Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Smaugslayer    11/01/2015    2 recensioni
[seguito di Quidditch con delitto, http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2540840&i=1]
I (doppi)giochi sono aperti, e questa volta condurranno Sherlock Holmes e John Watson dal 221B di Baker Street al numero 12 di Grimmauld Place, Londra.
Se a Hogwarts i due eroi erano al centro delle vicende, ora saranno trasportati dalla storia del Ragazzo Sopravvissuto fino al cuore della Seconda Guerra Magica. E per tenere fede alle proprie convinzioni dovranno tradirle...
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
“Che cos’è?” domandò Sherlock, infastidito.
 
“Un orologio. Solo che… prima non funzionava. Era bloccato sulle undici.” Le lancette ora segnavano le undici e quarantacinque; evidentemente, la tasca ne aveva attutito il rumore fino a quel momento.
 
“Fammi vedere.”
 
Riluttante, John glielo porse.
 
“C’è una scritta in antiche rune” notò immediatamente Sherlock. “Leggila” ordinò, tendendogli indietro l’oggetto.
 
“Hai studiato rune anche tu” obiettò John con un sorrisetto.
 
“Sì, ma le ho eliminate, occupavano troppo spazio ed erano inutili. Fino ad ora, almeno.”
 
Alzando gli occhi al cielo, John prese l’orologio, e ciò che vide lo lasciò allibito. “N-non erano le stesse, prima. Prima che si sbloccasse, intendo.”
 
“Dove l’hai preso?” indagò Sherlock, assottigliando gli occhi.
 
“Ufficio Misteri” borbottò lui velocemente.
 
“Hai rubato un cimelio dell’Ufficio Misteri?”
 
“Non l’ho rubato!” si difese John. “Mi stava… chiamando.” Scosse la testa nel rendersi conto dell’assurdità di ciò che aveva appena detto. “Sì, suppongo di averlo rubato. È stato mentre tu… e tu… stavate esaminando le Giratempo.”
 
Sherlock gli strappò di nuovo l’oggetto di mano. “Ben lavorato” commentò, esaminandolo. “Opera dei Folletti, ovviamente. Protetto da incantesimi di conservazione solo all’esterno, dove infatti è ancora lucido e perfetto, mentre all’interno le lancette sono un po’ ossidate e lo sfondo è ingiallito. C’è un cammeo sul retro… il profilo ricorda quello di Mary, non ti pare? Curioso. Dunque, dici che si è improvvisamente risvegliato… se era custodito all’Ufficio Misteri, deve avere un qualche valore o potere particolare. E ho la vaga impressione che allo scoccare della mezzanotte lo scopriremo: mancano solo pochi minuti. A proposito, che ora è in realtà?”
 
“Non lo so. Circa le dieci e trenta, credo.”
 
Sherlock si strinse nelle spalle. “Bene, suppongo che dovremo aspettare. E ho un paio di idee su come potremmo ammazzare il tempo…”
 
Non aveva ancora terminato di parlare quando si sentì uno scoppio, e una creatura piccola e fragile apparve nella stanza a meno di un metro da loro: un’elfa domestica vecchia, ma stranamente piuttosto pulita e curata.
 
Dopo un attimo di sconcerto iniziale, Sherlock la riconobbe, ed esclamò: “Nelly! Che ci fai qui?”
 
Solo allora John si riebbe dallo shock e ricordò: era l’elfa domestica dei Morstan. “Come hai fatto a trovarci?” chiese con orrore crescente, sfoderando la bacchetta.
 
Nelly si strofinò gli occhi con i pugni e tirò su col naso prima di gracchiare: “Il gufo, padron John. Il gufo che avete spedito a padrona Mary mi ha indicato la strada.”
 
“Può farlo?” chiese John a Sherlock, preoccupato.
 
Anche Sherlock era corrucciato. “Evidentemente sì. Ma se ci ha trovati lei… Nelly, hai detto a qualcuno di averci rintracciato?” Sherlock si accovacciò di fronte all’esserino, che tremava spaventato e scosse la testa ripetutamente.
 
“Bene. Sei qui per Mary?”
 
L’elfa annuì.
 
“Mary sa che ci hai trovati, allora?”
 
Non lo sapeva.
 
“John, dovrai darle degli ordini” disse Sherlock in tono pratico. “Sei il marito della sua padrona, quindi ti obbedirà.”
 
“Vuoi evitare che riveli a qualcuno di essere stata qui?” chiese John per conferma.
 
Sherlock annuì. “Ora, John, ripeti precisamente ciò che ti dico: Nelly, io, tuo padrone, ti ordino di non rivelare mai di aver rintracciato me e Sherlock e di aver parlato o interagito con noi, e di non indicare la nostra posizione a nessuno con parole, scritte, segni, gesti o qualsiasi altra forma di comunicazione. Se ti è già stato fatto giurare di rivelare qualsiasi informazione riguardante me o Sherlock, rompi il giuramento e segui solo questo comando che io ora ti do.
 
John ripeté diligentemente, poi si chinò anche lui di fronte all’elfa. “Mary sta bene?”
 
Gli occhi verdi e sporgenti dell’elfa si riempirono di lacrime, mandandolo nel panico. “Nelly, Mary sta bene? Perché sei qui?”
 
Lei si pulì il naso con il dorso di una mano mentre con l’altra recuperava due lettere dallo straccetto che portava come grembiulino. “Nelly deve trovare padron John e padron Sherlock” disse, consegnando loro le lettere; “dare i fogli, e poi sparire.”
 
Ferma!”
 
Troppo tardi: appena ebbero preso in mano le buste, lei si Smaterializzò.
John si rigirò la lettera tra le mani, analizzandola: era di carta comune, non di pergamena, e sul retro recava il suo nome scritto in penna a sfera; riconobbe la calligrafia della moglie, benché fosse distorta e frettolosa.
 
Sentì la mano di Sherlock stringergli con forza la spalla e si voltò verso di lui; Sherlock gli posò un rapido bacio sulla bocca prima di allontanarsi e sedersi a gambe incrociate sul letto.
 
Dove avrebbe dovuto esserci il suo stomaco, sentiva solo un macigno. Non voleva aprire la busta. Non voleva scoprire perché l’elfa piangeva, o perché Mary non aveva inviato quelle lettere via gufo, o perché l’orologio con il cammeo stava ticchettando. Era arrabbiato a morte con Mary, e non sarebbe tornato con lei nemmeno se avesse potuto –nemmeno se non ci fossero stati di mezzo i Mangiamorte e la latitanza- ma le voleva ancora bene, come gliene aveva sempre voluto. Lei gli era stata accanto dopo la morte di Sherlock e dopo il suo ritorno, aveva portato in grembo sul figlio e aveva sofferto con lui quando l’aveva perso. Avevano condiviso l’intera esistenza, negli ultimi otto anni.
 
Sherlock aveva stracciato la busta e stava leggendo. Ogni tanto sollevava gli occhi e guardava John intensamente per poi riprendere la lettura.
 
“Merlino, fa che stia bene” pensò John, disperato.
 
Anche lui strappò la busta.
 
 
 
Caro John, se stai leggendo questa lettera significa che sono morta.
 
 
 
L’orologio tascabile scoccò sonoramente la dodicesima ora.
 
John indietreggiò, cercando il letto a tentoni per non cadere a terra, e crollandovi a sedere sopra.
 
Sentì il materasso muoversi, e poco dopo le braccia di Sherlock lo circondarono.
 
Sua moglie era morta. Era morta.
 
Era morta.
 
Era morta credendo che lui la odiasse.
 
 
 
Non ho mai avuto paura della morte… è l’idea di perdere la vita a spaventarmi.
 
 
 
Poteva quasi vederla sorridere mentre scriveva quelle parole.
 
 
 
Perdere la vita significa perdere la possibilità di compiere qualsiasi azione, e io temo che, quando giungerà il momento, non ne avrò ancora compiute abbastanza. Io voglio che la mia esistenza sia degna di essere vissuta. Voglio che sia di qualche utilità per qualcuno, in qualche modo. Nel caso ci fosse qualcosa dopo la morte, voglio poter dire che sceglierei di nuovo di vivere questa vita, per quanto breve.
In un bilancio complessivo, non posso dire di aver vissuto male. A parte un po’ di affetto, la mia famiglia non mi ha mai fatto mancare nulla, e tu non sei stato da meno. Mi dispiace di essere stata una moglie così deludente. Mi è chiaro solo ora, dopo molto tempo, che non avrei mai dovuto stare con te quando i tuoi sentimenti erano così chiari a me, anche se non a te, e voglio rimediare al male che ti ho causato. Se mi hai mai amata, John, se mi hai amata in qualche modo, fa’ che io non abbia vissuto invano e ascoltami.
 
 
 
La lettera proseguiva ancora a lungo, ma John non riuscì a leggere oltre.
 
Mary Elizabeth Morstan, la bionda, esuberante, combattiva Mary Elizabeth Morstan era morta.
 
Morta.
 
“Torna indietro” disse.
 
“Cosa?” chiese Sherlock, guardandolo con perplessità.
 
“Torna indietro nel tempo. Non mi interessa quanti giri dovrai far fare al tuo aggeggio, torna indietro e salvala.”
 
“Non sappiamo nemmeno quando è morta!”
 
“Sì che lo sappiamo: durante la festa. Hai detto tu che si è diretta in mezzo allo scontro, è ovvio che l’hanno colpita lì. Torna indietro e salvala, l’hai fatto con me, puoi farlo anche con lei.”
 
“John… non posso, la sua morte ormai è avvenuta, non posso modificarla.”
“È avvenuta perché tu non l’hai salvata!”
 
“Non…” Sherlock si premette le dita sulle tempie e strizzò gli occhi. “Non… no. Per poterlo fare avrei dovuto avere bisogno di un altro elemento, capisci? Qualcosa che mi dicesse che potevo effettivamente tornare indietro a cambiare gli eventi, come la prima volta, in cui ho avvertito il me stesso nel passato, o quando mi sono mostrato a lui per fargli capire cos’avrebbe dovuto fare. Se Mary è morta significa che non posso fare niente, quell’evento ormai è fisso, non è modificabile. Pensaci! Se ci provassi creerei un eterno paradosso temporale!”
 
“Non me ne frega niente dei paradossi temporali, riporta mia moglie qui!”
 
“Ma John, se lo facessi sarebbe stato proprio scoprire che è morta a spingermi a salvarla, ma se la salvassi lei non morirebbe più, io non potrei sapere che l’ho salvata e non tornerei più indietro a salvarla, e lei morirebbe di nuovo. Questi due elementi non possono coesistere… mi dispiace, ma non posso davvero fare niente.”
 
 “Riportala indietro!” urlò John, in preda al furore più cieco, senza ascoltarlo. “Puoi anche far esplodere il maledettissimo mondo, ma riportala qui!”
 
“Io… io non posso” gemette Sherlock. “John, non posso.”
 
Che cosa succede qui?” Il fratello maggiore di Sherlock si affacciò alla soglia della stanza con aria accigliata. “Si gradirebbe un po’ di quiete, grazie.” I suoi occhi corsero sui due uomini stretti l’uno all’altro, facendogli sollevare le sopracciglia.
 
“Sua moglie è morta, Mycroft. Lasciaci in pace” disse Sherlock in tono secco.
 
“Oh.” Mycroft non mostrò alcuna apparente emozione. “Condoglianze.”
 
“Mia moglie è morta e questo idiota non vuole usare la sua maledettissima macchina del tempo per salvarla!” ululò John con rabbia, scattando in piedi.
 
“Be’, naturale. Ormai l’evento è avvenuto, è diventato un punto fisso nel tempo” convenne Mycroft.
John li fissò entrambi con odio, poi scansò Mycroft e uscì a passi pesanti dalla stanza.
 
 
 
Sherlock attese un po’ di tempo prima di andare da John. Erano circa le due di notte quando osò presentarsi in camera sua, trovandolo seduto sul letto al buio con la testa fra le mani.
 
“Era ora” disse lui senza nemmeno girarsi a guardarlo.
 
Sherlock accese una candela con un cenno della bacchetta e richiuse la porta dietro di sé. Gli si avvicinò con cautela, senza sapere bene come comportarsi.
 
“Com’è potuto succedere?” sussurrò John con rabbia. “Come? Era una Mangiamorte, Sherlock, ti rendi conto? E l’ho odiata quando l’ho scoperto, ma era mia moglie.”
 
“La… la amavi?” chiese Sherlock, schiarendosi la gola.
 
John si voltò verso di lui. “È sempre stata al mio fianco” disse, facendo suonare la risposta come un’accusa; “era sempre pronta a tirarmi su di morale e… non sai quanto mi ha aiutato quando credevo che fossi morto. Le volevo bene, su questo non ci sono dubbi.”
 
“Oh” mormorò Sherlock sommessamente. Era in piedi accanto a lui, ma non osava avvicinarsi di più.
 
“Pretendevi che non la amassi per quello che ti ho detto prima?”
 
“No” si affrettò a rispondere lui. “Anche io le volevo bene, davvero.”
 
“Be’, probabilmente non la amavo sul serio, solo che prima non l’avevo capito. A volte ero un po’ geloso di voi” disse poi con una risatina secca. “Eravate così in sintonia. Ma a questo punto non so di chi dei due fossi geloso.”
 
Geloso? Credevi davvero che avrei potuto…”
 
“Sì, be’, senti chi parla. Anche tu lo eri, di Simon Church.”
 
“Come fai a…”
 
“Sì, giusto, non te lo ricordi… me l’hai tu detto l’altra notte.”
 
“Ricordami di non assumere più quel surrogato di pozione che abbiamo preparato. Mi piacerebbe conservare un po’ di dignità, in futuro” scherzò Sherlock, cercando di strappargli un sorriso.
 
“Mhm, come no…” John appoggiò di nuovo la testa fra le mani e gli fece un cenno: “Puoi sederti, se vuoi. Non sono arrabbiato con te, l’ho capito che non puoi usare la Giratempo.”
 
Sherlock si accomodò rigidamente accanto a lui, senza toccarlo. Sapeva che avrebbe potuto farlo, ora: non era più come una volta, quando doveva impedirsi di prenderlo fra le braccia ogni volta che erano vicini; ma sua moglie era appena morta, e voleva lasciargli il suo spazio, almeno per un po’.
 
“Tanto per chiarire, il fatto che le volessi bene non significa che non abbia sempre voluto stare con te” spiegò John. “Anche se cercavo di dimenticarlo.”
 
“Ci eravamo pure baciati, a scuola” ricordò Sherlock.
 
“Mi ripetevo che era un esperimento da adolescenti e non contava nulla, ma non era vero. Ero molto più saggio, a diciassette anni.”
 
“Mary l’ha sempre saputo. Aveva cercato di farmelo ammettere, allora, ma io avevo tergiversato.
Ha sempre saputo cosa ci passava per la testa, a tutti e due.”
 
“Te l’ha scritto nella lettera?” sospirò John.
 
“Anche, insieme ad altre cose. E a te?”
 
“Non lo so, non sono riuscito a leggerla tutta.”
 
“Sherlock, quell’orologio…”
 
“Credo che non fosse una coincidenza, se il cammeo somigliava a Mary.”
 
“…che potere dovrebbe avere? Indicarti che tra un’ora morirà qualcuno che ami?”
 
“Forse indicava che puoi sempre fingere che la morte non esista e sperare di non esserne mai toccato, proprio come se il tempo non scorresse, ma… alla fine la dodicesima ora scocca per tutti, senza eccezioni.”
 
John non replicò. Sherlock si distese a pancia in su, appoggiando i piedi sul bordo del materasso, e John lo imitò subito dopo, cadendo accanto a lui.
 
 “Dovremmo tornare a Londra” disse Sherlock dopo un po’, passando un braccio attorno alla testa di John e iniziando a giocherellare con i suoi capelli. “Trovare un posto in cui nasconderci. Non so dove, però. Mi era venuta in mente Molly, ma il suo appartamento è troppo piccolo, e poi fa già parte dell’Ordine e non voglio metterla ancora più in pericolo.”
 
“Forse conosco qualcuno che potrebbe ospitarci per un po’. Ti ricordi di Clarisse Weasley?”
 
“No.”
 
“Oh, andiamo, era anche al mio matrimonio! Capelli rossi… capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro… be’, ora fa la battitrice per le Holyhead Arpies e vive in centro a Londra. Sarebbe perfetto.”
 
“Purché sia disposta a nascondere due latitanti.”
 
“Vedrai, ci accoglierà a braccia aperte. Domani mattina le spedirò un gufo.”
Sherlock non replicò. Restarono semplicemente sdraiati lì, con lo sguardo rivolto al soffitto.
 
“Dovresti dormire” disse Sherlock dopo qualche minuto.
 
“Sì, perché infatti ci riuscirei.”
 
“Almeno mettiti in una posizione comoda.”
 
“Da quando sei così premuroso?”
 
Sherlock gli lanciò un’occhiata di traverso. “Dovresti riconoscere che metterti in una posizione comoda è la cosa migliore da fare, se domani mattina non vuoi avere la sciatica.”
 
“Bene.” John si alzò e si ridistese nel verso giusto, posando la testa sul cuscino. Anche Sherlock si girò, e gli scivolò accanto. John si strinse al suo petto e chiuse gli occhi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Smaug’s cave
A-ehm, salve. Dunque, ehm, ancora una volta non so bene cosa dire riguardo al capitolo, ma dato che sono una gran chiacchierona e mi piace aggiungere qualcosa alla fine del testo, vi consiglio di guardare questo https://www.youtube.com/watch?v=PPC-PeDogoE tenendo le note/commenti/non so bene come definirli; n pratica sono i commenti dell’autrice del video ma all’interno del video, e sono molto divertenti. Ah, è un video su Sherlock e John ovviamente.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Smaugslayer