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Autore: Rota    09/01/2015    3 recensioni
Il tempo dei lupi non si è ancora estinto. Il tempo dei canti al cielo e delle veglie notturne, occhi di fuoco nella notte e nel giorno, non è ancora deceduto.
Come il lupo solitario, lontano da ogni possibile branco – pelo rossiccio talmente scuro da ricordare il porpora, o il sangue profondo proveniente direttamente dalle viscere. Lupo sperso, nel bosco fitto di una terra che concede persino allo smarrimento una via di redenzione, nascosto tra rocce dure e spigolose senza anima e senza spirito fisico. Lupo sempre, grande quanto può essere un orso e dotato della stessa famelica voglia di ogni cosa tranne che di sé medesimo. Lupo chiamato, dai pochi esseri umani che osano vivendo in quella zona mescolare il proprio destino a quello della totalità del tutto, “Gerbera della neve” o “Murasakibara”.

[MuraMuro WereWolf/AOB!Verse]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Murasakibara, Taiga Kagami, Tatsuya Himuro, Un po' tutti
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*1*

Listen carefully

 

 

 

Quando persino la piccola Takao, con occhi spalancati più per meraviglia che per reale preoccupazione, alza testa e sguardo verso di loro distraendosi da uno dei suoi preziosi libri, Tatsuya crede sia il caso di dire qualcosa al fratello.
-Taiga, stringi forte il naso. Sta ancora uscendo sangue.
Il ragazzo davanti a lui si pronuncia nell'ennesimo verso di irritazione e fa un gesto con la mano libera, penzolante lungo il fianco destro, per poi stringere le due dita già attorno al naso con rinnovata forza. Guarda in alto, vero il soffitto, cercando di fermare il flusso rosso che lo sta ancora sporcando; sulla spalla, è poggiata la mano di Tatsuya, che lo guida con sempre meno pazienza e sempre più decisione. Anche volendo, lui ha ben altri problemi che la preoccupazione della curiosità dei suoi compagni di classe.
Nella piccola scuola, si conoscono tutti – e tutti, quindi, sanno quando irascibile e provocabile sia Taiga. Non capita troppo spesso, ma già qualche volta il più giovane degli Himuro ha dovuto raccoglierne quello che rimaneva dopo uno scontro o una rissa con Hanamiya e i suoi amichetti, che tanto sono bravi di parole quanto ad alzare le mani sul prossimo. Lui è troppo intelligente per lasciarsi coinvolgere da quelle questioni, ma non abbastanza indifferente da rimanere estraneo alla sofferenza del fratello minore. Taiga non gli chiede mai aiuto o di essere suo complice, nelle avventure pericolose che intraprende con tanta baldanza, e lui non gli chiede mai spiegazione dei suoi gesti: si limita a dirgli quanto è stupido nei momenti di maggior sconforto, lì dove sa di avere la possibilità di essere ascoltato.
C'è un parlottare davvero animato, sulle bocche degli studenti così come anche sulle bocche di molti adulti lì presenti, quando la coppia esce dall'edificio. C'è da scommettere che, almeno per un paio di giorni, il naso gocciolante di Taiga e la sua faccia rossa quanto i capelli sarà un ottimo motivo di pettegolezzo, tra le ragazze della scuola – più o meno come l'occhio nero pesto di Makoto o il fianco dolorante di Yamazaki.
Tatsuya sistema la borsa di lui sulla propria spalla e cammina dritto, in avanti, spingendo il fratello con più energia. Taiga quasi inciampa nei propri piedi, preso alla sprovvista, ma recupera in tempo e riesce a prendere il suo ritmo.
Solo un ragazzo alza la mano in saluto, quando gli capitano vicino. Fermo addosso a una stampella di sostegno, Kiyoshi saluta più Taiga che Tatsuya, e il sorriso che prima aveva raffreddato di preoccupazione la sua espressione poi diviene di semplice e sincera contentezza. Il ragazzo con i capelli fulvi risponde un po' stordito, con le sopracciglia ancora aggrottate in un'esplicitazione di forte disagio. Non li trattiene e loro proseguono senza neppure rallentare.
La strada dalla scuola all'ambulatorio non è molta – per un ragazzo normale di costituzione non troppo atletica, un estremo del villaggio dista dall'altro neanche due ore di passeggiata, e questo circoscrive ogni possibile distanza. Il piccolo casolare di legno, però, rimane un poco fuori rispetto alle case abitative del resto della comunità, isolato da un bel cornicione di sottile neve e una stradina ormai nascosta alla vista da tempo, che qualcuno ricorda essere stata fatta di mattonelle lisce e scure. Lo stivale di Taiga produce un suono di cartone calpestato, appena collide con la matassa candida, e così fa anche quello di Tatsuya. Sorpassano il cartello dipinto da poco di fresco, annusando il tipico odore della vernice colorata.
“Ambulatorio Imayoshi – per tutte le tipologie d'animale”. Suona, come sempre, ironico e sarcastico, nel pieno sentimento e nella piena inclinazione del suo artefice.
Dopo quella piccola scaletta in legno, che sopraeleva il pavimento del casolare dal freddo terreno dell'Alaska, si può aprire una porta che da a un interno piccolo ma ordinato, asettico e con un odore marcato di medicinali ma pulito in ogni sua parte, dove ben sono mostrati medicinali di ogni tipo, sia per animali sia per uomini. E di solito anche, seduto sopra il suo sgabello preferito al lato del lettino per i pazienti, il proprietario dell'ambulatorio, occhiali e sorriso smagliante sempre sul viso.
-Oh, i due Himuro. Non vi stancate di venire sempre qui?
Spiacevole e insinuante – se Taiga è del carattere giusto per lasciarsi sorprendere, Tatsuya non è dello stesso avviso e risponde, dopo aver spinto il fratello in avanti, alla cortesia dell'uomo con un sorriso del tutto simile al suo.
-Alcuni nostri compagni hanno pensato che fosse interessante uno scambio di opinioni nel retro della scuola.
L'altro fa finta di ridere e si alza appena per recuperare un paio di guanti bianchi e non ancora usati. Li infila velocemente alle mani, con poche e rapide mosse d'abitudine che lo rendono pronto in meno di cinque secondi. Il lungo camice dondola appena, senza provocare alcun rumore, a ogni passo che fa.
E i suoi capelli neri sembrano davvero l'unica macchia scura in mezzo a tutto quello.
-Spero allora che quantomeno l'oggetto di una tale animata chiacchierata sia stato interessante.
Si rivolge a Taiga con lo sguardo, direttamente, mentre gli indica con il movimento di una mano il lettino dove si deve accomodare. Sarebbe abbastanza alto da permettergli di vederlo senza altro aiuto, ma ha bisogno che rimanga perfettamente fermo mentre gli guarda il viso.
Il ragazzo si accorge di essere stato preso in considerazione e si avvicina al dottore, prendendo il posto sopra il materassino sottile.
-Moltissimo.
Non si toglie di dosso neanche il cappotto, per evitare di sporcarlo di sangue.
Imayoshi deve prendergli i polsi e stringere appena perché l'altro si fidi di essere guidato – e quindi di allontanare le dita dal proprio viso.
-Lascia andare, ci penso io.
Per quanto sia disturbante e irritante, Shoichi sa fare il proprio lavoro con cura e precisione, e non per scrupolo morale ma per la propria integrità di unico medico nel giro di sessanta chilometri quadrati circa non lo lascerebbe mai andare con il naso così tanto storto.
Lo pulisce sulle guance in particolar modo, su buona parte della bocca e anche sul mento, prima di posare le dita alla base del naso e fare un movimento rapido e secco, che fa ringhiare Taiga e che lo riporta con la giusta conformazione facciale.
Sorride soddisfatto, lasciandolo andare.
-Ora è tutto a posto. Cerca solo di non dare più testate ai muri, la prossima volta. Loro si faranno anche male, ma tu ti rovini la poca bellezza che hai sul viso.
Taiga fa qualche smorfia, sentendo ancora dolore per tutto il capo. Non osa toccarsi il viso, ma si accorge che quello che era storto è tornato al suo posto – il dolore sopra la bocca si è molto affievolito.
-Grazie.
Imayoshi lo guarda ancora e prende a tastargli più meno delicatamente il viso, alla ricerca di qualche altra botta o qualcosa di peggio. Taiga fa diverse smorfie, anche se nessuna di quelle esprime abbastanza dolore da allarmare il dottore
Non lo guarda neanche negli occhi, mentre scende al suo collo.
-Avete una vitalità che farebbe invidia a chiunque, voi ragazzi. Eppure, vedendo come siete conciati dopo un semplice diverbio, c'è quasi da dirsi che troppa vivacità fa male alla salute.
Gli fa cenno di spogliarsi, e senza dargli alcun aiuto lo guarda mentre si toglie la parte superiore del vestiario. Nota alcuni segni sulle braccia e uno particolarmente brutto sulla spalla; quando tocca, non sente niente fuori posto e si tranquillizza.
-Gli avventati, in natura, sono quelli che più di tutti muoiono giovani.
Sorride, e definitivamente si allontana dal suo paziente ancora pesto e abbattuto, come potrebbe esserlo un cagnolino troppo cresciuto con un sacco di sensi di colpa addosso.
-Posso offrirvi qualcosa da bere? Ho appena fatto riscaldare l'acqua per il tè.

 

-Perché non siete rimasti dal dottor Imayoshi a prendere il tè?
La donna ferma la propria mano sul piatto pieno di schiuma profumata e lo guarda con tanto d'occhi. Lei è sinceramente meravigliata, anche il ragazzo lo è ma per ben altre ragioni. Trattiene uno sbuffo all'evidente e palese innocenza eccessiva di lei.
Ogni tanto, sembra che quello più grande sia proprio lui.
-Alex, saresti felice di rimanere nella tana del lupo a condividere il pasto con lui?
La vede con la coda dell'occhio scuotere la testa e i lunghi capelli biondi. No, decisamente non ha compreso la situazione.
-Voi ragazzi siete sempre troppo esagerati, quell'uomo è amabile.
-Posso dire che hai uno strano concetto di “amabile”.
-Tu e tuo fratello siete amabili, per esempio.
-Siamo uguali a quell'uomo quindi, per te?
-Ovviamente no. Voi siete amabili e adorabili!
Sorride, tanto, come è capace solo lei di sorridere. E di coglierlo impreparato con un bel bacio sulla guancia, che gli scalda il cuore e il viso.
-E tutti per me!
Tatsuya sente una normale felicità, dentro di sé. Sa bene, come lo sanno anche gli altri due abitanti della casa, che quello non è un agglomerato comunemente chiamato “famiglia”, anche se ognuno di loro in modo ostinato e perpetuo appiccica quella definizione precisa alla relazione e ai sentimenti che li uniscono.
Alex potrà non essere loro madre naturale, ma è l'unico adulto che li abbia presi sotto il suo tetto, all'interno di quella piccola comunità di asiatici importati. Ha diviso la propria felicità con la loro e ha investito il proprio futuro in quelli dei due piccoli, senza chiedere neppure l'affetto o la riconoscenza in cambio, come farebbe un vero genitore.
Anche tra di loro, Tatsuya e Taiga sentono di non poter fare a meno l'uno dell'altro in termini non di dipendenza reciproca ma a livello di completezza sentimentale, come se la sola esistenza dell'altro fosse sufficiente per un equilibrio di pace e di serenità. Quello che, a lungo andare, hanno saputo chiamare rapporto fraterno.
Quelle quattro mura e mezza, quelle tre anime abbandonate ma non prive di consistenza, in definitiva, sono tutto ciò di cui hanno davvero bisogno.
Un rumore improvviso, proveniente dall'esterno, fa alzare lo sguardo di Tatsuya dal lavandino. Non vede niente di preciso, guarda nel vuoto e sembra essere interessato a qualche particolare inconsistenza, come pulviscolo danzante.
-La cena di stasera era ottima, devo dire a taiga di rifarla più spesso.
Non presta l'attenzione dovuta a quelle parole allegre e gentili, mosse dopo aver dato uno sguardo dietro, verso la sala dove c'è la televisione e il più giovane del gruppo troppo preso da un telefilm per pensare ad altro: si limita a fare un suono con le labbra mentre focalizza qualcosa fuori dalla finestra.
-Uhm.
Alex lo nota con facilità – e in un collegamento errato, lo riconduce a cosa è successo durante il giorno. Ha un sorriso dolce, quando lo richiama a sé.
-Qualcosa non va, Tatsuya?
-Oh? No, penso di essere solo un po' stanco.
-Prenderti cura di tuo fratello è dura, vero?
-Non così tanto, in realtà.
-Sei un bravo ragazzo.
A un certo punto gli prende la spugna di mano, e con un colpo di spalla lo spinge via, gentilmente.
-Vai, qui finisco io.
Lui è quasi tentato di resistere, a quel punto, ma un altro rumore gli arriva alle orecchie e lui non può proprio rimanervi indifferente.
-Grazie.

 

Deve fare qualche passo dentro la boscaglia fuori da casa per sentirlo chiaramente: poco più in là, nascosto meglio nella notte e nelle sue ombre, c'è qualcuno che lo attende.
Il maggiore degli Himuro cammina sicuro tra i cespugli bassi e i tronchi degli alberi, calpestando una via già battuta diverse volte e che non ha bisogno di definizione precisa per essere familiare e conosciuta. Sa dove è posto ogni sasso e ogni ramo di traverso, sa quando inclinare la testa è quando è opportuno muoversi di lato per non dover strisciare la pelle dei fianchi contro la roccia ruvida.
Si stringe nel maglioncino attillato che ha addosso, rimproverandosi in un momento di non aver avuto la pazienza di prendere la giacca prima di precipitarsi fuori di casa, inseguendo quel rumore.
Un sospiro pesante lo raggiunge – è vicino, davvero molto vicino. Lui, in un gesto un po' nervoso, sistema il ciuffo che ha davanti all'occhio, e procede dopo qualche secondo di silenzio totale. Le sterpaglie, secche per colpa della stagione e della poca pioggia, sporcano la neve non sciolta, marrone di terra e verde di muschio. Scivola quasi sopra un fungo cresciuto da poco, ma riesce a rimanere in piedi grazie all'estremità sporgente di un albero.
Sente un altro sospiro pesante, e si volta ancora nel buio della notte alla ricerca della sua fonte. Cammina indietro, fissando lo sguardo in un punto. Sorride, quando da dietro un masso scorge una forma allungata che riesce a riconoscere bene – e subito si fa avanti un viso appuntito, un naso appena umido e peli ispidi ovunque.
Il lupo è attento, sia con gli occhi che con le orecchie, e sembra non aver la minima intenzione di attaccarlo. Tatsuya rimane sempre stupido di quanto possa essere grande quella bestia, nonostante lui sia cresciuto dalla prima volta che si sono incontrati e si sia alzato di più di mezzo metro.
Il ragazzo sa di “Gerbera delle nevi” o semplicemente “Murasakibara”, come lo chiama la comunità Inuit della zona, che è un lupo solitario abbandonato da tanto tempo dal suo branco, che vive in una zona ristretta della foresta e che, per quanto sia grosso, difficilmente risulta aggressivo.
Alza la mano verso di lui, come ogni volta che si incontrano, piano e senza movimenti bruschi. L'animale lo annusa con un altro profondo respiro, lo riconosce e si allunga verso di lui sporgendo tutto il collo; muove la coda di lato, quasi scodinzolando, e sembra piuttosto felice di aver ritrovato il suo amico. Le dita del ragazzo scorrono dal muso alla testa, per poi scivolare sul mento e cominciare a grattare. Il muso di quello preme contro la sua spalla, lasciandogli libero accesso a qualsiasi luogo voglia raggiungere, in piena e totale fiducia. Sa che se osasse andare oltre, dove il lupo stesso non gli ha mai permesso di andare, varcherebbe il confine di fiducia e reciproco rispetto che hanno instaurato, osando qualcosa che non può assolutamente fare: questa è l'unica clausola a cui deve sottostare, nonostante gli anni di conoscenza e reciproco contatto.
Il pelo del lupo è caldo, per quanto ispido, e i suoni che si arrampicano dalla sua gola sono di gioia sincera, senza alcuna ipocrisia. Le zampe forti, per quanto armate di minacciosi artiglio, sono come tronchi solidi, che ispirano possanza e forza, che toccano l'animo di Tatsuya in un modo diverso da quello fisico ma ugualmente profondo e incisivo.
Lui è un altro elemento di quel mondo tanto caro a Tatsuya. Strano e particolare universo, ma non per questo meno irrinunciabile.
Resta a godere della sua compagnia quasi un'ora, prima di ritrovarsi a sbadigliare senza quasi rendersene conto. Il lupo lo accompagna per un tratto, spingendogli il muso contro la schiena di tanto in tanto, non per fretta ma per gioco – lo lascia però al confine della boscaglia più fitta, per non scoprire la propria presenza alla luce di quel guscio di luna che è ancora in cielo.
Il ragazzo si avvia al rientro da solo, con ancora l'odore del lupo addosso e una sensazione nuova di pace nel cuore.

 

 

 

I’m warning you just in case (listen carefully)
It’s dangerous now (so dangerous)
Stop provoking me (there’s going to be trouble)
I don’t even know myself

 

   
 
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