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Autore: rosso rubino    08/01/2015    0 recensioni
Spesso la vita ci porta a scegliere delle strade. Ci sono molte strade, alcune giuste, altre sbagliate, altre ancora sono sbagliate e ci portano su quelle giuste. Spesso la vita pone ostacoli davanti al nostro cammino e ci disarma rendendoci soli, fragili, distrutti.
Spesso la vita ci pone davanti a muri.
E quei muri sono la nostra unica via.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 1



 

Tutto il grigio, tutto il grigio che c'è non ci stupisce più di tanto perché  abbiamo grigie mani e grigio cuore, ma specialmente abbiamo, abbiamo un grigio dolore.  

(Mina, Grigio)

 Grigio bianco nero. Nero grigio bianco. Bianco nero grigio. Apro i miei occhi stanchi  e osservo questo cupo mondo. Allora è vero, non è un incubo. L’aria ha il solito odore di edificio poco curato, con le croste sui muri e alcune crepe spaventose. Ma ormai nulla mi spaventa. Ho imparato a convivere con il terrore. Il soffitto è di un colore così bianco che mi viene la nausea e per un momento credo che possa venirmi addosso. Mi lascio andare sul letto e mi copro il viso con il cuscino. Ecco, ora è buio e non devo risolvere la faccenda dei colori. Oggi è il Giorno della memoria, il decimo giorno dei Venti, e devo andare in quel maledetto Riformatorio. Un’altra giornata noiosa. “Fatti coraggio, tra diciotto ore sarà di nuovo notte…” mi dico. Poi mi metto a ridere, isterica. Sì, certo, cosa vuoi che siano diciotto ore? Indosso la tunica anni 2103, gli abiti cuciti per la Quarta Guerra Mondiale. Durante la terza, ci siamo così indeboliti per l'eccessiva potenza delle armi, che abbiamo dovuto combattere con accette e spade arrugginite. La situazione si era fatta instabile: la scarsità dell'acqua e del cibo, l'effetto serra, le piogge acide e la mancanza di materie prime, spinsero tutti i Paesi a bruciare ogni convenzione e a tentare di acquisire quel poco in più che avrebbe permesso alla propria razza di sopravvivere momentaneamente. Ci furono miliardi di vittime. Quelli che sopravvissero al massacro, al bagno di sangue, morirono molto presto. A causa di epidemie, di scontri con altri uomini che proteggevano il proprio bottino. Per cinquant'anni si andò avanti in questo modo cruento, successivamente si instaurò il sistema della Cupole. Alcuni dicono che siamo al sicuro. Ma la verità è una sola: per la protezione dobbiamo lasciare tutto ciò che possediamo, tutto ciò che amiamo di più al mondo. Sto per prendere la mia pillola quando realizzo che non la voglio e la butto per terra, come segno di protesta.  Prendo il biglietto che trovo nel cassetto, anche lui bianco. Ogni volta che dobbiamo uscire dalla porta, ci lasciano questo biglietto. Naturalmente ce lo inviano nell’esatto momento in cui possiamo uscire, altrimenti potremmo fuggire. “Labor vita est”, la nuova parola d’ordine.  I Controllori  sigillano le porte delle nostre celle ad una certa ora, quando sono sicuri che siamo rinchiusi dentro, per sottoporci ad uno scanner che prova la nostra identità. Digito lentamente il codice. Poi mi blocco a metà perché mi fulmina un’idea: potrei buttarlo, dire che l’ho perso e stare nella mia cella. E’ un’idea assurda, me ne rendo conto, gli Educatori non mi crederebbero mai e forse dovrei solo lavorare di più. No, grazie. Ho già molte cose da sbrigare. Mi accorgo con orrore che ho pensato due volte agli Educatori questa mattina. Tre. Sono gli esseri più spregevoli della Thòlos, la cupola sotto cui viviamo. Non fanno altro che dire “La vostra città vi ama e vi protegge”, chiamatela città! Sospiro. Chissà cosa c’è là fuori? Ma c’è ancora un fuori? Mi viene voglia di scappare, di abbattere l’acciaio arrugginito che ci tiene rinchiusi qua dentro. So che la mia rabbia è decisamente più forte del ferro che tiene in piedi la cupola. Ma nel mio piccolo, le porte le ho già sfondate. Un brivido mi percorre la schiena. Questo è un atteggiamento da ribelle. E ai Guardiani non piacciono i ribelli, soprattutto se hanno sedici anni.  Raccolgo più energia e digito lentamente e timorosamente il codice. La porta si apre di scatto e io sobbalzo, nonostante siano passati circa otto anni da quando sono arrivata qui. Otto lunghi anni. Basta pensare! Maledizione, prima cominci questa giornata, prima la finisci! Mi incammino con gli occhi bassi verso la via. Il cemento è sporco, coperto di sangue e fango grigio. Mi percorre un brivido sulla schiena. Ieri c'è stata una carneficina. Io li ho visti. Io li conoscevo. Io non ho mosso un dito per aiutarli. Il senso di colpa mi pervade e so che non mi abbandonerà mai più. Resterà sempre nei recessi della mia memoria. Mi tormenterà per sempre negli incubi. In questo momento non posso che formulare un solo, lacerante, struggente pensiero: ho ucciso due persone amiche. Sento gli occhi bruciare e nel giro di qualche secondo vedo tutto appannato. Le lacrime sgorgano, cadono e i mi arrendo alla disperazione, non posso resisterle, è troppo forte. Sento un rumore, come uno scricchiolio alle mie spalle ma non mi giro. So benissimo chi si trova dietro di me.
-Ehi, buongiorno, D329!-Mi nascondo dietro l'angolo da cui ho sentito la voce. Subito due mani ferme e forti mi cingono i fianchi. Due labbra si posano sulla mia fronte. Io mi appoggio a lui e piango, piango come una bambina fino a quando non mi viene la nausea, fino al momento in cui le lacrime si fermano. Intanto mi accarezza la testa quasi senza capelli.
-Lo so, lo so. Scusa,  Hope…
-E' tutta colpa mia!- singhiozzo mentre sprofondo la testa fra un'incavatura del suo collo. Volevo fare la ragazza forte, quella che non teme nulla, ma il massimo che riesco a fare è piagnucolare copiosamente. E mi sento debole. Terribilmente debole. Dipendente dalle sue braccia.
-Questo non è vero- mi sussurra dolcemente all'orecchio. Ma in fondo lo sa anche lui, io non ho reagito mentre loro venivano mutilati, calpestati e torturati, sono rimasta immobile, con gli occhi vuoti e lo sguardo torvo mentre urlavano. Loro mi guardavano supplicanti, come se mi volessero chiedere aiuto. L'ho capito dai loro volti straziati, dal sangue bianco che fluiva e si spargeva sul terriccio.  I loro occhi, erano piccole fessure straziate e supplicanti. Che si fidavano di me. E io li avevo spudoratamente traditi. E non me lo perdonerò mai. Poi le urla sono cessate, così come erano cominciate. Così il mondo aveva avuto due persone buone in meno.                
Annuisco con il capo.
-Hai solo reagito come avrebbe fatto chiunque-

Chiunque? Crede forse che io sia come gli altri? Dopo tutto questo tempo lui mi giudica come se fossi una qualunquista. Una serva di chi sa cosa.
-Lo sai che non sono come gli altri- ribatto acida. Giro i tacchi e, con il mento alto e la schiena dritta mi dirigo per la mia strada. Sento i mio nome ripetuto uno, due, tre volte e poi il silenzio. Non può ferire il mio orgoglio così, con una frase. Non glielo posso permettere.
Charles.
Annie.
Li ho convinti io con la mia stupida e inutile teoria a lottare per essere liberi, per respirare affinché le generazioni future potessero vivere nel Mondo-di-fuori. Era stato il mio egoismo la loro distruzione. In questo modo mi era rimasto solo K321, il mio migliore (e ormai unico) amico. Che ha cercato di consolarmi e l'ho respinto. Caspita, le combini sempre giuste, Hope.
In teoria non si potrebbero stringere amicizie ma chi se ne importa? Oramai nulla ha più senso. Sembra che il destino scriva due parole messe a casaccio per la vita di una persona. Se facciamo finta di non conoscerci anche quando qualcuno ci guarda il gioco è fatto. Will ha diciott'anni. E' alto, robusto e forte. E' l'unica persona di cui mi posso fidare ciecamente. Appena svezzata non avevo la più pallida idea di come fare per sopravvivere. Lui è stato come il fratello che non ho mai avuto. E, forse, anche di più. Mi asciugo le lacrime. Cammino lentamente e a distanza da Will per non destare sospetti. Non sarebbe carino nei miei confronti andare a sbavargli dietro... E, comunque, non ho più voglia di parlargli. Almeno per le prossime due settimane. Altri ragazzi camminano attorno a noi, ma non ci guardiamo negli occhi. Non possiamo, d'altronde. E’ incredibile quanto le persone, seppur così vicine, siano anche così distanti.
 Ci sono anche bambini piccoli, cadaverici, che camminano timorosi. Non possono avere più di otto o nove anni. Alcuni sono appena arrivati. Non sono pronti. Non ce la possono fare, sono troppo innocenti. E chi è debole non sopravvive. Questa è la regola della vita.
  Entriamo nell'edificio grigio-malattia che si scaglia come una minaccia inevitabile. Poi un gruppetto di noi si dirige verso le proprie aule. Io verso la stanza del corso quattro. I corridoi sembrano infiniti, i muri stretti e soffocanti. Entro e mi siedo al solito posto, ben lontano dagli altri. Una donna di mezz'età, bassa, magra e dall'aria smunta incombe su di noi come un'ombra. -Oggi parleremo dell'organizzazione della Thòlos-  che novità! -La nostra cupola è divisa in cinque diversi ambienti: la cittadina, la produzione, l'apprendimento, il dormitorio e la politica. Nella cittadina vivono le persone adulte tra i diciotto e i trent'anni. Vivono a coppie: un uomo e una donna. Con loro ci sono anche i genitori che...- . La mia testa diventa pesante. Il cuore mi balza in gola. La stanza inizia a perdere lucentezza e si trasforma in tenebre.
 Una scena un po' sfocata inizia a diventare più limpida e chiara. Una cella simile alla mia si presenta davanti ai miei occhi. Una bambina esile e magra è sdraiata su un lettino molto piccolo. I suoi lunghi cappelli argentati sono distribuiti a ciocche sul cuscino. Non è la bambina più bella che abbia mai visto: ma ha un qualcosa di diverso. Eppure ha quegli occhi così luccicanti e lo sguardo così fiero...  e accanto a lei c'è... mia nonna... Non capisco la causa di quel pensiero, neanche ricordo di aver avuto una famiglia. Ho forse lo sapevo ma non volevo ammetterlo. I suoi capelli raccolti in una crocchia splendono di luce propria. Le rughe le scavano il viso. Sembra triste.
-Ciao, Hope.- mi dice con una tenerezza che non udivo ormai da tempo.

-Ciao-
-Oggi è un giorno speciale.-
Quando vede la piccola me insicura assume un sorriso.
-Oggi compi otto anni!- esclama esasperata, ma non dopo una risata. La bimba urla contenta, battendo le mani tre volte.
Ho un regalo per te, Hope . Non trascurarlo, custodiscilo come il tuo più prezioso tesoro. Ora mi sembra arrivata l'ora di rivelarti la verità. Ti ricordi di tutte le storie che ti ho raccontato? Bene, sono racconti inventati, ma hanno sempre un fondo di verità, si ispirano a fatti reali. Comprendi ciò che sto per dirti, piccola mia? Tu hai un grande futuro. L'ho capito fin dal momento in cui hai aperto i tuoi occhi per la prima volta e non erano grigi e cupi, come quelli degli altri bambini, i tuoi erano accesi di speranza. Sei come tua madre, anche lei era speciale e ha lottato per un futuro migliore. Ma lei non è riuscita a completare il suo compito. Tu lo porterai avanti, me lo prometti?
Una fievole voce esce dalla bocca della piccola: -Te lo prometto.

-Brava, bambina. Ora ascoltami bene. Non abbiamo molto tempo a disposizione. Qualche giorno fa stavo osservando il perimetro della Thòlos e ho scoperto un'ammaccatura con alcuni fori. E ho rivisto il Mondo-di-fuori.-
Mentre recita l'ultima parola, il suo sguardo si incupisce, le rughe si scavano ancora di più, rendendola ancora più vecchia. Ma non fuori, dentro.

 -Piccola mia, non ti spaventare quando vedi qualcosa di brutto. Non tutto è come sembra. Ti ricordi cosa vuol dire la parola “Hope”?
-Speranza, nonna.
Lei annuisce.- Non smettere mai di credere in te. E in tutto quello che ti circonda. Lotta per la libertà. Poi si sentono tre battiti sul metallo, forti e potenti che risuonano come boati tra la cella. Entrano quattro figure incappucciate che la prendono per le braccia. L'anziana si guarda attorno con sguardo assente. Chiude gli occhi. All'improvviso, il mio cuore inizia a battere all'impazzata, a galoppare nella mia gabbia toracica.
-Devo andare-  si giustifica.
-Dove, nonna?
-In un posto migliore, Hope.
   
 
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