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Autore: aniasolary    14/01/2015    5 recensioni
Natalie Truman, diciannove anni, buone intenzioni e scarsa capacità a far andare le cose come vorrebbe, non ha paura della vita. Tra sogni difficili, l’amore per un ragazzo irraggiungibile, impropri pasticci e situazioni imbarazzanti, il desiderio di diventare grande e sentirsi grande si fa sentire, rendendo il suo nido famigliare sempre più opprimente.
Il mondo è ai suoi piedi.
Al tempo stesso, quel mondo può caderle addosso.
L’unico modo per affrontarlo è cominciare a camminare con le proprie gambe, sperando di non inciampare nelle sue stesse scarpe.
«Un po’ per volta, il dolore se ne andrà. Non dimenticherai niente, ma starai bene. È un po’ come ricominciare a scrivere una melodia, ma senza cancellare le note precedenti. Con l’esempio del vecchio, puoi metter su davvero qualcosa di nuovo e migliore.»
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Banner di Rebirth <3
Every sailor knows that the sea
Is a friend made enemy
Every shipwrecked soul knows what it is
To live without intimacy
I thought I heard the captain's voice
But it's hard to listen while you preach
Like every broken wave on the shore
This is as far as I could reach
If you go
If you go your way and I go mine
Are we so
Are we so helpless against the tide?
Baby, every dog on the street
Knows that we're in love with defeat
Are we ready to be swept off our feet
And stop chasing every breaking wave?
Every Breaking wave – U2
Prendo coscienza di essermi svegliata nel mondo in cui Jade non c’è più.
Mi stropiccio gli occhi e torno a vedere: non sono sola, nella mia stanza. Una ragazza dai lunghi capelli neri e un grembiule bianco si volta verso di me e mi sorride piano. Mi ricorda Hatomi, ha quell’espressione saggia e tranquilla che non ho mai visto addosso ad un occidentale, forse perché noi siamo troppo impegnati a misurare l’intensità del nostro dolore piuttosto che a trovare il modo più giusto per continuare la nostra vita.
«Buonasera, miss. Avete battuto la testa e siete svenuta, ma non è niente di grave. Vi siete svegliata presto.»
Mi metto seduta. Mi accorgo di indossare un accappatoio, sotto devo essere ancora in costume.
«Mi è sembrato di dormire per una vita intera.»
Una vita diversa.
«Vi lascio riposare,» mi dice, sempre sorridendo. Apre la porta e fa per chiudersela alle spalle; quando io non posso più vedere cosa c’è oltre, la sua voce mi arriva alle orecchie, chiara e preoccupata.
«Sì è svegliata?» chiede Arthur.
«Sì, proprio adesso,» gli spiega la ragazza.
La porta si apre di nuovo ed appare lui. I capelli biondi sono leggermente scompigliati, gli occhi verdi stanchi. Guardarlo – nient’altro che questo – dopo il sogno che ho fatto mi fa scaraventare il cuore in gola.
Fa per avvicinarsi ma la mia voce lo ferma.
«Non fare un altro passo,» mi ritrovo a mormorare.
E invece fa un passo verso di me.
«Ti ho chiesto di non avvicinarti,» ribadisco. Mi faccio indietro sul letto, prendo un cuscino, lo stringo con le unghie fino a graffiare il tessuto e lui è così bello – e non è abbastanza – così bello e in un’altra vita io gli ho sfilato quella maglia, e ho gridato quando lui è entrato in me e ho graffiato la sua pelle, ho chiamato il suo nome, nient’altro che il suo nome… – era un’altra vita, un’immaginazione, un sogno!
Non è mai accaduto.
«Devo dirti delle cose,» sussurra.
Non è mai accaduto.
«Tu non avevi nessun diritto,» sibilo. «Nessun diritto di prenderti questo! Ho vent’anni! Riesci finalmente a guardarmi per quello che sono, Arthur?» Un altro passo verso di me, gli lancio contro il cuscino anche se so che questo non lo allontanerà, niente lo allontanerà da me.
«Sei patetico ed egoista,» gracchio, serro le palpebre. «Un uomo di quasi ventisette anni che va dietro a una ragazzina. Non sono nient’altro che una ragazzina. Non sono mai stata che questo mentre tu… sei codardo. Sei bugiardo. Sei solo,» fiato. Un ultimo respiro. «Sei codardo. Sei bugiardo. Sei solo
Apro gli occhi e mi accorgo che non riesco quasi più a respirare. Non so di cosa siamo fatti: carne, anima, coscienza. Qualunque cosa sia quella di Arthur è dilaniata. Ed io tengo in mano il coltello, che cade a terra con un rumore metallico perché io non posso aver detto queste cose, non posso averle pensate davvero e tremo, sono l’epicentro del terremoto di questo strazio. Codardo, bugiardo, solo, eppure il mio primo amico, il mio primo amore.
Lo odio, pensa una parte di me. Ma non posso odiare davvero qualcuno che mi ha tenuto a me da quando sono nata.
«Tu non lo sai, Nat,» dice semplicemente, senza guardarmi; china il capo. «Volevo solo che tu avessi tutto quello di cui hai bisogno…»
«E ce l’ho?» Odialo. Ho l’affanno. Un singhiozzo. Odialo e andrà tutto bene. «Ce l’ho? No! Ridammi mia sorella.»
Si porta una mano alle labbra, le dita lunghe e tese, la sua voce che riempie gli spazi tra le sue dita. «Natalie…»
«Ridammi mia sorella!» grido. «Puoi riportarla indietro? Tu non sei mai stato lei, non potrai mai riempire il vuoto che lei mi ha lasciato, non l’hai mai riempito!» Non riesco più ad avere il controllo di me stessa. «La tua presenza ha solo scavato un altro vuoto, e tu sei lì. Ti sei solo insinuato in me…»
Fatica a respirare eppure mi parla tutto d’un fiato, con la voce rotta. «Non sai quante volte sarei voluto essere morto al posto suo. Non sai quante volte vorrei non esistere e non sentire niente, perché lei ci sia e tu possa averla accanto e non ci sarebbe dolore, più dolore nella tua vita
Così mi rompo io. Lo odio, pensa una parte di me, e nello stesso istante la stessa parte mi rivela qualcosa che non è mai stato un segreto, l’ho amato tanto. Non esiste vita che io non abbia passato ad amarlo, non esiste universo in cui suoi occhi su di me, i miei occhi su di lui, non avrebbero fatto divampare la fiammella sulla candela della mia infantile incoscienza, inconscente amore.
Quindici anni.
Diciannove.
Venti.
Fa davvero differenza, adesso?
«Ci sarebbe stato dolore in ogni caso, Arthur,» mi ritrovo a riconoscere.
«Non ti ho baciata per sfizio, non ti ho baciata per gioco. Niente che ti riguardi è uno sfizio o un gioco. Ed hai dovuto lasciare Liverpool, perché lo capissi. Sono dovuto restare lontano da te e poi rivederti, perché lo capissi. Ed io ti ho vista crescere,» sospira. Comincia a camminare per la stanza avanti e indietro. «Ti ho vista quando sei nata: eri di cinquantadue centimetri, dormivi nella tua culla con un solo ciuffo di capelli in testa e Jade ti guardava dall’alto, con le mani ad appoggiarsi alla tua culla. Ignorare che Jade ci sia stata nella mia vita mi ha impedito di amare dopo. Ignorare Jade non mi ha permesso di legarmi a qualcuno. Ignorare Jade doveva salvarmi dal dolore e invece mi ci ha scaraventato dentro. Ma tu…» Si volta a guardarmi. «Tu mi facevi dimenticare il dolore, Natalie. Quando te ne sei andata la terra mi è mancata sotto i piedi e sono caduto in quella voragine. Hai fatto risalire il passato perché lo superassi ed io ti sarò grato per sempre. Ho capito che il miglior modo per superare il dolore è affrontare il dolore. E così ho capito…» Si avvicina di nuovo a me. «… che ho amato Jade con tutta l’anima che avevo a diciassette anni e ho trovato il coraggio di fare quello che tu hai fatto prima di me. Sono stato sincero con me stesso e sento che adesso, adesso… da tanto tempo, per tutto quello che sei, per tutto quello che non sei, per tutto quello che fai e non fai, per essere te stessa io ti amo
Mi prende il viso tra le mani ed io continuo a tremare. Mentre scappavo da lui, nella mia mente, chiedevo a Jade di salvarmi. Non sapevo che in qualunque caso, in qualunque vita, non mi sarei mai potuta salvare da Arthur Benkinson.
Singhiozzo.
«Natalie.» Mi accarezza il viso, piano. «Non devi piangere…» Ed Arthur fa quel respiro che si ritrae in se stesso, dannato, dolcemente grave. È quello della troppa vicinanza, del bisogno incontrollabile, del desiderio che fa disperdere l’aria intorno a noi.
I nostri vestiti via ed io ad aggrapparmi ai suoi capelli mentre le nostre lingue si sfregano in un bacio da traditori. Perché non siamo stati nient’altro che questo, in ogni attimo. La sua testa sul mio petto, il suo respiro pesante, la sua  mano sulla mia bocca per intrappolare il mio grido quando entra in me. E si muove, Arthur, tra l’aria e me, tra me e il mondo, tra il mondo e se stesso. Non gridare, dice, anche se lo so che è questo che vuole, sentirmi gridare ti amo anche se non è giusto e resta qui con me anche se dovrebbe andare via e fai l’amore con me anche se non può amarmi…
In un'altra vita è successo, è un ricordo vago di qualcosa che è troppo lontano per essere davvero esistito.
«Non devo piangere?» mormoro tra le lacrime, Arthur tiene ancora il mio viso tra le sue mani.
In questa vita non può succedere.
Il cuore mi si è stretto in se stesso ed ho paura che scompaia, ho paura di non sentire più niente a questo mondo. Ma non accade. Perché i battiti si sono annodati in se stessi alla ricerca di una sola verità.
Allontano le mani di Arthur dal mio viso e lo fisso senza distinguerne davvero i tratti, perché le lacrime continuano a scendere.
Perché quella vita non è mai accaduta.
Perché Jade è morta.
Perché io sono una persona diversa.
«Mi hai spezzato il cuore solo guardandomi ogni giorno della mia vita ed io te l’avrei fatto fare un altro milione di volte, per quanto ti ho amato. Per anni. Senza che tu ti accorgessi di me, senza che tu vedessi oltre la ragazzina che ti aspettava con gioia sulla soglia di casa dei Truman. Ma io non ho avuto quindici anni per sempre. Sono cresciuta e ti amavo e ti ho amato ed ora, ora non posso.» Mi alzo, stringo le palpebre, mi trovo davanti alla finestra: è notte fonda.
«Non puoi?» sussurra.
«Mai più.» Un taglio netto. Non c’è nemmeno una stella, in cielo, ed è strano, così tanto strano… come può la vita proiettarsi su uno sfondo nero? Il dolore è un terreno fertile perché noi, persone, non possiamo fare a meno di vivere anche se vogliamo morire, anche se da vivi moriamo già. Ed è così strano, perché vedo me stessa nel cielo, mi vedo ridere mentre un ragazzo con una punta di luce sul sopracciglio destro mi guarda di traverso, appoggiato allo stipite della porta, ed io canticchio una melodia sul divano, a gambe incrociate, e lui mi dice che non so cantare eppure mi invita a continuare, vorrei insultarlo e mi sorride ed io splendo dall’interno, il cuore mi si è trasformato una stella appena nata…  perché lui sa che devo imparare a suonare la mia canzone.
«Perché io amo Ewan.»
Mi asciugo le lacrime, mi soffio il naso, ignoro che lui mi stia guardando. Non ho più paura perché non c’era altra risposta che potessi dargli. Quello che deve accadere, alla fine, accade.
«Ewan?» chiede, come se non avesse sentito. «Il tuo coinquilino, lui…» Si passa una mano tra i capelli, fa qualche altro passo nella stanza, il suo respiro si fa affanno. Ed c’è sempre quel respiro che si ritrae in se stesso, dannato, dolcemente grave. È quello della troppa vicinanza, del bisogno incontrollabile, del desiderio che fa disperdere l’aria intorno a noi. I nostri vestiti via ed io ad aggrapparmi ai suoi capelli mentre le nostre lingue si sfregano in un bacio che ha fede. Perché non siamo stati nient’altro che questo, in ogni attimo noi abbiamo creduto. La sua testa sul mio petto, il suo respiro pesante, la sua  mano sulla mia bocca per intrappolare il mio grido quando entra in me. E si muove, ed è Ewan, sono i capelli neri e la sua pelle che richiama il bronzo, sole irlandese che splende nell’inverno di Londra, gli occhi di mare notturno che bagnano il legno del bosco di cui sono fatta, lui che si muove tra l’aria e me, tra me e il mondo, tra il mondo e se stesso. Non mi chiede di non gridare, non lo faccio: ha capito che nel mio ostinato silenzio vedo la vita scorrere, anche se si rompe in ansimi che mi bruciano dentro, non mi sente gridare ti amo perché lo sussurro senza deciderlo e non dico nemmeno resta qui con me, lui è già qui e non dico fai l’amore con me, perché accade anche senza toccarci…
È un ricordo.
È la vita vera.
«Ma certo. Certo. Io dovevo… accorgermene, il modo in cui ti guarda, il modo in cui tu guardi lui…» Scuote la testa. «Io non ho voluto vedere.»
«Arthur…»
«Da quanto tempo?»
«Saranno… due mesi.»
«Due mesi,» ripete, e nella sua voce scoppia una disperazione repressa, di cui ha vergogna. «Due mesi che ignoro te e lui. Mesi e mesi in cui ho ignorato quello che sentivo per te. Anni in cui ho ignorato Jade,» sospira. «Finirò per ignorare anche me stesso.»
«Arth, non dire…»
«È vero, non ho nessun diritto su di te. Sono solo io, patetico e e egoista e codardo e bugiardo e solo, e non posso ridarti Jade anche se lo vorrei, Dio, lo vorrei...»
Mi trema la voce. «Non volevo dirti quelle cose, mi sono arrabbiata, quello che hai fatto era troppo, io…»
«Io ti amo, capisci? Io ti amo. Era questo che volevi. Che io ti amassi. Che io lo ammettessi. E sono stanco perché più ho cercato di non sbagliare, più ho sbagliato. E ti ho persa.»
Resto dove sono, lo guardo soltanto. «Io ho fatto come te. Siamo simili nei nostri errori ma, se ho capito qualcosa da quando vivo a Londra, è che uno sbaglio può segnarti, il dolore può segnarti, ma non è questo che ferma i nostri sentimenti.» Faccio un passo verso di lui. Mi tornano alla mente i momenti di gioia al mare, a casa, vicino al pianoforte, a giocare sul tappeto del salotto con i dinosauri di plastica, le corse sulla spiaggia di another place, mentre io crescevo e lui cresceva, e Jade non c’era più e noi continuavamo a vivere zoppicando, ignorando, per poi diventare come siamo ora, zoppicanti, ma senza ignorare nulla. «Tengo a te. Tu sei importante, lo sarai sempre. Sarai sempre una delle persone più importanti della mia vita.»  
Arthur fa un respiro profondo.
«Anche tu. Anche tu sarai sempre una delle persone più importanti della mia vita,» dice tutto d’un fiato. Si copre gli occhi con la mano, sospira esausto.
Arthur esce dalla mia stanza, ma non uscirà mai dalla mia vita.
***
Mi sto ancora mettendo il correttore sotto gli occhi quando il telefono squilla; non voglio rispondere ma il nome di Pamela sul display mi fa cambiare idea all’istante.
Quei secondi che impiego per sfiorare il tasto verde con il pollice mi sembrano eterni.
«Pam? Mi sto preparando, tra un’ora parto… Oddio, non puoi immaginare…»
«… Che cosa è successo ieri, Nat,» dice Pam, con la voce sottile di quando è nervosa. Mi vedo inarcare le sopracciglia nello specchio, i capelli tenuti su dall’asciugamano per faciliare i vani tentativi di rendermi presentabile. «Io e Leo… insomma io e lui… io… con lui… noi…»
«Oh mio Dio.» Pamela. Diciannove anni compiuti a giugno. Sole e gioia e saggezza. Davvero innamorata per la prima volta nella sua vita. «È… è successo?»
«Sì, è successo,» mi risponde. «E so che sto spendendo tanti soldi per questa telefonata ma non potevo aspettare per dirtelo io… io avevo così paura che stavo per farmela sotto.»
Scoppio a ridere. «Ma… Ma Leo si è comportato bene, no?»
«Be’, sì. Gli ho chiesto di tenere la luce spenta così non vedevano le smagliature.»
«Pamela…»
«Ha fatto male all’inizio,» dice veloce. «E nella mente mi sono detta ehi! Hai aspettato per tanto tempo, hai detto di no a tanti altri, perché qui? Perché adesso? Perché lui? Poi mi ha baciato, ed è andato piano ed io ho capito perché qui, perché adesso, perché lui… ed è stato bello. È stato bellissimo.»
Mi vedo sorridere nello specchio e ringrazio silenziosamente Pamela per avermi regalato un po’ della sua felicità. Ne avevo davvero bisogno.
«Natalie, mi stai ascoltando?» mi richiama lei.
«Sì, Pam… ti voglio davvero bene.»
«Anch’io ti voglio bene.»La sicurezza nella sua voce. «E nessun ragazzo mi porterà via dalla mia migliore amica. Nessun ragazzo allontanerà la mia migliore amica da me.»
Sospiro. Mentre continuo a guardarmi allo specchio capisco che non potrò fare niente per apparire migliore, non posso nascondere la vera me. Ho pietà del credito telefonico della mia amica ed io, per questa volta, aspetterò a fare i miei soliti, balbettanti sproloqui.
«Lo hai detto, Jefferson.»
***
Il volo di ritorno.
Arthur mi riserva uno sguardo veloce e pieno di sensi di colpa, che mi ferisce.
Sono solo una persona qualsiasi in un mondo di miliardi di esseri umani.
Chi è che non potrebbe amarti, Arthur? Sei di buon cuore e tutti possono sbagliare.
Riconoscere di sbagliare ci fa diventare grandi.
Ed è questo il momento in cui scelgo.
«A cosa sta pensando, volpe di Liverpool?» mi chiede Julian, facendomi ridestare da uno sguardo incantato verso il finestrino dell’aereo, ad osservare le nuvole.
«A qualcosa da cui non potrò più tornare indietro.»
Dopo tutto quello che è accaduto, dopo tutto quello che sono, dopo tutto quello che mi ha dato questo viaggio, io posso permettermi di fare questa scelta.
***
La prima emozione – sensazione, sentimento – ad attraversarmi appena metto piede su suolo inglese è la gratitudine. Sono grata alla certezza che, anche quando il tempo sembra non trascorrere mai, qualunque cosa accada, chiunque tu sia, ovunque tu sia, non è vero: i minuti e le ore sono pesanti, ma si muovono avanti lo stesso. Allora il tempo non ti aspetta quando vorresti fermarti. Si sofferma a guardarti con attenzione quando vorresti solo – con le lacrime agli occhi, con tutto il cuore – che le lancette dell’orologio ruotino veloci, come se un bambino stesse giocando con la rotella degli ingranaggi. In questo viaggio aereo il tempo è stato particolarmente osservatore, irritante e invadente, mentre cercavo in ogni modo di prendere sonno accanto a Julian e riuscivo a riconoscere, seppur la fila fosse occupata da una ventina di persone, il respiro costante del sonno di Arthur.
Una volta mi sono addormentata tra le sue braccia, le sue carezze tra i miei capelli: avevo quattordici anni.
Cercavo con tutte le mie forze di non ammettere che mi stavo innamorando di lui.
«Allora,» comincia Arthur, siamo appena usciti dall’aereoporto. «Tu come torni a casa?»
«Chiamo un taxi.»
«Se hai bisogno di un passaggio…»
Accenno un sorriso, ma è un tentativo inutile. «Sei molto gentile, come sempre, ma non ce ne’è bisogno.» Mi volto, quasi avessi avuto uno scatto muscolare, verso il marciapiede di fronte.
Ewan, in un giubbino nero e i jeans chiari di sempre, solleva la mano a farmi un cenno.
Rispondo al suo cenno e faccio per attraversare la strada, presa da una frenesia e forza che non riesco a controllare. È bellissimo, a un modo che mi distrugge e mi fa sentire al tempo stesso forte; guardarlo mi fa male, è come fissare mille stelle che esplodono e muoiono a occhio nudo.
Ewan…
«Ormai sai cavartela da sola.» La voce di Arthur riesce a richiamare il mio sguardo su di lui.
Mi sembra di scorgere l’inizio di un suo sorriso, ma riesco a vederne presto solo la fine, accecata dal flash di una macchina fotografica. Vengo spinta in avanti, sommersa da un biancore di luce alternato a macchie giallognole con Arthur che mi prende per il braccio.
«Che succede?» sbraito.
«Volpe, sorrida!» dice qualcuno. Non ho nessuna voglia di sorridere e mi viene fuori una smorfia. «Come stanno i due piccioncini?»
«Ma che…?»
«Vieni,» sentenzia Arthur. Davanti a noi si ferma un taxi ed io continuo ad essere accecata dai flash delle macchine fotografiche. Mi dimeno non per scappare, ma per vedere Ewan un’altra volta, assicurarmi che sia qui, che sia lì, che sia venuto per me.
Ma ci sono troppe persone e non riesco più a capire dove sia. Finisco solo per coprirmi gli occhi con le mani come se non volessi  vedere qualcosa di brutto.
«Puoi salire in macchina,» mi dice Arthur, mi apre lo sportello. I suoi occhi si assottigliano nel dispiacere. «Scusami.»
Dico al taxista il mio indirizzo e riprendo a respirare. Mi massaggio le tempie alla ricerca di un po’ di calma. Voglio solo tornare a casa mia. Voglio solo ritrovare il calore dell’abbraccio di Ewan. Voglio solo passare il mio tempo con lui.
Quando scendo dall’auto Ewan è lì ad aspettarmi, seduto sui gradini che portano al portone di casa. Si alza in piedi, fa un passo verso di me ed io corro. Forse volo. Non è camminando che si arriva all’amore, si trova troppo in alto. Bisogna trovare le ali che teniamo nascoste nella nostra schiena.
Lo abbraccio, sospiro, mi bagno delle lacrime che avevo trattenuto e che vengono fuori, ora, come unica conseguenza dell’unico sollievo che provo da ventitré ore.
Ewan mi posa le mani sulle spalle, e lo fa per allontanarmi. Non mi ha abbracciato, sono stata io ad abbracciare lui. Io gli sono corsa incontro, mentre lui ha fatto un solo passo dettato dalla curiosità, da quel che ora leggo nei suoi occhi: sfida mista a risentimento, delusione. Prende la mia valigia e la porta su senza dire una parola; mi chiudo la porta dell’appartamento alle spalle ed Ewan finalmente parla.
«Ho visto anche che ti sei divertita molto.» Dalla tasca estrae un foglio piegato su stesso almeno sei volte; quando riesce a spiegarlo me lo spinge sul petto, lo stringo per non farlo cadere.
Non riesco più a respirare. Ogni forza vitale si annulla nel movimento di allontanare il foglio per leggerlo, guardarlo. Chiudo gli occhi e l’immagine resta impressa nella mia mente: io ed Arthur; Arthur che mi bacia in piscina.
Torno a guardare Ewan, incapace di pronunciare qualunque parola. Una scusa, una giustificazione, un’imprecazione. La lingua sembra essersi atrofizzata in un nodo stretto.
«È lui?» mi chiede. È il vento che soffia su Another place nei gelidi giorni d’inverno. «Il ragazzo che stava con tua sorella. Il ragazzo che hai amato per anni. È lui?» continua. «È Arthur Benkinson?»
Il suo nome riesco a pronunciarlo. «Ewan…»
«No… Natalie,» mormora. Solleva le mani quasi a misurare le parole, gli tremano. «Tu devi rispondere a questa domanda.»
Deglutisco.
Lo fisso, accetto la sua sfida: non lo faccio per coraggio o stupidità, ma perché è inevitabile. Perché non posso negarmi a quest’altra dose di dolore che la vita mi costringe a prendere.
«È lui.»
Un sussurro, le mie parole.
Sono solo così stanca.
«Grazie, Natalie.» Mi mostra il più doloroso dei sorrisi. «Non ho bisogno di sentire altro.»
Ewan si allontana, io resto ferma in una mutezza di ghiaccio. Sono assiderata nei miei errori mentre Ewan viene di nuovo fuori con in mano il suo borsone da viaggio e la tastiera. La sua tastiera, la sua musica, another place. Fa per avvicinarsi di nuovo alla porta ma io lo blocco.
Il panico mi avvelena, riesce a farmi svegliare, a sciogliere il ghiaccio mentre il dolore, implacabile, mi fulmina i nervi.
«Aspetta,» riesco a dire. Non riesco a trattenere più le lacrime. «È stato solo un bacio, non è niente per me. Mi sai leggere meglio di chiunque altro… Fallo adesso.»
Ewan sospira. «La prima cosa che è ho provato per te è stata ammirazione. Poi è venuto il rispetto e, solo dopo, ti ho amata,» dice sistemando il borsone, senza guardarmi. «Pensi che sia stato un bacio a distruggermi?» È come ricevere uno schiaffo in pieno viso. «C’è una foto, a casa tua. È il tuo quindicesimo compleanno e balli con Arthur Benkinson. Non guardi l’obbiettivo, guardi lui. Tua madre ci è passata davanti, ha detto “quel ragazzo è nella nostra vita da sempre”. Ma se fosse stato lui, quel ragazzo, tu me l’avresti detto. Certo che l’avresti fatto! Lo vedevi almeno ogni settimana per il gemellaggio della rivista, non dirmelo non sarebbe giusto… Nat me lo direbbe, ho pensato. E invece hai nascosto qualcosa che ti rende la persona che sei. Non ti sei mai davvero fidata di me. Io l’ho fatto, io ti ho dato tutto quello che sono, quello che odio, quello che vorrei cambiare. Ti ho dato me, sempre.» I suoi occhi si induriscono. Un’altra pausa. «Ti chiedevo una sola cosa e pensavo di meritarla: che tu fossi onesta con me.»
Soffriamo per gli eventi che ci cadono addosso. Soffriamo per una reazione provocata da una persona al di fuori di noi. Soffriamo per i sogni infranti. E soffriamo, a volte, solo per colpa nostra.
Continua a parlare. «Non lo sei stata.»
Riconosco il volto del mio carnefice, mi guarda dal riflesso della finestra alle spalle di Ewan, mi punta il dito contro.
Sono io.
«N-non… non puoi andare… dove andrai, cosa farai, dove…»
Sono io.
«Natalie, smettila.»
Sei tu sei tu sei tu.
«Per favore…»
«Fammi passare.»
Sei tu sei tu sei tu.
«Ewan, non capisci?» grido. «Mi dispiace! Mi dispiace fino a strapparmi l’anima! Ma non capisci che è l’unico modo che ho per resistere? Non capisci che solo così sono in grado di proteggermi dal totale disastro, vergogna, fallimento che è la mia vita?» Vibro, una corda di pianoforte percossa per quattro tempi, otto, dodici, continui, che non riesce più a emettere suono, sentimento, musica. «Non capisci che questa sono io?»
La sua voce ha il potere di congelarmi. «Io so come sei.» Le sue parole una forte percossa sulle mie labbra, mi fanno ammutolire come le sue mani, che mi spingono contro la porta, mi immobilizzano. Continua a parlare. «So che adesso non ce la faccio a vivere nella stessa casa con te.» Piano, vicino al mio orecchio, con rancore.
«Mi odii,» sussurro.
«Non so più che cosa sento.»
«Non tornerai più?»
«Non so se tornerò.»
Non piango più. Non so come lo guardo, ma l’effetto delle sue parole su di me corrisponde a quello che ha il mio sguardo su di lui. Entrambi schiaffeggiati, infuriati, disgustati. Non riesco più a parlare, non ho più forze, non ho più volontà.
Ed io rinuncio.
Allontano il suo viso dal mio.
Rinuncio a lui e a me stessa.
Smetto di toccarlo, faccio un respiro profondo, abbasso lo sguardo.
Rinuncio ai giorni che ho avuto, che potevo avere.
Faccio in modo che Ewan Lynch scompaia dalla mia vista.
«Vado via, Natalie.»
Dalla mia vita.
Finisce così, con un rombo di motore. Un singhiozzo forte e sgraziato. Lacrime continuano a scendere. La foto di un vecchio desiderio trasformato in disastro, strappata a forza.
Uno sguardo sui fogli che volano via come io non posso volare più, con il nulla tra le mani.
***
Qualunque cosa accada, qualunque cosa io faccia, Pamela Marie Jefferson è dietro la mia porta di casa dopo un quarto d’ora l’invio del mio messaggio.
«Che cosa hai combinato, guastafeste?» mi chiede, facendomi l’occhiolino. L’abbraccio chiudendo gli occhi, percependo solo adesso quanto è teso il mio corpo, rigido come se fossi fatta di ferro, come una statua di another place. Il mio racconto è balbettato, anche se non sto piangendo. Ogni cosa è sussurrata, quasi così potesse esserci la possibilità che sia meno vera.
Mentre mi addormento, la voce familiare di Pamela mi rassicura su risvolti da favola.
Ma io non ci credo.
Non ho più possibilità.
Solo realtà.
***
Il mio ritorno a Londra era segnato, anche se solo nella mia mente. Ho fatto questa scelta prima di partire, quando ero ancora a Shangai; ne avevo paura allora e quello che è successo con Ewan non mi farà sentire meno fragile di quello che già sono.
Ormai niente più potrebbe trafiggermi, niente più potrebbe sfinirmi, niente più potrebbe cambiare le cose. Arrivo in ufficio senza guardare in faccia nessuno. Mi dirigo nel corridoio che porta all’ufficio del direttore ed apro la porta senza bussare.
«Natalie…» Mi accoglie con il suo solito sorriso. «Triplicare! La volpe di Liverpool ci ha fatto ben triplicare…»
«Mi licenzio,» dico subito. «Lei ha finito con me. La volpe di Liverpool sono io e do conto a me stessa. Ho firmato con il Giappone, l’India, il Canada, gli Stati Uniti, l’Irlanda, la Scozia, l’Italia, la Grecia, la Turchia, la Russia, ed ho firmato in quanto Natalie Hanna Truman. Né a nome della sua rivista, né a nome di Istyle. Ho chiuso con Vogue ed ho chiuso con lei. Una parola… su di me nei vostri articoli…» Mi sporgo sulla scrivania. «E si ricorderà che la volpe è un animale carnivoro.»
Ed il modo in cui il direttore mi guarda mi fa sentire così.
Pronta a sputare le sue ossa dalla bocca.
***
«Natalie,» esclama Suzanna, con voce sorpresa, immobile dall’altra parte del bancone. «L’hai fatto veramente?» Mi stringo nelle spalle, fisso un attimo per terra e poi torno a guardare su. Pamela, Leo, il piccolo Ben, Suzanna, nonna Paullina e la signora Faryland mi fissano con la bocca spalancata.
Sono arrivata in fretta e in furia per comunicare il fatto a Pamela; ho parlato a voce così alta che tutto il locale si è girato verso di me. Chissà quale sarà il primo giornale a parlarne.
«Certo che l’ho fatto veramente.»
«Bene, allora brindiamo, no?» propone Leo, abbracciando Pamela.
«Brindare a cosa?» chiede Suzanna.
«A Natalie, che si è finalmente tolta dalle palle quel bastardo.»
«Bastardo,» ripete Ben con una voce piccola piccola.
«Leo!» lo richiama Suze. «Quante volte devo dirti di non dire brutte parole davanti a Ben?»
«Andiamo a prendere questa bottiglia di spumante, » si intromette la signora Faryland. «Va’, ragazza della montagna, forza.»
Suzanna e la signora Faryland si allontanano nel magazzino, io poggio il gomito sul bancone e mi mantengo la testa con la mano. Nonna Paullina mi fa l’occhiolino, seduta accanto a me. «Ben fatto, volpe.»
Riesco appena a sorriderle.
Una carezza sulla spalla mi fa voltare di poco il capo. Pamela mi guarda, fa domande senza usare parole, aspetta la mia risposta. Ewan è tornato, stanotte?
Nemmeno io uso parole né voce.
Il dolore emerge nei suoi occhi verde prato, accompagnato da quella delusione amara che si infittisce quando quel che è accaduto ha colpito qualcuno a cui vogliamo bene.
«Va tutto bene,» mormoro, posando la mia mano sulla sua.
Pamela scuote la testa, ferma nella sua ostinazione. «Nat…»
«Ci siamo?» La signora Faryland ci richiama all’ordine. Apre la bottiglia di spumante e versa il contenuto in diversi bicchieri di plastica, me ne porge uno.
«Brindiamo a…» Mi fa segno di parlare.
Resto ferma, persa a pensare a qualcosa, decisa a non apparire debole in nessun modo.
«Ai miei errori.» Sollevo il bicchiere e scelgo, dentro di me, di credere alle mie parole. «Perché mi hanno portato fin qui.»
Perché non c’è altro che io sappia fare bene se non sbagliare.
Mi sento vibrare il cuore: ora è un castello di carta smosso dal vento, l’ennesimo colpo sta per farlo crollare ma io sono la regina e do un ordine ben chiaro.
Chiudere i cancelli per lasciarli chiusi.
***
Approfitto dell’assenza di Pamela, che si è allontanata a dare una mano a Suzanna in magazzino, per andare via. Chiedo a Leo di mandarle un saluto al mio posto.
Resto immobile di fronte alla porta del mio appartamento e non ho il coraggio di infilare la chiave nella serratura ed aprirla. Piuttosto resterei qui sul pianerottolo a vita. Mi siedo su uno scalino, i gomiti sulle ginocchia, entrambe le mani sotto il mento.
Le orecchie mi ronzano come se avessi battuto la testa. Cerco di respirare, inspirare, espirare, a occhi chiusi, occhi chiusi, Nat. Ma resta comunque difficile. Perché quando finalmente ho il controllo del mio respiro ricordo l’emozione assurda che ho provato – ancora provo mentre ricordo – quando Ewan mi ha baciato per la prima volta nel nostro garage impolverato, di fronte al suo pianoforte. Quando mi era sembrato di respirare anche se avevo il fiato trattenuto nei polmoni.
È stato quello, il momento. L’attimo in cui l’onda ha raggiunto la riva, ha distrutto i castelli di sabbia che io credevo in cemento, mi ha fatto vedere che cosa, davvero, avevo costruito: che cosa era nato in me.
Ed ora, signori e signori, pago le conseguenze della mia immaturità, i miei capricci da grande in un cervello da bambina. Pago le conseguenze dell’ennesimo errore e voglio dare, con tutto il cuore, la colpa a qualcuno.
«Natalui, sei rimasta chiusa fuori?»
Sospiro, mi volto alla voce familiare e grave del signor Zot, che mi osserva nella sua solita tenuta da casa, con il volto arrossato ed un’espressione incerta.
«Voglio restare fuori,» dico, la mia voce è rauca come se fossi stata per mesi in silenzio. «Almeno per un po’.»
Zot scuote la testa, si avvicina e si siede accanto a me. Lo accompagna un gesto gentile, prevedibile quanto agognato: mi offre la sua bottiglia di vodka ed io, quasi non aspettassi altro, la accetto per la prima volta da quando vivo qui.
Ne ingurgito una bella sorsata e mi sento bruciare gli occhi.
«Soffrire per un ragazzo è da stupidi, vero?» chiedo, non so bene a chi. «Io sono stupida. La più grande contraddizione vivente… una volpe stupida. O forse non una volpe, perché potrei cominciare a pensare a come sistemare le cose nel mio lavoro, passare il tempo con Pamela… eppure voglio solo piangere. Quindi sono una ragazza come tante, niente di più, tanto di meno. Che cosa potrei fare se non piangere? L’ho cercato qui a Londra, ieri notte, ovunque. Ho girato ogni borgo, associazione, ponte. Sono passata da ostelli, sobborghi, parchi. In tre giorni ho avuto modo di vedere e conoscere Londra a modo tale che potrei scrivere una nuova versione di Oliver Twist. Ma lui non voleva che io lo trovassi, e così è stato.» Finalmente mi scende una lacrima, la fermo subito ancora prima che mi raggiunga uno zigomo. «Resterò per sempre con questo senso di sospeso insostenibile. Vivrò sapendo di non essere riuscita a fargli capire quanto lo amo. Avrei rinunciato a qualunque cosa al mondo, ma non a lui. Avrei rinunciato a me stessa, se fosse stato possibile, ma non a lui.»
Mi nascondo il viso con le mani, vorrei solo scomparire: per almeno un attimo vorrei solo non esistere.
«Non è stupido, piccola Nat,» sospira Zot. «Ho amato una donna per trent’anni della mia vita. Ho continuato ad amarla anche quando ha sposato un altro uomo. Ho scoperto che la donna che ora è nel mio cuore non considererebbe mai di cambiare vita per me. Che cosa resta, se non lacrime e vodka?» Fa una pausa, come se aspettasse una risposta dall’alto, da me, dai muri che ci circondano. «Restare. Vivere. Percorrere la nostra strada. Il tuempo non si ferma per nuessuno, nuemmeno per un cuore spuezzato.» Mi cinge le spalle con un braccio ed io poso la testa sulla sua spalla. «Se pensi di essere rimasta un po’ indietro, sono certo che tu sei abbastanza veloce da andargli al passo. Non è così? Le volpi corrono veloci.»
Ed io sono circondata da cani da caccia, Emanuelle aveva ragione: senza una strategia sono finita in trappola, con le zampe spezzate.
Mi stropiccio gli occhi, faccio un respiro profondo e non posso che riconoscere che Zot ha ragione.
Che Zot, attraverso il vetro della sua bottiglia di Vodka, riesce a vedere la vita com’è davvero.
*
*
*
*
Ciao a tutti, lettori! *.* 
La mia amica Cherry vorrà farmi fuori appena mi incontra :D (spero sia andato tutto bene :*)
Un capitolo molto intenso emotivamente, almeno per quanto concerne la scrittura. Qui ho avuto il fiato trattenuto in gola e mi è scesa anche qualche lacrima ed io spero che la storia di Nat vi lasci delle emozioni. Spero che nonostante tutto continuiate ad avere fiducia in me, perché siete i lettori migliori del mondo e non potrei chiedere di più se non sperare che continuerete ad esserci <3 E se mai un giorno arriverò da qualche parte con la scrittura, lo devo a voi.
Voglio fare tanti auguri di buon compleanno alla mia migliore amica Stefania, che oggi compie vent’anni <3 Ti voglio tanto bene :****
Grazie di cuore a tutti voi, siete speciali *.* <3
p.s questa è la traduzione della canzone degli U2, vi consiglio di ascoltarla perché è bellissima *.*
Ogni onda che si rompe sulla battigia
dice alla successiva “ce ne sarà una in più”
ogni giocatore d’azzardo sa che perdere
è il motivo per cui sei veramente lì
D’estate ero senza paura
ora parlo in una segreteria telefonica
come ogni foglia caduta nella brezza
l’inverno non la lascerà da sola, da sola
Se vai
se vai per la tua strada e io per la mia
siamo
siamo così disperati contro la marea?
baby, ogni cane in strada
sarà che siamo innamorati della sconfitta
siamo pronti a farci travolgere
e smettere di cercare ogni onda che si rompa?
Ogni marinaio sa che il mare
è un amico che diventa nemico
ogni anima naufraga sa che cosa significhi
vivere senza intimità
Ho creduto di ascoltare la voce del capitano
ma è difficile ascoltare mentre preghi
come ogni onda si infrange sulla battigia
questo è quando di più possa ottenere
Se vai
se vai per la tua strada e io per la mia
siamo
siamo così disperati contro la marea?
baby, ogni cane in strada
sarà che siamo innamorati della sconfitta
siamo pronti a farci travolgere
e smettere di cercare ogni onda che si rompa?
Il mare sa dove le rocce
annegano nell’oceano
sai dov’è il mio cuore
nello stesso posto dove è stato il tuo
sappiamo di aver paura del vento
ed è tutto ciò che abbiamo prima di cominciare
prima di cominciare
se vai
se vai per la tua strada e io per la mia
siamo
siamo così disperati contro la marea?
baby, ogni cane in strada
sarà che siamo innamorati della sconfitta
siamo pronti a farci travolgere
e smettere di cercare ogni onda che si rompa?
Al prossimo capitolo,
vostra Ania <3
   
 
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