Anime & Manga > Capitan Harlock
Segui la storia  |       
Autore: lovespace    09/01/2015    7 recensioni
- Dopo un duro combattimento Harlock si ritrova a dover portare sull’Arcadia un ufficiale medico. Una donna alla quale si sente misteriosamente legato. Perchè? Tra colpi di scena ed avventure il tempo svelerà la sua verità. - Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla terra, in egual maniera le onde del destino, nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via. –
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla Terra, in egual maniera le onde del destino nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via.

 

 

19

 

 

 

PASSEGGIATA NELLO SPAZIO

 

 

Helèn percepiva movimenti, scossoni, la concitazione di un respiro affannato.

La sua ora era giunta e si chiedeva come mai la morte ci mettesse tanto a mostrarle il suo volto.

Poi anche i rumori si fecero lontani ed indistinti.

Era bambina, correva nel sole, dall’altra parte due braccia che sapeva essere del padre benché la luce ne celasse il viso. Poi il tenero sorriso di sua madre e quelle braccia forti e sicure la sollevarono verso il chiarore stringendola. ‘Non permetterò che tu muoia’ sentì. Poi più nulla.

 

Aprì lentamente e con fatica le palpebre pesanti. La fioca luce di una candela attirò nel buio il suo sguardo. Muovendo solo gli occhi cercò di capire dove fosse. Era tutto in penombra. Con le mani avvertì una stoffa, forse un lenzuolo. Spostò lievemente e dolorosamente la testa a sinistra. Accanto a lei scorse una figura abbandonata su di una poltrona. L’avrebbe riconosciuta fra un milione era Harlock, chiuse gli occhi stanchi e l’oblio, soave, la riprese con sé.

Più tardi, un dolore al fianco la svegliò, stavolta aprendo gli occhi vide chiaramente Harlock armeggiare sistemando quella che le parve una fasciatura. Emise un lamento, lui si voltò di scatto. “Helèn” le si inginocchiò accanto. Non era l’uomo che aveva lasciato, era smagrito, stanco, la barba incolta di alcuni giorni, lo sguardo smarrito e provato di chi no sa. Cercò di parlare non riuscendoci, lui sorrise, un sorriso dolcissimo e luminoso. “Non stancarti, bruci dalla febbre”. Due lacrimoni riuscirono ad esprimere quello che Helèn provava. “Perdonami” riuscì a sussurrare ma questo le provocò un colpo di tosse che le rivelò in un istante dolori diffusi in tutto il corpo. Strinse gli occhi per accettare meglio la sofferenza.

“Helèn devi riposare” la pregò lui. Lei si arrese ma prima chiese “Tocarga?”

“Non temere” le rispose sfiorandole il viso con due dita “Siamo diretti lì, ma ora non pensarci, riposa”.

 

Helèn percepì un lontano rumore d’acqua, acqua che scorreva veloce. Sentì d’avere la fronte sudata, ed avvertì il fresco delle lenzuola sul corpo. Aperti gli occhi notò che la stanza era vuota. Dal letto di Harlock, contemplò affascinata, come sempre faceva,  i rami dell’alta struttura ed i drappi in esso intrecciati. Sorrise, era lui sotto la doccia. Lo immaginò, chiudendo gli occhi ed affondando morbidamente nel ricordo di lui. Si voltò a guardare il posto accanto al suo, c’era ancora la forma del suo corpo. Harlock aveva dormito lì. L’aveva vegliata. Mosse il braccio e notò un tubicino rosso ad esso collegato, SANGUE. Guardò perplessa la sacchetta appesa in alto. ‘Di chi era?’ si chiese.

“E’ il mio!” Si voltò in direzione della voce. Harlock aveva un asciugamano in vita si sfregava i capelli con un altro. “E’ ottimo te lo assicuro” le disse avvicinandosi piano a controllare la sacchetta per verificarne la quantità “ottima annata”. Nel guardarla, le strizzò l’occhio sorridendo, era umido, emanava un ottimo profumo, era sbarbato e sensuale. Meraviglioso. Sorrise ancora, forse perché lei stava meglio, pensò Helèn. Era bellissimo quando sorrideva, accadeva raramente ma quando lo faceva, si illuminava di una luce speciale.

“Non hai più febbre, vuoi mangiare qualcosa?” le chiese premuroso. Helèn fece cenno di sì, in realtà non aveva fame ma era consapevole che il cibo l’avrebbe aiutata. Bevve tremolante il brodo che Harlock le porgeva senza dire nulla, evitando per il tutto il tempo il suo sguardo, lui se ne accorse. “Che c’è?” Helèn faticò a rispondere ma non era la voce a mancarle, solo le parole.

“Harlock”. Era tanto che non pronunciava quel nome, il suono della sua voce le fece uno strano effetto. Lui la osservò serio e silenzioso, come sempre. Non parlava, lui lasciava parlare, ascoltava, perché sapeva ascoltare e soprattutto comprendere. “Perdonami, sono stata una sciocca. Ho rischiato di rovinare tutto. E soprattutto ti ho rallentato. Sei stato costretto a curarmi non so neppure come e…”

“Puoi dirlo forte” fece lui interrompendola. “Dobbiamo decisamente farla finita con questo scambio di liquidi” disse cercando di sdrammatizzare.

“Cosa è accaduto? Non ricordo molto”. Insisté lei angosciata.

Di colpo Harlock facendosi scuro in volto: “A cosa serve ricordare ora?”

“Ti prego”. Insisté lei.

Guardando fuori lui emise un lungo sospiro. “Ti ho trovata. All’inizio ho davvero temuto per te. Non sapevo cosa fare, eri in una pozza di sangue”. Tacque un istante al ricordo, gli procurava ancora dolore. “Ho agito d’impulso, mosso dalla disperazione o forse, solo dal buonsenso dettato dall’esperienza. Ho tamponato le ferite come ho potuto, ti ho portato sull’Arcadia, le ho suturate, non so neppure io come” scosse il capo. “Poi ho ricordato che tu avevi usato il tuo sangue per salvare me ed ho… ho rischiato il tutto per tutto, ed ho utilizzato il mio. Poi ho atteso”. Disse allontanandosi, quasi per alleggerire il peso di quelle parole “Una delle attese più lunghe della mia vita”.

Il silenzio pesò greve, a lungo. In quella semplice frase vi era tutto lo strazio e l’ansia di chi aveva creduto d’averla persa, di chi ancora una volta aveva dovuto lottare con la morte.

“Mi dispiace” riuscì a dire Helèn, che in cuor suo aveva appena compreso una grande verità. Una verità che ora le bruciava dentro e lentamente la devastava. Pianse, pianse sommessamente, perché aveva capito che doveva lasciare Harlock. Per il suo stesso bene doveva stare solo.

 

Non potendo l’Arcadia utilizzare la tecnica nautica in-skip i giorni di navigazione che seguirono, sembrarono non finire mai. Furono giorni strani. Pieni di silenzi, di frasi abbozzate, di sguardi veloci e pensieri dolorosi.

Helèn si rimise in piedi, controllò il lavoro di sutura di Harlock e lo trovò buono. Si stupì. Su quella nave per un motivo che a lei ancora sfuggiva, le ferite rimarginavano prima. Ne fu felice, voleva e doveva riprendersi presto. Per alcuni giorni si tenne volontariamente lontana da lui adducendo come scusa le ferite e la stanchezza. Harlock dal canto suo era distante e meditabondo come chi si estranea da tutto per elaborare un lutto.

Dopo tanto tempo Helèn tornò barcollante con le sue stampelle da Tochiro. Non ci era più andata per rispetto ad Harlock. Quel posto, quel legame misterioso che li univa era solo loro e tale doveva rimanere. Il capitano non le aveva fatto mai alcuna domanda e lei non aveva raccontato nulla, proprio per non violare in alcun modo quel rapporto speciale ed inspiegabile. Si sedette davanti al grande computer lo sguardo basso, affogato nel fiume dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. Aveva maturato l’idea che Harlock sarebbe stato meglio senza di lei. Lo aveva visto troppo provato al suo risveglio. Era come se per colpa sua avesse dovuto mettere nuovamente a nudo una parte di sé che doveva restare celata per la sua stessa sopravvivenza. Era come se fosse stato costretto a riaprire dolorosamente una parte interna del suo spirito che doveva restare chiusa, per il suo stesso bene. Il luogo dove tutti noi teniamo i ricordi che fanno più male.

“Sai” disse emettendo un lungo sospiro credo che per Harlock sia meglio stare senza di me”.

Due cerchi concentrici si accesero. “Non è come pensi”.

 Helèn sollevò il capo felice di sentirlo nuovamente. Gli occhi le si illuminarono “Ciao”.

Lui è più forte e determinato da quando tu sei qui ed ora ha bisogno del tuo aiuto più che mai”.

“Ha già sofferto abbastanza, ha perso troppe persone che amava. Un giorno perderà anche me, io lo amo come non ho mai amato nessuno e proprio per questo non voglio che soffra ancora. Non fa che cercare di proteggermi, e non ne comprendo appieno il reale motivo, sono diventata un peso. E non va bene”. Helèn abbassò nuovamente lo sguardo, scuotendo la testa rapita dal fluire dei suoi pensieri.

“Non è come pensi, io lo conosco è forte ed ha già fatto la sua scelta”.

I giorni trascorsero, Helèn non poteva esercitarsi come avrebbe voluto, così optò per un modo più leggero di allenamento. La danza, un suo antico amore.

Doveva tornare in forma in un modo o in un altro. Doveva essere un aiuto per Harlock non un peso. La sera senza che Harlock lo sapesse si recava nel piccolo teatro utilizzato per le riunioni che richiedevano la presenza dell’intero equipaggio, e danzava. Alla sua maniera, sola, senza che nessuno la vedesse. Ne usciva con le gambe doloranti ma rinfrancata nello spirito.

Una notte Harlock rientrando nei suoi appartamenti decise di fare un percorso diverso dal solito e venne attirato dal suono flebile di una musica che proveniva dal piccolo teatro. Non poteva che essere Helèn. Entrò incuriosito, spinto dalla consapevolezza di sapere infondo ancora così poco di quella donna. Silenzioso, sedette in una delle ultime file assolutamente immerso nel buio.

Sul palco poco illuminato Helèn con un semplice body e calze nere, la gamba ferita su di una sedia la massaggiava, si riscaldava. I capelli raccolti in una coda. Non si era accorta di lui. Cessata la musica che lo aveva attirato lì ne iniziò un’altra. Una musica lenta e struggente, sembrava una musica del passato.

Helèn le braccia al cielo, immobile, una scultura nello spazio di una purezza infinita lentamente passo dopo passo diede vita ad una danza dolce e sensuale. Si muoveva elegante, armoniosa, con naturalezza. Volteggiava agile ed appassionata nell’aria. Accompagnava fluida con le braccia i movimenti delle gambe. Sembrava con il linguaggio del corpo narrare di una struggente storia. Immersa nella penombra si muoveva leggiadra e languida. Sembrava un sogno.

Piroettava dolcemente su se stessa accompagnando i flessuosi movimenti del corpo con la morbidezza delle linee delle braccia. Sul viso le si dipingevano le sensazioni e le emozioni che stava rivivendo. Harlock la seguiva con lo sguardo estasiato.

Poi la musica si fece più commovente ed Helèn si ritrovò accanto ad una specie di manichino. Harlock ci mise un po’ a comprendere. Si trattava di uno dei manichini della sartoria con solo la parte centrale del corpo con indosso un grande mantello nero. Quello era lui! Ed Helèn con la danza raccontava la ‘loro storia’.

Con le mani unite a mo’ di pistola ripercorse il drammatico momento in cui lui le aveva sparato, il casco era saltato e si erano visti per la prima volta. Ballava con dolore ed impeto insieme, ogni gesto era un’emozione, era libera ed appassionata. Correva agile con passi abbozzati da una parte all’altra del piccolo palco. Flessuosa e soave. I piedi quasi non toccavano terra. Preso il manichino, nelle sue mani divenne quasi vivo. Volteggiava con lui sorridendogli dolcemente, immaginando un viso, un’espressione.

Helèn da principio se ne mostrava attratta ed al tempo impaurita, danzava insieme a lui avvolgendosi come in un abbraccio nel suo mantello, grata per la sua protezione per poi allontanarsene attanagliata dal dolore che questo le provocava.

Le sue movenze, il suo viso, tutto raccontava l’immenso amore che provava. Alla fine dopo averlo baciato e stretto dolcemente fuggiva via rintanandosi in se stessa gambe e braccia al petto.

La musica lentamente terminò e ciò che rimase furono solo i sommessi singhiozzi di Helèn.

Harlock stringeva con le mani i braccioli della poltroncina. Aveva intuito ma al tempo non voleva capire. Non mosse un solo muscolo per non tradirsi. Helèn sentì un rumore provenire dal fondo della sala. Si alzò guardinga “Chi c’è?”

Tori spuntò fuori dal nulla appollaiandosi vicino a lei. “Ciao che c’è? Chiede di me? Andiamo allora”. Helèn asciugate le lacrime indossato una specie di maglioncino si allontanò con Tori.

‘Chi chiedeva di lei? Sulla nave c’erano solo loro due’. Li seguì. Erano diretti al grande computer centrale.

Attesi alcuni minuti Harlock sentì Helèn dire ridendo “Dobbiamo smetterla di vederci così!” Fece quindi irruzione nella stanza del computer, con il piglio di un amante tradito.

“Che succede qui?” Helèn colta di sorpresa si spaventò. “Harlock sei tu?”

“Chi altri sennò. Come mai qui?”

“Non arrabbiarti, è solo grazie a lui” fece segno al computer “se ho potuto salvare te e l’Arcadia, non ti sei chiesto come avessi fatto e dove fossero i tuoi bracciali?”

“Pensavo li avessero rubati e tu perché non mi hai detto nulla?”

“Non me lo hai chiesto. Ma il tuo segreto è al sicuro con me”.

“Lasciaci soli per favore” aggiunse duro. Helèn obbedì mesta rintanandosi in camera sua.

Poco dopo sentì bussare alla porta. “Avanti”.

Helèn un accappatoio indosso, stava sostituendo i cerotti sulle ferite. Harlock la guardò, i lineamenti decisi sembravano scolpiti nel granito. “Ti disturbo?”

“Stavo per fare la doccia”.

“Resteranno le cicatrici”. Disse guardandole le ferite che si stavano rimarginando.

“Non ha alcuna importanza. Non sono le cicatrici esterne a preoccuparmi. Quelle una volta cicatrizzate non si riaprono. Le cicatrici dell’anima invece a volte si riaprono ricominciando a sanguinare”. Commentò triste.

“Scusa per prima, sono stato immotivatamente brusco. E’ che ti ho visto danzare poi correre via e…” terminò la frase sulla bocca di lei. La baciò con passione dolorosa, quasi a farle male.

Lei lo respinse debolmente “Mi.. mi hai visto danzare ?”

“No ho visto danzare la tua anima”.

Helèn abbassò lo sguardo intimidita “Dai… devo fare la doccia”.

Lui sorrise beffardo continuando a baciarla. “Ti voglio” le sussurrò in un orecchio provocandole un brivido di piacere. Quindi la sollevò portandola nel grande bagno adiacente.

Aperta l’acqua della doccia la posò sotto il getto tiepido iniziando a togliersi gli indumenti. Helèn era ipnotizzata dalla sensualità magnetica di quell’uomo che si liberava dei vestiti non distogliendo mai lo sguardo dal suo. Raggiuntala sotto al getto d’acqua caldo, una mano sulla nuca riprese a baciarla avidamente, strappandole l’accappatoio e scaraventandolo via insieme alla sua benda. Questo le tolse quasi il respiro.

Nel suo sguardo c’era un ardore ed una tensione sessuale che la turbò. Lo guardò in tutta la sua fiammeggiante bellezza. I capelli da asciutti divennero presto bagnanti aderendo sensualmente alla fronte. Lui con un rapido gesto delle mani se li portò indietro.  Milioni di goccioline d’acqua solcavano la sua pelle scorrendo via veloci, a volte soffermandosi un attimo nell’incavo delle spalle o sulla curva di una cicatrice, dai capelli, al viso, al torace. Altre si adattavano alle sue forme, ai muscoli, alle pieghe, formando rivoli d’acqua che correvano via. E come quei rivoli le mani di lui disegnavano arditi percorsi sul suo corpo. Carezze ardenti come il fuoco.

Helèn appoggiò il viso sul suo petto assaporandone il profumo virile. Sfiorandolo dolcemente con le labbra. La pelle era umida e resa sensibile per l’acqua. Scostandola lui le dedicò un lunghissimo sguardo. Gli occhi di Helèn accarezzavano i contorni del suo dolcissimo viso, delle sue labbra con desiderio facendo accelerare i battiti del suo cuore. Come aveva anche solo potuto pensare di riuscire a vivere senza di lui? Stretta al suo corpo muscoloso si lasciò andare completamente rispondendo ai suoi baci e carezzandogli le spalle, il petto, lo stomaco.

Harlock senza mai smettere di baciarla, scese al collo ed al seno. Helèn si strinse a lui con tutta se stessa, stordita, temendo quasi di perdersi nelle sensazioni senza confine che quell’uomo passionale e volitivo le faceva provare. Poi presala in braccio la posò sull’adiacente piano del lavabo, si chinò per assaporane la femminilità. Lei piegò il viso, quasi spaventata dalle emozioni che quell’uomo sapeva accendere nel suo corpo. Lui le sollevò il mento scrutandola a lungo e la strinse forte tra le braccia. Tirandola poi a sé con voluttà, unendo i lori corpi. Come un fiume dentro il mare. Presto la fiamma del desiderio appagato li avvolse, sprigionando faville, travolgendoli incontrollabile.

Si diedero l’un l’altra come mai. Con la volontà profonda di essere e sentirsi una cosa sola. Come il mare che da sempre aspetta il fiume, per continuare a vivere e morire.

*

Abbracciati accanto al piccolo camino. “Ci verresti con me in un posto?”. Chiese lui.

Helèn inclinò il capo incuriosita.

“Ti propongo una passeggiata”.

Indossarono le tute con cui solitamente Harlock usciva al di fuori dell’Arcadia per le riparazioni. Erano tute speciali aderivano al corpo proteggendolo ma garantendone la libertà di movimento ma soprattutto erano dotate di speciali scarpe magnetiche* che li ancoravano al metallo dell’Arcadia.

Accesi i respiratori uscirono da un portellone che immetteva direttamente alla parte superiore della nave. Helèn non aveva mai preso realmente dimestichezza con l’assenza di gravità, anzi la odiava e risultava impacciata. Harlock ne sorrise arricciando il naso e le tese una mano. Lei prese quella mano e venne quasi issata su di peso. Camminarono sulla superficie della grande corazzata sino ad arrivare ad una decina di metri dalla polena. Harlock si sedette ed Helèn lo imitò.

Dopo un lungo silenzio Harlock parlò con lo sguardo perso intorno. “A volte vengo qui per sentirmi libero, oltre la vetrata che mi sembra mi separi da tutto il resto. Qui mi sento davvero libero, libero di immergermi nello spazio e diventare una cosa sola con lui. Se un giorno morissi…”

“No” sfuggì ad Helèn.

“Se morissi” riprese lui “Vorrei che le mie ceneri fossero disperse nello spazio da qui. Ora è questa la mia casa dopo la Terra”.

Helèn si chiese il perché di quello strano discorso, sembrava che Harlock avesse come un brutto presentimento, ma tacque. Se ne rimasero seduti in silenzio senza misurare il tempo, mentre l’Arcadia navigava sospinta dal placido vento dell’Universo**.

Restarono fermi ad assaporarne la pace e la calma consapevoli d’essere soli l’uno al fianco dell’altra con il solo desiderio di starsene lì. Helèn guardava quello scuro manto di stelle come se lo vedesse per la prima volta. Lentamente se ne sentì risucchiata come se il Cosmo intero stesse cercando di entrare dentro il suo spirito. Provò una sensazione di smarrimento profondo. Allungò una mano a toccare il braccio di Harlock perché fosse la sua ancora, perché non la facesse volar via. Lui comprese e le strinse la mano ed anche attraverso la muta lei ne percepì la forza ed il calore.

Non si era mai sentita vicina ad una persona come in quel momento. Lui le sorrise in quel sorriso buono e trasparente c’era tutto. Domande, risposte, passato e futuro ed in quella mano che stringeva la sua, il presente. Avvertì nettamente il grande amore per la vita di quell’uomo e si sentì onorata di condividerne quel momento speciale. Capì che lui ci sarebbe sempre stato per lei e lei non avrebbe mai potuto lasciarlo.

Ad un tratto Harlock senza dir nulla si alzò quasi attirato da qualcosa. Lentamente raggiunse la polena, rimanendo in piedi sulla punta più estrema. Fermo a sfidare in perfetto equilibrio il moto dell’Arcadia su quel teschio dagli occhi infuocati. Nell’assordante silenzio sembrava quasi voler raccogliere dentro sé la forza dell’intero Universo.

Si stagliava statuario sullo sfondo senza fondo. Helèn non avrebbe saputo dire dove finiva l’Arcadia e dove iniziava lo spazio, si chiese a cosa pensasse, cosa provasse.

Il tempo sembrò fermarsi, era bellissimo. La figura alta, slanciata. Epico, intrepido. Lo sentì dire “Arcadia go!” per poi voltarsi meravigliosamente sorridente.

In quello stesso istante una specie di brezza cosmica si levò.

Helèn alzatasi la percepì solo perche l’enorme bandiera col jolly roger dell’Arcadia sino a quel momento inanimata iniziò a sventolare e lei comprese in quello stesso istante, che il vero vessillo di quella nave era lui. Era Harlock!

Fu una grande ed intensa emozione, Helèn impresse quell’immagine nella sua mente. Qualunque cosa fosse accaduta lo avrebbe ricordato per sempre così.

 Forte, eroico; leggendario.

Image and video hosting by TinyPic

 

 

NOTE

Capitolo dedicato a coloro che mi chiedevano un altro momento di serena felicità per H&H ed alla mia instancabile B-Beta.

*Scarpe del futuro per non volare via di mia invenzione.

**Il vento nell’Universo non esiste, vi è quello che viene definito ‘Vento stellare’ che è un flusso di gas emesso dall’atmosfera di una stella. La polvere stellare scatena dei venti in un processo a catena di fuoriuscita di gas, si tratta di una corrente di particelle, non il vento come lo intendiamo noi sulla Terra. Poeticamente qui l’ho voluto immaginare in grado di far muovere come nel film, la mitica bandiera con il jolly roger.

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Capitan Harlock / Vai alla pagina dell'autore: lovespace