Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ShioriKitsune    12/01/2015    2 recensioni
[AU!,Riren, in cui Levi ed Eren hanno solo 7 anni di differenza]
Dal primo capitolo:
"Il freddo arrivò tutto insieme, così come la sensazione di dita che mi tastavano il polso, probabilmente alla ricerca del battito. Quella voce parlò ancora, ma le sue parole erano senza senso. Mi fu puntata una luce agli occhi e nonostante il fastidio ne fui grato, perché riuscii finalmente a socchiudere le palpebre.
La prima cosa di cui mi resi conto, fu di essere steso sull'asfalto nel bel mezzo del nulla.
La seconda, furono due grandi occhi verdi che mi fissavano".
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Quello era decisamente il suo posto preferito quando aveva bisogno di stare solo con i suoi pensieri.

L'odore del caffé era un piacevole stimolante, così come la brezza fresca della sera appena calata, che tracciava nel cielo striature dal rosa tenue all'arancione, fino a sfociare nel blu intenso.

Le dita di Levi battevano velocemente sui tasti del portatile, tentando di restare al passo con i suoi pensieri. Flussi di coscienza o frasi più complesse, non aveva importanza. Ciò che contava era essere lì, immerso in quella pace che tanto amava, isolato dal resto del mondo.

Un'occhiata veloce al testo, poi all'ambiente circostante. Schiarendosi la voce, afferrò la tazza bollente nella solita strana maniera, portandosela alle labbra e soffiando prima di prendere una lunga sorsata.

La bevanda calda dal gusto dolce gli scottò la lingua, ma vi era abituato. Amava quel calore che, dalla bocca, si diffondeva poi per tutto il corpo.

Posò la tazza e riportò lo sguardo sul suo lavoro.

Poco dopo, una vocina lo distolse dai suoi pensieri. «Vuoi un altro po' di thé, Levi?».

La cameriera, Petra, era una delle persone più gentili che lui avesse mai incontrato. Gli sorrise, com'era solita fare, mentre le guance le si imporporavano appena e lo sguardo cercava un punto fisso che non fosse il viso dell'uomo più grande.

In un'altra vita, magari, a Levi sarebbe piaciuta molto. «Sì, grazie».

Scomparve poco dopo.

Levi aveva preso l'abitudine di andare in quel posto ormai da diversi mesi. L'aveva scoperto durante un pomeriggio di giugno e ne era rimasto affascinato. Essere lì era come essere a casa, per uno che non aveva un vero e proprio posto in cui tornare.

Si era seduto, quel pomeriggio di giugno, al tavolino all'angolo più isolato del piccolo locale e aveva iniziato a scrivere e da allora non aveva più smesso.

I dottori gli avevano detto che scrivere lo avrebbe aiutato molto e lui, poco alla volta, aveva iniziato a crederci.

Non sorrideva quasi mai, Levi, ma in quel momento gli angoli delle sue labbra si piegarono leggermente all'insù. Ormai gli capitava sempre più raramente di dimenticare.

Petra tornò con la sua tazza di thé, che posò delicatamente alla sinistra del portatile. Levi alzò lo sguardo per un secondo, ringraziandola.

«Come stai oggi?», domandò lei, gentile.

«Probabilmente meglio di ieri».

Sorrise.

Era quasi una domanda di rito, ormai. E la risposta era sempre la stessa.

 

Una volta si era confidato con Petra.

Era successo una sera che a Levi era sembrata più buia delle altre, e che lo aveva costretto a restare in quel piccolo café fino all'orario di chiusura. I suoi occhi, forse meno espressivi del solito, avevano preoccupato la cameriera dallo sguardo limpido, velato in quel momento da sincera preoccupazione, abituata a vederlo sempre lì, solo, ormai da un paio di mesi.

Aveva capito che quell'uomo silenzioso non era un tipo con cui era semplice iniziare una conversazione. Era risevato e schivo, diffidente quasi, ma i suoi occhi celavano un dolore non indifferente.

La giovane gli si era avvicinata, esitante.

«Signore, c'è qualcosa che la preoccupa?». Le braccia stringevano un vassoio vuoto al petto, gli angoli della bocca piccola piegati all'ingiù. Era realmente preoccupata, Levi lo sentiva, non era la curiosità morbosa di un estraneo invadente a spingerla a parlare.

Levi non ci aveva pensato molto prima di risponderle. «Ho paura di dimenticare».

In quel momento una miriade di domande affollò la mente di Petra, ma non diede voce a nessuna di quelle.

Fu Levi, dopo qualche attimo di incertezza, a riprendere il discorso. «Dimentico le cose, mi succede da un po' di tempo. Ma ce ne sono alcune che non posso permettermi di dimenticare».

Un paio d'occhi smeraldo si sovrapposero a quelli color oro della ragazza e Levi perse un battito.

Sbatté le palpebre un paio di volte, prima di focalizzare l'attenzione sul cartellino che portava sul petto. «Petra», ripeté a voce bassa, pronunciando il suo nome come a volerselo imprimere nella memoria.

Fece una pausa. «Io.. mi chiamo Levi».

Petra sorrise appena, dolcemente, spostando la sedia accanto a quella dell'altro e prendendovi posto.

«Non sono un dottore, Levi, ma magari ti farebbe bene parlare di questa cosa che non vuoi dimenticare. Potrebbe aiutarti a renderla più... vivida».

Levi si prese un momento per osservarla, studiando la sua proposta. Dopo alcuni minuti - minuti in cui Petra pensò di essere stata troppo sfrontata e che le servirono a formulare mentalmente delle scuse - l'uomo sospirò.

«Il suo nome era Eren Jeager».

 

 

Memento mori

 

Capitolo 1 - Smeraldo

 

(Diciotto anni prima)

 

Buio totale, completamente nero.

Ero morto?

No, riuscivo a sentire delle voci, non potevo essere morto.

Cercai di aprire gli occhi ma mi resi presto conto che non sarebbe stata un'impresa facile, dal momento che non ero in grado di muovere nessuna parte del mio corpo. Mi domandai se non fosse meglio così: sicuramente ero gravemente ferito, anche se non sapevo come diavolo fossi finito lì, ovunque "lì" fosse.

«È ancora vivo, fate presto per favore. Sì, sono un dottore, ma c'è bisogno di un'ambulanza, credo si tratti di overdose».

Qualcuno, un uomo, quasi grivada parlando a telefono. "Overdose" fu l'unica parola che riuscii a capire: si riferiva a me?

Il freddo arrivò tutto insieme, così come la sensazione di dita che mi tastavano il polso, probabilmente alla ricerca del battito. Quella voce parlò ancora, ma le sue parole erano senza senso. Mi fu puntata una luce agli occhi e nonostante il fastidio ne fui grato, perché riuscii finalmente a socchiudere le palpebre.

La prima cosa di cui mi resi conto, fu di essere steso sull'asfalto nel bel mezzo del nulla.

La seconda, furono due grandi occhi verdi che mi fissavano.

«Grazie al cielo», disse l'uomo, che in quel momento era entrato nella mia visuale. Da quel che riuscivo a vedere, portava gli occhiali e i capelli legati in un codino, un cappotto nero ben chiuso e teneva la mano ad un bambino. Ah, il bambino. Era lui che possedeva quegli occhi verdi.

«Eren, resta qui con lui, tienilo sveglio. L'ambulanza ha bisogno di indicazioni, devo parlare con loro. Se succede qualcosa fammi un cenno».

Il bambino annuì, deciso, puntando lo sguardo limpido, ma al contempo preoccupato, nel mio. «Come ti chiami?».

Mi sarebbe piaciuto rispondergli, anche solo per dirgli che non capivo la sua lingua, ma non ne ero in grado. Tutto ciò che volevo era chiudere gli occhi...

All'improvviso avvertii dolore alla guancia. Il moccioso mi aveva appena dato uno schiaffo? Puntai lo sguardo su di lui – non che il mio sguardo avesse qualche particolare inflessione, in quel momento – e lui rispose aggrottando le sopracciglia.«Mi dispiace, ma non posso lasciarti dormire. Non capisci la mia lingua, vero?». Unì le labbra, incrociando le braccia come se stesse pensando e la cosa gli provocasse un enorme sforzo. Poi s'indicò. «Eren».

Oh, Eren era il suo nome? Poi indicò me.

Il mio nome... ricordavo il mio nome, almeno quello. Schiusi le labbra, ma avevo la gola troppo secca per parlare o, quantomeno, per emettere suoni udibili. Ma il moccioso capì, e portò l'orecchio alle mie labbra.

«Rivaille», mormorai in un sussurro. Dio, era la mia voce quella? Non ero neanche sicuro che Eren avesse capito. Ma, in quel momento, non ero in grado di fare altro.

Il bambino s'illuminò, voltandosi verso il padre. «Il suo nome è Rivaille!».

 

Tch, maledetto moccioso, non è quella la giusta pronuncia.

 

«Rivaille? Dev'essere francese. Ma ancora non capisco come sia finito qui, in queste condizioni». L'uomo sospirò, chinandosi accanto a me e scompigliando i capelli del più piccolo. «Dobbiamo solo attendere che l'ambulanza arrivi. Lo salveranno, Eren, e poi gli troveremo un posto in cui stare, non preoccuparti».

Il moccioso Eren annuì, poi tornò a guardarmi. Non avevo capito mezza parola del loro discorso, ma quando mi sorrise fui quasi tentato di ricambiare. Quasi.

Delle sirene annunciarono l'arrivo dell'ambulanza, ed in pochi minuti mi ritrovai caricato al suo interno.

L'ultima cosa che vidi, prima di perdere conoscenza, furono quegli occhi smeraldo puntati nei miei.





 

* * * *


Note: Ok, se siete arrivati a leggere fin qui, vi ringrazio tantissimo.
Ho letto così tante Riren AU su AO3 che mi sono detta "Perché non iniziarne una?" e così è nata questa trama. Beh, già da subito si capisce che finirà male, ma spero che la leggerete lo stesso ç_ç
Il primo capitolo è abbastanza corto, spiega semplicemente più o meno come stanno le cose. Dal prossimo, le cose si faranno più interessanti e, per ora, abbastanza divertenti e fluffose xD
Ah, penso che lo preciserò nel prossimo capitolo, ma qui Eren ha 10 anni, Levi 17 e l'uomo è Grisha.
Ah numero due, il cambio di persona dal prologo al capitolo uno è voluto xD
Eh, ah numero tre, il rating si alzerà più avanti!

Al prossimo capitolo, spero!

 

 
   
 
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