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Autore: shinran4869    13/01/2015    5 recensioni
Anche se in cuor suo non vorrebbe, i pensieri della giovane Haibara convergono tutti verso un punto: il suo oscuro (e in parte ignoto) passato nell'organizzazione, che ancora non l’ha scovata, ma è sulle sue tracce. Ma soprattutto: il cercare di dimostrarsi sempre distaccata, è davvero la soluzione migliore? O a volte sarebbe meglio fidarsi degli altri, seppur correndo il rischio di ritrovarsi feriti?
Genere: Introspettivo, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Detective Boys, Hiroshi Agasa, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Solo pochi passi dopo, il telefono di Conan iniziò a vibrare.
Speriamo che siano buone notizie… pensò, dopo aver letto sul display il nome del chiamante.
Fece un respiro, schiacciò il tasto di risposta e avvicinò il cellulare all’orecchio, con la mano tremante, spaventato da quello che avrebbe potuto riferirgli la donna. Si fece coraggio e disse, tutto d’un fiato:
“Pronto, agente Jodie, mi dica, ci sono novità?”
“Sì.” rispose lei, facendo una pausa.
A quel silenzio prolungato, il bambino ebbe un sussulto. Già dal tono della donna aveva intuito che quella chiamata sarebbe stata tutt’altro che allegra. Si preparò al peggio, e chiese con voce tremante:
“E…?”
“E sono tutt’altro che buone.” fece l’agente, con un tono tra il triste e lo sconsolato, pur non perdendo la sua aria professionale.
“Mi dica tutto.” rispose, cercando di sembrare pronto a tutto. Anche se, in realtà, non lo era affatto.
 
Appena chiuse la chiamata, riprese a correre più veloce di prima, e si fermò solo quando scorse la sagoma del dottor Agasa che gli veniva incontro.
“Shinichi, tutto bene? Dove stai andando così di corsa?” chiese lui.
“Io…stavo giusto…venendo…da lei…” fece il bambino, cercando di riprendere fiato dopo la corsa.
Ora che era tornato piccolo, anche il più piccolo sforzo gli faceva venire l’affanno. Un altro motivo per cui non vedeva l’ora di tornare nel suo corpo da diciassettenne.
Ma quello non era proprio il momento di pensarci.
“Dov’è Ai?” domandò Conan, non vedendo la bambina nei paraggi.
“È rimasta a casa, mentre io sono andato a fare un po’ di spesa. Qual è il problema?”
“Presto, apra la porta, si sbrighi!” fece Shinichi, ignorando la domanda di Agasa.
Mentre le chiavi giravano nella toppa, il cuore di Conan prese a battere velocemente per la paura, ma lui cercava in tutti i modi di rimanere tranquillo e di ragionare. Quando la porta finalmente si aprì –sembrava passata un’eternità- , Conan urlò il nome dell’amica con tutto il fiato che aveva in corpo.
Nessuna risposta.
In casa vigeva un silenzio assordante.
“Sarà nel seminterrato, di che ti preoccupi, Shinichi?”
Senza nemmeno rispondere, il ragazzino prese a correre per le scale, pregando con tutto sé stesso di trovare l’amica seduta sulla sedia, davanti al computer, con quella sua solita aria seria di quando si metteva a “lavorare”. La immaginava mentre si girava per lanciargli un’occhiata truce solo perché era stata disturbata.
Ma, per quanto lui lo sperasse con tutto il cuore, quella scena non si avverò.
Il seminterrato era vuoto.
Di lei, non c’era traccia.
Calma. Mantieni la calma. Devi rimanere lucido. Devi ragionare. Sei un detective, no? L’intuito è il tuo punto di forza. Respira. Siediti e respira. Riuscirai a uscire fuori da questa situazione. Ce la farai. Ora devi solo impegnarti e iniziare a ragionare. si diceva il detective, cercando di mantenersi lucido e non farsi prendere dal panico.
“Shinichi, ora siediti qui e spiegami per filo e per segno tutto quello che sta succedendo, perché sinceramente non è che ci stia capendo molto.” lo esortò il dottore, con una nota di preoccupazione nella voce.
“Okay, okay. Allora, cominciamo dall’inizio. Qualche giorno fa, mentre ero con lei, ho ricevuto una chiamata dall’agente Jodie, si ricorda?” iniziò a spiegare Conan.
Il dottore rispose con un cenno del capo.
“Bene, quel giorno mi ha riferito che aveva appena avuto notizie da Kir: l’organizzazione stava ricominciando a dubitare di lei, o almeno questo è ciò che aveva capito Jodie. Diceva che Gin la teneva d’occhio, la metteva spesso alla prova con missioni difficili e pericolose, ma ancora non si era trovata microfoni addosso. La ragazza aveva riferito anche che quella sarebbe potuta essere la sua ultima chiamata, perché non poteva correre il rischio di essere scoperta. L’unica cosa di cui era certa, da ciò che mi ha detto l’agente, era che l’organizzazione stava per tornare all’attacco. Il problema è che Rena non sapeva esattamente quale sarebbe stato il loro piano, proprio perché Gin non si fidava di lei e non le aveva detto nulla della missione. La ragazza aveva concluso dicendo che aveva capito che molto presto, però, le sarebbe stato affidato un incarico importante. E questo è ciò che mi aveva detto Jodie.”
“E cioè quello che volevi dire ad Ai l’altro giorno.” affermò Agasa.
“Esattamente, dottore. Solo che…non so cosa mi sia preso…ma l’avevo vista molto preoccupata…e non mi pareva il caso di farla agitare ancora di più…pensavo che avrebbe potuto fare qualcosa di irresponsabile che l’avrebbe messa in pericolo… “ ribatté il bambino.
“Sì, ho capito, me l’hai detto prima.”
“Ho riflettuto sulle sue parole, dottore, e sono giunto alla conclusione che, se gliene avessi parlato, magari sarebbe stata più accorta…quindi stavo venendo qui per dirle tutto…e…”
“E…?”
“L’agente Jodie mi ha richiamato.”
Un silenzio assordante calò tra i due.
Nella mente di Agasa, le cose si facevano già un po’ più chiare.
Quindi esortò Shinichi a continuare, che riprese la parola:
“Kir l’aveva ricontattata. Era riuscita a capire di cosa trattava il nuovo piano dell’organizzazione, seppur non nei particolari.”
Il dottore guardò il giovane con fare interrogativo. Avrebbe voluto chiedergli “Ti prego, dimmi che non è come penso…”, ma le parole gli rimasero bloccate in gola. Sapeva che era esattamente come pensava.
Shinichi annuì debolmente, i suoi occhi erano spenti.
“Jodie mi ha detto che Ai era in pericolo. E, con lei, ovviamente lo siamo tutti noi. Ecco perché ero così spaventato quando non l’ho vista con lei…”
Di nuovo silenzio. Un silenzio amaro, che si infiltrava nei loro animi, nelle loro parte più remote; e un senso di vuoto iniziò a pervadere i due.
“L’hanno rapita” dissero, quasi all’unisono, con un filo di voce, perché stentavano a credere alle loro stesse parole.
O meglio, perché non volevano crederci.
 
 
Quando Ai si svegliò, era completamente stordita. La sua testa era come stretta in una morsa, le faceva male, e ad ogni piccolo spostamento sembrava che il mondo intorno a lei cominciasse a girare vorticosamente. Non avrebbe saputo dire da quanto tempo stesse dormendo –se ore, minuti, giorni…-, tutto in quel momento le appariva ovattato.
Il cloroformio le aveva completamente messo fuori uso il cervello.
Ottimo.
Aprì le palpebre lentamente, cercando di far abituare gli occhi all’oscurità che la circondava. Sarebbe stato impossibile capire dove si fosse trovata in quel momento; l’unica cosa che sapeva con certezza era che, in ogni caso, non avrebbe avuto scampo. Ricordava bene solo un particolare: la mano che l’aveva afferrata. Per quanto in quel momento fosse sotto shock, quella presa l’avrebbe saputa riconoscere tra mille.
Dopo essersi abituata, almeno un po’, al buio che aveva intorno, cercò di dimenarsi, e i suoi sospetti vennero in breve confermati: era legata, mani e piedi, ma non avrebbe saputo dire a cosa. Dietro la schiena aveva qualcosa di rigido e freddo, esattamente come si sentiva lei in quel momento.
Lei, la sua paura e quelle corde che la immobilizzavano erano diventate un insieme inscindibile.
“Finalmente ti sei svegliata, my dear.” fece una voce che ad Haibara appariva lontana, ma allo stesso tempo terribilmente penetrante. Già starla a sentire sarebbe stata una vera tortura. Le parole risuonarono nella stanza che –dedusse la giovane- doveva essere parecchio grande.
Per tutta risposta, la bambina emise un gemito, e solo in quel momento si accorse di avere sulla bocca del nastro adesivo. Non riusciva nemmeno a formulare un pensiero compiuto, e, pure se ci fosse riuscita, non sarebbe stato affatto d’aiuto, data la situazione in cui si trovava: pensare l’avrebbe soltanto terrorizzata di più, anche se la cosa era praticamente impossibile.
Avrebbe potuto sentirsi peggio?
Ma, dopo poco, la stanza fu invasa dal ticchettio dei tacchi della donna.
Ecco, sono finita.
Meglio, pensavo che quest’agonia sarebbe durata di più.
Nella sua testa risuonava chiaramente il suono del caricatore della pistola, pronta a posizionarsi sulla sua tempia.
Riusciva a sentire benissimo il metallo freddo sfiorarle la testa.
Contò alla rovescia nella sua mente, aspettando il colpo.
Si rese conto in quel momento che stava tenendo gli occhi chiusi. Li aprì di getto, per dare un’ultima occhiata al mondo, anche se la cosa era praticamente impossibile, dato che non vedeva assolutamente nulla.
Solo qualche minuto dopo, quando iniziò a domandarsi perché il colpo fatale tardasse ad arrivare, si rese conto che accanto a lei non c’era nessuno.
Era di nuovo sola in quella stanza.
Ero talmente impaurita che non mi sono accorta che quella donna si era allontanata, anziché avvicinarsi… Ma perché non mi fanno fuori subito? si domandò, decisamente stupita.
Eppure, anche dopo una mezz’ora (o perlomeno così sembrò alla bambina) la donna non si accingeva a tornare.
Ai arrivò a sperare di morire subito, e in fretta, perché non trovava altro modo di uscire da questa situazione: sapeva che le probabilità che arrivasse qualcuno a salvarla erano pari a zero; perché ovviamente l’organizzazione non l’avrebbe mai nascosta in un posto facilmente accessibile.
Poi, un pensiero le attraversò repentino la mente, quasi prima che potesse accorgersene; l’unico pensiero che riuscì a formulare da quando era stata aggredita.
“Shinichi…” sussurrò alla stanza vuota.
Sentiva, o meglio sapeva che il ragazzo avrebbe corso ogni rischio per riuscire a consegnare quelli dell’organizzazione alla giustizia…ignorando i pericoli che dovuto affrontare…
Era una trappola, lo aveva capito solo ora.
Si diede della sciocca per essere stata ingannata così facilmente.
“È tutta colpa mia…” disse, più alla stanza che a sé stessa, mentre la voce le moriva in gola e una lacrima, anche se involontariamente, le solcava la guancia candida.
 
 
*Kir è un’infiltrata nell’organizzazione, in realtà fa parte della CIA. È la sorella di Eisuke Hondo; fuori dall’organizzazione è conosciuta come Rena Mizunashi, ma in realtà anche questo è un nome fittizio: quello vero è Hidemi Hondo. Varie volte Gin ha dubitato di lei; per eliminare tutti i sospetti ha dovuto uccidere Akai Shuichi (agente dell’FBI).
   
 
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