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Autore: La Nuit du Chasseur    08/01/2015    4 recensioni
"... Dici che potremmo concederci il lusso di sentirci, e di tanto in tanto di vederci anche? Senza promesse, senza dare un nome a questa cosa, solamente non perdersi di vista, non dimenticarci l’uno dell’altra. Dici che possiamo?”.
“Dico che possiamo, bambina” le disse sulla bocca.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mondo era finalmente tornato a girare 
 
        I primi tempi con Christine a casa furono frenetici. Emma era serena, ma molto impacciata e aveva in Constance e Vicky due grandissime alleate. Le donne si erano praticamente trasferite a casa Leto, e la aiutavano in tutto e per tutto, consigliandole cosa fare e cosa non fare, ma sopratutto ascoltando le sue piccole crisi da neomamma.

Shannon era innamorato di sua figlia e continuava a portare a casa vestitini nuovi, cianfrusaglie inutili ma bellissime e non perdeva occasione per tenerla in braccio. I fratelli Leto erano totalmente impazziti in verità: quando erano insieme alla bambina facevano a gara a chi si preoccupava di più e le parlavano normalmente di cose quotidiane, come se lei potesse capirli e rispondere. Un giorno, Emma trovò Jared seduto al pianoforte del MarsLab con Christine in braccio che le chiedeva se fosse meglio inserire Do or Die acustica o in versione originale, durante i concerti invernali. E questa era ormai la normalità.

Una sera, uscendo dalla doccia, sentì una strana calma in casa, cosa che non accadeva da quando c’era Christine nelle loro vite. Frizionandosi i capelli con un telo di lino, raggiunse il salotto e trovò Shannon steso sul divano con la piccola sul petto: dormivano entrambi beatamente. Era una scena meravigliosa, prese velocemente lo smartphone e la immortalò, inviandola subito a Jared. Gli scrisse: “Ecco che fine ha fatto il batterista che si faceva una donna a sera”.
Sorrise al pensiero di tutte le donne che aveva visto uscire dalla camera di Shannon negli anni e gli andò vicino, sedendosi accanto a lui sul divano.
“Ehi, dongiovanni” gli disse accarezzandogli la gamba.
“Uhm..." Shannon si svegliò e cercò di capire dove si trovasse, poi sorrise ad Emma. "Se ti riferisci a lei… beh non è come pensi, posso spiegarti” le disse, prendendola in giro e massaggiandosi il viso.
“Questa signorina dovrà spiegarmi tante cose, visto che da quando è qui in pianta stabile, io vengo trascurata al massimo” gli disse Emma, facendo l’offesa.
“In genere sono le donne che trascurano i mariti, in questi casi”
“A noi le cose convenzionali non ci piacciono, dovresti saperlo, Leto”
“Già…” le disse lui alzandosi per poggiare la bambina nella culla e accendendo la radiolina accanto a lei. Poi a passo lento tornò verso Emma, in silenzio. La guardò e la trovò più bella che mai, sicuro che non avesse mai smesso di esserlo. “Dunque, ti stai lamentando che ti trascuro, vero…” le disse suadente.
“Perché non è così?” lo rimbeccò lei, incrociando le braccia sul petto. 
“Pagherò tutte le mie colpe” le disse e in un lampo le fu sopra, la sollevò di peso e se la incollò al corpo, lasciando che lei gli cingesse la vita con le gambe e il collo con le braccia.
“Shan… c’è Christine!” gli disse soffocando una risata per non far svegliare la piccola.
“Infatti ti sto portando via” le spiegò Shannon iniziando a camminare. Arrivò nella loro camera da letto, e si sedette sul letto, tenendosela addosso e iniziando a baciarla piano, lentamente. Non facevano l’amore da tempo, ormai e mancava ad entrambi. Il contatto fra i loro corpi, le sensazioni, i sospiri e la passione: era stato tutto accantonato, ovviamente, ma ora sentivano di non poterne più fare a meno. Era tutto amplificato dalle settimane in cui erano stati lontani, in cui forse non avevano neanche pensato di essere una coppia.
“Dici che possiamo?” gli sussurrò lei, consapevole che ormai non avrebbe più potuto fermarsi.
“Dico proprio di si” le rispose, lasciando che una spallina cadesse sul braccio, e baciandole la spalla. Emma si lasciò andare, ma non fece in tempo a togliersi la maglia che sentirono Christine urlare dal salotto.
“Devo andare…” gli disse sulle labbra, triste e sconsolata.
“Ti prego, lasciala piangere un pochino, non morirà!” tentò lui.
“Siamo due genitori terribili” rise lei, ancora immobile in quella posizione che amava. “Torno subito, anzi prima di subito, il tempo di vedere se va tutto bene, promesso. Aspettami” gli disse languida, alternando baci roventi a quelle parole. Lo vide gettarsi sul materasso a braccia aperte e corse in salotto a vedere se tutto era tranquillo. Appurato ciò, si spogliò in fretta, lasciando vestiti ovunque, e tornò in camera, pronta a sedurre il suo uomo, che nel frattempo però era crollato in un sonno profondo, nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato, solo pochi minuti prima. 
Lo guardò sospirando e si coprì con un accappatoio, andando a stendersi accanto a lui.


Non dormì per molte ore, rimase a guardarlo. Quell’uomo era ai suoi occhi la perfezione e lei si sentì così fortunata ad averlo accanto. Pensò con ormai era quasi un anno che stavano insieme davvero: un anno prima, alle Hawaii lei aveva lasciato tutte le sue paure e le sue fissazioni ed era volata in quel paradiso, dove ad accoglierla c’era lui, bello come sempre. In un anno avevano fatto l’amore, litigato, avuto un figlio, litigato di nuovo, imparato a conoscersi e a costruire qualcosa. Era stato un percorso bellissimo e difficilissimo, ma lei era fiera di poter dire che ce l’avevano fatta. Era certa che i problemi non erano finiti, perché la vita te ne presenta sempre altri, ma per quanto la riguardava ora potevano tirare un sospiro di sollievo: loro erano davvero pronti. E solidi.

Solo a notte fonda si decise a svegliarlo piano. Iniziò a mordicchiargli l’orecchio e non ci volle molto perché Shannon riprendesse i sensi, Emma se ne accorse perché sentì il suo braccio stringerle di più la vita e attirarla a sé.
“Avevamo un discorso in sospeso io e te…” gli disse piano, dentro l’orecchio, lasciando che le sue labbra lo sfiorassero piano.
Shannon le sorrise e le aprì piano l’accappatoio, ammirandola e sovrastandola con il suo corpo.
“Non volevo addormentarmi, scusa” le disse fra un bacio e l’altro.
“Ora sei sveglio, hai solo una cosa in più da recuperare”
“Agli ordini…” le disse ridendo, ed iniziando ad eccitarla. La baciò ovunque, lasciando che la sua pelle si arrossasse sotto la leggera barba di qualche giorno, le sfilò l'accappatoio gettandolo altrove, e quando la vide supplicarlo con gli occhi e il sorriso eccitato, la fece sua, mettendoci la passione di cui era capace e l’amore che non aveva mai dato a nessun’altra.

        Shannon ansimava sopra di lei e la guardava godere in silenzio, con gli occhi incollati nei suoi. La amava e quando si ritrovarono, stanchi e felici, a cercare il lenzuolo per coprirsi dal leggero vento che entrava dalla finestra, glielo disse, piano, sussurrandolo: “Sei la mia vita”
“Non sono la tua musica” disse lei, scherzando, ma sapendo di dire una grande verità. Non era mai stata gelosa della musica, sapeva di non poter competere. 
“Lo so, ma tu e Christine mi avete regalato la sensazione di avere davvero tutto. Grazie, moglie”
“Di nulla, marito” gli rispose raggiante, sporgendosi a baciarlo. Non rinunciò al suo braccio che le solleticava la schiena, si mise a pancia in giù e poggiò il suo mento sul petto di Shannon, guardandolo negli occhi. Dopo qualche minuto glielo chiese: “Cosa hai deciso di fare?”. Entrambi sapevano quale fosse l'argomento. 
“Devo dirglielo” rispose Shannon, distogliendo lo sguardo da lei e puntandolo al soffitto. “E’ il mio migliore amico, devo farlo. Speravo che lo facesse Miriam, ma sai come stanno le cose: dubito fortemente che la rivedremo, ed io non posso permettermi di tenere nascosta una cosa così grave al mio migliore amico”
“E’ giusto”
“Davvero lo pensi?”
Emma annuì sorridendogli e lasciandogli un bacio leggero sulla clavicola. Shannon era stato presente e felice nell’ultimo periodo, ma Emma aveva osservato bene e aveva scoperto più volte un velo nei suoi occhi, sapendo benissimo a cosa doverlo ricondurre. Era tempo che lui si togliesse quel peso dalla coscienza e dal cuore, lei gli sarebbe stata vicina.
“Ti amo”
“Ci sarò, lo faremo insieme” lo rassicurò ancora.
“No, devo farlo da solo” rispose Shannon, alzando la testa per baciarla teneramente. “E’ bello averti, davvero”.

        Jared era in spiaggia. Erano settimane che sentiva che qualcosa non era apposto, che era inquieto e l’unica cosa che riusciva a placarlo era passeggiare sulla sabbia, da solo, preferibilmente al tramonto.
Shayla aveva chiuso con lui subito dopo la nascita di Christine. In realtà potevano dire di essere stati insieme pochissime volte, ma quando la bimba era venuta alla luce e lei era andata in clinica a congratularsi con Emma, aveva capito di non poter mentire ancora: lei avrebbe sempre avuto un debole per Shannon, e niente avrebbe potuto cambiare le cose. Forse un giorno sarebbe arrivato un uomo che le avrebbe fatto perdere la testa, ma quell’uomo non era Jared ed era inutile continuare a fingere che quella relazione di sesso fosse un modo per ripartire, per cancellare i veri sentimenti.
Quando era uscita dalla stanza di Emma, Jared l’aveva seguita e lei aveva semplicemente sorriso dicendogli quelle parole in maniera delicata. Lui era rimasto sconvolto dalla normalità con la quale Shayla era riuscita a dirgli che dovevano finirla lì, non ne era rimasto deluso: lui stesso aveva capito che non era quello il modo per tornare a sorridere.
Si erano abbracciati ed erano tornati ad essere solamente colleghi e amici, accantonando quel periodo di follia durante il quale non facevano altro che cercare luoghi per consumare un rapporto che aveva illuso entrambi di aver cambiato le cose che non andavano nelle loro vite.

Da quel giorno, Jared aveva cercato di analizzare le cose in maniera critica: andava spesso in spiaggia a camminare. Teneva le mani in tasca, e guardava l’orizzonte, sperando che gli dicesse cosa c’era che non andava. Anche se lui lo sapeva benissimo da sé: Miriam.
Non la sentiva né vedeva da luglio: circa due mesi, giorno più giorno meno. Ed era dura, più dura di quanto credesse: era appena iniziato settembre e presto sarebbe stato… no, si impose di non pensare, che pensare era vietato da tempo. Anche se poi non è che si riuscisse ad evitare certe cose.

Affondò i piedi nella sabbia e si fermò, sperando che l’oceano riuscisse a placare il suo dolore: come erano finiti in quel modo? Loro si amavano, loro erano sopravvissuti a molto peggio, erano stati lontani e si erano rincorsi per mesi. E poi? Poi tutto era finito quando si erano avvicinati. Stava iniziando a pensare che l’errore era stato proprio avvicinarsi, perché forse erano destinati a grandi cose, ognuno nel proprio mondo. Si maledì, perché ormai cercava una soluzione razionale a quel caos interiore ogni minuto, ma non ne trovava mai e forse avrebbe solamente dovuto smettere di cercarle.
Scalciò la sabbia bagnata in preda ad un moto di rabbia e girandosi andò ad urtare contro qualcuno, alzò gli occhi per chiedere scusa e incrociò l’unico sguardo che non avrebbe mai e poi mai voluto incontrare.

        Miriam si sentì invadere l’anima di azzurro e tremò per un momento, e non era a causa di quel leggero vento settembrino che si era alzato sulla spiaggia. Lo fissò in volto e sentì le lacrime salire pericolosamente agli occhi, poi tornò vigile, perché Chris le strinse la mano, come a voler rimarcare un territorio, come a volerla far tornare con i piedi per terra.
“Scusa” disse solamente Jared.
“No, figurati… ero distratta, non ti ho visto” gli rispose, balbettando quasi. Jared sorrise appena, perché ricordava benissimo che quando Miriam non sapeva come reagire finiva per parlare troppo.
“Come stai?”
“Io, bene… si, bene. E… e tu?”
“E’ un bel periodo”
“Ho saputo della bambina, auguri”
“Non dovresti farli a me”
“Si, lo so, ho mandato dei fiori in clinica” rispose stizzita, perché odiava quando Jared faceva il puntiglioso.
“Ah, brava”
“Il tour?” chiese cambiando argomento. Sentì Chris muoversi accanto a lei e si ricordò della sua presenza, così aggiunse: “Ah, ti presento… Chris”. Non sapeva come qualificarlo, anche se sapeva benissimo come avrebbe voluto essere qualificato lui.
“Ciao” disse distrattamente Jared, per poi tornare a concentrare i suoi occhi su Miriam. “Abbiamo rimandato il tutto di qualche mese, per dare a Shannon il tempo di trovare equilibrio con la nuova situazione”
“Magari torno a vedervi” rispose Miriam sorridendo, per lanciare una tregua. Jared rise amaro e girò lo sguardo verso l’oceano, perché avrebbe voluto dirle tante cose e allo stesso tempo voleva soffocare i sentimenti che sentiva riaffiorare piano, come se li avesse semplicemente messi in pausa. E mai dimenticati.
“Beh, devo andare” disse velocemente Miriam, per togliersi d’impaccio.
“Ci si vede allora”
“Ciao”.

         La guardò allontanarsi, vestita in maniera elegante e diversa. La vide e si accorse che la amava ancora, ma che avrebbe dovuto smettere di farsi del male: era lei che aveva incasinato tutto. Disse che non importava, che poteva avere tutte le donne che voleva, disse a se stesso di smetterla di fare il quindicenne e di pensare alle cose serie, come chiamare Annabelle per quella sera. Ma rientrando a casa, irrequieto e scontroso, vide lo scatolone delle foto che lei aveva fatto stampare, e che lui aveva gelosamente custodito sotto il letto.

        Miriam mise le chiavi nella serratura e sperò che Chris decidesse di tornare a casa e lasciarla sola. Era tardi, e l’indomani avrebbero dovuto lavorare entrambi. Da quando erano tornati dagli Hamptons, dove lei era stata presentata come la fidanzata di Christopher, lui era particolarmente appiccicoso e presente: non la mollava un attimo, premeva per passare quasi tutte le notti da lei, e se era a casa sua la costringeva quasi a rimanere lì. Erano giorni che la pressava per andare a Parigi a conoscere i suoi genitori, e lei prendeva sempre tempo, ma sapeva benissimo che il tempo sarebbe presto finito.
Sospirò quando lo vide togliersi poggiare il suo orologio sull’isola della cucina, chiaro segno che sarebbe rimasto e che ormai lo considerava una cosa normale, chiara a tutti. Andò direttamente in bagno e chiuse la porta guardandosi allo specchio: non era pronta a rivedere Jared, l’aveva colpita come uno schiaffo in pieno viso ed il peggio era stato incontrarlo con Chris. Era tutto così fottutamente difficile. Si odiava per quello che era riuscita a rovinare e odiava lui per non averla aiutata ad andare avanti, a non buttare niente.
Stava per infilarsi dentro la doccia quando sentì un po’ di trambusto in salotto, così si affacciò e sentì Chris che parlava con qualcuno. Tese l’orecchio.
“No, lei non c’è” disse Chris risoluto e scocciato. Era davanti la porta aperta, ma lo spiraglio e la sua figura davanti le impedivano di vedere chi fosse. Sentì la voce però.
“Questa è casa sua. Devo parlarle” disse quella voce.
“Le dico che non c’è. E comunque non vorrebbe parlarle. Mi scusi” rispose di nuovo Chris. Miriam lo colse a girarsi appena, per sincerarsi che lei non sentisse nulla, e lei fu veloce nel richiudere la porta del bagno per mantenere il segreto di aver scoperto che Jared era alla sua porta e voleva vederla. Si strinse nell’accappatoio e si poggiò alla porta chiusa, sperando che lui se ne andasse presto. Dopo qualche minuto sentì la porta di casa chiudersi e sospirò: ma cosa sto facendo? Si chiese ed in un lampo fuggì dal bagno, avventandosi sul portone d’ingresso.
“Miriam, cara, ma che fai?” chiese Chris, fintamente stupito. Non gli rispose neanche, si precipitò fuori e arrestò la sua corsa quando lo vide fermarsi sul ballatoio, ancora di spalle, perché aveva sentito la porta riaprirsi. Non disse niente, guardò la sua schiena e attese che si girasse. Aveva ancora l’accappatoio bianco addosso, i capelli legati in una coda spettinata, il trucco un po’ sciolto, l’espressione dura. Lui finalmente si girò.

“Ciao” le disse solamente
“Cosa vuoi?” gli chiese subito. E sembrò dura, anche se era solo l’urgenza che aveva nel sentirgli dire l’unica cosa che le sue orecchie volevano sentire. Era la necessità che lui la salvasse dal casino in cui si era cacciata, lei che non sapeva salvarsi da sola.
“Parlarti” le rispose, guardandola.
“Parla”
“Qui?”
“E dove altro?”
“Va bene” acconsentì lui, sospirando e guardandola negli occhi. “Che fine hai fatto?”
“Sono sempre stata qui, sei tu che sei scappato”
“Non intendo fisicamente. Dov’è la Miriam che conosco io?”
“Non incominciare pure tu, la ramanzina me l’ha già fatta Shannon”
“Non lo sapevo e non mi interessa. Ti rivoglio”
“E’ tardi”
“Perché ora stai con quel tizio di cui non ti frega niente?” chiese sprezzante. Miriam annaspò perché l’aveva colta in fallo, ma non poteva dirgli che aveva ragione.
“Mi importa invece” disse solamente, sicura che non le avrebbe creduto. Non era riuscita a convincere neanche se stessa.
“Cazzate, Miriam”. Ora sorrideva amaro, e aveva indurito la voce, perché la vedeva lontana anni luce, e non solo per puntiglio. Vedeva i suoi occhi spenti e la sua figura che non lottava, né con i gesti né con le parole. La vedeva lontana ed era una pugnalata al cuore. Perché aveva lasciato che andasse via? Non lo sapeva più, tutte le sue convinzioni erano andate a farsi fottere e lui rischiava di annegare. Così come Miriam, davanti a lui. Annegati nello stesso mare per non aver saputo camminare insieme.
“Come ci siamo arrivati qui?” le chiese, lasciando da parte le armi.
“Mi hai lasciato tu” gli ricordò e servì solamente a farlo arrabbiare di nuovo.
“Ti ho lasciato perché tu volevi la tua indipendenza e mi hai accusato di tenerti chiusa in gabbia” le urlò contro, puntando il dito verso di lei a voler sottolineare come stavano le cose. In quel momento uscì Chris dall’appartamento e intervenne: “Ora basta, Miriam entra in casa dai”
“Non sto parlando con te” gli disse Jared, senza nemmeno guardarlo. Aspettava che Miriam facesse qualcosa, qualsiasi cosa, un segno che lo portasse a lottare ancora. Ma lei non fece niente e a lui caddero le ultime voglie che aveva.

Miriam mosse un passo verso l’ingresso di casa, incapace di distogliere lo sguardo da lui.
“Miriam, finisce davvero così?” le chiese retorico, ancora in attesa di un segnale, di qualcosa.
“Mi dispiace, Jared” disse lei con una voce così bassa e così piatta che Jared fu totalmente annientato.
“Sai che non è la cosa giusta, tu lo sai” tentò di nuovo lui, sentendo la terra tremargli sotto ai piedi. 
“Senti, ti ha detto che non vuole più vederti, sparisci” lo aggredì Chris, puntandogli un dito contro.
Jared lo guardò costringendosi a non prenderlo a pugni e parlò di nuovo con Miriam: “Bambina, possiamo farlo” le disse, sapendo che solo lei avrebbe capito. La vide chiudere gli occhi e trattenere a stento le lacrime, e per un momento sperò che lei gli corresse incontro e mandasse al diavolo quell’uomo, ma lui la spinse in casa e lei non si ribellò. Sentì il tonfo della porta così forte che gli girò la testa e chiuse gli occhi, cercando la forza che gli serviva per rassegnarsi davvero: era finita.

        Quando la porta si chiuse, Miriam sentì un peso opprimerle il petto, sentì una rabbia farsi largo nel suo stomaco e arrivarle fino in gola. Guardò furente Christopher e con una voce che stentava a credere essere la sua, disse solamente: “Fuori di qui”.
Christopher si girò guardandola perplesso: non poteva avercela con lui, era sicuramente un malinteso, doveva aver sentito male. Ma quando incrociò il suo sguardo e la vide algida, si irrigidì lui stesso e le rispose solamente: “Scusami?”
“Voglio che te ne vada. Ora” disse di nuovo Miriam, cercando di essere più chiara. Non perse il suo tono fermo, non si fece dominare dall’emozione e impose a se stessa di essere risoluta e sicura.
“Miriam, tesoro, ma che dici” le chiese retoricamente, avvicinandosi a lei, cercando di placare la voglia di mandarla al diavolo e di apparire calmo e dolce. “Vieni qui, dai. Sei sconvolta” aggiunse, allargando le braccia per accoglierla. Ma Miriam rifiutò quel suo gesto conciliante, lasciando che le braccia dell’uomo stringessero l’aria, invece del suo corpo. E lì, la furia, non fu più dominabile.
Christopher si voltò di scatto e la guardò fuori di sé e sibilò: “Sei una puttana. Ti stai vendendo l’anima per quel burattino dai capelli lunghi, che ti scoperà e ti getterà via”
“Non parlare così, né di me, né di lui”
“Perché sennò cosa fai, ragazzina?”. Le si avvicinò minaccioso, le mani sui fianchi e l’aria di chi voleva sfidare a viso aperto l’avversario.
“Chris, senti, mi dispiace. Io non posso stare con te, non posso e non voglio” disse Miriam, ammorbidendo la voce e il tono, per paura della sua reazione che stava diventando sproporzionata, ma anche perché la forza di combattare la stava abbandonando e voleva solamente rimanere sola e piangere sul gran casino che sapeva aver combinato.
“Ti dispiace? Ah, ti dispiace! Che bella notizia” le disse beffardo, ridendo di cuore. Il rumore della sua risata colpì le orecchie di Miriam, facendole male, come un fischio acuto che trapana il timpano e non vuole smettere. “Ti ho presentato alla mia famiglia, cosa vuoi che dica loro ora?”
“Dai la colpa a me, dì loro quel che vuoi, che ti ho tradito, che sono una stronza, che tu sei la vittima, non mi interessa, ma vattene”
“Io sono la vittima, su questo non dovrò mentire”
“Tu hai cercato di manipolarmi fin da subito: vesti così, fa questo, fa quello, no questo no, si questo si. Ti rendi conto che tu non vuoi me, ma vuoi una donna molto lontana da me, molto diversa da me. Hai lavorato per giorni interi per farmi diventare la tua fidanzata ideale, e stupida io ad avertelo permesso. Ma ora basta. Ora davvero basta” urlò Miriam, colpendolo forte sul petto. Ansimò e poi continuò ad urlargli contro: "Sei un damerino, mi hai usata, volevi solo plasmarmi. Cos'era quello che hai fatto lì fuori? Cosa? Volevi mandarlo via, senza neanche farmici parlare! Ti rendi conto? Tu volevi decidere per me!". Urlò fino a quando sentì la gola farle male. 
Christopher la guardò e rimase in silenzio per qualche minuto, poi con estrema calma disse: “Tu non meriti niente da me né da nessuno. Tu meriti di essere sola, di essere usata dalla rock star che credi ti ami, fino a che lui non si stancherà e se ne troverà un’altra”. Aveva la voce bassa, la bocca ad un centimetro dalla sua. Quelle parole penetrarono nell’anima di Miriam, già messa a dura prova, scalfirono le ultime possibilità che lei aveva di tornare da Jared, annientarono quell’unica fiamma che ancora era accesa in lei.
Trattenne le lacrime e fece fatica nel riuscirci, Christopher lo notò, e soddisfatto di essere passato in vantaggio, affondò ancora: “Credi davvero che non si sia mai divertito con altre donne? Quanto tempo siete stati lontani? E durante quelle due date credi che non si sia portato a letto nessuna delle ragazzine che gli sbavano dietro?”. Era beffardo, sicuro e crudele, lo sapeva e vedeva negli occhi di Miriam quanto fosse riuscito a distruggerla: lei lo stava lasciando, ma non sarebbe tornata da lui. Questa era la sua vendetta.

“Vattene” sussurrò Miriam, con la poca forza rimastale. “Vai via e non tornare mai più” aggiunse, sentendo una lacrima sfuggire dal controllo.
Christopher posò le labbra sulle sue, vincendo le sue proteste, poi si scansò, prese la sua giacca e sparì, lasciandole la porta aperta davanti al cielo di Los Angeles.

        Tomo girò la chiave nella serratura di casa e sentì una musica provenire dall’interno: era stato talmente solo in quei mesi che pensare che qualcuno ora avesse di nuovo invaso i suoi spazi gli provocò un piacere immenso. Sorrise spontaneamente ed entrò in casa, cercando di non fare rumore e muovendosi piano, cercandola. La trovò in cucina, ad armeggiare con qualcosa: aveva un maglione di cotone, color grigio topo, ed era bellissima. Le arrivava a metà coscia ed era più grande di lei, tanto che le cadeva su una spalla, lasciandogliela scoperta. Ai piedi portava dei calzini neri che sostituivano, nella mente di Vicki, le noiose pantofole. Amava girare scalza per casa, era più forte di lei: diceva di dover portare scarpe tutto il giorno e che almeno dentro casa voleva stare comoda. Tomo la prendeva sempre in giro, ma in realtà era un particolare che considerava molto sexy.  
La osservò: Vicki piegò una gamba e poggiò un piede sull’altro, lasciando tutto il suo peso sull’altro arto, che era teso all’inverosimile. La sua pelle era ambrata da sole estivo e i suoi capelli, più corti, scuri come la pece ora erano in un disordine che rammentava una sensualità senza precedenti. Era bella, era sua.
“Ehi…” le disse piano all’orecchio, arrivandole da dietro e abbracciandola.
“Mi hai spaventata!” si lamentò lei, ridendo e girando la testa a cercare le sue labbra. Gliele baciò piano, ridendo ancora, felice di essere di nuovo lì.
“Ti osservavo da molto, sei bellissima”
“Mi osservavi? Tomo, sei un maniaco!” gli rispose, sganciandosi dalla sua stretta e andando a reperire qualche ingrediente fondamentale dal frigo. Tomo la rincorse e le fu di nuovo dietro, prendendola di peso e portandosela addosso.
“Non ho fame” le disse con voce rauca.
“Io si” rispose lei, agganciando le sue gambe alla vita di Tomo.
“Ah si?”
“Si, ma la cena può attendere” disse sensuale. E fu un attimo, un lampo, una frenesia che mancava ad entrambi e che avevano faticosamente imparando a riprendere.

Nei giorni precedenti, da quando Vicki era tornata in pianta stabile a casa, non era stato tutto semplice. Il doversi riabituare a tutto, alla routine, a loro stessi, li aveva resi un po’ nervosi e il più delle volte entrambi erano scappati per ritagliarsi uno spazio dove poter pensare. Non era non amore, il loro, anzi forse era troppo amore, misto alla paura di rovinare ancora tutto. Quando si hanno seconde opportunità, si tende ad essere cento volte più attenti, più scrupolosi.  
I problemi che li avevano portati ad allontanarsi non erano così lontani come credevano, ed entrambi erano certi di doverli affrontare e risolvere, perché niente si nasconde sotto la sabbia. Mai. Così avevano piano iniziato a parlarne, a discuterne, e si erano resi conto che non era sempre così semplice come dicono: parlare è forse la cosa più difficile da fare, in una coppia. Ma è l’unica che ti porta ad essere felice.
Si stavano impegnando, ma a volte avevano solo bisogno di sentirsi vivi e di smettere di pensare, smettere di lavorare: quello era uno di quei momenti.
Tomo la poggiò delicatamente sul piano della cucina e prese a baciarla famelico, come se non avesse mai baciato una donna, come se non potesse baciarla più. Le tolse quel maglione e pensò che ogni volta era come la prima volta: quando perdi una persona, e poi ti viene restituita, ogni gesto lo vivi come un dono e ne fai tesoro in maniera ancora più dolce e potente.
Fecero l’amore lì in cucina, e per tutto il tempo che si presero per stare insieme, entrambi non pensarono ad altro che a loro stessi e a quanto erano fortunati. Solo dopo, nudi e accaldati si concessero del cibo.

         Erano seduti al tavolo a chiacchierare e mangiare, quando il citofono squillò. “Chi può essere?” chiese Vicki posando il tovagliolo sul tavolo e prendendo velocemente il suo maglione da terra. Una volta indossato, andò verso la porta e attraverso il vetro vide Shannon che la salutava.
“Ehi, ciao!”
“Disturbo?” chiese Shannon piano, quasi imbarazzato.
Disturbo?! Pensò Vicki… Shannon era una specie di animale vestito da uomo e tutti lo adoravano per questo. Se prendeva confidenza era raro sentirlo usare convenevoli o addirittura chiedere permesso. Di solito arrivava, la salutava abbracciandola e poi entrava cercando Tomo, senza curarsi di altro. Quella sera aveva chiesto se disturbava. Vicki rimase perplessa, ma sorrise dolcemente. “No, figurati, vieni pure” gli disse, lasciandolo entrare.
Shannon entrò in casa in maniera strana: sembrava che stesse acciaccando delle uova e si guardò intorno, come se quella casa potesse fargli del male.
Preceduto da Vicki, che gli faceva cortesemente strada, si avviarono verso la cucina, dove Tomo aveva appena fintio di infilarsi la maglia. “Ciao, amico” gli disse allungandogli la mano in segno di saluto.
“Ciao, Tomo” rispose lui, sempre più strano.
“Problemi?”
“No, no… cioè, posso parlarti?”
“Ovvio, siediti pure, ti prendo una birra” gli rispose Tomo, alzandosi e andando verso il frigo. Quando si girò, con la bottiglia in mano, vide che Shannon era ancora in piedi e lo guardò perplesso, aspettandosi una spiegazione che arrivò presto.
“E’ una cosa un po’ personale” disse impacciato. Poi si rivolse a Vicki: “Scusa, davvero” le disse, sperando che non la prendesse troppo male. Vicki era rientrata nelle loro vite da poco e l’ultima cosa che voleva Shannon era farla sentire un’estranea, perché non lo era. Aveva faticato a far ammorbidire Jared, che invece all’inizio era abbastanza piccato nei suoi confronti, ed ora si sentiva davvero male. Ma quello che doveva dire a Tomo era davvero molto delicato.
Tomo diventò serio e lo guardò: “Va bene, andiamo di là allora”. Poi guardò Vicki e passandole accanto le baciò dolcemente i capelli, a volerla rassicurare. Shannon chiuse gli occhi vedendo quel gesto, sperando che anche dopo sarebbe rimasto in vita.
Si chiusero fuori, si sedettero sulle sdraio a bordo piscina e Tomo passò a Shannon quella famosa bottiglia di birra. Il batterista la prese grato, perchè forse lo avrebbe aiutato.
“Allora?” lo incalzò Tomo.
“Niente di irrecuperabile, Tomo” iniziò lui, dando poi una generosa sorsata alla birra. “Devo solo parlarti di una cosa”
“Si, l’ho capito. Di cosa si tratta?” gli rispose Tomo, che stava diventando nervoso.
“Hai mai pensato di tornare alle Hawaii?” gli chiese distogliendo lo sguardo e posandolo sul panorama di LA, sotto ai loro occhi.
“Shan, ma…”
“Rispondi solamente: si o no”
“Non credo, insomma non ora almeno. Poi con Vicki, non so se…”
“Da solo, intendo”
“Ma che vuol dire? No, comunque, non ci ho pensato” rispose di fretta, sentendosi improvvisamente inadeguato, perché sapeva che le Hawaii erano legate a Kiki e sapeva che Shannon non parlava mai tanto per farlo. Lo incalzò, per quella situazione non gli piaceva: “Shan, cosa sai di Kiki?”. Lo disse piano, guardandolo negli occhi, in quegli stessi occhi che l’amico teneva fissi sulla città e non su di lui. Lo guardò sperando che Shannon si girasse e lo prendesse in giro, ma non sarebbe successo e lui lo sapeva benissimo.
Shannon respirò a fondo, in silenzio, poi parlò: “Kiki è morta”. Lo disse così, semplicemente, con un tono di voce basso e senza influenze particolari. Lo disse e lasciò che l’amico scagliasse la sua bottiglia lontano, mandandola ad infrangersi contro il pesante tavolo da giardino poco distante. Lo vide alzarsi e iniziare a camminare su e giù prendendosi la testa fra le mani e si sentì un completo imbecille. Ma sapeva che doveva farlo.
“Che cazzo è successo?”
“E’ annegata. E’ caduta da una roccia in un punto poco raccomandabile”
“Quando è successo?”
“Non lo so con precisione”
“E chi te l’ha detto?”
“Miriam”
“Tu la senti ancora?” gli chiese incredulo. L’aveva cercata a lungo e lei si era negata sempre, e anche quando l’aveva chiamata per dirle della nascita di Christine, non aveva avuto risposta. Pensava spesso a Miriam, e vedeva Jared annegare in un mare di caos, ma era convinto che neanche Shannon la sentisse più. Troppe notizie tutte insieme, pensò.
“No”
“E allora… da quanto lo sai, Shan?” andò dritto e duro al punto. Il tasto dolente, pensò Shannon. Abbassò lo sguardo e lo fissò sull’erba, poi rispose: “Più di un mese”
“Sei un bastardo. Dovevi dirmelo. E anche lei doveva dirmelo” urlò, incurante che Vicki potesse sentire.
“Tomo, calmati, le cose sono… complicate” tentò Shannon, alzandosi in piedi.
“Complicate? Cosa c’è di più complicato del sapere che il tuo migliore amico ti ha taciuto una cosa così?”
“Cosa dovevo fare?”
“Dirmelo e dirmelo subito. E anche lei avrebbe dovuto dirmelo. Io avrei… avrei…” non finì la frase e sentì una rabbia esplodergli nel petto, come forse non aveva mai provato. Si sentì soffocare dall’inutilità del momento, dal suo non poter far niente, dal non essere capace o dal non essere nella posizione per cambiare le cose.
“Tu non avresti potuto fare niente. E Miriam mi ha pregato di non dirtelo perché ti aveva visto felice con Vicki e non voleva rompere di nuovo qualcosa” fu onesto Shannon.
“E tu, invece?”
“Io… non lo so, Tomo. Ho solo pensato che non era il momento di dirtelo” esplose, provato da giorni di sofferenza e indecisione, provato da quel peso che sembrava averlo invecchiato di dieci anni. Poi si calmò, improvvisamente: “Ho sbagliato, scusa”, sussurrò, distogliendo lo sguardo.
Tomo lo guardò e se ne andò velocemente, senza rispondergli. Rientrò in casa, prese le chiavi e andò verso il garage. Non rispose neanche a Vicki che gli chiedeva cosa fosse successo, non la guardò, non fece niente. Se ne andò e basta, perché rimanere lì era pesante, perché il suo cuore aveva, di nuovo, smesso di battere.

“Shan ma che è successo?” chiese Vicki allarmata, uscendo nel giardino. Lo trovò a raccogliere le bottiglie di birra, abbandonate per terra, gliele passò con il viso triste e poi si decise a risponderle. “E’ morta una nostra amica, Vicki” disse semplicemente, perché non aveva niente altro da dire e perché non sapeva fino a che punto lei sapesse.
“Quella… quella donna?” chiese piano Vicki. Shannon si girò a guardarla sorpreso, perché sapeva, perché aveva collegato e perché nella sua voce c’era tristezza.
“Si” rispose solamente.
“Capisco… senti, vuoi… non so, fermarti?”
“No, torno da Emma. Grazie però” le disse sorridendo e andando verso la porta. Quando fu lì per aprirla, si girò e sospirò: “Vicki, non prendertela. Lui ti ama” le disse.
“Lo so” rispose solamente lei, ma quando fu rimasta sola, sentì un improvviso senso di inquietudine farsi largo.

        Lui rimase tutta la notte al MarsLab, lontano da tutto e da tutti, con la chitarra in mano e un casino cosmico nella testa. Si sedette lì dove era stato con lei mesi prima, e aveva accarezzato il pavimento come se potesse essere ancora caldo di lei. Si sentiva un’idiota, perché in qualche modo si sentiva responsabile di quella tragedia, per quanto non sapesse i dettagli, che però era certo non l’avrebbero aiutato. Non pianse neanche una lacrima, non gli venne da piangere, era solo arrabbiato con il mondo: con Miriam che l’aveva escluso. Con Shannon che gli aveva mentito per tutto quel tempo. Con Kiki. Che era morta.
Si poteva essere razionalmente arrabbiati con una persona perché era morta? Sorrise amaramente a quel pensiero e ancora una volta si ritrovò con l’umore e tutta la vita a terra. Poggiando la testa alla parete dietro di lui guardò quel posto e vide tutto ciò che aveva passato lì dentro con i Mars, con i suoi amici. Con la sua famiglia. Aveva sentito un rumore e aveva sperato che chiunque fosse non l’avrebbe cercato, non l’avrebbe trovato. Ma la porta della sala si aprì e rivelò la figura snella e rassicurante di Emma.
“Che fai? Vieni a salvarmi per spirito di riverenza?”
“Non so di cosa stia parlando” sorrise lei, alzando le mani in aria. Invece lo sapeva: non aveva dimenticato quando mesi prima l’aveva aiutata a non gettare la sua vita all’aria, e aveva condiviso con lei una vaschetta di gelato. E forse era lì proprio per restituire il coraggio che lui aveva dato a lei, pur sapendo che non ne sarebbe stata molto capace. Tomo per lei era il fratello che non aveva mai avuto: erano andati sempre d’accordo, nelle loro manie, nelle loro follie, Tomo era l’unico che la seguiva, che la ascoltava e al quale si poteva chiedere un consiglio vero, disinteressato.

Qualche ora prima, quando Shannon le aveva detto che sarebbe andato a parlare con Tomo, lei aveva semplicemente preso la macchina, lasciato Christine da Constance ed era andata a lavorare al MarsLab, certa che prima o poi l’avrebbe trovato. Certa che sarebbe corso lì, perché era lì che i ragazzi si rifugiavano quando le cose facevano schifo.
Si era sistemata nel suo vecchio ufficio con una punta di emozione, perché lavorare le era mancato, e aveva iniziato a scartabellare documenti e tabelle. Quando aveva sentito qualcuno entrare, certa che fosse Tomo aveva di malavoglia lasciato perdere tutto e si era affacciata in sala.

Tomo la guardò e le fece segno di andarsi a sedere accanto a lui. Attese che lei si fosse messa comoda e poi le parlò: “Come sta Christine?”
“Oh lei bene. Mi sta togliendo l’anima, ma sta bene” sorrise Emma, non sapendo che i suoi occhi avevano preso a luccicare.
Tomo sorrise e le accarezzò i capelli: “Mammina, sei felice eh! E dire che mesi fa dicevi che non saresti stata capace…” la prese in giro, bonariamente.
“Infatti non ho ancora dimostrato niente. E sarà una tragedia quando crescerà, se Shannon non la smette di esserne geloso. Ma lo sai che mi trascura un sacco?” disse fintamente offesa. Lei non era una donna gelosa, non era una donna opprimente e si fidava ciecamente di poche persone, ma a quelle persone aveva messo in mano tutta la sua vita e non c’era niente che la facesse dubitare. Una di quelle era Shannon. Vide Tomo irrigidirsi al sentir nominare l’amico, si congratulò con se stessa per l’astuto modo di entrare in argomento e continuò, abbassando la voce: “Sai che non voleva ferirti”
“Questo lo so”
“Prova a capirlo. Sta male da tempo”
“Doveva solo dirmelo, Emma”
“Si, è vero. Avrebbe dovuto, ma non l’ha fatto. Mandalo a fanculo e ricominciate, l’avete fatto tante volte”
“Come sai che sono arrabbiato con lui?”
“Ti conosco. E conosco lui. Voi non lo sapete, ma siete tutto ciò che ho”
“E’ il mio migliore amico, cazzo” imprecò Tomo, dando un pugno al muro accanto a sé.
“Ed è per questo che non te l’ha detto. Ti vedeva sereno, finalmente, ti stavi riprendendo, non se l’è sentita”
“E’ tutto un fottuto casino…”
“Non si chiamerebbe vita, altrimenti”
“Da quando sei diventata saggia?”
“Dispenso saggezza a piccole dosi per persone speciali. Lo faccio da sempre” gli sorrise.
“Mi sento responsabile, Emma. Sento che è colpa mia, che è andata alla deriva perché io mi sono comportato male. Avrei dovuto proteggerla e non l’ho fatto. Avrei dovuto avere cura di lei, e me ne sono fregato”
“Non è così, Tomo. Lei è annegata, e anche ammesso che sia vero ciò che pensi, le relazioni finiscono a volte, e non è un buon motivo per farla finita. Non è colpa tua, tu hai semplicemente preso una decisione”
“Una decisione che l’ha portata a chiudersi e a… Emma, è morta, cazzo!”
“Vieni qua…” gli disse solamente, attirandolo a sé. Tomo si lasciò andare e si rannicchiò fra le sue braccia, lasciando finalmente la libera uscita alle lacrime. Pianse per un tempo infinito, sentendo Emma accarezzargli i capelli e cercando di capire perché non cercasse conforto in Vicki.
“Credo di essere molto peggio di te” le disse infine, risollevandosi.
“Io ho rischiato di mandare a puttane tutto” rise lei.
“Io ce l’ho mandato invece. Il bilancio del mio ultimo anno fa schifo”
“Vicki è tornata però, e state ricominciando. A volte le cose tornano a posto, Tomo”
“La amo da morire, ma come faccio ad amarla ancora se mi sento così?”
“Parla con lei, dille quello che senti, spiegale tutto, e se questo la farà soffrire fregatene, perché è una cosa che dovete imparare a fare insieme. Ho smesso di lottare quando mi sono resa conto che parlare con Shannon era la cosa migliore della mia vita”.

In quel momento Vicki entrò al MarsLab come un treno, e rimase di sasso a vedere Emma seduta accanto a lui. Sembrava una scena già vista mesi prima, ma a ruoli invertiti. La differenza era che Shannon non si era arrabbiato a vedere Tomo con Emma, mentre Vicki l’avrebbe volentieri incenerita. Erano amiche, da sempre, ma in quel momento Emma sentiva lo sguardo infuocato di Vicki su di lei. Si alzò piano, sorrise a Tomo stringendogli il braccio in segno di coraggio e passando accanto a Vicki andò via, lasciandoli soli.
“Ti ho cercato ovunque” fu la prima cosa che disse Vicki, con la voce dura e stanca di chi ha girato la città in cerca di suo marito.
“Sono sempre stato qui”
“Buono a sapersi”
“Beh, dovresti conoscermi. Emma è venuta a cercarmi qui”. Non avrebbe voluto, né forse dovuto, dirlo, ma le parole gli uscirono dalla bocca prima che potesse fermarle. La guardò stupito e la vide abbassare lo sguardo.
“Mi farai sentire colpevole per sempre?” gli chiese con un filo di voce.
“Non volevo, scusa”
“No, è che me lo merito. Io sono scappata, ho fatto mille casini, invece Emma, Jared, Shannon, la tua famiglia è sempre stata qui ad aiutarti. E’ giusto così… solo che…” smise di parlare e lo guardò negli occhi, cercando il coraggio di continuare: “… vorrei che la smettessi e che tornassi a guardarmi con quegli occhi”
“Io ti guardo con gli occhi di sempre, Vicki”
“Non è vero e lo sai anche tu. Ci siamo illusi che potesse funzionare ancora, ma se facciamo così, Tomo non funzionerà”
“Perché stiamo litigando ora?” chiese distrutto, massaggiandosi la fronte. “Non ce la faccio, Vicki, davvero”
“Tu non vuoi parlarmi! Non vuoi rendermi partecipe di nulla!” gli urlò contro, perché si sentiva frustrata e aveva cercato di non darlo a vedere per troppo tempo.
“Kiki è morta!”. Ora urlava anche lui, cercando disperatamente di dare sfogo alla rabbia, una rabbia che ora si riversava anche su sua moglie, perché sembrava che non volesse capire.

Rimasero in silenzio, a guardarsi, Tomo che ansimava e Vicki con la bocca aperta. Poi, lei fece una cosa che non faceva da davvero tanto tempo: scoppiò a ridere, ridere fino alle lacrime, ridere fino a sentirsi male. In un primo momento Tomo la guardò furioso, poi la vide davvero e capì che non c’era niente di giusto nel rovinare ancora il rapporto con sua moglie. Capì che lei, più di chiunque, stava cercando di aiutarlo e di esserci per lui: aveva sbagliato tante volte, ma in quel momento era lì, aveva deciso di esserci.
Così abbassò lo sguardo e si concesse il lusso di sorridere, poi si avvicinò a lei e le alzò piano il viso con un dito: “Mi spieghi cosa cazzo ridi?”
“Il mio nome è pericolosamente simile al suo” rispose solamente Vicki, smettendo di ridere, ma sentendo ancora l’ilarità sul suo viso. Aveva le guance rosse, gli occhi umidi e la gola in fiamme. Aveva i postumi di una risata liberatoria e sperava tanto che Tomo non si arrabbiasse, perché poteva sembrare di cattivo gusto, ma loro avevano davvero bisogno di farsi una risata, una risata vera.
Tomo la guardò perplesso, ragionando un minimo sulla cosa, e rendendosi conto di non essersene mai accorto. Si illuminò e rise anche lui, portandosela dietro per svariati minuti. Poi la strinse forte, quando le risate smisero di essere così rumorose e lei piano gli chiese: “Mi somigliava?”
“No, non direi”
“Era più bella?”
“Era diversa” le disse sinceramente. Poi sospirò: “Mi accompagneresti alle Hawaii? Vorrei salutarla un’ultima volta” le chiese, imbarazzato.
Era assurdo: stava chiedendo a sua moglie di andare sulla tomba, ammesso che ce ne fosse una, della sua ex amante. Ma in certi momenti la dimostrazione di quanto si voglia stare insieme arriva da gesti anomali, da decisioni incredibili e richieste senza senso.
Vicki lo guardò, spostando il viso dall’incavo del collo di Tomo, dove amava rifugiarsi e vide negli occhi di suo marito la voglia di renderla partecipe davvero. Gli sorrise e gli sussurrò: “Certo”.

        Emma entrò piano in casa, dopo aver lasciato Vicki e Tomo al MarsLab, e trovò Shannon con la sua chitarra in mano, che strimpellava qualcosa.
“Ehi…” le disse piano, vedendola entrare. La sua espressione tradiva una nottata insonne e un malumore che sapeva bene da dove provenisse.
“Ciao” rispose lei, togliendosi il pullover di cotone e andando a sedersi accanto a lui.
“Christine dov’è?”
“Da tua madre, avevo bisogno di staccare un po’”
“Ok”
“Vogliamo parlarne?”
“No”
“Shan…”
“No, Emma”
“D’accordo, come vuoi” gli disse accarezzandogli la schiena e rilassandosi sul divano. Da quando il loro legame si era stretto, era la prima volta che Shannon non le parlava, non le chiedeva un parere e non la coinvolgeva nei suoi pensieri. Non fu ferita, perché non serviva, ma capiva sempre di più quanto quei tre uomini fossero legati da un filo indissolubile in un rapporto dove forse neanche lei a volte entrava davvero.
Emma andò a fare una camomilla per lei e del caffè per Shannon, gli portò la tazza e gli sorrise, tornando a sedersi sul divano al suo fianco, il silenzio. Rimasero così per tanto tempo, con la musica a cullarli, quando, ormai all’alba, qualcuno suonò alla porta. Emma andò ad aprire, non così stupita e si trovò davanti Tomo che le sorrideva colpevole. Lo fece entrare e lo strinse in un abbraccio: “Ora ti riconosco, Mofo… è di là, in salotto. Vi lascio soli” gli disse, andando poi via.

        Tomo entrò piano, gli sembrava di disturbare, di non essere nella posizione di chiedere neanche scusa, ma ci aveva pensato a lungo e aveva capito che senza il suo amico non ce l’avrebbe fatta. Gli errori si fanno più o meno sempre, li facciamo più o meno tutti ed è molto inutile recriminare il passato, infierire su qualcuno che ti ha sempre amato. Gli errori fanno semplicemente parte dell’essere umani ed accettarli diventa qualcosa di divino.
Avanzò piano, e Shannon alzò lo sguardo perché aveva capito che quei passi non erano di Emma, ma non si aspettava di trovarselo di fronte. Piuttosto credeva fosse Jared.
“Ciao” disse piano, mettendo da parte la chitarra.
“Una birra?” chiese l’altro, alzando una delle due bottiglie che aveva in mano. Shannon sorrise e gli fece cenno di accomodarsi accanto a lui, prendendo poi la birra che gli era stata offerta.
“Mi dispiace, amico”
“Va bene, così” gli rispose Tomo, sincero. Shannon lo guardò e capì che ci sono cose, nelle vere amicizie, di cui è inutile anche parlare.
“C’è silenzio qui dentro, stanotte”
“Christine è da mia madre”
“Quindi ho interrotto qualcosa?”
“Beh, avresti potuto interrompere, si”
“Bene, è la tua punizione e ne vado molto fiero” gli disse con aria solenne, lasciandosi andare sul divano. Dopo un momento di esitazione scoppiarono entrambi a ridere, così tanto da non riuscire più a smettere, da non riuscire a fermarsi. Emma sbirciò dalla porta e li vide ridere così tanto da commuoversi: perché gli uomini erano così semplici, facevano pace con una birra e due parole, e quella lite era già dimenticata. Ma dimenticata davvero.

Tornò a sedersi in cucina, analizzando delle cose e si rese conto di aver iniziato a lavorare davvero di nuovo: orari impossibili, sfide ingestibili e gli uomini che ridevano nell’altra stanza. Le mancò sua figlia, ma si rese conto di quanto amasse quella vita e decise di tornare in campo molto prima, doveva solamente farlo digerire a Shannon!
Quando si stava convincendo ad andare a letto, pur lasciando Shannon e Tomo in salotto a parlottare, suonarono di nuovo alla porta ed Emma, alzando gli occhi al cielo capì perfettamente chi potesse essere. Non gli servì guardare dallo spioncino, per aprire e dire meccanicamente: “Ciao, Jared”.
“Ma come…?”
“Tomo è già di là e, fortunatamente, non conosco altre persone pronte a piombarmi in casa a quest’ora!” lo interruppe Emma, sorridendo. “Prego, sono in salotto” gli disse poi, facendo un ampio gesto con la mano. Jared le baciò una guancia dolcemente e andò verso gli amici, trovandoli seduti poco elegantemente sul divano a chiacchierare e ridere.
“Bene, vi trovo entrambi, le fortune della notte”
“Kiki è morta, Jay” disse istintivamente Tomo. Jared cambiò espressione e lo guardò allibito, tanto che il croato offrì una birra anche a lui e li invitò a sedersi per continuare: “Si, è morta più di un mese fa. A quanto pare è annegata alle Hawaii. Non sappiamo molto di più”
“E volevate aspettare tanto a dirmelo?” reagì offeso Jared, prendendo la sua birra, per quanto non fosse abituato a bere quel momento gli sembrava perfetto.
“Lo sapevo solo io, da tempo. L’avevo detto ad Emma, ma a nessun’altro. Ieri sera ho invece creduto che fosse il caso di dirlo a Tomo”
“E?!” chiese Jared, non sapendo a chi rivolgersi.
“Non c’è molto altro da dire, Jared” continuò Shannon. Gli raccontarono tutto e lui ascoltò pazientemente, sentendo una lama trafiggergli il cuore al sentir nominare Miriam. Ma aveva capito, durante quella notte che avrebbe dovuto farci l’abitudine: Miriam non era più sua, Miriam ora era lontana.
A fine racconto, Jared aveva solo una cosa da chiedere: “Come stai, amico?”
“Mi sento uno schifo, ma ho fatto pace con me stesso nelle ultime ore. Vorrei averla salutata, almeno, vorrei che mi avesse risposto, ma purtroppo è andata così. Credo che mi servirà del tempo per assimilare, ma non posso colpevolizzarmi. Non è giusto per me e per… Vicki” disse piano ed onesto. Shannon e Jared lo guardarono per qualche minuto e poi istintivamente unirono le bottiglie in un brindisi simbolico.
“E tu, bro, che ci fai qui?”

Jared si prese del tempo per rispondere, e dopo aver trovato le parole giuste disse: “Ho capito che con Miriam è finita. Davvero”
“Che nottata di merda…” esclamò Tomo, provocando un’amara ilarità da parte di entrambi.
“L’ho vista ieri pomeriggio in spiaggia con un tipo. Abbiamo chiacchierato due minuti, e se n’è andata. Più tardi ho deciso di andare a casa sua per riprendermela, perché… cazzo, mi manca. Ma ho trovato di nuovo quel tipo, che non voleva neanche che le parlassi. Beh, alla fine è stata lei a dirmi chiaro e tondo che era tardi e che le dispiaceva” concluse amaro.
“Come stai?” chiese Tomo.
“Bene, se conti che sto bevendo una birra al posto del thè”
“Ragazzi, anticipiamo il tour. Mettiamo un paio di date prima di quelle che avevamo e torniamo a fare quello che sappiamo fare” disse Shannon all’improvviso.
“Shan, ma Emma ha bisogno di te… c’è Christine, abbiamo rinviato il tour americano di settembre apposta!” gli ricordò Jared.
“E annulliamo tutto, che ci frega bro! Facciamo le date americane e poi ce ne andiamo all’estero, come previsto. So che volete dirmi di si”. Li guardò sorridente, perché sapeva che gli sarebbe costato lasciare Emma e Christine, ma capiva che i suoi amici avevano bisogno di sentirsi vivi. E loro anni prima si erano fatti una promessa: niente li avrebbe divisi. 

Jared lo fissò a lungo, sentendo un brivido alla schiena percorrerlo nel momento in cui pensò ai live. Sapeva che quella era energia pura, sapeva che era l'unica cosa che avrebbe concesso a tutti e tre il lusso di tornare a respirare. A lui, più di tutti. 
Guardò Tomo, quasi sperando che si sbilanciasse prima di lui, quasi sperando che annuisse per dargli il lasciapassare di cui aveva bisogno. Tomo ci pensò per qualche minuti, poi piano disse: “Dovrei parlarne con Vicki, almeno. Prima di darvi una risposta". 

“Ma poss…” iniziò a dire Jared, il cui cervello già era in movimento. Non riuscì a finire, fu interrotto da Emma, che aveva pazientemente ascoltato e guardato i tre amici.
Sorrise piano e annunciò: “Torniamo indietro. Io, Christine e Vicki veniamo con voi. E’ deciso, si fa. Domani mi attivo e ripristino tutto. Bentornati, Mars


Jared, Tomo e Shannon la guardarono ridere di gusto e sentirono che il mondo finalmente era tornato a girare. Davvero. 

 
       • 

L'angolo di Sissi 

Eccoci, ultimo capitolo. Mi viene da piangere! 
Sono più di sei mesi che scrivo questa storia ed è qualcosa di davvero straordinario. 
Non credevo sarebbe arrivata ad essere così seguita, all'inizio era un gioco, ora mi pesa davvero chiuderla.
Ma tutto ha una fine, e le cose eterne non funzionano mai. Così ecco a voi il mio finale! 

Ho voluto dare rilievo all'amicizia, quella vera, quella che non muore se uno sbaglia,
quella che si ritrova alle tre del mattino davanti ad una birra a dirsi i problemi e a cercare di risolverli. 
Ho iniziato dai Mars e ho finito con i Mars. 

Vi annunciò che in settimana (fra pochi giorni, in verità) ci sarà un piccolo epilogo, ma non sarà niente di eclatante,
quindi ho deciso di dire quello che voglio dire ora:  

ringrazio davvero di cuore le mie DDD: Muna, Alessandra, Macri, Mami e Fede. 
Loro sono entrate nella mia vita da poco tempo, 
ma è come se le conoscessi da sempre. 
A voi voglio dedicare la mia prossima FF (in costruzione), perchè so che ci tenete e perchè sto imparando a volervi bene. 

Ringrazio Cris per aver sempre recensito puntuale e per aver colto ogni sfumatura! 

Ringrazio infine chiunque abbia perso anche solo pochissimo tempo della propria vita a leggere The Convergence, 
per me è davvero bello sapere che qualcuno è stato felice nel vedere gli aggiornamenti! 

Vi spoilero che prestissimo (super prestissimo) arriverà una nuova storia. Stay tuned! 

Sarò sempre legata a The Convergence, perchè è la prima ff che ho scritto qui, 
e perchè è la storia che mi ha fatto tornare a scrivere, dopo anni di incertezze. 
So benissimo che all'inizio non era bellissima, e so che è migliorata col tempo: 
grazie a chi è rimasto e non ha mollato dopo i primi capitoli! 

Spero di avervi anche nelle prossime ff come pubblico! 

Abbracci e baci 

Sissi 

 
  
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