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Autore: bacionero    15/01/2015    5 recensioni
Candice si ritrova ad abitare nuovamente a villa Andrew. E' lontana da anni dal suo Terry ma qualcosa potrebbe riavvicinarli...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Seduta in veranda su una sedia a dondolo, Susanna ammirava la luce e i colori del tramonto.

Candy era uscita poco prima. Elegante come mai l’aveva vista e con lo sguardo trasognato, assente,  era salita in carrozza ed era andata via. Doveva cenare con un’amica che non vedeva da tempo, aveva detto.

Era tanto assorta che non si accorse di Albert che veniva verso di lei. Era da quella mattina che non lo vedeva. Stanco, arruffato, con gli stivali sporchi di fango, eppure fiero e imponente come al solito. Aveva impiegato molto tempo prima di riuscire a riprendere, con l’aiuto dei suoi uomini, tutti i capi di bestiame  che erano fuggiti.

-Forse ho sbagliato a giudicarvi. Vi date così tanto da fare per quello che avete che quasi quasi non vi invidio affatto- esordì la ragazza.

-E fate bene. Posso sedermi accanto a voi o il mio aspetto vi dà fastidio?

-Ci vuole ben altro. Accomodatevi, ma non vedo altre sedie.

-Qui andrà bene.

Albert si sedette su uno scalino.

-Siete stato tutto il giorno occupato. Non avrete neanche pranzato, immagino.

-Immaginate male. Il pane e il formaggio del signor Johansson, il mio fattore, erano molto buoni.

-Vorreste dire che avete pranzato con il vostro fattore? Fianco a fianco?  Alla stessa tavola?

-Molto diversa come immagine dal perfetto gentiluomo di ieri sera, non è così?

-Già. Mi sorprendete sempre. Che fine ha fatto quel gentiluomo? Io qui  vedo un cow boy pure molto calato nella parte. Sembrate addirittura  compiacervi dell’aspetto che avete, così sporco e arruffato.

-Vi sorprenderà ancora di più sapere che io sono l’uno e l’altro.

-Interessante, ma temo di capirvi molto poco. Dopotutto, io sono una semplice  campagnola  di città.

-Ora capisco perché alla compagnia vi hanno affidato l’aspetto più serioso e intellettuale di tutta la combriccola. Siete brillante e non vi manca certo l’uso della parola.

- Ieri sera avevate ragione quando mi avete suggerito  che dovrei  parlare solo quando ne ho  voglia. Forse questo è il momento giusto, per me.

-E voi avete ragione se dentro di voi  vi state ancora chiedendo chi io sia veramente. Stamattina me lo avete chiesto ma siamo stati interrotti. Peccato, avevo una risposta molto poco articolata da darvi, quasi una scusa per non rendervi partecipe del mio vero io. Ma questa giornata appena trascorsa mi ha fatto  riflettere, e pensare che potrei anche aprirmi con voi.

-Sembra che l’ora sia quella giusta. La casa sembra deserta e il tramonto invita alla riflessione e alla condivisione.

-La mia infanzia non è stata felice, come potreste pensare, tanto per cominciare. Vi chiederete cosa mai abbia potuto sconvolgere la vita di questo “povero ragazzo ricco”, ebbene, la perdita dei miei genitori, di entrambi.

-Mi dispiace…-Susanna abbandonò la sedia a dondolo e lentamente raggiunse il suo ospite sullo scalino, sedendoglisi accanto.

-Rimasi sotto le cure e la protezione della mia sorella maggiore Rosemary che si comportò come una madre. Ebbe un figlio, Anthony, che io amai come un fratello minore. Quando avevo solo quindici anni, morì anche Rosemary e mi trovai all’improvviso da solo, e in procinto di farmi carico di tutte le responsabilità della famiglia.

-Eravate molto giovane, allora.

-Esattamente. All’inizio si occupò di tutto mia zia, ma cominciai da subito a frequentare gli avvocati di famiglia e gli investitori per imparare, diciamo così, il mestiere. Ricordo quando venivano a trovarci i parenti per delle riunioni di famiglia che duravano anche tutto il fine settimana, allora indossavo il kilt e suonavo la cornamusa, mi esibivo davanti a tutti ed era considerato da tutti il simpatico rampollo che avrebbe fatto tanta strada.  Ricordo che fu durante una di queste interminabili riunioni che incontrai per la prima volta Candy.

-Candy? Ma allora poteva essere una bambina…

-Doveva avere all’incirca sei anni. Quel pomeriggio non ne potevo più di tutti quei parenti, dei loro buffetti e delle loro attenzioni. Avevo da poco suonato la cornamusa e  mi sentivo soffocare, così mi allontanai alla ricerca di un po’ di pace, volevo stare da solo. Feci un giro per la vasta proprietà della famiglia,  mi colse un temporale. Rimasi a lungo al riparo di un grande tronco d’albero ad osservare la pioggia, fin quando smise di piovere ed io decisi di fare ritorno in villa.  Fu allora che vidi quella bambina che stava piangendo. Riconobbi subito la solitudine nei suoi occhi. Poi non la rividi più per anni…

-E  cosa faceste, in tutti quegli anni?

-Poco tempo dopo aver conosciuto Candy decisi di lasciare questa casa e tutte le sue comodità per vivere da solo come un nomade, uno zingaro. Mia zia Elroy, che all’apparenza poteva sembrare arcigna e di vedute ristrette, dopo un po’ approvò. Le dissi che se fossi ancora rimasto lì la malinconia mi avrebbe ucciso. Non è possibile che un ragazzo di sedici anni continui a pensare al passato invece di proiettarsi sull’avvenire. Credo che la mia giovane età  abbia influito positivamente sulla sua comprensione. Ma non so perché vi sto raccontando tutto questo…

-Tutti hanno bisogno di sfogarsi, di trovare qualcuno disposto ad ascoltare. Vi prego, continuate…se vi può aiutare, trovo molto attraente ciò che mi raccontate.

-Questa cosa mi fa piacere…. Vissi per tanti anni da solo, ramingo nella mia stessa proprietà, trascorrendo parecchie notti sotto le stelle ed altre, quelle più fredde, cercando riparo nelle vecchie casupole di legno che ancora oggi punteggiano i dintorni. A volte venivo sorpreso dai miei stessi attendenti, gente che lavorava per me senza saperlo ma che scambiandomi per un vagabondo, mi cacciava via senza troppi riguardi. Una volta uno di loro mi sparò ,e fu per poco che non mi ferì seriamente. Passai diversi anni in questo modo, e il mio aspetto cambiò sensibilmente…divenni un uomo...mi feci crescere la barba. Anche se il cambiamento più importante avvenne dentro di me.

-Posso immaginarlo.

Albert le raccontò di Londra, dell’Africa, del periodo trascorso senza memoria e di quello in cui la recuperò. Del periodo durante il quale abitò con Candy in un appartamentino modesto di Chicago e dei suoi primi tempi da capofamiglia. Di come si fosse trasformato in un abile uomo d’affari e di come rimpiangesse la sua vecchia vita. Del perché avesse adottato Candy e dello stupore che questa aveva provato nello scoprire la verità sull’identità del suo vecchio amico.

Susanna ascoltata incantata. Più volte le venne in mente di chiedergli di raccontarle di Candy e Terence ma poi  la sua mente appassionata  alle storie preferì farsi cullare dal racconto della strana vita di quel tipo che da qualche giorno era entrato prepotentemente nella sua esistenza.

Per una volta sentiva che c’era qualcosa di diverso e forse di più grande della sua ossessione verso un uomo che non la ricambiava. Di colpo si sentì infinitamente piccola e insignificante davanti alla grandezza e alle possibilità della vita. Ma felice.

Venne la sera, e la luce delle stelle timidamente venne a rischiarare quel buio, ma i due quasi non se ne accorsero.

       

Candy, sei una bugiarda!-pensò Candice Andrew seduta da sola in un elegante ristorante nel centro di Chicago. Si era fatta accompagnare dall’autista degli Andrew dicendo che andava a cena con un’amica e lo aveva congedato dichiarando che sarebbe tornata con un’altra carrozza. Ma non c’era nessuna amica. Archie sapeva che avrebbe cenato con Patty, non avrebbe potuto essere più coerente.

Non aveva voluto coinvolgere Patty perché non aveva voluto raccontarle la verità. La sua amica si sarebbe preoccupata  se avesse saputo che aveva intenzione di andare a  vedere Terence recitare e andar via subito dopo la rappresentazione senza salutarlo. Patty le avrebbe certamente detto che si stava solo facendo del male. E avrebbe detto bene. Ma il desiderio di vederlo, e soprattutto di accertarsi che stava bene, erano stati più forti.

Candy  al ristorante si guardò intorno: c’erano tante coppie e l’aria era riscaldata dalla luce soffusa delle lampade al centro dei tavoli. Permise a se stessa di indugiare nelle sue riflessioni: la presenza amichevole ma ogni tanto invadente di Archie e l’ombra che Susanna aveva proiettato da quando si era stabilita in villa non le avevano lasciato molte occasioni di ritrovarsi da sola con se stessa.

Pagò il conto a andò via. Il cameriere la guardò non senza una certa curiosità: non erano molte le donne che cenavano da sole al ristorante. Per di più, la ragazza non aveva voluto raccontare la storia dell’amica che deve arrivare e poi non si fa più viva, ma aveva subito detto di essere da sola.

Il teatro era a soli tre o quattro minuti di strada a piedi, e Candy godette del piacere di quella camminata e dell’aria fresca, dopo aver passato un’ora al chiuso. Una volta entrata, all’impiegato che con fare discreto le tolse il cappotto disse il suo nome, e questi la accompagnò verso uno dei palchi con la vista migliore sulla scena. Quel palco era stato assegnato ad un ricco banchiere di New York giunto a Chicago per affari e alle sue rimostranze, alla notizia che era stato cambiato di posto, gli era stato detto che il vecchio palco presentava dei difetti e che la direzione del teatro non poteva fare una figura tanto misera davanti ad un personaggio tanto illustre. Il banchiere si era convinto.

Era stato Terence ad insistere tanto perché assegnassero a Candy quel palco, e alla fine l’aveva spuntata.

La rappresentazione iniziò e Candy strinse più forte nelle mani l’oggetto che avrebbe lasciato sulla sua poltrona di velluto: uno dei nastri che indossava ai tempi del collegio e che facevano pendant con la divisa.
   
 
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