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Autore: chicca2501    08/01/2015    5 recensioni
Paring: Leonetta, Diecesca, Naxi e Fedemilla.
Dal testo: "Era una brutta giornata, brutta ma adatta a quello che stava per accadere. Le nuvole grigie nascondevano il cielo e il sole, mentre le tenebre stavano cominciando a invadere la pianura ghiacciata.
Tra gli spuntoni di roccia calcarea e di detriti inumiditi dal ghiaccio, la folla si stava accalcando verso un piccolo palchetto di legno fatto alla bell’e meglio che si reggeva a stento.
Sopra quella piattaforma c’era una ragazza slanciata, dal fisico magro e dai capelli lunghi e rossi e con gli occhi castani, i quali scrutavano tutte quelle persone ammassate lì solo per vedere lei, la grande Camilla Torres. "
Un'isola perduta in un mondo caratterizzato da guerre e carestie.
Un popolo magico in attesa di essere liberato.
Un capo dei ribelli pronto a tutto.
Quattro ragazzi diversi, ma uniti da un grande potere.
Amori che superano ogni confine del tempo e dello spazio.
I quattro elementi faranno tremare il suolo.
Acqua, fuoco, terra e aria si dovran temere!
C'è una terra da salvare,
Una battaglia da affrontare.
And I'LL WIN!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Segreti
 
La videro sospesa a mezz’aria, coma appesa ad un filo invisibile; gli occhi emanavano una luce bianca e accecante, fari che illuminavano più del sole stesso.
Sembrava un fantasma, la pelle era di un bianco cadaverico e le guance infossate, sembrava aver perso ogni forma di vitalità.
All’improvviso, il corpo della ragazza iniziò a contorsi scompostamente, agitando le braccia e le gambe in modo confuso, fino a ritornare alla solita posizione di poco prima.
Tutti guardavano sconvolti la scena, nessuno osava muoversi per paura di risvegliare quel demone riccio che aveva sostituito la loro amica.
Solo uno ne ebbe il coraggio: Federico. Egli ebbe la forza di sussurrare con dolore una sola parola, “Nata”.
Quelle due sillabe furono sufficienti a far smuovere il corpo della ragazza, anche se lei non era cosciente; era una forza oscura e misteriosa a guidarla.
Quest’ultima fece girare lo sguardo a Nata per posarlo sui presenti, uno ad uno, scrutandoli con malignità.
Fu allora che parlò: - Tremate, mortali, davanti alla Veggente. – la voce non era quella della ragazza, era più profonda e meno umana.
I ragazzi si guardarono, all’apparenza confusi; tranne quattro: Camilla, Leon, Maxi e Diego più che confusi sembravano terrorizzati a quella visione.
- È una Veggente. – mormorò la rossa.
- Cosa? – domandò Violetta, che era vicino al capo dei ribelli e aveva sentito quelle parole.
- Una Veggente. – ripeté una voce, molto diversa da quella di Camilla. Tutti si voltarono a quel suono, così melodico e sofisticato, una musica per le orecchie. La padrona di essa era una donna alta e aggraziata, con lunghi capelli biondo scuro che le ricadevano boccolosi sulle spalle e sulla schiena. Federico, Maxi e Diego la fissarono, ammaliati, mentre Leon stringeva i pugni.
- Un Veggente è colui, o colei, che è posseduto uno spirito che fin dalla nascita si insedia nel corpo delle persone, dei Prescelti, e le rende capaci di conoscere il passato, scrutare il presente e prevedere il futuro. – continuò la donna. – Ogni Prescelto scopre la sua vera identità solo quando lo spirito si sentirà pronto per rivelarsi. –
- Nata non può essere una Veggente. Lei non è malvagia. – protestò Federico, risentito.
- I Veggenti non sono malvagi, ognuno sceglie da che parte stare, come tutti i comuni mortali. – rispose la bionda.
I ragazzi la fissarono attentamente, poi Francesca trovò il coraggio di chiedere: - Ma tu chi sei? –
La donna, per tutta risposta, scoppiò a ridere. – Meglio che tu non lo sappia, ragazzina. Sono qui per parlare con i Quattro, non con dei mocciosi. –
- In realtà lei fa parte dei Quattro. – intervenne prontamente Diego con un sorriso sarcastico stampato in viso.
L’altra fissò meravigliata prima Francesca e poi Diego, facendo scivolare lo sguardo dall’una all’altra.
- La Natura è impazzita se ha dato un incarico così complicato a dei bambini. Ma, visto che fai parte dei Salvatori, te lo dirò: io sono… - un urlo interruppe la frase.
I presenti si voltarono verso Nata, ancora sospesa per aria; la luce emanata dagli occhi, ora chiusi, era scemata e adesso la bocca era contorta in una smorfia di pura e accecante sofferenza.
- Lo spirito si sta risvegliando, ma state tranquilli, alla vostra amica non capiterà nulla di grave o di permanente. – le parole della nuova arrivata non rassicurarono quasi per niente i ragazzi.
Dal canto suo, Nata continuò a contorcersi, urlando; alla fine, si voltò verso destra e il suo sguardo si posò su Diego e lo scrutò attentamente. Il moro deglutì rumorosamente, sinceramente destabilizzato da quella presenza, la quale sembrava scavare la sua anima.
- Diego Casal. – pronunciò alla fine la voce e il ragazzo sembrò percepire una nota di disprezzo. – Passato travagliato, segnato da tradimenti e da inganni, hai fatto soffrire varie persone con la tua sfacciataggine e cocciutaggine; presente abbastanza luminoso, vedo che un nuovo sentimento nasce dentro di te verso una persona, un’emozione che tu non hai mai provato realmente, ti consiglio di starci attento; futuro incerto, strano, oscuro, impossibile da decifrare. Dovrai prendere delle scelte, Casal, e ti assicuro che non saranno semplici. – detto questo, la voce tacque e Nata crollò a terra, inerme.
Gli altri corsero da lei, tra “non spingere!”, “sta attento!” e “lasciatela respirare!”. Alla fine il gruppo si allargò e fu a quel punto che la riccia emise un gemito e aprì definitivamente gli occhi, i suoi veri occhi, grandi, dolci e castani. Il brusio crebbe sempre di più.
- Nata, ricordi cosa è successo? – domandò Camilla, riuscendo a sovrastare le altre voci con la sua. Quasi, quasi si aspettava che dicesse di no, che non si ricordava niente e che quello era stato semplicemente una previsione di quello che sarebbe accaduto in futuro.
- Si. – confermò la riccia. – Si, mi ricordo tutto, o quasi. – con la coda dell’occhio guardò Diego, in piedi davanti a lei, fremente. Di sicuro voleva parlarle, ma questo non era il momento.
- Bene, ora che tutto si è risolto, potreste concentrarmi su di me? – chiese con un tono esasperato la donna bionda, facendo fare un salto per lo spavento i ragazzi, che quasi si erano dimenticati di lei.
- Ti stavamo chiedendo chi sei. – ribatté Violetta non appena tutti si furono ripresi.
- Bene. – esultò la donna, compiaciuta. – Io sono Angie, ma credo che la maggior parte di voi mi conosca come la Stregona degli Animali. –
Leon si immobilizzò; sapeva già chi era quella donna, ma sentirle nominare il proprio nome lo abbatteva. La odiava, la odiava con tutte le sue forze, con tutta la sua anima, l’avrebbe voluta uccidere per tutto quello che aveva fatto a sua madre.
Non riuscì a trattenere un singhiozzo, attirando così l’attenzione di tutti, compresa la Stregona degli Animali. – Leon. – sussurrò Camilla.
- Leon Vargas? – sussurrò la donna, mentre un ghigno le attraversava la faccia. – Quanto tempo. L’ultima volta che ti ho visto non eri che un neonato in fasce. Come sta tua madre? -
Il ragazzo serrò i pugni e chiuse gli occhi, inspirando, e cercò di rilassarsi; sapeva che quella lì voleva solo che lui si imbestialisse, ma non gliela avrebbe data vinta, avrebbe lottato. Questo pensiero lo calmò. Riaprì gli occhi e li puntò in quelli della Stregona, sostenendo il suo sguardo.
- Credo che la salute di mia madre credo sia l’ultima cosa che ti interessi in questo momento. Adesso sono un uomo, invece, quindi prova ad avvicinarti a qualcun altro che amo e giuro che ti infilò la spada nel petto. – lo disse con una calma così glaciale da spazzare via dal viso di Angie il ghigno.
Fu lui a sorridere, adesso, soddisfatto delle sue parole. Dopodiché, se ne andò, diretto alla sua tenda.
Violetta fece per seguirlo ma Camilla la trattenne: sapeva che quando Leon era arrabbiato era meglio lasciarlo solo.
- Adolescenti. – esclamò la Stregona poco dopo che il ragazzo se ne fu andato. – La fanno sempre così tragica. -
La rossa riuscì a stento a trattenere un insulto; Leon che la faceva tragica? Che bastarda, si ritrovò a pensare con disgusto. Sapeva però che se avesse imprecato contro la donna i suoi piani sarebbero andati in fumo e non poteva permetterselo, non dopo la battaglia disastrosa del giorno prima.
Così ascoltò la Stregona, la quale stava sproloquiando sull’addestramento da fare ai Quattro, che si erano appena presentati.
- L’addestramento inizia domani al sorgere del sole. Vedete di essere puntuali. – concluse la bionda con disprezzo, prima di sparire in una nuvola di fumo.
 
Violetta si mise subito alla ricerca di Leon, nonostante gli avvertimenti di Camilla; non riusciva a capacitarsi che quel freddo e pungente ragazzo che aveva parlato prima fosse il suo amico dagli occhi verdi, così dolce e gentile.
Ovviamente ci dovevano essere delle spiegazioni per quel comportamento così strano e voleva scoprirle, voleva togliere quel velo di mistero che celava Leon ormai da troppo tempo e desiderava scoprire la verità. Non sapeva quanto essa potesse turbarla, forse poteva essere sconvolgente, ma ormai era quasi morta per overdose di sconvolgimento, quindi…
Alla fine, dopo aver cercato fino ai margini dell’accampamento, lo trovò seduto su un masso, la testa china; all’inizio la ragazza pensò che stesse piegando il capo per la tristezza, ma poi vide che stava semplicemente guardando un oggetto che teneva in grembo e che accarezzava dolcemente: un urna d’oro con intarsi del colore dei boschi più verdi (probabilmente smeraldo) sopra la quale erano dipinte immagini che Violetta non riuscì a vedere, visto che le mani di Leon ne coprivano gran parte e ne lasciavano intravedere poco.
La Castillo si avvicinò piano e gli arrivò dietro, mettendogli una mano sulla spalla; lui si girò di scatto, ma si rilassò in parte appena vide che era lei.
- Cosa ci fai qui? – le chiese il ragazzo, distogliendo lo sguardo.
- Volevo sapere come stavi. – rispose semplicemente la bionda, sedendosi accanto a lui e cercando di incrociare i suoi occhi.
- Tutto bene. – disse l’altro, tradendosi per il tono di voce spezzato.
- Non sai mentire. – commentò infatti Violetta. – Per favore, dimmi cosa succede, io voglio solo aiutarti. –
- Non c’è nessuno che mi può aiutare, a meno che tu non possa farmi tornare indietro nel tempo. – ribatté Leon, alzandosi di scatto.
- No, quello non sono in grado di farlo. – ammise lei, seguendolo. – Ma sono tua amica, e voglio semplicemente darti conforto. –
- Nessuno può darmelo. –
- Magari io si. – quelle parole fecero girare il ragazzo, che si ritrovò faccia a faccia con la bionda. La guardò con attenzione, chiedendosi se poteva confidare i segreti del suo passato a una ragazza che non era Camilla, una ragazza da cui si sentiva attratto, certo, ma tra l’attrazione e la fiducia c’è differenza.
Ma, alla fine, nel suo sguardo vide solo determinazione e tenerezza, senza traccia di malizia o anche solo di pena. Gli ricordava tanto sua madre, le assomigliava molto, con quella voglia di aiutare il prossimo assolutamente e la forza che ci metteva nell’aiuto.
Non riuscì a resistere e scoppiò in lacrime come un bambino; non piangeva da troppo tempo, ormai, e in esse ripose tutto il dolore, tutte le prese in giro, tutti i disagi che aveva dovuto sopportare fin da quando aveva messo piede in quel mondo crudele.
Appoggiò la fronte sulla spalla di Violetta, la quale gli allacciò le braccia al collo e lo strinse a sé, con forza, come se in quell’abbraccio volesse trasmettergli tutto l’affetto che provava per lui. Continuò a cullarlo tra le sue braccia fino a quando egli non si calmò ed entrambi si sedettero sul masso e Leon iniziò a raccontare: - Vilu, ecco, devi sapere che io non sono del tutto umano. – deglutì, aspettandosi un verso schifato della ragazza che però non arrivò. – Io sono per metà satiro, ovvero per un quarto capra. Questo perché, una lontana notte di 21 anni fa, mia madre si innamorò improvvisamente di un satiro e si unì a lui. Tradì così la fiducia e l’amore di suo marito, che la ripudiò e, siccome era un personaggio importante nel mio villaggio, la notizia si sparse velocemente e mia madre si esiliò. Quando compii 14 anni, mi rimandò al villaggio sotto falso nome, nascondendomi nell’abitazione dei Torres, i genitori di Camilla, solo loro sapevano la mia vera identità. Vissi una vita apparentemente normale, fino a quando, due anni fa, mia madre morì; il marito l’aveva trovata e l’aveva uccisa. – fece un respiro profondo, prima di continuare. – Tutto questo è successo a causa di una persona: Angie, la Stregona degli Animali. Lei e mia madre erano in conflitto già da parecchi anni, ma successe qualcosa che fece arrabbiare quella strega e punì mia madre così, facendo nascere un mostro. – le lacrime gli pungevano gli occhi, al pensiero; era lui la punizione di sua madre, un essere non completamente umano che l’aveva abbandonata.
Sentì il capo di Violetta che si appoggiava sulla sua spalla, le sue mani che gli accarezzavano dolcemente la schiena, cosa che, inspiegabilmente, riuscì a farlo rilassare e a ricacciare indietro le lacrime.
- Non sei tu il suo castigo, Leon. – disse lei. Il ragazzo cercò di ribattere, ma l’altra lo bloccò posando un dito sulle sue labbra. – So che te l’avranno già detto tutti, ma è così. Sei fantastico, speciale, unico. Ecco, prendila come una cosa positiva: sei unico. Perché, dimmi, c’è un altro ragazzo che può dire di avere le corna? A proposito, me le fai vedere? – lo disse con una semplicità così pura e con uno sguardo così buffo, che Leon non poté fare a meno di sorridere. Si, Violetta ci sarebbe stata sempre, un faro in una notte di tempesta. Si spostò il ciuffo che pettinava come poteva ogni mattina e scoprì le piccole protuberanze che spuntavano e si innalzavano di poco, saranno stati 2cm, ma a lui bastavano e avanzavano.
- Che carine! – esclamò Violetta, toccandogliele, e si misero tutti e due a ridere.
All’improvviso, i loro sguardi si incontrarono; i loro corpi si sfiorarono; a entrambi venne in mente il ricordo di quello che era accaduto un paio di giorni prima, il loro quasi bacio; Leon, si ricordò della voglia che aveva di posare le sue labbra su quelle della ragazza, di unire i loro corpi, e adesso questo desiderio si accresceva, ormai le bramava quelle labbra; stava per avvicinarsi, ma si ricordò di una cosa: lui era un mostro, nonostante tutto quello che diceva lei, lui rimaneva uno sporco mezzosangue, e di sicuro non voleva che la sua Vilu avesse a che fare con gente come lui.
Aumentò le distanze e si rimise in posizione eretta e la stessa cosa fece la bionda, distogliendo lo sguardo con imbarazzo.
- Ritorniamo all’accampamento? – domandò alla fine Leon, rompendo il silenzio.
- Si. – acconsentì subito la ragazza, alzandosi.
- Così mi spieghi finalmente cosa sono i romanzi fantasy. – esclamò lui, rimettendo in gioco quella vecchia conversazione che avevano tenuto il giorno dell’arrivo dei Quattro.
Violetta si mise a ridere e insieme si avviarono verso le vicine tende.
 
- Sono qui. – disse Diego, entrando nella tenda e guardandosi intorno. Era come le altre, di tela grezza e con pochi ed essenziali mobili, utili per gli spostamenti veloci.
Seduta sulla branda, lo sguardo abbassato e gli occhi oscurati dai folti capelli ricci, c’era Nata, che aspettava la venuta del ragazzo.
- Siediti. – gli intimò, alzando il capo e indicando uno sgabello pieghevole con un lieve cenno della mano.
- Ora dimmi cosa hai visto. – il tono di Casal era duro e perentorio.
- Prima di tutto evita di aggredirmi, non l’ho scelto io. – lo rimproverò Nata – Ma mi vuoi spiegare come hai potuto farlo. –
- Ero un ragazzino. – si difese lui, cercando di sostenere lo sguardo della ragazza.
- Un ragazzino che ha provocato molti danni. –
- Lo sai bene perché l’ho fatto, e sai che è vero. – la voce di Diego era rotta dalla tensione.
La riccia si inginocchiò davanti a lui e disse dolcemente: - Lo so e posso capirlo, ma quello che hai compiuto è brutto, e quello che stai pensando di fare ora lo è ancora di più. –
- Io non sto facendo niente. – ribatté lui, e per risposta ricevette uno sguardo rassegnato dell’altra.
- Ok, ci posso anche credere. – commentò alla fine quest’ultima, allontanandosi dal moro.
- Dimmi cos’è questo sentimento di cui mi hai parlato e per chi lo provo. – mormorò lui, dopo qualche secondo di silenzio.
- Non posso. – sentenziò la Navarro.
- Perché? – domandò Diego, con tono disperato – è mio diritto saperlo. –
La ragazza sbuffò: non sapeva se poteva dirglielo. Lo fissò con la coda dell’occhio e vide che si teneva la testa fra le mani. O è un attore geniale, o è davvero pentito e ha davvero bisogno di sapere, pensò.
- Ti darò solo un indizio. – disse alla fine.
- Quale? – chiese il ragazzo.
- Il sentimento è… l’amore, quello vero. – ammise Nata.
Diego fece una faccia stranita. L’amore vero non aveva mai fatto per lui, magari non era uno che andava dritto al sodo con le ragazze, ma per tutte aveva provato solamente attrazione; solo per Camilla aveva sentito qualcosa di più, ma non era amore, ma una specie di affetto misto all’attrazione.
- E per chi lo proverò questo amore vero? – domandò, sarcastico.
- Questo lo devi scoprire da solo. – disse la riccia – Ora vai, per favore. –
Il ragazzo si avviò verso la porta, prima di girarsi un’ultima volta: - Ah, Nata, non dirai niente a nessuno, vero? –
- No, tranquillo. – affermò l’altra, dopo pochi attimi di esitazione.
- Grazie. – disse Diego, sorridendo. Poi uscì.
 
- Più concentrazione! – ordinò la donna.
- Ci sto provando. – borbottò Ludmilla. Sentì il fiato caldo sul collo: - A quanto pare, non ci provi abbastanza. –
Quella pazza aveva più udito di quanto sembrasse. Stava provando a concentrarsi, ma era quasi impossibile. Il fuoco era distruzione, sconvolgimento, dolore, ma non rievocava queste emozioni, non le trovava dentro di sé. Con la coda dell’occhio vide che anche gli altri erano nelle sue stesse condizioni: Violetta era alle prese con una vasca d’acqua, Francesca cercava di far muovere una pila di fogli e Federico fissava corrucciato un po’ di terriccio.
Si mise a fissarlo, incantata: quel ragazzo le piaceva, e molto anche, ma non l’avrebbe mai ammesso. In quel momento il ciuffo gli ricadeva sulla fronte, gli occhi screziati di verde erano luminosi e le labbra erano strette per la concentrazione.
Doveva aver sentito che qualcuno lo stava fissando, visto che si girò e, appena la vide, le sorrise. Quel sorriso fece sciogliere Ludmilla come neve sotto il sole e ricambiò il sorriso.
- Smettila di fare la ragazza innamorata e lavora! – si voltò di scatto verso la Stregona e la trovò a due mm dalla sua faccia.
La ragazza tornò a lavoro ma Federico continuava ad occupare i suoi pensieri costantemente. Le venne in mente che il fuoco non è solo distruttivo e che lei si stava concentrando solo su quello. Il fuoco era anche l’elemento dell’amore, della passione e dello struggimento. Si, doveva pensare così.
Si concentrò e rivide tutti i momenti che lei aveva passato con Federico: la prima volta che si erano visti, tutte le volte che si erano punzecchiati, le volte in cui lei dormiva nel suo letto, le risate…
Con Federico nella sua testa, evocò il fuoco.
 
 
 
Angolo dell’autrice: Ciao a tutti! Scusate l’enorme ritardo di questo capitolo, ma durante le vacanze è andata via la connessione, quindi non ho potuto pubblicare nulla.
Allora, come vi è sembrato il capitolo? A me non sembra così male.
Come promesso, ho messo una bella scena Leonetta, dove si scopre il segreto di Leon.
Non vi aspettavate fosse così, eh? Mezzo satiro. Per la cronaca, a me i satiri stanno simpatici, sono una fan di Percy Jackson, dove loro hanno molta importanza.
Nata è una Veggente, essere misterioso molto strano, ma anche buono e la Stregona degli Animali è Angie ed è un po’ pazza, ma si nasconde altro in lei.
Vi posso lasciare con una domanda? Secondo voi quale è il passato di Diego?
Ora devo andare, scusate l’angolo dell’autrice molto brutto. Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ditemi cosa ne pensate, accetto anche critiche e consigli.
Un bacione da Chicca2501
   
 
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