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Autore: heuchelei    13/01/2015    2 recensioni
[gore . angst . splatter . missing moments]
«Non dovresti entrare senza bussare, Kōtarō~»
Genere: Angst, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Amon Kōtaro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Violenza
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i see things that nobody else sees.







Era arrivato all'orfanotrofio in una notte autunnale, senza stelle, quando aveva ancora cinque anni.
Nessuno sapeva da dove fosse venuto — i bambini avevano ipotizzato che fosse semplicemente spuntato da sotto la neve, come un fiore — eppure una cosa era chiara: i suoi genitori non lo avevano amato abbastanza.
Teneva tra le dita intirizzite ed irrigidite dal freddo un foglio scribacchiato in una calligrafia illeggibile, che si era poi rivelata essere il suo nome: Kōtarō Amon.
Non sapeva da dove veniva e probabilmente non aveva neppure un posto dove stare.
Eppure, quando era arrivato, i bambini lo avevano stretto in un abbraccio caloroso, trotterellando in un girotondo davanti al fuoco.
E poi aveva incontrato padre Donato Porpora — quell'uomo sottile, dai modi così condiscendenti e comprensivi.
E, da quel momento, Amon aveva saputo che non era più solo.
A cinque anni aveva conosciuto la sua vera famiglia.


Aveva trovato lo scarico della fognatura quando aveva sette anni, i capelli tagliati a spazzola e poca voglia di fare i compiti. Come per tutte le grandi scoperte, ci era arrivato per caso — strisciando sotto i cespugli rigidi di brina e pietre insignificanti, nel disperato tentativo di vincere l'ultima partita a nascondino della giornata.
Era il suo gioco preferito: l'unico in cui era l'indiscusso campione. Di campana o salto della corda non se ne parlava neppure. Era roba da femmine.
E così aveva trovato quel grosso tubo in cemento, nascosto sotto una collinetta erbosa, solitario ed indifferente.
Amon non aveva pensato due volte ad infilarsi dentro lo stretto ed ombroso ingresso — nonostante fosse maleodorante, sembrava il posto migliore per non essere facilmente trovati.
Strinse le gambette sottili al petto ed gattonò dentro al grosso tubo per qualche metro, le sue ginocchia che facevano squish-squash nella pozzanghere di acqua fredda. Doveva essere lo scarico di qualche vecchia fognatura.
Le pareti erano viscide e coperte da sottili crepe, nonostante non fosse in funzione. Il fondo del passaggio si immergeva nell'oscurità più impenetrabile.
Dentro di sé gioì. Era stata una fantastica scoperta.
Era sicuro che nessuno lo avrebbe mai trovato lì dentro.
Nessuno.
Si dondolò pigramente, con la schiena appoggiata al cemento freddo dietro di lui. La luce del tramonto aveva il colore del vomito dopo aver mangiato i blini1 al salmone.
Non aveva mai sopportato i blini al salmone.
Improvvisamente avvertì un fruscio alla propria destra, come se le stesse ombre stessero allungando le dita per venire ad afferrarlo.
Amon rabbrividì nonostante fosse estate ed emise un gemito di sorpresa. I suoi occhi vagarono verso quella muraglia scura ed impenetrabile di oscurità. Strizzò le palpebre e notò che qualcosa brillava, lì in fondo.
Deglutì.
Non era un fan delle storie dell'orrore, ma sapeva che in fondo, iniziavano sempre così. I protagonisti si separavano — molto stupidamente — e alla fine venivano ammazzati in modi terribili. Amon inspirò profondamente e lanciò un ultimo sguardo al cielo rosato che stava al di fuori. Si mise di nuovo sulle ginocchia e strisciò sul cemento inclemente.
Dal soffitto cadevano gocce d'acqua, che adornavano ghirlande di muschio umidiccio. I suoi occhi si abituarono all'oscurità quasi subito, ma il suo naso sembrava non volersi adeguare. L'aria era diventata più stantia, assumendo un pesante odore di muffa e di qualcosa di dolciastro, simile all'odore dei fiori appassiti.
All'improvviso si fermò, notando finalmente ciò che aveva visto brillare da lontano. Era una grata di metallo, arrugginita, che bloccava il passaggio. La superficie riflettente rimasta doveva aver catturato gli ultimi baci del sole, riflettendola ai suoi occhi. Amon si ricordò di respirare solo in quel momento.
Si sentì un idiota.
Che stupido che era stato.
Non c'era da aver pau—
Cacciò un urlo non appena si accorse che c'era qualcosa di appoggiato alla sua mano. Qualcosa di liscio, umido e probabilmente non vivo.
Le sue dita tastarono freneticamente l'oggetto, lo esaminarono, cercando di accertarsi — sperando — che la sua ipotesi fosse sbagliata. Impossibile.
Infine si lasciò cadere contro la parete, le pupille allargate come quelle di un animale in trappola, i polmoni che cercavano disperatamente di immagazzinare l'aria, anche se fetida.
Sapeva cos'era quella cosa.
Era un braccio. Il braccio di uno scheletro. Con ulna, radio, omero, tutte le ossa della mano, ancora attaccate con un po' di cartilagine.
A sette anni, aveva imparato a non farsi domande.


Era andato a pregare quel fatidico sabato di dicembre2, prima di Natale, quando aveva nove anni.
Il suo fiato si condensava in nuvolette di vapore tra le sue mani guantate, mentre i suoi piedini si muovevano frenetici, le ginocchia che si strofinavano nel tentativo di conservare calore sotto quel giubbotto tre taglie più grande della sua.
Il prete era seduto su una delle panche ed osservava l'altare con la solita aria assorta, la fronte corrucciata e le mani grinzose strette debolmente.
Era un uomo forte, nonostante l'apparenza fragile ed emaciata.
Amon restò qualche istante a fissare suo padre e poi si sedette accanto a lui con uno sbuffo, mettendo il broncio.
Fece dondolare le gambe, pacatamente, oziosamente, cercando nel frattempo di riattivare la circolazione delle falangi.
«Mi fa piacere vederti qui, Kōtarō.» disse a voce troppo bassa, come per non svegliare qualcuno in quella chiesa troppo buia, in quella notte troppo fredda. Amon incrociò le braccia sul petto, espirando profondamente.
A volte aveva l'impressione che quell'uomo potesse cogliere tutti i suoi stati d'animo semplicemente studiando i suoi movimenti.
«Io volevo... Ecco—» biascicò a mezza voce, cercando le parole adatte per completare la frase «Pregare. Quello che si fa in chiesa.»
Donato annuì bonariamente ed incrociò le braccia sul petto. Quando sorrideva, le sue rughe si dipanavano in una ragnatela.
«E per chi vorresti pregare?»
«Per Yoichi-chan, Asuna-chan, Meiko-chan...» contò i nomi dei suoi amici sulle dita. Tutti in nomi dei piccoli che erano stati affidati ad una nuova famiglia e che lui non aveva più rivisto.
«Capisco. Sei triste per loro?»
«Credo.» Amon scrollò le spalle.
«Sono fortunati. I tuoi amici adesso hanno una famiglia. Non è fantastico? Il Signore ha provveduto a donar loro una nuova casa ed una famiglia che li amano.» rilevò allargando le braccia e spostando gli occhi sulla volta della chiesa. I quadri dei santi sembravano fissarli in modo severo, inclemente.
«Mi mancano un po'.» ammise Amon, abbassando il capo «Posso giocare ancora con loro?»
«Certamente!» qualcosa brillò negli occhi del Prete, una scintilla fulminea che si spense quasi subito, ma che Amon non riuscì a decifrare «Se vuoi possiamo pregare Dio per farlo accadere.»
Amon fece una smorfia.
«Ma Dio esiste davvero?» prima che potesse mordersi la lingua, le parole uscirono fuori dalle sue labbra.
«Pensavo ne avessimo già parlato» Donato gli diede un buffetto sulla testa ed inclinò lateralmente il capo, in un movimento così lento e profondo che per un in stante Amon aveva pensato se lo fosse spezzato «Dio esiste. Come me, come te.»
«Se esistesse veramente, non avrebbe fatto andare via i miei amici. Non avrebbe lasciato che mio padre mi portasse qui.» ribatté Amon, piccato. Le sue labbra erano strette in una linea rigida e pallida.
«Non temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio. Ti rendo forte e anche ti vengo in aiuto e ti sostengo con la destra vittoriosa.3» citò il Prete, alzando gli occhi verso il tabernacolo «Capisci questa citazione?»
«No.» replicò Amon cupamente.
«Non sono le parole nella Bibbia a rendere Dio reale» spiegò pazientemente l'uomo «Sono gli occhi con cui decidi di guardare la realtà, come decidi di rapportarti a lui. Dio cambia in base a chi sei: può chiamarsi in vari nomi, avere varie forme, ma in realtà rimane sempre Dio. Dio è dentro di te. E ti ama, che tu ci creda o no.»
Amon sgranò gli occhi e si strinse la mani al petto, avvertendo i suoi battiti aumentare rapidamente. Tum-tum.
Il Prete gli afferrò il braccio — una stretta forte, troppo forte per un uomo della sua età — e gli sorrise di nuovo, un sorriso forzato, quasi folle e febbrile.
«E Dio ama anche i miei amici?»
«Certo. Dio li ama tutti.» perché sono già con Dio.
A nove anni aveva scoperto che qualcuno lo amava davvero.


La prima volta che aveva sentito quei rumori aveva undici anni.
Aveva subito pensato che fosse un gioco, che uno dei suoi amici fosse triste e che forse, forse, suo padre stesse cercando di tirargli su il morale.
Quel gioco segreto, oscuro, che aveva tentato di comprendere.
Eppure non capiva perché quella stanza fosse così buia e quei gemiti sembrassero così sbagliati, sbagliati, sbagliati alle sue orecchie. Erano i suoni di una persona che stava — Amon si fece il segno della croce — morendo.
«S-smettil—» un altro urlo soffocato ed Amon si costrinse a mordersi le nocche per non strillare a sua volta. Sentiva il suo corpo venir ricoperto da sudore freddo. Nonostante la giovane età, sapeva che quello che stava succedendo non andava bene, che era sbagliato, eppure non riusciva a spostare lo sguardo dalla scena che riusciva a vedere dal piccolo buco della serratura.
Sentì il prete ridere, con quella risata bassa profonda che aveva incominciato a dargli i brividi.
Nella luce fioca poteva vedere le budella del bambino — come si chiamava? Teito? Shōichi? — sparire in quella bocca vorace, grondante di sangue. Le sue mani scavavano con precisione chirurgica, lacerando la pelle come carta velina mentre il pianto del bimbo si faceva sempre più acuto, lamentoso, come una sirena destinata a spegnersi.
Fiumi di rosso irroravano il tavolo, schizzi adornavano i muri con allegri festoni vermigli. Amon non sentiva più il suo cuore battere. Non sentiva più le sue gambe — tremavano troppo. Non sentiva più il suo corpo.
Sentì il secco ciok di un altro osso che si spezzava. Una costola? Il femore?
Nessuno sentiva niente.
Nessuno accorreva.
Era tutto immerso in quella gelida indifferenza.
Quasi senza accorgersi, fece forza sulla maniglia, spinse con le manine, facendo forza. L'uscio si spalancò con un acuto scricchiolio, rendendo reale la scena che aveva sperato di non vedere.
L'odore ferrigno aleggiava nella stanza come una nube. Gli occhi bianchi di quello che era stato un bambino — ora che era un cadavere, sembrava aver perso ogni significato — lo fissavano accusatori nella freddezza della morte.
E capì che nessuno dei suoi amici aveva mai lasciato l'orfanotrofio — non vivo.
E, assieme a lui, tutto quell'inferno rosso che la sua mente stava disperatamente cercando di negare, quel braccio tranciato che pendeva mollemente fino quasi a toccare il pavimento, ondeggiando, ipnotizzandolo.
«Non dovresti entrare senza bussare» suo padre si girò. Quel volto distorto, animalesco, feroce, lo stava contemplando con un ghigno di puro sbeffeggiamento e crudeltà. Gli occhi di un rosso pulsante lo inchiodarono sul posto. Occhi che di umano non avevano altro che la brama di sangue e la volontà di soffocare una vita. Amon non leggeva la Bibbia — ma sapeva che quello era il volto del Diavolo «Kōtarō


13.01.15 — mi sento altamente produttiva di questi tempi, sarà per colpa di voi persone meravigliose che avete iniziato a pubblicare in questo piccolo fandom ♪
i mean, abbiamo già venti storie. mi sento una mamma felice(?).
prometto che passerò a recensire il prima possibile.
intanto, parliamo della storia: sono ben 1806 parole, waaah~
avevo in mente questa cosa da un bel po', perché in fondo amon merita. porpora non l'ho inventato io, ma è un vero personaggio del manga — che io adoro.
e, insomma, ho più o meno tentato di scrivere qualcosa sul passato di amon-kun. mi domando che tipo fosse da piccolo, lol. il titolo è derivato da una canzone di melanie martinez, dollhouse.
bene, devo andare.
ovviamente ogni genere di commento mi farebbe molto piacere.
grazie in anticipo~
riecchi

1 donato porpora è russo, perciò cucinerà piatti russi. i blini sono praticamente delle crêpes e sono molto buoni, yep.
2 in russia in realtà il natale si festeggia il sette gennaio, ma in realtà l'orfanotrofio è cattolico ed è in giappone, perciò parliamo di dicembre.
3 isaia 41, 10


  
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