Videogiochi > Altro
Ricorda la storia  |      
Autore: crimsontriforce    20/11/2008    2 recensioni
[Katamari Damacy perché sì e nonsense perché è Katamari Damacy perché sì] Staff roll! Un placido sushi di polpo, una cassetta degli attrezzi alla ricerca dell'altrui felicità, un cabinato in disuso e il suo unico amico, un palloncino con un amore impossibile, una pecora nera che aspira all'universalità e, naturalmente, il Principe del Cosmo e delle piccole cose.
E le stelle non stanno a guardare.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Per il concorso Nonsense indetto da Setsuka, Be Mine ed Emily ff sul forum. Grazie della spintarella, ragazze, casca a fagiolo! È da mo' che tiro avanti a dire che tale e talaltro gioco 'mi fanno nonsense da morire' e Katamari è sempre stato in cima alla lista – chissà perché, uh? (seguono, in stretto ordine: FFX-2, LocoRoco, Patapon, Myst, ICO, Shadow of the Colossus, Unlimited:SaGa, Lemmings...)

Piccolo giochino vezzoso: ognuna delle storie ha una citazione implicita a un videogioco abbastanza famoso per Amiga, Mac, PSX, PS2 o DS. Qualcuno le coglie? :3






Esplodono le stelle






Il Principe del Cosmo osserva la notte dal suo pianetino, soddisfatto. La volta celeste, nelle sue splendide tonalità di nero che già racchiudono i colori di tutti i mondi, questa notte risplende di stelle. Le stelle!

Il Principe non è un grande Re del Cosmo, uno che sa le cose – quello è suo padre e il ruolo gli calza a pennello almeno quanto la calzamaglia che tanto ama indossare. Lui rimane un piccolo Principe e questo significa che le cose le conosce. Anche quando insegue un vitello, la cuccia del cane e un mulino a vento, il Principe del Cosmo e delle piccole cose porta con sé il ricordo del topo che ha incontrato da pari a pari e che non si è mai sentito veramente parte della famiglia, nonostante vivesse in casa. O dei due calzini che si vantavano di essere il paio più hip dell'armadio perché non avevano buchi, ma che guardandosi continuamente l'un l'altro non si erano mai resi conto di essere uno rosso e uno blu. E certo non avrebbe mai dimenticato che la statua del pesce, quella che un tempo era al porto, sotto sotto avrebbe preferito essere immortalata in un'altra posa e faceva da anni buon viso a cattivo gioco.

Il principe osserva soddisfatto le stelle brillare giovani nel cielo con la consapevolezza che, ora, è tutto finito. Tutto per il meglio.



***





Conosceva un placido sushi di polpo. Per via di certi filmacci era temuto ed emarginato dal resto della cucina ma in verità, nonostante il suo polpo fosse stato grosso e minaccioso (almeno per il metro di una pallina di riso) quand'era in vita, lui non avrebbe mai attaccato nessuno. Men che meno divorato – quello, neanche il polpo.
Il placido sushi aveva infatti un solo desiderio: vedere altri mondi.

Le sue ricerche lo portarono ad armarsi di righello e mappamondo per scoprire come sfuggire alla terra. I righelli, però, perdono d'efficacia quando si deve misurare qualcosa di troppo grande o piccolo e un pianeta intero in scala era entrambi. Come poteva sperare di effettuare misurazioni rigorose e scientifiche quando la sua unità minima era pari a un piccolo Stato?
Così lasciò perdere quell'area di studio e si tormentò rimirando le antenne che svettavano dai tetti fuori dalla finestra. Immaginava le onde invisibili che quegli apparecchi meravigliosi dovevano ricevere e immaginava di riuscire un giorno a cavalcarle fin sulla luna e oltre, ma era ben conscio di essere solo un piccolo sushi di polpo e che quelle erano destinate a rimanere fantasticherie.

S'innamorò perdutamente di un takoyaki sognatore e desistette dalla sua ricerca.

Ho fatto un sogno”, raccontò un giorno il takoyaki. “Il sogno parla di una stella...”
E lui tornò con la testa fra le stelle, scrisse i suoi mondi e divenne un caso letterario, anche se taluni lamentavano uno stile troppo descrittivo.
Sei una stella di mare!”, gli disse il takoyaki stampandogli un sonoro bacio sul riso.



***





Conosceva una cassetta degli attrezzi il cui problema era, come d'altronde accade a ogni cassetta degli attrezzi da che mondo è mondo, quello di contenere tutto tranne quello che al suo proprietario serviva in quel momento. E al suo proprietario, in quel momento, serviva una moglie. Era un bravo ragazzone, un contadino onesto, ma proprio non riusciva a trovarne una. La cassetta lo sentiva esercitarsi ogni giorno:
“Ciao stella, tutto bene e tu? Mi manchi, amore...”
Oppure:
“Ti amo stellina mia!”
Ma nessuno rispondeva ai suoi richiami. La cassetta degli attrezzi prese l'iniziativa.

“Dove si trova una stella?”, chiese a un fiorellino giallo che cresceva ai suoi piedi, ma quello non le rispose. La cassetta si risentì un po' per quella scortesia, ma guardandolo meglio vide che era giallo perché aveva mangiato troppi mandarini e lo lasciò a smaltire l'indigestione.

“Dove si trova una stella?”, chiese a un fiorellino bianco, compagno del primo, che si nascose dietro a un fungo tremando come una foglia. Poveraccio, è sbiancato dal terrore, si disse, e cercò altrove.

“Dove si trova una stella?”, chiese a un fiorellino rosa lì vicino che sembrava colorito dall'eccitazione. Il fiorellino la guardò con determinazione ultraterrena e rispose:
“Non ne ho idea. Ma ti incoraggerò finché non l'avrai trovata!”
E ondeggiò per farle forza, presto seguito dai suoi due compagni.

Rincuorata, chiese a un fiore di loto, che si dice cresca anche in Cielo e ne avrebbe dovuto saper qualcosa. Quel particolare fiore però era cresciuto solo nella serra e delle stelle non sapeva nulla.

Trovò infine, con grandi difficoltà, un vecchio puntale fra le decorazioni natalizie di famiglia, sepolte nell'armadio da tempo immemore. Lo scartò e pose con cura la stella cometa che lo decorava nel suo cassetto esterno, fra i chiodi e la tenaglia.

Le si spezzò il cuore quando il suo amato padrone infine vide la sua stella, la prese e la rimise nell'armadio senza una parola. L'aveva deluso ancora una volta.



***





Conosceva il palloncino verde che concupiva la luna. Disdegnava la compagnia dei suoi simili, ben conscio che lui e solo lui aveva in sé i gas necessari per ascendere al cosmo. Ogni suo pensiero era diretto al grande palloncino argenteo nel cielo e avrebbe fatto qualunque cosa pur di potersi distendere al suo fianco.
Se per servire questo scopo devo essere disprezzato, il mio corpo gonfio e schiarito, così sia!, era giunto a dirsi. Se per servire questo scopo devo ricorrere ad arti proibite, così sia! Che ne vada del mio corpo o della mia anima, a lei dedico ogni mio istante. Questo giuro come giurerebbe un dio...

L'unico ostacolo restava il prosaico spago che lo costringeva al suolo, lui anima nobile e sublime.
Corteggiò le forbici che un giardiniere distratto gli aveva lasciato a fianco, promettendo loro di farle brillare per sempre fra le stelle. Quando però quelle frivole giovini risposero alle sue lusinghe e suppliche tagliando lo spago lui si librò da solo verso l'empireo, fremente di eccitazione.

Ma, ahimè, che speranza ha un palloncino da solo di raggiungere la luna? Scoppiò e i suoi resti verdi discesero nell'atmosfera fino a tornare nel prato, dove furono ordinatamente raccolti e buttati nella spazzatura.



***





Conosceva un cabinato di quel Gradius che delle stelle non aveva capito proprio nulla, ma lui, il cabinato, ogni notte quando si spegnevano le luci della sala giochi sognava romantici pixel bianchi a punteggiare la volta celeste.
Il suo migliore amico – l'unico, in un'era di poligoni e simulatori – era un bambino di dieci anni che si fermava a fargli compagnia per una partita o due ogni volta che tornava dalla piscina. Fra un livello e l'altro il bambino gli confidava tutti i suoi segreti: l'odio per il padre scomparso, la determinazione nel superarlo nello sport a costo di diventare una rana a forza di restare in acqua ad allenarsi. Piangeva, piangeva sempre nel raccontargli gli insuccessi grandi e piccoli e il cabinato, che era di buon cuore, si struggeva nel non saper consolare un bambino-rana. Ma col tempo si fece saggio e capì che non era una rana quella che il suo piccolo amico voleva diventare, bensì una stella, come suo padre prima di lui. Decise di precederlo per dargli il buon esempio e salì lui stesso alle stelle, nel modo che più gli era congeniale: cinque gettoni a partita.

Il bambino non tornò più. Scoprì un altro mondo oltre la città e terminò altrove il suo sogno.



***





Conosceva una pecora nera molto coscienziosa, che ben sapeva quanto fosse importante che lei e le sue compagne venissero contate ogni notte da migliaia d'insonni. Così, mentre camminava in fila da un sogno all'altro, da una botola a una porta attraverso campi, burroni e fiamme ardenti, non poteva fare a meno di pensare che non stava svolgendo al meglio il suo lavoro. E se qualcuno non mi vedesse?, pensava. Se mi cercassero, nel loro limitato orizzonte, e io fossi sempre loro preclusa?
Se solo fosse stata in cielo, come già erano l'Orsa, i Pesci e il Capricorno (che è una specie di pecora, in fondo, ma più portato al Futuro che al misero riposo), non ci sarebbe stato sonno fuori dalla sua portata.
Salutò quindi il gregge e partì alla ventura.

Incontrò una studentessa su un ponte al tramonto.
“Perché sei triste?”, le chiese.
“Sono troppo alta, nessuno mi vuole. ”
“Vieni con me, allora.”
“Che fai tu?”
“Cerco le stelle. Da lassù vedrai certamente qualcuno di abbastanza alto per te.”
S'incamminarono fianco a fianco, la pecora e la ragazza, con la mano di lei ad accarezzarle il vello più nero della notte scura.

Una notte, la pecora si accorse di essere rimasta sola. La ragazza era rimasta indietro di qualche passo e a vedersela sempre davanti era caduta addormentata sul ciglio della via. Belò la sua solitudine e proseguì.

Giunta di fronte a un tombino, decise che se non era riuscita a salire alle stelle da su avrebbe provato l'altra strada e sarebbe passata da giù. In fondo, a un umano era già riuscito. Con immensi sforzi lo aprì e vi si inoltrò speranzosa.

Non trovò una strada per il cielo né resti di una civiltà perduta che le aprissero le porte di altri mondi. Era però appena passato Carnevale, le strade della città rigurgitavano nel sottosuolo coriandoli e stelle filanti e la pecora, ricoperta da queste, credette d'essere arrivata e lì attese.



***





Si ritrovarono alla fine di ogni storia e si presero per mano, rotolando insieme ed esplodendo in una girandola di bellezza e speranze.
È il potere del Cosmo!


   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Altro / Vai alla pagina dell'autore: crimsontriforce