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Autore: elektra810    21/11/2008    8 recensioni
Bill adora andare in tour ma odia doversi separare dalla sua prinzessin, sua figlia di 3 anni... cosa succede se un giorno nella vita di Bill comparisse una giovane assistente alla produzione che, come tutti, ignora che Bill ha una figlia?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco qui, nuovo capitolo!
diciamo che è solo una prima parte, giusto per non farvi rimanere troppo con il fiato sospeso…
enjoy it!!
La canzone è “My skin” di Natalie Merchant: vi consiglio di ascoltarla



Capitolo 21:  ascending…descending





Take a look at my body

Look at my hands
There's so much here
That I don't understand

Your face saving promises
Whispered like prayers
I don't need them
I don't need them

I've been treated so wrong
I've been treated so long
As if I'm becoming untouchable






“Quando hai paura basta che ti rifugi in un posto tranquillo e pensi a cose belle, vedrai che passa tutto!”

Cathe lo ripeteva a Sylvia ogni qualvolta la piccola aveva paura; le aveva spiegato che il posto tranquillo poteva essere la sua cameretta, il piumone del lettone, la mansarda dai nonni o anche un punto recondito nel suo cuore, il posto tranquillo dove conservava i ricordi più belli e felici. Sarebbe bastato pensare a uno qualsiasi di quei momenti e tutto si sarebbe sistemato.

Non avrebbe più avuto paura.

Sylvia non ci riusciva: aveva pure chiuso gli occhietti, strizzando le manine a pugno, pur di allontanare l’immagine di Catharina distesa accanto a lei sul sedile dell’Escalade; ogni volta che li riapriva, però, Cathe era ancora lì, immobile, le labbra sempre più violacee, il viso pallido, le mani fredde.

Le si accoccolò contro, stringendole la vita, mentre con l’altra mano le accarezzava lentamente una guancia: esattamente come avrebbe fatto Catharina con lei.

Sentiva il confuso vociare di Tom ed Erika, quella strana ragazza che aveva conosciuto poco prima: parlavano di ospedale, cliniche, dottori; aveva visto la ragazza armeggiare con il cellulare e chiamare il padre, le aveva sentito pronunciare la parola cuore seguito da qualche parolone molto simile: accarezzò con la manina il petto di Catharina, per poi appoggiarvi sopra la guanciotta paffuta, bisbigliandole piano di non aver paura.

Perché lei ne aveva, così come Tom: Sylvia non aveva mai visto lo zio tanto preoccupato, la mano con cui cambiava le marce tremante, gli occhi riflessi dallo specchietto carichi di paura, mentre guidava infischiandosene deliberatamente dei limiti; perché doveva arrivare il prima possibile, perché doveva rispettare il tacito patto fatto al fratello, di proteggere Cathe e Sylvia quando lui non era con loro.

E Tom sentiva di essere venuto meno a quel patto, di non essere riuscito a proteggere le due ragazze Kaulitz come venivano affettuosamente chiamate in famiglia; perché quando Catharina era stata male, lui era spalmato sul divano a guardare insulse televendite, invece di aiutarla: perché sapeva benissimo che in Cathe c’era qualcosa che non andava, che stava male;

sapeva benissimo quanto era dimagrita

se ne era accorto quella stessa mattina quando l’aveva abbracciata, per infonderle un po’ di coraggio e mitigare la delusione per l’esito del test; quelle scapole ossute, le braccia sottili.

E nessuno si era accorto di niente

Si voltò un attimo, giusto il tempo per controllare Cathe e Sylvia, per tranquillizzare la piccola: vide la bimba accarezzare dolcemente la ragazza, sussurrarle piano quanto le voleva bene, per poi accoccolarsi più vicina e prometterle che le sarebbe stata vicina, in una strana e dolorosa inversione di ruoli;

Sylvia non volle allontanarsi neanche quando i paramedici sollevarono la ragazza per trasportarla al pronto soccorso: Tom fu costretto a prenderla in braccio, stringendola a sé per evitare che vedesse le reali condizioni di Cathe, ormai circondata da medici e infermieri.

La vide sparire dietro una porta a battenti, di uno strano e inquietante verde salvia, mentre le stesse persone che prima la circondavano iniziarono a gridare ordini, frasi strane e confuse, parole incomprensibili come non c’è polso, è in arresto oppure è cianotica o ancora dobbiamo intubarla.

Sentì ancora Erika chiedere al padre, primario in quell’ospedale e subito accorso dopo aver ricevuto la telefonata della figlia, di salvare Catharina: il tono supplice di chi sta soffrendo, così in contrapposizione all’occhiata gelida che le scoccò il padre.

Furono ultime parole che sentì, prima che il vociare confuso si calmasse, sparendo al di là della porta del pronto soccorso.

Tom rimase immobile per una manciata di minuti, lo sguardo fisso sulla porta mentre con una mano accarezzava distrattamente la schiena di Sylvia: la piccola aveva appoggiato la testa nell’incavo del collo del ragazzo, lo sguardo frastornato di chi non capisce cosa stia succedendo; si guardava in giro accigliata, per cercare di cogliere particolari che le permettessero di capire:

capire dove fosse Catharina

capire cosa stesse succedendo

aveva timore di chiedere a Tom, così silenzioso e cupo; sapeva che quando lo zio si comportava in quel modo era meglio non stuzzicarlo, anche se in quel momento la piccola colse un guizzo diverso nello sguardo del rasta, capì istintivamente che Tom aveva la sua stessa paura per ciò che stava accadendo a Catharina: allungò la manina per asciugare la lacrima che stava rigando la guancia del ragazzo.

Fu un gesto catartico per il ragazzo, lo costrinse a ritornare partecipe, dissolvendo l’isolamento in cui si era rifugiato:
per non pensare;
per non dover inventare una scusa per Sylvia;
per trovare il coraggio di chiamare Bill.
e non sapeva come dirlo al fratello.

Si sedette su una delle seggiole della sala d’aspetto, facendo accomodare Sylvia su quella accanto; pur essendo nella clinica privata più rinomata di Amburgo, quelle sedie sembravano quelle di un ospedale: fredde, strette, troppo scomode per fare qualsiasi cosa tranne ragionare.

Probabilmente erano progettate apposta come memento,  fatto sta che Tom le odiava;

ad esclusione della sua nascita, era stato solo altre due volte in una clinica: due anni prima, quando avevano operato Bill, e per fortuna era andato tutto nel migliore dei modi;

prima ancora, invece, per la nascita di Sylvia.

E tutto si stava ripetendo esattamente come quel giorno: la corsa disperata in ospedale, i medici che sparivano con Sylvia dietro le pesanti porte della sala operatoria; nessuno che ti dice niente, nessuno che ti guarda in faccia, nessuno che ha una parola di conforto.

Solo che Bill stavolta non era lì con lui

Se ci fosse stato, Tom avrebbe dovuto avere coraggio per entrambi, avrebbe dovuto tirare fuori la forza per asciugare le lacrime del gemello, per confortarlo, per assicurargli che stavolta sarebbe andato tutto bene;

era da solo invece, non riusciva neanche a trovare il coraggio per chiamare Bill.

Non avrebbe saputo come dirglielo

Perché fin che certe situazioni non le vivi sulla tua pelle, non le puoi capire; Tom nel suo egoismo aveva sempre pensato che certe cose accadono solo nei film, non nella vita reale; aveva sempre sperato di non dover chiamare il fratello e dirgli che la ragazza che amava rischiava di morire

Avrebbe voluto fosse qualcun altro a fare quella telefonata, a mandargli un messaggio o qualsiasi altra assurdità.
Sapeva però che se fosse stato qualcun altro ad avvertirlo, Bill non gliel’avrebbe mai perdonata;

lui non se lo sarebbe mai perdonato;

Si sentì strattonare una manica della felpa da Sylvia:
“dobbiamo chiamare papà!” gli disse semplicemente la piccola, mentre gli si sedeva in braccio, aggrappandosi  all’enorme felpa del ragazzo, per cercare protezione, la testa appoggiata al petto dello zio.

Tom la strinse a sé, mentre estraeva il cellulare dalla tasca dei pantaloni: la mano gli tremava, era terrorizzato all’idea di avvertire Bill

Era terrorizzato all’idea di non essere con Bill.




Contempt loves the silence
It thrives in the dark
With fine winding tendrils
That strangle the heart

They say that promises
Sweeten the blow
But I don't need them
No, I don't need them

I've been treated so wrong
I've been treated so long
As if I'm becoming untouchable



Bill era uscito dal locale in cui aveva dato appuntamento per l’intervista di pessimo umore; l’intervistatrice era la classica giornalista iena, con cui è impossibile parlare senza che le tue parole vengano travisate e i fatti raccontati distorti.

L’ultima cosa che avrebbe voluto il ragazzo era la sua vita privata messa in copertina: era stato ben abituato alle interviste concordate da Cathe con Vanity Fair (leggi Sabine, per cui ciò che tu le dicevi di scrivere lei lo scriveva) o con altri giornali in cui la ragazza aveva conoscenze;

ma quella che si era trovato di fronte quel mattino era la classica giornalista in carriera: più copie il suo giornale per teenager vendeva, meglio era per il suo conto in banca; più succulento lo scoop su Bill Kaulitz, meglio era per a sua carriera.

Gli aveva letteralmente sbattuto in faccia le foto che già avevano fatto il giro di Bravo e del web qualche settimana addietro: foto di lui e Cathe in giro per Amburgo, a piedi o con la cabrio;

foto che dicevano tutto o nulla, su cui si poteva ricamare qualsiasi cosa: l’intervistatrice era molto decisa nel ricamarci sopra la sua verità e a poco erano valse le smentite di Bill.

Dunja l’aveva dovuto trattenere un paio di volte dall’insultarla ed era stato un sollievo per entrambi quando avevano congedato la rampante impicciona:

“Dunja, la prossima volta l’intervista la combina Cathe, almeno siamo sicuri di chi ci troviamo di fronte!” le disse il ragazzo con tono esasperato mentre camminavano verso il parcheggio, guardando distrattamente le vetrine

“no no Bill, la prossima volta va direttamente Cathe al posto mio, sono già abbastanza stressata così senza bisogno che ci si metta pure una come quella! Santo cielo, è già tanto che non abbia fatto ricerche su Catharina!”

“ah sì ci mancherebbe solo più di avere alle calcagna i paparazzi; già è difficile così, se ancora ci ritroviamo le telecamere per casa è la volta che ci viene l’esaurimento, o che mio fratello picchia qualcuno sul serio…”

Bill si interruppe appena sentì squillare il cellulare: iniziò a frugare nella borsa mentre Dunja alzava gli occhi al cielo rassegnata mormorando qualcosa su quanto fosse sempre stracolma la borsa del ragazzo;

“ohi Tomi! Ho appena finito, quella donna era di uno stressante assurdo, davvero, pentolino di cazzi suoi proprio no!” era uno dei difetti di Bill, non dava il tempo a chi era dall’altro capo del telefono di proferire anche solo mezza sillaba; 
Bill però si interruppe quando sentì il sospiro di Tom: forse più che un sospiro era stato un Bill strozzato, ma il moro intuì che era successo qualcosa;

“cos’è successo Tomi?” impallidì pronunciando quella frase

Tom prese un lungo respiro, non sapeva neanche lui come dare la notizia a Bill, sperava solo che il ragazzo riuscisse a rimanere lucido quanto bastava a raggiungere l’ospedale:

“Catharina…” il rasta singhiozzò “è stata male, è svenuta e adesso… siamo qui all’ospedale, l’hanno portata dentro, credo al pronto soccorso, non so nulla Bill, ti prego vieni! Scusami scusami Bill!”

Dunja si girò sentendo il tonfo a terra della borsa di Bill: vide il ragazzo tremare, le labbra che si muovevano convulsamente mimando frasi senza senso, lo sguardo fisso e pieno di lacrime:

“Bill cosa è successo? Stai bene?”

Il ragazzo le porse il cellulare, riuscendo a pronunciare solamente uno strascicato Cathe; la donna si fece spiegare per sommi capi la situazione da Tom mentre trascinava Bill verso la macchina: il ragazzo era scosso dai singhiozzi, lo sguardo assente, mormorava continuamente il nome di Catharina.




*°*°*°*




Bill entrò come una furia nell’ospedale, correndo verso il bancone dell’astanteria per sapere dove avessero portato Cathe: il locale sembrava deserto, tranne qualche infermiere e qualche inserviente affaccendati; nessuno si voltò verso lui o Dunja, passavano tutti accanto senza degnarli neanche di uno sguardo;

Bill si guardò intorno, smarrito ed esasperato, alla ricerca di qualcuno che potesse dar loro informazioni: chiese ad un’infermiera che gli passò accanto:

“il pronto soccorso?” la voce rotta dal pianto, Dunja temette seriamente che Bill potesse svenire

“in fondo al corridoio deve girare a destra, c’è l’accettazione!”

Bill iniziò a correre come una furia nella direzione indicatagli, il cuore in gola mentre percorreva quei pochi metri che lo separavano da Catharina; spinse le pesanti porte a battente ritrovandosi in una larga sala: solo a quel punto scorse Tom, seduto su una delle panchette,Sylvia in braccio che gli torturava nervosamente uno dei rasta, mentre lui, la testa appoggiata contro il muro, aveva lo sguardo fisso sulla porta della sala in cui avevano portato Cathe

“Tom!” riuscì a biascicare il moro, il tono di voce flebile; il rasta si accorse solo allora del fratello: si alzò per andargli incontro, sapeva che il fratello in quel momento aveva solo bisogno di sapere cosa fosse successo e di piangere, piangere tutte le lacrime che aveva negli occhi, coccolando Sylvia e facendosi a sua volta coccolare.

Tom lo strinse forte a sé:

“l’hanno portata dentro un’ora fa, sono spariti tutti… nessuno ci dice nulla, non viene fuori nessuno…” venne interrotto da Sylvia: la piccola si era silenziosamente avvicinata ai due, voleva essere presa in braccio dal padre; Bill la prese tra le braccia, facendole accoccolare la testolina bionda nell’incavo del suo collo.

Si sedettero tutti e tre sulle panchette della sala d’attesa, stringendosi in un unico abbraccio:
“Bill scusami è colpa mia, non dovevo farla scendere da sola…” iniziò Tom : “era andata nella lavanderia per far asciugare delle cose, poi non so, è venuta su Sylvia di corsa a chiamarmi che Cathe era stata male, era svenuta… l’ha trovata quella ragazza!” concluse il rasta indicandogli Erika.

La ragazza era stata fin a quel momento appoggiata contro il muro, poco distante da Tom, cercando di eclissarsi, di non creare disturbo: le sembrava di essere di troppo in quel momento; stava ancora cercando di metabolizzare la bravata compiuta intrufolandosi a casa dei gemelli quando si era trovata a soccorrere Cathe, mentre nella mente le rimbombava  la notizia di Sylvia; si era precipitata nella clinica di suo padre, implorandogli di salvare a vita ad una ragazza che neanche conosceva.

E in quel momento era lì, a pregare per Cathe, soffrendo con Bill e Tom, temendo di dover dare spiegazioni al padre; alzò lo sguardo quando notò la figura di Bill avvicinarsi:

“hai trovato tu Cathe?” gli chiese a bruciapelo il ragazzo

“sì… ero in cortile quando ho sentito un tonfo e l’ho vista a terra, ho mandato la bambina a chiamare aiuto ed è sceso tuo fratello, poi l’abbiamo portata qui, mi padre è primario di cardiologia, a me sembrava un infarto… e ho pensato che magari sarebbe stato meglio così..”

“grazie… davvero…ehm..”

“Erika, mi chiamo Erika!” disse la ragazza porgendogli la mano, Bill la strinse con riconoscenza

“grazie…” le rispose Bill allontanandosi per ritornare dal fratello: aveva solo bisogno di sentire la voce di Tom, di nascondersi nella sua felpa, di coccolar Sylvia, cercando nella calma della piccola la forza per andare avanti.





Avevano perso la cognizione del tempo, non sapevano da quante ore erano lì, seduti su quelle panchette; Dunja aveva avvisato Georg e Gustav, ma anche David e gli altri membri dello staff, un po’ per conoscenza e un po’ perché non ci fossero fughe di notizie: la presenza di Sylvia e soprattutto il fatto che Erika avesse scoperto della bambina aveva messo in allarme tutti, in particolare Tom;

il ragazzo si era ritrovato a fissarla in cagnesco un paio di volte e stranamente Erika non aveva mai abbassato lo sguardo ma anzi, l’aveva sostenuto con aria di sfida; Tom le avrebbe volentieri chiesto spiegazioni ma non gli sembrava né il momento né il luogo adatto: era preoccupato quanto Bill per Catharina e dopotutto era stata la stessa Erika a suggerirgli di portarla nella clinica privata del padre.

Si alzò per raggiungere Georg e Gustav, subito accorsi appena avuta la notizia:

“ehi!” gli disse il bassista posandogli una mano sulla spalla: “come va?”

“si è chiuso nel suo mutismo, ogni tanto parlotta con Sylvia, cerca di rassicurarla ma più che altro è mia nipote che rassicura Bill!”

“i tuoi li hai già chiamati?” gli domandò Gustav

“sì, sono partiti subito per venire su, credo venga anche Vera, ma non so come possa reggere!”

“in effetti sarà un duro colpo, è molto affezionata a Cathe!”

“chi non le è affezionato di noi? Comunque ho avvertito anche Noah,  Medina , Sabine e Daniela, stanno venendo su anche loro, Noah era sconvolto…”

“lo immagino…” aggiunse Georg: “ma quella ragazza chi è?” chiese indicando Erika

Tom gli rispose con un sospiro velato di rabbia: “è quella che ha trovato Cathe, non so bene come abbia fatto ad entrare in cortile, mi ha detto Sylvia che l’ha vista vicino alla mia macchina ed è andata a controllare chi fosse, conoscete anche voi quella bambina, è tremendamente curiosa! Cazzo se va a dire in giro di Sylvia siamo veramente nella merda…” il ragazzo si voltò verso Erika , aggiungendo: “comunque dovrà darci qualche spiegazione!”

Il rasta si avvicinò alla ragazza,prendendola da parte:

“che cazzo ci facevi a casa mia?” le chiese malamente

“niente…” gli rispose la ragazza abbassando lo sguardo

“non è una riposta, voglio saper che ci facevi nel cortile, vicino alla mia macchina e soprattutto come hai visto Sylvia!” le ringhiò a bassa voce

Erika prese un profondo respiro, metà dei suoi pensieri erano concentrati su Cathe e l’altra metà sulla bambina; non aveva minimamente pensato che avrebbe dovuto rispondere delle sue azioni:

“senti lo so ho fatto una cazzata, ma…” sospirò, cercando di prendere tempo: “allora, credo di non doverti dire che sono una grande fan dei Tokio e in particolar modo tua, avevo scommesso con le mie amiche che sarei riuscita a fare una foto seduta sul cofano della tua macchina, ti potrà sembrare assurdo ma è così; e non so, ad un certo punto mi sono sentita chiamare dalla bambina e abbiamo iniziato a parlare finché non ho sentito il tonfo di Cathe! Non potevo immaginare che Sylvia fosse tua nipote, ti giuro non lo sapevo… ho fatto una gran cazzata lo so…”

“gigantesca!” aggiunse ironicamente Tom: “non credere di cavartela solo perché tuo padre è primario; se solo parli con qualcuno di Sylvia, non solo ti ritrovi metà degli avvocati di Amburgo contro, ma ti ritrovi me incazzato! È chiaro?!” Tom sottolineò le sue parole spingendo Erika contro il muro e bloccandola con il braccio

La ragazza annuì, senza però smettere di fissare Tom con occhi di sfida: “perfettamente!”

Il rasta fece per voltarsi ma Erika lo trattenne per una manica: “comunque, se avessi voluto rovinarvi vita e carriera, forse non ti avrei fatto portare qui Cathe, ma in un ospedale pubblico, così al primo cambio turno potevi star certo che la notizia trapelava. Questa è una clinica privata, lo sai quanti VIP entrano ed escono e nessuno se ne accorge, men che meno la stampa? Probabilmente sei ancora troppo ingenuo per pensare che al mondo esitano persone che rispettano gli altri!”

“le stesse persone che giusto cinque minuti fa mi hanno detto che si trovavano in un cortile privato, per fotografare una macchina? Io li definisco stalker queste persone!”

“se lo fossi in questo momento avrei venduto l’esclusiva a Bravo, mentre invece sono qui…forse ti potrà sembrare assurdo che una tua fan si interessi della sorte di Cathe! Mi sono sbagliata sul tuo conto, veramente… era meglio se restavi un poster appeso nella mia stanza. La realtà è sempre una delusione!”

Erika fece per allontanarsi quando si girò e si avvicinò nuovamente a Tom, mentre rovistava nella sua borsa: gli sporse la macchina foto: “tienila, così sei sicuro che non vendo l’esclusiva alla stampa!” aggiunse con un ghigno isterico.

In quel momento il padre della ragazza uscì dalla sala emergenza in cui avevano portato Catharina: il volto tirato, rabbuiato.

Era la parte peggiore del suo lavoro: parlare con i parenti

Tom, notando l’espressione sul volto del primario, decise di prendere Sylvia dalle braccia di Bill: in un moto istintivo la mise in braccio a Erika, in modo da poter sorreggere il fratello:

“è il compagno di Catharina vero?” gli chiese semplicemente, con un tono che alle orecchie di Bill suonò fastidiosamente neutro

Il moro annuì, stringendo un po’ più la mano del fratello

“ci sono state delle complicazioni…”



I'm a slow dying flower
Frost killing hour
The sweet turning sour
And untouchable

O, I need The darkness
The sweetness The sadness
The weakness
I need this

I need A lullaby
A kiss goodnight
Angel sweet Love of my life
O, I need this


Ci sono state complicazioni

Complicazioni

Quelle parole continuavano a vibrare come un’eco dolorosa nella mente di Bill, frastornandolo, confondendolo; sentiva le ginocchia cedergli, probabilmente se non fosse stato per Tom sarebbe caduto a terra

“quando l’abbiamo portata dentro era in arresto cardiaco, vuol dire che il suo cuore non batteva, siamo comunque riusciti a rianimarla, ma adesso è intubata, la teniamo sotto sedativi in modo che il cuore possa riprendere la sua normale funzionalità. La ragazza è affetta da un’insufficienza severa, con scompenso pressorio e ipokaliemia. Comunque… dovrebbe farcela, certamente i tempi di ripresa saranno abbastanza lunghi, dipenderanno molto da lei, ed è ciò che mi preoccupa di più.”

Il dottor Olshausen prese una lunga pausa, soffermandosi ad osservare le reazioni di Bill: il ragazzo lo stava fissando con occhi angosciati e sconvolti, mentre torturava nervosamente la manica della felpa di Tom; si era appoggiato al fratello dopo che il medico aveva detto che c’erano state complicazioni. In quel momento gli era sembrato di aver perso tutto, di non aver più ragioni per andare avanti; perché negli ultimi due anni Cathe era sempre stata accanto a lui, l’aveva confortato, spronato, fatto ridere e fatto piangere.

Ma era con lui.

Alzò lo sguardo: “cosa intende con dipende da lei? Non capisco…”

Il primario colse lo stupore negli occhi di Bill: “guardi, credo che i problemi della sua compagna siano dovuti alla sua estrema magrezza, pesa 38 chili…”

“cosa?” Bill lo guardò attonito: “Sì ultimamente è dimagrita molto, ma mi ha sempre detto che era per lo stress  e che pesava sui 44… non 38…”

Olshausen gli pose una mano sulla spalla: “Tutto mi fa pensare ad anoressia, sa per caso se ultimamente vi siano state situazioni che l’abbiano portata alla malattia, qualche fattore scatenante o qualche malattia pregressa che possa…”

Bill lo interruppe con un semplice gesto della mano mentre si sedeva, il medico si accomodò accanto: “Catharina era anoressica, è già stata ricoverata una volta, ma aveva detto che ne era fuori, sì è sempre stata magra ma…” Bill iniziò a singhiozzare, nascondendo il viso tra le mani: “Non mi sono accorto di nulla, perché?”

“probabilmente la sua ragazza ha fatto in modo che non si accorgesse di nulla; è sicuro che fosse uscita dall’anoressia?”

“apparentemente sì, era riuscita a ricostruirsi una vita, perché si era ammalata dopo la fine di una sua relazione, ma ora sono più di quattro anni da quando era stata male, pensavo ne fosse uscita, che il dimagrimento fosse dovuto allo stress per il tour e perché adesso ha un nuovo incarico, io… non…”.
Bill s’interruppe e iniziò a piangere nascosto tra le braccia di Tom, mentre il rasta cercava di confortarlo accarezzandogli dolcemente la testa;

Erano rimasti tutti sconvolti dalla rivelazione di Olshausen, Tom, Georg, Gustav: si guardavano interrogativi l’uno con l’altro, cercando di capire con lo sguardo se mai qualcuno si fosse accorto della ricaduta di Catharina.

Il pesante silenzio che era calato fu rotto da Sylvia: la piccola si fece mettere a terra e andò verso il padre, per essere presa in braccio: Bill la abbracciò stretta, cercando di infonderle coraggio; sapeva benissimo che in realtà sarebbe stata la piccola a infonderne a lui, si sentiva tremendamente a disagio per quell’inversione di ruoli, mai come in quel momento nella sua mente rimbombava il pensiero di essere un cattivo padre.

La piccola gli accarezzò una guancia: “Adesso Cathe guarisce vero?”

Bill sospirò profondamente, non sapeva cosa risponderle: “Sì, ma noi dobbiamo esserle vicini e darle tante coccole!”

“va bene!” gli disse la piccola con un sorriso quasi compito

“e devi essere forte e non fare i capricci, che per un po’ Cathe dovrà stare qui…” aggiunse il moro

“sì… ma stasera viene a casa con noi vero?” la piccola era speranzosa

“no prinzessin…” Bill la guardò con tenerezza, cercando di non mettersi a piangere: “Cathe dovrà restare qui per un po’ di tempo, non può venire a casa, perché deve guarire! Poi quando è tutto a posto torna a stare con noi!”.

Sylvia annuì con veemenza, ma i suoi occhi erano pieni di lacrime, iniziò a singhiozzare: “Ma io voglio andare da lei!”

Bill non seppe risponderle, si girò verso Olshausen, sperando che lui riuscisse a spiegare alla piccola la situazione; il primario intuì la richiesta di aiuto di Bill:

“come ti chiami piccola?”

“Sylvia! Tu sei il dottore di Cathe?”

“sì, senti… facciamo così, oggi Cathe ha bisogno di riposare e stare tranquilla, quindi non puoi andare a trovarla, però domani, se va tutto bene, puoi tornare qui, e Cathe è sveglia e giocherete insieme…”

Era una bugia, detta a fin di bene, ma pur sempre una bugia: Sylvia se ne accorse e si mise a piangere disperatamente:

“io voglio andare da lei, papà voglio andare da Cathe!”

“no Sylvia non piangere ti prego!” le disse il ragazzo tra le lacrime: “Solo per oggi, domani la andremo a trovare…”.

“no! Io voglio andare oggi, voglio andare adesso, voglio la mia Cathe!”

“piccola ti prego…”

“voglio la mia mamma!” gli disse la piccola nascondendo il viso contro la felpa di Bill mentre piangeva.




Do you remember the way
That you touched me before
All the trembling sweetness
I loved and adored?

Your face saving promises
Whispered like prayers
I don't need them
No, I don't need them





Fortunatamente Sylvia si era poi addormentata in braccio al padre, cullata dal suo respiro e dalle rassicurazioni che Bill aveva continuato a bisbigliarle nelle orecchie; quando Simone e Gordon erano arrivati, l’avevano riportata a casa sfruttando il fatto che fossero arrivate Medina e sua figlia Sophia e quindi la piccola avrebbe potuto far compagnia a Sylvia.

Bill era rimasto in ospedale fino a tarda sera: tutti gliel’avevano sconsigliato, dal dottor Olshausen, che l’aveva  rassicurato che avrebbe rispettato la loro privacy e l’aveva piuttosto esortato ad andare a casa con la figlia; a David e Dunja che avevano suggerito sarebbe stato più prudente, in caso vi fossero fughe di notizie;

il moro era però stato irremovibile, rimanendo con Noah e il fratello in ospedale: era riuscito a strappare al primario il permesso di vedere Cathe, anche solo cinque minuti.

La parola anoressia continuava però a rimbombargli nella testa

Insieme alla stessa petulante domanda: perché l’hai fatto Cathe?

Aveva bisogno di risposte.

Bill reclinò la testa contro il muro, sospirando profondamente: “perché l’ha fatto?” chiese più a se stesso che a Tom o Noah

Entrambi lo guardarono smarriti, cercando le parole giuste; Noah gli mise una mano sulla spalla: “la conosci anche tu, in Catharina non puoi cercare delle risposte, non ne ha mai date”

“ma dovevo accorgermene!”

Tom scosse la testa: “ha fatto in modo che nessuno se ne accorgesse, né tu né io ce ne siamo mai accorti…”

“non ce ne siamo voluti accorgere Tom, non me ne sono voluto accorgere… a volte mi faccio schifo, ho un carattere di merda, penso solo a me stesso e non mi sono reso conto che la ragazza che amo per poco non si lasciava morire!” singhiozzò Bill: “se non fosse stato per Erika credo che in questo momento non saremmo qui…”

“Erika è solo una stalker!” proruppe Tom

“Erika ha salvato la vita a Cathe…  non la ringrazierò mai abbastanza!”

In quel momento venne chiamato dal dottor Olshausen; Bill gli si avvicinò:

“posso vederla?!” gli chiese titubante

“sì ma solo pochi minuti, per favore non le crei stress!” gli rispose il primario porgendogli camice e mascherina: “sono obbligatori in terapia intensiva: ho il dovere di avvertirla che è intubata in questo momento, ed è sotto sedativi; è il motivo per cui le ho sconsigliato di farla vedere a sua figlia!”

Bill esitò qualche attimo prima di indossare il camice: “non so come spiegarlo a Sylvia…”

“tu sei Bill Kaulitz vero?” il moro annuì

“non sapevo avessi una figlia…”

“non l’ho mai detto a nessuno, è questo il motivo per cui prima i miei collaboratori l’hanno un po’ assalita… mi spiace le chiedo scusa!”

“no… non devi chiedere scusa, eri giustamente preoccupato per tua figlia; è solo molto strana la situazione…”

“mi considera un pessimo padre vero?”

“un pessimo padre non avrebbe spiegato alla figlia di quattro anni le reali condizioni di sua madre…”

Bill scosse la testa: “non è sua madre, è la matrigna…”

“la bambina l’ha chiamata mamma però…” si interruppe quando notò un sorriso affiorare sulle labbra di Bill:

“è stata la prima volta che l’ha chiamata mamma, Cathe ne sarebbe stata felicissima!”

“ne sarà felice! dovete solo uscirne insieme da questa situazione, non recrimini nulla alla sua ragazza, piuttosto cerchi di capirne i motivi…” si bloccò davanti alla porta della rianimazione:
“solo un paio di minuti e non la stressi, se risponde bene alle terapie è probabile che venga estubata già domani, ma per il momento deve assolutamente stare tranquilla!”

Bill si avvicinò cautamente al letto di Cathe: pallidissima, le flebo nelle braccia, il tubo del respiratore... mai come in quel momento Catharina gli era apparsa indifesa: “la posso toccare?”
Olshausen annuì

Bill allungò una mano a sfiorarle la guancia pallida, il ritmico stantuffo del respiratore di confondeva con i battiti del suo cuore: gli sembrava di vivere al rallentatore, in un mondo ovattato:

“ciao!” le sussurrò, sfiorandole con un bacio la fronte mentre con il pollice le carezzava il dorso della mano: “mi hai fatto prendere uno spavento! Non sai che paura ho avuto di perderti! Se volevi farmi uno scherzo ci sei riuscita…” ridacchiò, mentre una lacrima scura di kajal gli solcava le guance: “non farmelo più! Domani torno con Sylvia, credo stia architettando di portarti non so quale regalo; prima ti ha chiamata mamma sai, non sono mai stato così orgoglioso di lei!”

Bill iniziò a piangere, costringendo il primario ad allontanarlo: “vada da sua figlia adesso! Vada a casa tranquillo, torni domani mattina e vedrà che sarà sveglia!”




*°*°*°*




Bill si distese esausto sul letto, le ginocchia penzoloni da bordo, sprimacciando un po’ il cuscino per trovare una posizione comoda.

La sveglia scandiva le 23:47 e lui era esausto: tornato a casa aveva ancora giocato con Sylvia finché la piccola non era crollata esausta sul divano mentre guardavano abbracciati Madagascar 2.
Adorava guardare quel cartone con Catharina, anche se più che il sequel il suo preferito era l’originale; si rigirò nel letto, portando le ginocchia al petto, in posizione fetale: tutto in quella stanza gli ricordava di Catharina e dopo molte ore si era trovato a sorridere al pensiero della ragazza; era preoccupato ma le rassicurazioni del dottor Olshausen l’avevano tranquillizzato.

Per quello che riguardava l’anoressia, ne era certo, stavolta ne sarebbero usciti:  insieme. Se ne sarebbe fregato dei suoi impegni di lavoro, avrebbe costretto Cathe a dimenticarsi deliberatamente dei propri;

si ritrovò a fissare la foto sul comodino: una delle poche foto che Cathe aveva stampato dopo l’acquisto della cornice digitale; erano lui, Cathe e Sylvia al matrimonio di Daniela e Sabine. 

Era bellissima Cathe in quella foto.

Quando Bill l’aveva vista con quel vestito lungo grigio perla, non aveva potuto far altro che spalancare la bocca meravigliato, lo sguardo quasi stranito; Cathe gli aveva semplicemente sorriso,  dicendogli che sarebbe stata l’unica volta che l’avrebbe vista in Vera Wang.

Sorrise al pensiero di quei momenti; a dire il vero sorrise per la prima volta dopo tante ore: il fatto che Cathe si stesse riprendendo l’aveva tranquillizzato.

Ormai era solo questione di venirne fuori.

Si girò nel letto voltandosi verso la parte di Cathe, mentre stringeva il cuscino; vi era impregnato l’odore dello shampoo, misto a quello del profumo della ragazza.

Miele e cannella

Lo adorava, adorava sentirlo addosso a Catharina, come adorava sentirselo su di se.

Perché Cathe era una che si prendeva prepotentemente gli spazi, nel letto, nel cuore e nella vita.

Ti lasciava il suo odore addosso come un marchio, le sue abitudini come un sigillo.

E non le perdevi: per certi versi erano talmente affascinanti che non si poteva far altro che condividerle.

Sospirò profondamente affondando la testa nel cuscino, rimanendo immobile qualche secondo; fu costretto ad alzarsi quando sentì una specie di suono provenire dalla borsa di Cathe appoggiata su una cassapanca sotto la finestra.

Il ragazzo si mise a frugare dentro: quel suono sembrava quello classico del palmare quando si scarica, un fischio fastidioso che ti costringe a mettere l’apparecchio sotto carica; strideva nel  silenzio della stanza;

Bill cercò nei vari cassetti il caricabatterie, poteva essere ovunque conoscendo Cathe;
appoggiò il palmare sulla scrivania quando non riuscì ad aprirne uno: sembrava che qualcosa l’avesse bloccato, rimanendo incastrato; il moro sbuffò mentre cercava di far scattare il meccanismo: si ritrovò di fronte ad uno strano quaderno, o forse era un diario, con il dorso rovinato per il troppo spessore.

Sembrava il classico diario dei ricordi, molto più di un diario segreto.

Forse troppo adolescenziale per essere di Cathe, ma conoscendola ci poteva stare benissimo. Quella ragazza era una contraddizione vivente: amava le novità e restava attaccata ella cose più tradizionali. Contestava deliberatamente certi modi di fare trovandoli al contempo irresistibili.

Cambiava idea nel giro di cinque minuti, un po’ come Bill, ma era per quello che il ragazzo se ne era innamorato, trovandola così simile a se stesso.

Si risedette sul letto, titubando prima di sciogliere il nodo dei due nastri che cercavano di tenere compatto il diario: andava i pezzi solo a sfiorarlo, gli sembrava impossibile che fosse ancora apparentemente sfogliabile.
Sorrise appena lesse l’intestazione, nella scrittura minuta e tonda di Cathe


Cathe
14 dicembre 2008-

L’aveva iniziato il giorno dopo che si erano messi insieme: era pieno di ricordi, dal biglietto della salita alla Tour Eiffel, retaggio del concerto di Parigi dell’estate precedente, a varie foto con Sylvia;
il tutto inframmezzato dalla descrizione, a volte minuziosa, altre volte sommaria, di situazioni e avvenimenti.
Bill si soffermò a leggerne alcuni: forse era violazione della privacy ma non credeva che Catharina si potesse offendere, dopo tutto non gli aveva mai fatto mistero di aver tenuto un diario per anni, più che un diario segreto un quaderno dove annotava ricordi e sensazioni.

29 maggio 2009:
Bill è tutto matto, questo weekend mi ha portato a Helsinki al concerto dei Nightwish… ma se li odia?!, credo Tom abbia chiamato la croce verde, ed è incazzato perché passa il weekend senza il fratellino. Cmq… io sono troppo felice, per il concerto, per essere a HELLsinki, ci manca solo quel figo di Ville e siamo a posto!

Bill scosse la testa: si era sempre chiesto come a Catharina potesse piacere uno come Ville Valo. Proseguì nella lettura della minuziosa descrizione di Sylvia e Cathe a fare la spesa con la cabrio, con tanto di foto e didascalia a far la spesa in M6;

adorava il modo di scrivere di Catharina, gli sembrava di rivivere quei momenti, gli sembrava di immedesimarsi in lei e nei suoi pensieri, nelle sue aspirazioni, nelle sue paure

15 novembre 2009
Bill è tornato alla carica sulla storia convivenza “seria”, cioè convivenza seria la chiamo io, già viviamo insieme… ce l’ha su che dovremmo trovare una casa tutta nostra, mia sua e di Sylvia.
Ceeeeerto, tanto dopo una settimana ci ritroveremmo Tom alle costole: quel ragazzo non sa vivere senza il fratello, e cmq anche a me spiacerebbe non averlo sempre tra le palle. Ok scassa spesso e volentieri e tiene la casa un macello, ma almeno fa ridere.
Cmq… io non so cosa rispondere a Bill, io non ci ho mai pensato ad andare a vivere con un ragazzo, io e lui insieme da soli. Ho paura, conoscendomi so che mi stancherei dopo pochi giorni, o alla prima cosa che mette in disordine. Poi se ci ragiono è tre mesi che io e Bill viviamo insieme, forse ce la potrei fare.. boh, non so!!!



22 Novembre
Adesso si mette anche Tom, dice che così avremmo più privacy, che Sylvia starebbe meglio, che magari lui avrebbe più privacy! Ma perché i gemelli hanno sempre il cervellino che se funziona, funziona in sincro?

Ah… Jutta vuole mollare tutto… dice che potrei prendere il suo posto… sarebbe un casino!!



10 gennaio

Ho deciso… vado a vivere con Bill!
Ps…  tra un mese esce la nuova classe A…  ha già detto che me la compra, io gli ho detto di comprare una macchina familiare leggermente più parcheggiabile della mia! Per il momento siamo in lotta tra Mercedes e BMW… la Audi la escludo!
Ah… miracolo, forse Andi ha trovato una ragazza… ma io accendo un cero, se questa lo sopporta siamo a posto!



6 febbraio 2010

L’ho trovata! La casa dei miei sogni! L’ho vista su internet ieri sera e oggi pome vado a visitarla: è bellissima, comoda, gigantesca e tutta arancione… un punto a suo vantaggio!



7 febbraio
Ribadisco! È bellissima, è enorme e ha due spettacolari stanze più una terza che si può ricavare… non sarebbe male una stanza in più…” in futuro potrebbe servire”… Bill oggi se n’è uscito con questa battuta un po’ strana… poi è diventato paonazzo e si è eclissato.
Ho fatto finta di niente di fronte a tutti… ma non spiacerebbe neanche a me… adesso sarebbe un macello.
Ma nella mia vita gli imprevisti sono sempre stata la parte migliore…
Tornando da Luneburg ne abbiamo parlato… continuava a mugugnare… io lo stuzzicavo. Alla fine è riuscito a miagolare che non gli spiacerebbe se arrivasse  Paul
Ammetto che Paul Kaulitz non suona poi così male…



Bill sorrise, gli sembrava irreale che vi fosse lì, nero su bianco, quella tacita affermazione di Cathe. Implicava molte cose, molti cambiamenti.
Stridevano quelle parole con le condizioni di Cathe, con la sua ricaduta, con l’anoressia.
Il moro aveva continuato a leggere il diario apposta per trovare risposte alla sua domanda.

Perché Cathe?

Continuò a leggere, il sorriso che era affiorato sulle sue labbra svanì però rapidamente:



11 febbraio

Ero giù a Berlino, a pranzo con le ragazze ed è comparso Franz ad un certo punto… sai cosa mi dice quella merda? Neanche mi saluta, no…  mi dice:
“sempre a mangiare eh Cathe?”
STRONZO STRONZO STRONZO
Ma che cazzo ti ho fatto? Perché? Perché le uniche cose che riesci a dire sono solo insulti… pezzo di merda
Che ti ho fatto Franz eh? Che ti ho fatto??




13 febbraio
E se avesse ragione lui… se veramente fossi grassa… no grassa non sono ma se lo diventassi?


23 febbraio
Ci sono di nuovo dentro, lo so, ne sono cosciente e non riesco a fermarmi, non riesco a impedirmi di vomitare. Mi faccio schifo…
Oggi è già la quarta volta, se non faccio attenzione Sylvia mi potrebbe beccare, già mi guarda male così, me ne sono accorta… spero non lo dica a Bill
Non so perché lo stia facendo.



11 marzo
È un mese… sono già 5 chili in meno… Bill ha fatto una mezza battuta sulle mie scapole… è logico che se ne accorga, credo gli dia fastidio toccare le mie ossa;
perché ci tengo ancora così tanto a Franz? Perché ho ancora bisogno della sua approvazione??



28 marzo
Perché se tra noi è finita, penso ancora a lui? Perché se sto con Bill, ho ancora bisogno della approvazione di quella merda??
Comunque… i diuretici sono ottimi! Che testa di cazzo che sono!!



Bill continuò a leggere con occhi sgranati, nero su bianco una serie impressionante di numeri, di chili persi, di volte in cui Cathe aveva vomitato, di pensieri e poesie angoscianti; le mani iniziavano a tremargli, mentre proseguiva nella lettura:


5 maggio

Mi sono resa conto solo ora del ritardo… ma come cavolo si fa a non accorgersi che non ti arrivano!
Ho paura di fare il test…



Arrivò fino all’ultima scritta, recava la data di quel giorno: Bill lesse tutto d’un fiato, quasi non riusciva a respirare, gli occhi gli si erano riempiti di lacrime



Ho fatto il test… negativo.
Ci ho sperato! Ci speravo… lo volevo cazzo! Avrei avuto qualcosa di mio! Di nostro…

Tom mi ha beccato con il test in mano, mi ha detto di parlarne con Bill…

Di che cosa? Di che schifo di madre sarei? Dello schifo che sono per Sylvia?







O, I need
The darkness
The sweetness
The sadness
The weakness
I need this

I need
A lullaby
A kiss goodnight
The angel sweet
Love of my life
I need this

Is it dark enough?
Can you see me?
Do you want me?
Can you reach me?
Or I'm leaving

You better shut your mouth
Hold your breath
Kiss me now you'll catch my death
O, I mean it



Bill non resse più oltre: scagliò il diario contro la parete e si mise a vagare per la stanza; era angosciato, frustrato, deluso.

Si chiedeva se fosse colpa sua, o di Cathe, o di entrambi.

Forse era solo di Cathe, forse era lei che aveva deciso che era finita ancora prima di cominciare.

Si avventò contro qualsiasi cosa gli capitasse sotto mano, scagliandola, rovesciandola, distruggendola. Aveva bisogno di sentire gli oggetti distruggersi sotto le sue mani per non perdere contatto con se stesso.

Si accasciò contro una parete, piangendo disperatamente.

In mente la solita domanda:

perché Cathe?
  
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