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Autore: Lily Liddell    13/01/2015    4 recensioni
Post-Mockingjay | Hayffie | Effie's POV {+Evelark}
~
Sequel di Rain.
{Potranno comunque essere lette separatamente.}
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Sono passati due mesi da quando Haymitch, Katniss e Peeta sono tornati al Distretto 12. Effie non se la passa bene, Plutarch le dà una mano ma il suo appartamento è stato distrutto durante i bombardamenti; è ancora psicologicamente sconvolta dall’esperienza in prigione e spera che il tempo guarisca le ferite.
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Capitolo 1:
Io non so più chi o che cosa sono. Al 13 ero una capitolina, alla Capitale sono una ribelle… Fortunatamente, fra le quattro mura di questo appartamento, sono solo Effie.
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Capitolo 18:
Dal momento che Peeta e Katniss hanno deciso di sposarsi pochi giorni prima del compleanno della ragazza, a lui tocca il compito di preparare non una, ma due torte.
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Capitolo 38:
L’odore pungente del detersivo s’infiltra nelle mie narici e non riesco a combattere la nausea.
I fumi profumati che evaporano dai vestiti appena lavati non sono nocivi ma mi vanno direttamente alla testa, causandomi continui capogiri.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Effie Trinket, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Atmosphere'
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7x01 Una piccola spinta
 
Le dita della mano destra accarezzano automaticamente il mio ventre leggermente gonfio.
Dovrei già essere pronta, penso.
Da questa posizione sembra tutto incredibilmente grande. Il letto, la scrivania, l’armadio…
Sono seduta per terra, le spalle contro la porta della mia camera da letto.
Dovrei chiudere la finestra, il vento di gennaio sta facendo congelare tutta la stanza – ma non riesco ad alzarmi.
Il freddo mi tiene concentrata, tiene attiva la mia mente che altrimenti sarebbe da tutt’altra parte.
Cerco di non pensare al vestito che giace abbandonato sul materasso.
È un bellissimo vestito, dovrebbe essere appeso all’armadio con una gruccia e invece è tutto spiegazzato sul mio letto ancora sfatto.
Veli rossi, rosa e celesti si ammassano l’uno sull’altro, mischiandosi. È fin troppo leggero per l’inverno al Distretto 12, ma ho combattuto così tanto per farlo arrivare direttamente dalla Capitale.
Non l’ho solo fatto arrivare, l’ho fatto creare. Fino a qualche giorno fa era solo un’idea su dei pezzi di carta.
Haymitch non era d’accordo. Haymitch non era d’accordo su niente.
Alla fine ha ceduto al vestito solo quando gli ho raccontato la storia che c’era dietro.
L’ha disegnato lei, Portia. Un progetto che mi ha regalato quando ho compiuto diciotto anni, con la promessa che l’avrebbe realizzato solo per il giorno del mio matrimonio.
Non è stata lei a fabbricarlo.
Non so chi sia stato, non ho voluto saperlo. Ho solo mandato i disegni ad Alex e lui mi ha assicurato che avrebbe fatto in modo che finissero nelle giuste mani.
Ieri è arrivato e mi sta divinamente. Nasconde anche la pancia.
Ma non posso indossarlo.
Continuo a guardarlo, continuo a fissarlo senza smettere di piangere.
Dovrei essere felice, dovrebbe essere il giorno più bello della mia vita fino ad adesso e invece mi ritrovo ad essere triste, più triste di quanto non fossi da mesi.
Devo essere una persona orribile.
Ho rinunciato a tutto.
Ogni bambina alla Capitale sognava il proprio matrimonio e lo sognava perfetto. Io non ero da meno.
Con il passare degli anni, assieme a Portia, siamo arrivate a pianificare ogni singolo dettaglio.
Mi sarei sposata sulla spiaggia; sotto un arco intrecciato di gigli rosa.
Ci sarebbe stata della musica elegante ed un banchetto ricoperto da leccornie provenienti da tutta Panem.
Mio padre mi avrebbe accompagnata all’altare, mia madre avrebbe pianto.
Allie sarebbe stata la mia testimone mentre Portia la damigella d’onore.
Da ragazza sognavo che mio marito sarebbe stato un uomo magnifico. Bello, importante e ricco.
Un influente sponsor, uno stratega o un politico.
Sono sicura che mia madre avesse una lista per me e per Allie. È riuscita a far sposare lei a venticinque anni.
Non ha mai avuto molto successo con me, continuavo a darle solo delusioni.
Se mi vedesse adesso… per fortuna è morta.
Non solo lei.
Mio padre non mi accompagnerà da nessuna parte, Portia non sarà al mio fianco e Allie non mi ha nemmeno telefonata.
Haymitch non ha voluto nemmeno festeggiare – saremo noi e i ragazzi al Palazzo di Giustizia, e basta.
Non ci saranno Annie e Johanna.
Avrei almeno voluto invitare Flux e Nelly, ma poi avrei dovuto invitare anche i rispettivi mariti e i bambini… ho preferito evitare altre discussioni.
Qualcuno bussa alla porta e il rumore rimbomba nelle mie orecchie. Rimango in silenzio, magari andranno via.
«Effie, sei pronta?» È la voce di Peeta, sembra impaziente. «Siamo tutti giù ad aspettarti, quanto ti manca?»
Devo alzarmi in piedi, lentamente, e raggiungo il letto cercando di non pensare troppo. «Sono pronta.» Rispondo, mentre riappendo il vestito alla sua gruccia e lo infilo nell’armadio. Dubito lo rivedrò mai più.
Quando esco, Peeta mi osserva con fare incuriosito – e anche un po’ preoccupato. «Va tutto bene?»
Annuisco, asciugandomi le lacrime che cominciano a seccarsi sul mio viso. Ormai sono abituati ai miei sbalzi d’umore e alle crisi di pianto.
In fondo alla scalinata ci aspettano Katniss, Haymitch e Pan. Sono tutti e tre un po’ più eleganti del solito, ma di certo non sembrano star andando ad un matrimonio.
Katniss ha i capelli sciolti, e Haymitch ha avuto la decenza di spazzolare i suoi – però vedo che non ha voluto farsi la barba; Pan invece ha un cappotto nuovo che gli abbiamo comprato un paio di settimane fa, appositamente per l
’occasione.
Li raggiungo in silenzio, devo coprirmi per bene o congelerò. Ho anche dimenticato di chiudere la finestra in camera…
«Che fine ha fatto il vestito?» Mi chiede Haymitch quando saliamo sul furgone di Peeta.
Distolgo lo sguardo, concentrandomi sulla neve che ricopre i lati della strada. «Appartiene ad un matrimonio che non avrò mai.» Rispondo dopo un po’, in modo quasi teatrale.
Comincio a credere che sia una pessima idea.
Per il resto del viaggio non parliamo, nonostante i tentativi di Peeta di fare conversazione – alla fine lui e Pan finiscono per chiacchierare durante tutto il tragitto.

Nel momento in cui arriviamo al Palazzo di Giustizia, io vorrei solamente andarmene a casa, infilarmi sotto le coperte e non uscire più.
Non mi sentivo così insicura da moltissimo tempo. È tutta colpa della gravidanza.
Pan è con Katniss mentre Peeta si sta accertando che sia tutto pronto.
Riesco a vedere che Haymitch è nervoso, ma prima che possa dire anche solo una parola, mi afferra per un braccio e mi costringe a seguirlo, portandomi da parte. «Mi dici che ti prende?»
Vorrei potergli chiedere che cosa vuole dire, ma sarebbe una domanda troppo stupida. Sono costretta a limitarmi a distogliere nuovamente lo sguardo.
Lascio passare molto tempo prima di rispondere, forse troppo. «Perché lo stiamo facendo?»
Haymitch odia quando rispondo ad una domanda con un’altra domanda, eppure questa volta sembra che la cosa non lo abbia nemmeno infastidito.
S’immobilizza e anche se non lo sto guardando in faccia, sento il suo sguardo trafiggermi la nuca.
Non provo niente.
Non riesco a concentrarmi su nulla, sono solo molto stanca e vorrei poter andare a dormire.
Di nuovo le mie dita tornano sul rigonfiamento che ho sull’addome e accarezzo appena un punto indefinito. Dovrebbe cominciare a muoversi, spesso sento dei movimenti ma mai troppo definiti.
«Ti prego, dimmi che non stai facendo tutta questa scena solo perché non ho voluto un’inutile festa.»
«Una festa per il nostro matrimonio non può essere inutile – ma no.» Il mio tono di voce si alza quando pronuncio quell’ultima sillaba, scandendo bene ogni parola che l’ha preceduta.
«E allora perché?» Si avvicina, ma non osa toccarmi. Mi conosce abbastanza per sapere quand’è che mi scanserei e quando invece no. Sa che ci troviamo nella prima situazione.
È una domanda a cui preferirei non rispondere, ma per quanto sia difficile, devo farlo. «Perché non so nemmeno se mi ami.»
Il silenzio che ne segue è doloroso per le mie orecchie, ho paura che andrà via, che non vorrà più vedermi.
Il suo sguardo s’incupisce ma non lo distoglie, nemmeno per un secondo. «Ma certo che lo sai, che stai dicendo?»
Io scuoto la testa, senza smettere di accarezzarmi il ventre. È diventata un’abitudine per rilassarmi, ormai. Avverto un movimento, ma non arriva sotto le mie dita. Non voglio che si agiti, quindi respiro lentamente, cercando di rimanere in controllo. «Non me l’hai mai detto.»
«Non ce n’è bisogno, mi conosci.» La voce è forzata, non è da lui nemmeno accettare di parlare di quest’argomento.
Riconosco che dev’essere un incredibile sforzo ma non riesco ad apprezzarlo. Non è sufficiente. «Haymitch, sono una donna incinta che sta per sposarsi ed è tutta colpa tua.»
C’è l’ombra di un sorriso che gli spunta sulle labbra, sta cercando di non farlo notare perché sa quanto detesti quel ghigno in certe situazioni. «Lo so. E io voglio sposarti, quindi andiamo.»
Allunga una mano verso di me, aspettando che io la prenda, ma non mi muovo. «Non me lo hai nemmeno chiesto come si deve.»
Haymitch muove le dita della mano avanti e indietro, incitandomi a prenderla. «L’ho fatto ora.»
Non fa più nulla per nascondere quel suo maledetto sorriso, ma io scuoto di nuovo la testa. «Non è vero, non l’hai fatto.» Non può essere così facile.
«A me sembra proprio di sì. Non te lo chiederò di nuovo, però.» I miei occhi cadono istintivamente sulla sua mano ancora protesa.
Sto veramente esitando?
Un altro movimento nel mio ventre mi distrae; questa volta l’ho sentito – forte e chiaro. Una pressione che avverto anche sotto il palmo della mano, il suo primo calcio.
Mi sta spingendo per farmi sbrigare?
«Dolcezza, sto cercando di convincerti a sposarmi prima che cambi veramente idea…» Per la prima volta sento una vena di incertezza nella sua voce e non ho intenzione di sentirla mai più.
È il mio turno di sorridere mentre gli prendo la mano e annuisco, lasciando che mi porti nell’altra stanza.
Dovrei dirgli del calcio, probabilmente, ma preferisco tenerlo per me ancora per un po’. È un momento nostro, forse sono egoista a non volerlo condividere, ma ce ne saranno altri…

Credo di essere rimasta seduta in quella sala del Palazzo di Giustizia per quindici minuti, se non di meno.
Pan e Peeta riescono a convincere Haymitch e a trascinarlo ad un picnic per fare almeno qualcosa di diverso dal solito.
Era tutto stranamente già pronto e ho come l’impressione che questo fosse il piano già dall’inizio – ma lui e Katniss continuano a negare, quindi non insisto.
Appena torniamo a casa, Pan crolla immediatamente sul divano e Haymitch se lo carica in spalla per metterlo a letto.
Nonostante i ragazzi ci tenessero ad assistere alla tostatura, ancora una volta Haymitch è stato categorico… non sono sicura che sia una questione di privacy, quanto di imbarazzo. Non è mai stato il tipo che dimostra affetto in pubblico, anche quando questo pubblico è più che altro la nostra famiglia allargata.
Mentre è via mi avvicino al camino per accendere il fuoco, e stendo una coperta sul pavimento. Non troppo vicina, non voglio rischiare che anche questa casa vada a fuoco.
Poco dopo mi raggiunge e ha già in mano il cesto con il pane fatto da Peeta questa mattina.
«Dovresti spiegarmi un’altra volta come funziona, non credo di aver capito bene.» Gli dico, mentre prende posto dietro di me.
Non è vero, ma è divertente sentirgli spiegare la stessa cosa volta dopo volta. Riesce a sintetizzarla sempre di più.
Lo sento sospirare, un po’ scocciato – ma questo non gli impedisce di accontentare la mia richiesta. «Non c’è nulla da spiegare. Spezzi una fetta di pane, l’abbrustolisci senza prendere fuoco e gli dai un morso. Fine della storia.»
Ci tiene molto alla parte “senza prendere fuoco”. Secondo lui sono un’incapace, evidentemente.
Mi porto all’indietro, sedendomi fra le sue gambe. Poggio la schiena contro il suo petto e le mani sulle sue ginocchia, annuendo appena. «Fammi vedere…»
Non se lo fa ripetere due volte. Prende in mano una fetta di pane e tenendone un’estremità, mi fa afferrare l’altra.
Seguo i suoi movimenti, e insieme la dividiamo a metà – anche se il pane è troppo fresco e facciamo un po’ di fatica.
Haymitch poi si allunga verso il fuoco e con estrema attenzione avvicina la sua metà di fetta alle fiamme – non troppo vicino, né troppo lontano.
I miei occhi vagano dalla sua mano al suo volto; i giochi di luce dovuti al fuoco che gli ballano sul viso hanno qualcosa di ipnotizzante e non riesco a fare a meno di sorridere, mentre una sensazione di calore mi riscalda il petto.
Appena la superfice chiara comincia a scurirsi, lui ritira il braccio, soffiandoci un po’ sopra prima di porgermela, avvicinandomela alla bocca.
L’odore di pane abbrustolito impregna piacevolmente l’aria; un po’ incerta sfioro appena la mollica con le labbra, per paura che sia troppo caldo, ma è sopportabile.
Stando attenta a non far cadere briciole sulla coperta, do un piccolo morso e il pane mi si scioglie quasi sulla punta della lingua.
Arriva il mio turno e devo ammettere di essere un po’ nervosa. Il mio cuore batte a ritmo veloce, mentre mi allungo verso il camino.
Haymitch evidentemente non si fida, perché accompagna i miei movimenti poggiandomi una mano sul polso.
«Sta attenta.» Mi rimprovera, e vorrei dirgli che ho la situazione assolutamente sotto controllo, ma mi sento allontanare bruscamente e mi rendo conto che ho quasi fatto prendere fuoco al pane.
Non dice nulla, e affonda comunque i denti nella superfice carbonizzata, senza preoccuparsi della pioggia di briciole che mi fa finire in grembo.
Sospirando, le spazzo via con la mano – meglio sulla coperta che sui miei vestiti.

Restiamo in silenzio a lungo, e io ho la possibilità di ripensare a tutta la giornata appena trascorsa.
Non mi sento diversa, ero convinta del contrario.
Un tempo credevo che quando mi sarei sposata, sarei diventata un’altra donna – alla fine, lo sono già. Anche se adesso non potrò più farmi chiamare “Miss Trinket”.
Ci siamo spostati sul divano, Haymitch è seduto con le gambe sul tavolino, e io sono stesa di fianco, con la testa poggiata contro il suo stomaco.
La mano destra di Haymitch è poggiata distrattamente sul mio ventre, mentre quella sinistra è sul suo ginocchio.
Sto tracciando pigramente la linea dell’anello dorato che adesso porta all’anulare. Le fiamme ancora vive nel camino fanno sembrare che il metallo sia liquido ed incandescente. Di rimando sollevo anche la mia di mano, per osservare l’anello gemello che indosso da una giornata intera e già non lo avverto più, come se fosse stato sempre lì.
Avverto un debole movimento nel basso ventre – era da un po’ che non si faceva sentire.
Come se fosse stato colpito da una scarica elettrica, Haymitch s’irrigidisce, ritraendo la mano. «Ma che-?»
Tirandomi su e mettendomi a sedere, cerco di evitare di ridere, scuotendo appena la testa. «Dev’essersi svegliata, ha cominciato a darmi calci da questa mattina.»
Lo sguardo preoccupato che ha sul volto è impagabile. «È normale?»
«Molto normale.» Lo tranquillizzo, allungandomi per dargli un bacio sulla guancia.
«Aspetta, hai detto svegliata? Una femmina
Oh, ci è arrivato, finalmente.
Annuisco, stringendomi nelle spalle e cercando di sembrare il più naturale possibile. «Se mi avessi accompagnata all’ultima visita lo sapresti.» Mi sistemo meglio, appoggiando il braccio allo schienale del divano e piegando le ginocchia sul cuscino. «Non l’ho ancora detto ai ragazzi, voglio tenerli un po’ sulle spine.»
Non so quanto riuscirò senza resistere, devo ammettere che è stata dura tenermelo per me fino a questo momento, ma così ci penserà due volte prima di lasciarmi andare da sola un’altra volta.
Devo ammettere che ora che la giornata si è conclusa, mi sento molto più rilassata di questa mattina. È stato un periodo incredibilmente intenso, e non si è affatto concluso.
Ora dobbiamo sistemare una delle stanze inutilizzate e farla diventare una cameretta per la bambina.
Questa casa ha ancora così tante stanze praticamente vuote e ci viviamo in tre. Non riesco a pensare come dev’essere stato per lui viverci da solo così a lungo.
E poi la cosa più importante: «Sarò io a scegliere il nome.» Dico di punto in bianco, dopo una lunga pausa. «Me lo devi, non mi hai fatto scegliere nulla per il matrimonio… è il minimo che puoi fare.»
Dalle labbra di Haymitch esce un lamento e so già quello che sta pensando, ormai è un libro aperto. È noto che abbiamo opinioni piuttosto contrastanti rispetto ai nomi… «Va bene, basta che non te ne esci con qualcosa di ridicolo.»
Sorrido, voltando la testa in modo che non possa vedermi. «Ad esempio?»
«Ad esempio,» ci pensa su, ripassando evidentemente i nomi capitolini che ha nel suo repertorio. «Adorabella
E questo da dove lo ha pescato? Trattenendo a stento una risata, mi volto verso di lui con un’espressione supplichevole. «Oh, ma è il nome di mia madre!»
Di rimando mi guarda confuso; prima di parlare si prende qualche secondo. «Sul serio?»
Non resisto e chino la testa, poggiandola contro la sua spalla, scoppiando a ridere. «No.» Rispondo, quando riesco a sollevare lo sguardo, senza spostarmi. Lui torna a cingermi la vita con un braccio. «Mia madre si chiamava Constance.»
Quel nome non usciva dalle mie labbra da un’infinità di tempo. È quasi un suono malinconico.
Ho bisogno di non pensarci, quindi do una piccola pacca affettuosa sulla coscia di Haymitch, catturando la sua attenzione. «Però sai che “Adorabella” non è tanto male? Potrei segnarmelo da qualche parte.»
«Effie…»
Sollevo le mani in segno di resa, roteando gli occhi. «Va bene, va bene.» Non ho intenzione di divorziare dopo nemmeno ventiquattr
ore di matrimonio. «Sceglierò io il nome ma dovrai comunque approvarlo. Contento?»
Lui emette un verso di approvazione, prima di appoggiare il mento sulla mia testa e riprende ad accarezzare distrattamente la mia pancia.

Il fuoco nel camino si è quasi spento, faccio fatica a rimanere sveglia – dovremmo andare a dormire, ma non voglio che questa giornata finisca.
Mi metto seduta e alle mie spalle Haymitch sussulta, non mi ero resa conto che stesse già sonnecchiando, ma mi fa cenno di non preoccuparmi quando mi scuso.
C’è una cosa che volevo chiedergli già da diverso tempo, ma non ho mai avuto abbastanza coraggio per farlo.
Credo che questo sia l’unico momento buono, quindi metto da parte la paura. «Cosa credi che sarebbe successo? Se non fosse finita così.»
Sono certa che nessuno dei due si aspettasse che la nostra vita avrebbe preso questa piega. Che saremmo finiti insieme, sposati, con un bambino e un altro in arrivo.
Continuo a chiedermi che cosa sarebbe successo se gli avvenimenti di otto anni fa fossero stati diversi, se non fosse cambiato nulla.
La risposta di Haymitch arriva talmente in fretta che mi ritrovo a pensare a quante volte anche lui si sia fatto la stessa domanda. «Prima o poi qualcuno si sarebbe accorto di quello che facevamo e saremmo finiti sui giornali – probabilmente ti avrebbero licenziata, e avresti sposato un uomo ricco sfondato e con i capelli blu. Non credo che sarebbe cambiato molto per me, probabilmente i miei reni avrebbero ceduto ad un certo punto…»
Questa prospettiva è decisamente meno cruda di tutte quelle che avevo in mente io, ma forse le mie idee sono state distorte nel corso degli ultimi anni.
Mi ritrovo a sorridere, mentre torno alla posizione in cui ero prima – stesa di fianco, quasi di schiena, appoggiata ad Haymitch. «Stavo per farlo.»
«Cosa?»
«Sposarmi… avevo molti pretendenti, ero quasi fidanzata.»
Riesco a sentire il suo sguardo anche se in questo momento i miei occhi sono sul camino. Il fuoco si è spento e l’unica fonte di luce è una lampada accanto al divano.
«Non me lo avevi mai detto.» È il suo commento, potrebbe anche sembrare un po’ più stupito, ma immagino che adesso non abbia più importanza.
«Non me lo hai mai chiesto.» Una risposta alquanto stupida, ma vera. Non è mai sembrato molto interessato alla mia vita sentimentale, quando lavoravamo insieme. Non gli era mai importato.
«In ospedale hai detto che quella era la proposta di matrimonio peggiore che potessi avere.» Mi fa notare, e io annuisco.
«Infatti. Ma non ho mai detto che era anche l’unica che avessi mai ricevuto. Semplicemente non prendo in considerazione l’altra perché non ho accettato – ovviamente.» Gli dico in tono semplice, stringendomi nelle spalle.
«Perché non lo hai fatto?» Ecco, questa è una domanda intelligente.
Sorrido, sollevando lo sguardo per cercare i suoi occhi, anche se la posizione non mi permette di avere una buona visuale. «Vuoi provare ad indovinare?» Scherzo, ma lui fa una smorfia e il mio sorriso si allarga. «Mia madre era furiosa. Era il figlio di un collega…»
«Sarebbe potuta finire male.» Dice, con un tono serio, così in contrasto con il tono leggero usato da me fino ad adesso.
La natura del mio sorriso cambia da genuino ad amaro, ma non svanisce. «Peggio di come è andata veramente?»
Haymitch distoglie lo sguardo, ma poi torna a guardarmi. La sua espressione si fa meno tesa. «Avresti potuto sposare un pappagallo colorato.»
Sollevo una mano per accarezzargli la barba – sempre troppo lunga, e lui volta la testa per potermi soffiare un bacio sulle nocche delle dita. «E invece guarda quanto sono stata fortunata.» Scherzo ironicamente, ridacchiando quando lui allontana la mia mano con fare offeso.
Torno a sedermi, allacciandogli le braccia al collo e costringendolo a baciarmi. Riesce a resistere per qualche secondo, ma poi me la dà vinta, rispondendo al bacio e approfondendolo.
Le nostre labbra restano incatenate più di quanto dovrebbero e quando ci separiamo, i nostri volti restano vicini.
Le mie dita trovano di nuovo il loro posto sulla sua guancia, ormai la barba è talmente lunga che non pizzica nemmeno più.
Gli sorrido dolcemente, è raro che abbiamo così tanto tempo per noi, c’è sempre qualcosa da fare.
Mi faccio avanti per potergli dare un altro bacio, lascio appena che le nostre labbra si sfiorino, prima di allontanarmi abbastanza da poter guardalo negli occhi.
In genere sono sempre spenti, oggi invece li trovo incredibilmente brillanti.
«Ti amo. E sono felice di aver sposato te, e non un-» Inspiro profondamente, tirando appena le labbra; è più difficile di quanto sembri. «Pappagallo o quello che è.»
Sembra incredibilmente sollevato dalla notizia e prima di alzarsi, mi bacia ancora, con più trasporto.
Si è fatto veramente tardi, ho bisogno di riposare e Haymitch mi porta in camera quasi di peso.
Quando andiamo a letto cado immediatamente in un profondo stato di dormiveglia, ancora abbastanza sveglia da rendermi conto di non star dormendo, ma non abbastanza da essere totalmente cosciente di quello che mi circonda.
Haymitch mi sta abbracciando da dietro, anche lui praticamente già addormentato e non sono pienamente convinta di quello che sentono le mie orecchie; se è già un sogno, lui che parla nel sonno o soltanto la mia immaginazione che nel silenzio della notte decide di giocarmi un brutto scherzo – ma sono quasi certa di cogliere un bisbiglio appena udibile fra i miei capelli che dice: «Ti amo anche io.»

 
A/N: SALVE! SONO IMPAZZITA.
Sì, cioè no. Abbastanza (?)
Non so più che cosa fare della mia vita. Non so come sia successo, ma io volevo che succedesse e so che Haymitch coccoloso e amoroso è terribilmente OOC – quindi beccatevelo come un “forse è successo, forse no, non lo so stavo dormendo, evitiamo di chiedere” vi lascio col dubbio, anche se io so la risposta MHUAHUAUHUAHA.
No seriamente mi sento incredibilmente insicura in questo momento.

Adesso vado in un angolino a riprendermi, perché questo capitolo non potete immaginare che razza di parto sia stato.
Grazie a tutti quelli che mi hanno aiutata e spero di non avervi fatto perdere fiducia in me.
COSA IMPORTANTISSIMA!!!! Ho cominciato un prequel per Petrichor (non sarà assolutamente così lungo e i capitoli per ora sono la metà di questi – anzi di meno, circa 1100 parole, questo supera le 3500).
Si chiama Ozone e la potete trovare >> qui <<
Petrichor è l’odore della terra bagnata dopo la pioggia, prima dei temporali invece in genere l’aria è impregnata di ozono, quindi… yeah, bit lame, but still.
Sono gli anni di Effie come accompagnatrice, come cambia il suo modo di pensare e come è cambiato il suo rapporto con Haymitch.
A breve farò alcuni riferimenti, ma non è assolutamente necessario leggere l’altra storia.
Un’ultima cosa: chiedo infinitamente perdono a chi sa usare photoshop perché la copertina del settimo anno fa veramente schifo.
Detto questo, grazie mille a tutti come al solito, se volete lasciatemi un commento per sapere cosa ve n’è parso!
A presto!
 

x Lily
   
 
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