a dare udienza al fratello.
“Perché è venuto con te?”, le domandò lui, prima che lei potesse parlare, “Era proprio necessario?”
“Miki, per piacere, non sono affari tuoi.”, gli rispose lei, con tono apparentemente più calmo.
Quanto avrebbe voluto imparare quella lingua, si diceva Dougie, che non riusciva ad andare oltre la comprensione dei toni agitati della discussione.
“Lo sono prima di tutto, sei mia sorella e sono responsabile del tuo bene.”, la interruppe ancora Miki, "Andiamo a casa e lasciamolo tornare da dove è venuto."
Dal dito puntato, Dougie comprese che quella frase era destinata a lui. Gli venne voglia di sputare in faccia a quello stupido bestione, ma teneva ancora alla sua incolumità fisica.
"Non metterò piede né a casa tua, né in una qualsiasi altro posto in cui non voglia farlo!”, Jonny sembrò ribellarsi.
“Stai zitta e vieni con me!”, gli disse Miki, prendendola per un gomito e spingendola a seguirla.
“No!”, urlò lei, liberandosi.
Quello che vide lo fece inorridire, fu velocissimo, ma sembrò come se accadesse al rallentatore. La mano di Miki si alzò, esitò per un solo istante e si fermò sulla guancia di lei, schiaffeggiandola. Dougie sentì il respiro morirgli in gola.
Dopo lo shock iniziale Jonny si toccò il viso infiammato, guardando il fratello con occhi sbarrati, spaventata.
 “Ma che cazzo fai!”, irruppe Arianna, spintonando Miki, “Metti le mani addosso a tua sorella?”
Miki non le rispose. Era impietrito, la sua mano ancora aperta, e guardava Jonny senza la capacità di reagire.
“Andiamo, Jo.”, disse Arianna, prendendo dalla mano di Dougie il manico della sua valigia, “Andiamo a casa. E vieni anche tu, Dougie.”
“No, davvero, posso rimanere qua.”, le ripeté, “Non voglio incasinare tutto ancora.”
La donna scosse la testa, sorridendogli con aria stanca.
“Vieni e basta.”, gli disse.
 
 
Si ricordava ancora tutto quanto, soprattutto il salotto, che intravide passandovi velocemente dal corridoio.
“Vieni, ti faccio vedere dove puoi lasciare le tue cose e riposare un po’.”, gli disse Arianna.
Vedendola stanca, Dougie la seguì senza obiettare. Jonny, dietro di lui, sembrava un fantasma: muta e pallida, l’ombra di se stessa. Non aveva il coraggio di guardala, né di dirle niente. Salirono al piano di sopra e passarono davanti ad altre porte, arrivando dritti all’ultima. Jonny, invece, si fermò davanti alla seconda sulla sinistra, ed entrò senza dire niente.
“Di qua.”, fece Arianna, sorridendogli mentre abbassava la maniglia, “Il bagno è la porta di fronte a questa.”
“Perfetto.”, le fece, “E grazie di tutto.”
La donna sospirò, preoccupandosi che Jonny fosse già entrata nella sua stanza.
“Grazie Dougie.”, gli disse, “Grazie per averla portata a casa, senza averla abbandonata a se stessa.”
“Avrebbe dovuto esserci Danny al mio posto. Io non so come aiutarla.”, le fece, con sincerità.
“Sarebbe stato meglio.”, rispose la donna.
“Lo so.”, le disse, “Lo so.”
“Suppongo che Danny non sia venuto per via della sua fidanzata.”, disse lei, ipotizzando correttamente.
“Proprio così.”
“C’era da aspettarselo.”, e scosse la testa, “Prenditi tutto il tempo che vuoi, mi sa che stasera nessuno di noi avrà particolarmente fame. Se avessi bisogno di me, sono in giro, urla il mio nome ed arriverò.”
“Ok.”
La donna gli sorrise ancora e scomparve, chiudendo la porta. Dougie si sedette sul letto, lasciando lo zaino a terra senza nemmeno toccarlo. Si strusciò con forza la faccia, improvvisamente un sonno tremendo era piombato su di lui e si sentiva completamente privo di forze, svuotato.
Si distese sul materasso morbido, lasciò le gambe penzolare dal bordo e chiuse gli occhi per qualche secondo, nella mente ancora impressa la faccia terrorizzata di Jonny. Fu difficile cancellarla, rimpiazzarla con un pensiero diverso.
Solo il trillo del cellulare ci riuscì.
Tastò i pantaloni, lo individuò nella tasca laterale sinistra e rispose senza guardare chi lo stesse chiamando.
“Pronto...”, domandò, con aria stanca.
Doug! Finalmente!”, sentì la voce allarmata di Danny, “Pensavo fosse successo qualcosa!
“No, tranquillo. Tutto a posto.”, gli fece.
Dov’è Little? Perché non mi risponde?”, chiese l’altro, sempre più apprensivo.
“E’ in camera sua...”, lo informò, “Magari non ha voglia di parlare.”
Ma  le è successo qualcosa?
“Tutto a posto, Dan!”, esclamò Dougie, irritato, “Sta bene, è solo in camera sua, magari si è addormentata!”
L’altro rimase in silenzio.
Sì, hai ragione.”, rispose poi, “E tu dove sei?
“Sono.... Qua con lei, a casa di Arianna.”, gli disse, sospirando, “Faccio un riposino e poi torno in aeroporto.”
Ok... Ricordati di dire a Little di chiamarmi, quando si sveglia.
“Va bene, Jones, ma calmati.”, lo consigliò.
Lo salutò e chiuse la chiamata. Si buttò di nuovo sul letto, si tolse le scarpe ed si accomodò sul materasso, in cerca di ristoro.
 
 
 
Si svegliò di soprassalto rimbalzando sul letto. Guardò fuori e dalla finestra aperta vide un buio stellato che lo allarmò, facendolo drizzare sugli attenti. Spaventato, cercò un orologio, un paio di lancette che gli indicassero l’ora, che gli dicessero che era ancora in tempo per prendere il volo di ritorno ed essere...
“Merda!”, esclamò, vedendo i numeri impressi sulla sveglia elettronica.
Erano le tre e quattro minuti, il suo volo sarebbe partito esattamente un’ora dopo.
Non aveva previsto di dormire così tanto, avrebbe voluto solo assopirsi leggermente per poi svegliarsi un paio di ore dopo, senza compromettere il suo ritorno in patria. Saltò giù dal letto e si infilò velocemente le scarpe. Si prese solo un attimo per andare in bagno a sciacquarsi gli occhi stanchi ed uscì dalla stanza chiedendosi come mai né Jonny né Arianna si fossero preoccupate di svegliarlo. Erano impazzite?
Sentì il silenzio che invadeva tutto il piano e, con discrezione, si avvicinò alla porta della camera di Jonny. Vi accostò l’orecchio cercando di capire se fosse dentro, se stesse davvero dormendo... Non sentì niente, certamente era crollata appena si era sdraiata sul letto. Poi, uno strano rumore attirò la sua attenzione. Si diresse verso le scale,  ad ogni passo quel rumore diventava ancora più definito. C’era una televisione accesa, da qualche parte, sentiva voci italiane attutite e lontane. Cercò di seguire quel suono, quelle parole sconosciute che gli sembravano provenire da una delle porte del corridoio. Aprì una di quelle e trovò quello che cercava: la televisione sintonizzata su un programma qualunque ed un tavolo, quattro sedie intorno ad esso, di cui una occupata da Joanna che lo guardava in attesa. Davanti a lei un piatto macchiato di qualche briciola e, tra le sue dita, una fetta di pane spalmata di cioccolata, proveniente da un barattolo rotondeggiante.
“Jonny”, le fece, “sono le tre, avrei dovuto già essere all’aeroporto!”
Lei si fece perplessa. Posò il suo spuntino ed alzò gli occhi sopra la testa di Dougie.
“Le tre?”, domandò, retoricamente, "E' mezzanotte  adesso...”
Mezzanotte? Dougie si girò e guardo sopra di sé, dove un orologio a muro contava esattamente mezzanotte meno tre minuti. Sospirò di sollievo, la sveglia della sua stanza aveva palesemente mentito, facendogli prendere un infarto.
“Ah! Bene!”, esclamò, “Mi ero addormentato e l’orologio sul comodino mi ha ingannato.”
“Segna l’ora giusta solo due volte al giorno.”, disse Jonny, sorridendogli vagamente, “Hai fame?”
Buona domanda, il suo stomaco si era messo a gorgogliare nell’esatto momento in cui aveva visto quel barattolo di cioccolata.
“Beh... Sì.”, le disse.
“Vuoi un po’ di pane e cioccolata?”, domandò lei.
“Volentieri!”, fece Dougie, con un po’ troppo entusiasmo.
“Siediti pure.”, disse Jonny, alzandosi per preparare qualche fetta di pane in più sul tagliere che riposava sul ripiano della cucina, “Dormito bene?”
“Sì, grazie.”, le rispose, “Com’è che tu, invece, non sei a letto?”
“Non ho sonno.”, disse Jonny, “E non riesco a placare la fame.”
“Sul serio?”, ed alzò le sopracciglia.
Jonny annuì e portò quattro fette di pane appena tagliato. Riprese la sua tra le dita e vi affondò i denti, gustandosi la cioccolata mentre lui aveva appena iniziato a spalmare la sua parte.
“Domani pomeriggio ci sarà il funerale.”, disse Jonny, con tranquillità.
“Così presto?”, le chiese.
“Sì, ha avuto solo un infarto.”, rispose lei.
Quella frase lo fece rabbrividire.
“Scusami...”, disse lei, vedendolo lievemente scosso.
“Oh no...”, cercò di farla calmare con un sorriso tranquillizzante, “Non ti preoccupare.”
Ma Jonny non sembrò affatto seguire il suo consiglio. Posò la sua cioccolata e si chiuse nei suoi pensieri.
“Lo so che non vorresti essere qui.”, gli disse poi, dopo qualche attimo di smarrimento, “Lo so che vuoi tornare a casa.”
Si pietrificò, e cercò subito di scusarsi.
“Ma no, Jonny...”
“Dougie, è evidente che vorresti essere da tutt’altra parte piuttosto che con me, con i miei problemi e con la mia vita schifosa.”, disse lei, i suoi occhi che volavano intorno a lui, e non su di lui. “Lo so che non vuoi avere più niente a che fare con tutto questo... “Che volevi rimanere in aeroporto perché così non avresti dovuto affrontare ancora qualcosa che non ti appartiene.”
“Jonny, lascia stare.”, cercò di fermarla, ma non ci riuscì.
Lei sospirò. Dougie, invece, non poté evitare di sentirsi in colpa: Jonny aveva  capito perfettamente le sue vere intenzioni.
Le stava voltando le spalle, per la seconda volta. Per la seconda volta stava diventando egoista verso una persona che era in bisogno, giustificandosi con un muro di paure e di insicurezze che non avrebbero dovuto appartenere ad uno come lui, che pensava di essere forte abbastanza da affrontare situazioni difficili come quella. Jonny stava vivendo un momento critico. Suo padre era morto, all’improvviso. Si chiese il motivo per cui non avesse ancora pianto una sola lacrima per lui... Poteva sembrare palese, ma la risposta non doveva essere così scontata. 
Si stava trattenendo, si vergognava a piangere davanti a qualcuno? Oppure si era imposta di non versare nemmeno una goccia del suo dolore? Suo padre non meritava neanche un briciolo della sua compassione? Dougie si pose un milione di domande e solo alcune di queste riuscirono a trovare una risposta logica.
“A che ora... Insomma, ci sarà il funerale?”, le domandò, per evitare di prolungare il silenzio.
“Non lo so.”, rispose lei, sospirando, “Dovrei chiederlo ad Arianna.”
Osservò il suo viso triste.
Quello che vide era una ragazza piena di pensieri, di parole che vorticavano nella sua mente, di domande svuotate. Jonny non piangeva perché non aveva ancora trovato il tempo per farlo, la sua mente troppo impegnata in qualcosa. Gli occhi si erano spesso fermati, imbambolati, fissi nel vuoto; li aveva visti bloccarsi nel nulla, apparentemente senza motivo. Rabbrividì al pensiero del momento in cui tutta quella confusione di voci si sarebbe azzerata, affievolita in un colpo solo. Cosa avrebbe fatto Jonny, allora? Ci sarebbe stato qualcuno accanto a lei in grado di non farla precipitare nel vuoto? Chi sarebbe stato capace di prenderla per una mano e tirarla fuori dal dolore?
Arianna? Danny?
O lui, Dougie Poynter, che non si sentiva all’altezza di niente?
“Se vuoi, domani posso rimanere a farti compagnia.”, le propose.
Quella frase nacque spontanea sulle sue labbra. Nonostante pensasse di essere più inutile di una pacca sulla spalla e di un ‘sentite condoglianze’, le volle comunque tendere una mano a cui aggrapparsi, se lei avesse voluto. Non poteva aiutarla granché ma lo avrebbe fatto col cuore in mano. Lei lo squadrò per qualche attimo.
“Non farlo perché ti senti in colpa con me.”, sibilò lei e percepì subito il velo di rabbia nella sua voce.
“Lo faccio per te.”, le disse, “Perché voglio farlo.”
“Non è vero.”, si ritrasse lei.
“Credimi, Jonny.”
“Non mi fido di te.”
Come poteva darle torto? Non aveva mai fatto niente per farle cambiare idea, ma aveva solo cercato di farsi perdonare, ovviamente senza risultato. Sospirò, non aveva la forza per risponderle, e terminò la sua fetta di cioccolata in silenzio, lei fece altrettanto. Spostò gli occhi sulla televisione, cercando di capire chi fosse quell’attore, familiare ai suoi occhi ma senza nome. Si preparò un’altra fetta di pane.
“Posso mangiarla su in camera oppure Arianna non vuole?”, le domandò, per educazione.
“Sì, ma non lasciare briciole sul letto.”, gli disse Jonny.
“Grazie.”, ed uscì dalla cucina.
Passò davanti alla camera di Arianna, la sua fetta giaceva sulla mano, protetta dal tovagliolo. Bussò alla porta e la chiamò, la donna si affacciò con gli occhi assonnati. Le disse che sarebbe rimasto per il funerale, che sarebbe ripartito subito dopo. Lei si accontentò di quelle semplici parole, annuì e se ne tornò a letto.
Lui volle fare altrettanto, ma prima aveva da avvertire un’altra persona.
Pronto...”, biascicò un Danny assonnato.
“Danny, sono io.”, gli disse, senza troppi convenevoli.
Doug...”, borbottò l’altro, “C’è qualcosa che non va?
Se lo stava immaginando: Danny doveva aver guardato l’ora sulla sveglia elettronica chiedendosi perché lo stesse chiamando a quell'ora, sebbene fosse stato un po’ presto per andare a letto, conoscendo le abitudini reali di Danny.
“No, tutto a posto.”, gli rispose.
Little sta bene?”, chiese Danny, “Sta dormendo adesso?
“Cavolo, Danny! Nemmeno fossi suo padre!”, sbottò subito Dougie, pentendosi all’istante per quella frase uscita involontariamente dalla sua bocca.
Ti sembra questo il momento di scherzare su cose del genere?”, lo rimproverò subito Danny.
“Hai ragione, scusa.”, era veramente risentito e tagliò corto, “Devo dirti una cosa.”
Qualche rumore di sottofondo, una Tamara scocciata per il disturbo.
E cosa?
“Qua la situazione è abbastanza... Complicata... Jonny si comporta in modo molto strano.”, lo informò in maniera abbastanza diretta, evitando giri di parole inutili, “Forse è meglio che rimanga, posso tornare dopo domani.”
Dall’altra parte ci fu uno strano silenzio prolungato.
“Dan?”, provò a chiamarlo.
Poynter, hai un volo alle quattro di stanotte.”, gli ricordò Danny, “E’ quello che devi prendere per tornare a casa.
“Lo so ma...”, venne prontamente interrotto.
Fammi capire una sola cosa. Lo stai facendo per farmi incazzare? Perché ci sei riuscito.
“No, lo sto facendo perché Jonny mi sta spaventando. E tu non c’entri niente.”
Perfetto.”, disse l’altro, con poca convinzione nel suo tono di voce.
“Ti va bene?”, gli chiese, quasi retoricamente.
Affatto.”, lo seccò lui, “Ma visto che hai già preso la tua decisione, non posso fare altro che accettarla.
“Ho capito.”, sospirò Dougie rassegnato.
Assicurati che stia bene, che non si trovi sola... E non fare cazzate, Doug, o te la vedrai con me. Te l’ho già detto.
“Va bene.”, e lo salutò stancamente.


Swirling shades of blue slow dancing in your eyes
The sun kisses the earth and I hush my urge to cry





Eccomi qua! Correntemente sarei al lavoro, o meglio, in ufficio ma non in servizio, e faccio tutto dal mio portatile, grazie alla connessione wireless di qua XD Direte, ma cosa me ne frega? Beh, perchè data l'ora di pubblicazione e dato il mio contratto di lavoro, non dovrei farlo adesso! Ma lo faccio comunque, perchè è la mia pausa pranzo e questo è il mio portatile. Ok, bando alle ciance, andiamo direttamente al capitolo.
Il titolo si riferisce alla canzone citata all'interno del capitolo. E' Mary Jane di Alanis Morissette, ascoltatela cliccando qui, mentre i due versi che aprono e chiudono il capitolo appartengono ai Flyleaf, gruppo che sto ascoltando tantissimo negli ultimi tempi, e la canzone è There For You, cliccate qui. No scopo di lucro in entrambi i casi.

Sbrigate le formalità da regolamento, passo ai ringraziamenti :)


kit2007: Spero che le canzoni che ho messo in questo capitolo siano di tuo gradimento... Lo spero solo perchè la speranza è l'ultima a morire, so che saranno doppiamente tristi! XD Via, sei proprio incontentabile!  Le tue supposizioni sono risultate errate, mi dispiace, ma ne sono comunque contenta perchè vuol dire che ti ho colto di sorpresa! Bene, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!

vero15star: La coppia Dougie-Joanna... Mmmh... Beh sarebbe forte, chi lo sa? XD Spero che la reazione di Joanna sia più chiara adesso, anche se lei avrà modo di spiegarsi meglio in futuro. E' piuttosto complessa, spero che capirai :) alla prossima!

Picchia: Tifa pure per Dougie, dipende però per quale motivo lo fai! XD E per il francesismo... Lasciati andare la prossima volta! XD Baciamo le mani...

Ciribiricoccola: Per le tue ipotesi ne abbiamo già parlato, hai indovinato ma sei anche andata un po' fuoristrada... La "sparizione" di Joanna ha a che vedere con quello che hai detto... Ma quello a cui mi riferisco io è più una cosa... Formale. Di scrittura. Di come espongo le cose... Sono sicura che ora capirai, stai attenta a quello che leggi. Danny che non ha una grinza in questa storia? Ne avrà eccome, vedi già come è la sua reazione a fine capitolo... Continuerà così per molto, purtroppo... Via, per il resto non ho niente da aggiungere, hai fatto tutto te!

CowgirlSara: Come ti ho già detto, hai colto perfettamente in pieno la reazione di Joanna. Lo fa per orgoglio, perchè in fin dei conti è quello che ancora le fa male... Continuerà a perseverare per un po', sbattendoci la testa più volte. Da persona orgogliosa, per certi versi la capisco anche... L'orgoglio è duro a morire, ma una volta che si accetta quello che ci capita...

Lady Vibeke: Non ti preoccupare se non commenti con regolarità :) Non ci sono problemi, non sono una che si può permettere la puntualità e la precisione dai suoi lettori, se poi non è capace di fare altrettanto. Comunque, tornando alla tua recensione... Quando entri qua, la cosa più lontana del mondo sono i Tokio XD E Tom Fletcher è tutt'altra persona rispetto al suo Omonimo Kaulitz... Fortunatamente! Joanna è tornata a casa e... Lascio a te!

x_blossom_x: Non so cos'altro aggiungere... Rispondere ai tuoi ringraziamenti vuol dire anticipare metà della storia!  Sarò breve e concisa... Fine XD Grazie Sil *sigh* Ma non posso andarmene cosìììììì.... Cosa posso dire? Boh... *sigh* A stasera...

Giuly Weasley: Quello che mi manca di più dalle mie lettrici è... Tu! Mancavi tu, mancavano le tue recensioni lunghe, i tuoi svisceramenti, i tuoi pensieri, le tue psicanalizzazioni... Mancava una delle mie lettrici preferite! Non so cosa dire nemmeno a te. Beh, la reazione di Joanna a Dougie ha sollevato molti dubbi nelle persone, soprattutto per l'intransigenza di lei... Poteva essere più flessibile? In fondo lui le ha chiesto scusa, non sa per caso perdonare? Sì, Joanna sa perdonare e lo leggerai, ma ha detto bene CowgirlSara, è maledettamente orgogliosa. Ed ha paura di soffrire di nuovo... E' quello il punto.

GodFather: Tutti in questa storia ce l'hanno con Dougie! Maria santuzza! Facciamo una seduta per perdonarlo! Però mi sa che sei obbligata a darmelo per più di qualche comparsata... Che ne dici??? XDDDD

_Princess_: Eccoti finalmente! Giusto in tempo per il nuovo capitolo! Spero di averti pagato con moneta di tuo gradimento, perchè d'ora in poi la storia si complicherà all'ennesima potenza.













   
 
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