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Autore: aturiel    07/01/2015    8 recensioni
Avevano preso l'abitudine di riunirsi annualmente in un luogo a metà strada, un po' come accadeva in quelle famiglie sparse per il globo che, durante l'anno, si parlavano a malapena, e poi il giorno del Ringraziamento parevano i parenti più uniti che mai occhio umano aveva incrociato.
E così, un giorno su trecentosessantacinque, facevano finta di essere ancora il gruppo di amici che aveva salvato il mondo dieci anni prima, gli “Eroi dell'Olimpo”: Hazel, Frank, Jason, Piper, Leo, lui e Annabeth.
E Nico.
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Quinta classificata al contest "Game of Judges: La chiamata alle armi" indetto da Encha e Kaika sul forum di EFP
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Percy era seduto nella loro – sua e di Annabeth - camera da letto, intento a fermare il tremore delle proprie mani.
Erano passati anni ormai da quando lui e i suoi compagni – i suoi amici – avevano smesso di salvare il mondo ogni estate e si erano tutti ritirati con la speranza di trovare finalmente la tranquillità. Erano passati anni – quasi dieci, a ben pensarci – da quando era giunta anche per loro la fine delle avventure adolescenziali.
Ognuno di loro aveva preso una strada diversa e cercato di creare nelle proprie vite una parvenza di normalità: Jason e Piper si erano trasferiti in Canada e avevano festeggiato l'anno precedente il quarto di matrimonio, Leo aveva conosciuto una ragazza patita come lui di meccanica e adesso condividevano un appartamento nei pressi di New York, Hazel e Frank stavano ancora insieme e vivevano ogni giorno come una conquista in un paesino vicino al mare. Tutti avevano, insomma, trovato l'amore che stavano cercando, tutti avevano raggiunto il loro “happy ending”; anche lui e Annabeth avevano deciso di sposarsi, ad ottobre.
Nonostante la loro lontananza, però, avevano preso l'abitudine di riunirsi annualmente in un luogo a metà strada, un po' come accadeva in quelle famiglie sparse per il globo che, durante l'anno, si parlavano a malapena, e poi il giorno del Ringraziamento parevano i parenti più uniti che mai occhio umano aveva incrociato.
E così, un giorno su trecentosessantacinque, facevano finta di essere ancora il gruppo di amici che aveva salvato il mondo dieci anni prima, gli “Eroi dell'Olimpo”: Hazel, Frank, Jason, Piper, Leo, lui e Annabeth.
E Nico.
Lui arrivava sempre in ritardo e andava via sempre in anticipo, con quella faccia sempre troppo pallida e i vestiti sempre neri, come i suoi occhi e il suo intrico di capelli. Non era mai troppo contento di trovarsi lì, tanto che ogni anno faceva un sacco di storie e si inventava una caterva di scuse per evitare di rincontrare i suoi compagni; ma poi Percy insisteva, anche dopo che Nico aveva rifiutato tutti gli inviti degli altri. Lo chiamava e gli chiedeva: «Allora, quest'anno ci sei?» e l'altro gli rispondeva, con voce soffocata: «Vedrò se riesco» e riagganciava.
Ed era venuto sempre, alla fine. Tutti gli anni.

Quell'anno però, quando Percy aveva fatto la sua chiamata annuale, invece della sua formula fissa Nico aveva risposto con un secco “no”. Non era mai successo, e per questo motivo il figlio di Poseidone si era convinto che fosse successo qualcosa, qualcosa di grave. Dunque aveva preso l'auto, aveva lasciato sul tavolo della cucina una lettera ad Annabeth ed era partito alla volta dei Monti Chugach, dove sapeva che Nico abitava.
Impiegò giorni per trovarlo e, quando finalmente ci riuscì, lo rimpianse.
Bussò alla porta in legno, stringendosi nel suo piumino blu per cercare di trattenere un minimo di calore attorno al suo corpo. Faceva un freddo cane.
Quando la porta si aprì, fece capolino una figura macilenta e mortalmente pallida – anche più del normale -, con i capelli troppo lunghi e gli occhi contornati da occhiaie scure. Eppure, appena lo vide, il suo sguardo si accese di un guizzo di sorpresa e felicità, tornando però poi subito torbidi e stanchi.
Non era normale che un ragazzo di venticinque anni avesse quell'aspetto, nemmeno se si trattava di Nico di Angelo; c'era qualcosa di profondamente sbagliato in lui, nel suo aspetto, e Percy, che era consapevole di non essere la persona più sveglia del mondo – a quello ci pensava già Annabeth -, se ne accorse: non c'era bisogno di un genio per capire che qualcosa non andava in lui.
«Percy? Che cosa ci fai qui?» chiese l'amico, rompendo i secondi di silenzio che si erano formati. «Devo trascinarti – preferibilmente non con la forza – alla rimpatriata di quest'anno» rispose lui, cercando di apparire allegro come sempre.
«Ho già detto a tutti, te compreso, che non verrò».
«Dammi almeno la possibilità di provare a convincerti! Fammi entrare, dai».
Nico si alzò nervosamente sulle punte dei piedi e si strinse nelle spalle; era un'abitudine che non aveva mai perso quella di palesare così il suo disagio.
«Va bene, entra» cedette, infine.
La casa non era cupa come Percy aveva immaginato: le pareti erano tutte di un bianco abbacinante, l'arredamento in legno scuro era tutto sommato piuttosto minimal, anche se parzialmente nascosto da cataste di vestiti scuri o riviste gettativi sopra alla rinfusa. Insomma, era una normalissima – e isolatissima – casa di montagna.
Una volta che entrambi si furono seduti sul divano, Percy incominciò a snocciolare il discorso che si era preparato durante il viaggio, facendo finta di non essersi accorto dello stato fisico dell'amico:
«Lo so che sono passati anni da quando abbiamo sconfitto Gea, salvato il mondo e tutto il resto, e so che tu non sei molto socievole e che spesso ti trovi a disagio a partecipare a queste “stupide rimpatriate”, come le chiami tu, però tutti noi saremmo davvero felicissimi di rivederti anche quest'anno! Poi, alla fine, l'anno scorso ti sei divertito anche tu quando siamo andati a fare la gita in bicicletta; e se hai una ragazza, potresti tranquillamente portarla! Anche Leo stava pensando di...»
«Non ho nessuna ragazza, Percy» lo interruppe.
«Non c'è bisogno che menti, sono sicuro che qualcuna...»
«Non sto mentendo. Ti ho detto che non ho nessuna ragazza» rispose infastidito.
Ok, ho sbagliato a toccare questo argomento.
Percy si era quasi dimenticato di come fosse difficile ragionare con Nico e vincere quell'aria lugubre che sempre lo attorniava. Però non si diede per vinto: voleva a tutti i costi che anche lui venisse. Non sapeva bene il motivo, ma al solo pensiero di vedere vuoto il posto che, ormai da quasi dieci anni, occupava si sentiva perso, come se avesse bisogno di percepire accanto a sé, almeno quel giorno, quella sua figura alta e allampanata, nonostante sapesse che sarebbe stato in silenzio per quasi tutta la giornata.
«Senti, Nico, ti va di venire? Per favore».
Nico spostò gli occhi da quelli verdi di Percy, quasi come se volesse sfuggire dalla loro morsa così dolorosa e implorante. La verità era che aveva ormai da tempo un debole per quel colore – no, non per il verde in generale, per quel verde – e nemmeno il tempo aveva attenuato le sensazioni contrastanti e i rimescolii di stomaco che gli provocava.
Ormai però era stanco e sapeva che non sarebbe mai riuscito a soddisfare quel desiderio che lo scuoteva da sempre. Percy stava con Annabeth e, che lui lo volesse o no, a ottobre si sarebbero sposati.
Non sarebbe mai dovuto venire!
«Percy, quest'anno non verrò. Non cercare di fare il carino: lo so che non è facile starmi vicino, adesso più che mai, quindi tu e gli altri lasciatemi in pace».
«Non sto cercando di fare “il carino”! Voglio solo che tu ci sia, e basta».
«E perché, per Zeus? Cosa ti cambia se per un anno non verrò?» sbottò Nico.
Ecco, aveva colpito il punto dolente: perché Percy desiderava tanto che venisse? Perché sentiva quasi il bisogno che lui fosse presente?
Voltò il viso, cercando di non far intravedere il suo turbamento, poi rispose:
«Perché sei mio amico, mi pare ovvio. E poi...»
Ma non fece in tempo a finire, perché il suo discorso venne interrotto da una raffica di colpi di tosse che scosse violentemente il corpo magro del suo interlocutore.
Percy si avvicinò per soccorrerlo, appena in tempo per vedere Nico che nascondeva sotto la manica della sua felpa nera il polso con cui si era coperto la bocca. Fu solo per un momento, ma Percy era certo che fosse macchiato di rosso.
Il figlio di Poseidone spalancò gli occhi, incredulo e il cuore perse un battito: che Nico stesse male? Che fosse malato gravemente?
Preso dalla foga, afferrò le sue spalle spigolose e lo costrinse a guardarlo, piantandogli quegli occhi color dell'oceano dritti in viso.
«Che cos'hai?»
«Niente, solo un po' di tosse» rispose l'altro, cercando di sfuggire dal suo sguardo preoccupato.
«Non mi sembra: ho visto del sangue, su quella mano».
«Ti sarai sbagliato».
«No, ne son certo».
Rimasero un po' in silenzio, con Nico che guardava il pavimento e sembrava sul punto di scoppiare a piangere e Percy che non sapeva cosa fare.
«Nico, tu devi venire».
A quelle parole il figlio di Ade si divincolò con forza, sibilando: «Sai che odio il contatto fisico, Percy. Lasciami in pace e non...» tossì ancora, interrompendo la sua protesta. Si pulì di nuovo la bocca con la mano, lasciando una nuova scia rossastra.
Vedendo la scena, Percy non riuscì a trattenersi: «Ma Nico, tu stai male! Non voglio che tu...»
Ancora una volta Nico lo interruppe, questa volta urlando: «Che tu cosa? Che tu non possa più venire, dopo quest'anno? Che tu non ci veda ancora una volta? Che tu muoia?» e con uno scatto si allontanò, cercando di rifugiarsi nella stanza adiacente, la sua camera da letto.
Ma Percy lo seguì e lo afferrò con forza da dietro, abbracciandolo. Nico si divincolava, scalciava e sgomitava, ma era debole e, alla fine, si abbandonò sul petto dell'amico.
Il suo corpo era scosso di tanto in tanto dalla tosse, e Percy, ogni volta, si sentiva soffocare: per ogni spasimo, lui perdeva un po' d'aria, per ogni colpo, lui si sentiva come se stesse affogando.
Nico intanto, fra e sue braccia, era scoppiato in un pianto silenzioso, perché lui, il figlio del dio dell'oltretomba, aveva paura di morire, perché lui, che aveva rischiato la vita innumerevoli volte anni prima, aveva il terrore di chiudere gli occhi alla sera e di non riuscire a riaprirli il mattino seguente. E più di tutto lui che aveva deciso di vivere in una casa immersa nel nulla, lui che si era allontanato dai suoi amici subito dopo la battaglia finale contro Gea aveva paura di sentirsi tremendamente solo nell'Ade, aveva paura di non trovare la pace che cercava.
Il calore del corpo di Percy contro il suo lo faceva sentire al sicuro, eppure anche infinitamente fragile: era magro, sottile e scosso dalla tosse, l'altro invece era muscoloso e atletico, in ottima salute.
Non voleva che Percy lo vedesse piangere, che notasse il tremito delle sue mani scheletriche, che provasse pietà per lui: non lo avrebbe sopportato.

Non sapeva da quanto tempo stava stringendo Nico a sé quando l'altro, gentilmente, si allontanò dalle sue braccia, ma non appena lo fece si sentì come sbilanciato senza quel fisico sottile a sorreggerlo; quindi, quando finalmente Nico alzò gli occhi neri leggermente arrossati su di lui, gli sembrò naturale appoggiare le labbra sulle sue.
Nico restò sorpreso di quel contatto e subito si irrigidì. Sentendo però che l'altro non aveva intenzione di staccarsi troppo presto, socchiuse la bocca e si fece baciare a lungo e in profondità. Era una vita che aspettava quel momento e, per ironia, proprio ora che la sua vita stava finendo Percy si era deciso a baciarlo.
Quando si separarono, Percy era rosso in viso e cercava in tutti i modi di sfuggire dagli occhi neri ancora stupiti e invasi da una nuova speranza dell'altro, ma comunque trovò il coraggio di chiedere:
«Allora, quest'anno ci sei?»
Dopo un attimo di indecisione Nico rispose, quasi sbuffando: «Vedrò se riesco».

Note autrice:
Innanzi tutto ringrazio Kaika e Encha per avermi dato la possibilità di scrivere questa fic con il loro contest "Games of Judges: chiamata alle armi", perché altrimenti non avrei mai trovato il coraggio di pubblicare qualcosa nella sezione dedicata a Percy Jackson.
Poi vorrei dire che, appunto, questa è la mia prima fic su questo fandom e so già che è banale, drammatica e boh, abbastanza melensa, ma che è stata scritta dopo aver finito di leggere "La casa di Ade" e dunque potete capirmi. Ovviamente la prima storia - spero non ultima - qui, doveva essere necessariamente Pernico, perché voi non lo sapete, ma io li shippo da anni 
❤ e poi, scusate, ma sono troppo carini.
All'inizio doveva essere una semplice shot, ma visto che mi sono uscite nove pagine (che per me sono tantissime, giuro) ho deciso di dividerla in due, forse tre, parti.
Spero che nonostante tutto vi piaccia e che mi darete il vostro parere! Mi farebbe un piacere immenso ^_^
P.s. non sono molto sicura che i personaggi siano IC, quindi in caso contrario fatemi sapere che metto l'avvertimento piuttosto.
   
 
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