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Autore: Gens    15/01/2015    2 recensioni
La vita non è semplice. Non lo è mai.
Camille perde tutto, conquista qualcos'altro. Ma il passato è meglio del presente?
Riuscirà a mantenere ciò che ha ricevuto? O tutto scomparirà come in un sogno?
"Se non lotti per ciò che desideri, non piangere per ciò che perdi."
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I suoi genitori sono morti in un incidente stradale.

Era questa la frase che si ripeteva nella mente di Camille dagli ultimi dieci minuti.
La prima volta che gliel’avevano detto, aveva sentito le gambe molli e alla fine non avevano retto il suo peso. Si era accasciata a terra e i due agenti si erano subito piegati per aiutarla.
Camille non riusciva a crederci, come era possibile che fosse successo?
Aveva mille domande, ma queste non sembravano intenzionate ad uscire dalla sua bocca.
L’unico suono che rompeva quel macabro silenzio era quello dei suoi singhiozzi e delle sue lacrime che colpivano il pavimento.

I suoi genitori sono morti in un incidente stradale.
Ancora quelle parole, a ronzarle nella mente, a scorticarle il cuore fino ad arrivare all’anima. Quelle parole che la stavano distruggendo, la stavano disintegrando, non lasciando più nulla.
È questo il problema del dolore. Esige di essere sentito.
E Camille lo stava sentendo, in ogni fibra del suo corpo, in ogni spazio del suo essere.
Era così forte che il resto sembrava essersi annullato. Sembrava caduto in un silenzio sordo.
Riusciva a sentire solo il suo dolore irradiarsi per la stanza, per la casa, per poi allargarsi sempre di più.
E voleva darci un taglio, voleva finirla, voleva cacciare via quei sentimenti che la stavano torturando.
“Vada a dormire” le disse l’agente che era rimasto in piedi nella stanza fino a quel momento, in silenzio, aspettando che la ragazza assimilasse la notizia. “Una pattuglia rimarrà di guardia e domani mattina la scorteremo al municipio”.
Camille annuì, e si diresse al piano di sopra. Ma di dormire non se ne parlava proprio.
La ragazza rimase così: gli occhi spalancati e rossi, colmi del dolore che la stava divorando, che fissavano l’immagine di quella che era stata la loro vita insieme.
Pensò che adesso era davvero rimasta sola.
-
La mattina dopo, qualcuno bussò alla porta della sua stanza.
Camille non aveva chiuso occhio neanche per un secondo, e sperò che tutto quello che era accaduto non fosse altro che un incubo, e dalla porta che adesso si stava aprendo sarebbe entrata sua madre sorridente, che le diceva di svegliarsi perché altrimenti avrebbe tardato a scuola.
Ma non fu così.
Un’agente della polizia fece capolinea nella stanza, i capelli biondi e gli occhi verdi colmi di comprensione per quella ragazza che così giovane aveva perso tanto, quasi tutto.
“Mi spiace tanto, sono venuta ad avvisarti che ti porteremo in municipio tra un’ora esatta, così hai tempo di prepararti” le disse la donna, quando si accorse che era sveglia.
Camille si mise seduta e annuì, facendo intendere che aveva capito, e l’agente la lasciò sola.
La ragazza si strinse forte la testa tra le mani e ricominciò a piangere, senza sosta.
Non ce la faceva, non poteva farcela, ma doveva.
Così, dopo aver cercato per molto tempo di calmarsi, si preparò e scese le scale per raggiungere gli agenti che l’aspettavano fuori casa sua.
Non le interessava cosa sarebbe successo, sapeva solo che ogni cosa aveva perso la sua importanza.
Salì su una delle auto e non staccò gli occhi dalle sue gambe fino a quando non dovette scendere. La lasciarono ad aspettare fuori dall’ufficio, e quell’attesa si stava rivelando uno strazio.
Voleva solo tornare a casa e stare da sola, aveva bisogno di pace.
“Cam!” si sentì chiamare ad un certo punto.
Una donna che piangeva voltò l’angolo e seguita dal marito si diresse verso la ragazza che si era messa in piedi e che l’aspettava, con le lacrime agli occhi e un senso di abbandono.
“Tessa” sussurrò, perché non ce la faceva a parlare più forte, era troppo.
Tessa le corse incontro e l’abbracciò, cercando di rassicurarla.
Sua madre aveva sempre avuto ottimi rapporti con quella donna, dal primo giorno che aveva messo piede in ufficio, e Theresa era diventata come la sorella che aveva perso anni prima. Lei e suo marito William erano diventati amici stretti dei suoi genitori e l’avevano vista crescere. Erano come degli zii per lei.
Tessa si staccò e tenendo le mani salde sulle spalle della ragazza, la guardò.
Non aveva parole. Come puoi avere parole in un momento simile?
Camille si staccò, solo per affondare tra le braccia di William che le accarezzava i capelli, cercando di fermare i singhiozzi che erano diventati troppo forti.
“James… Jem sta arrivando” disse Tessa.
James era il migliore amico di suo padre, quello che lui aveva definito la sua ‘anima gemella al maschile’, quello con cui era cresciuto, una delle persone a cui teneva tanto e di cui sua madre era anche gelosa. Sì, perché pensava che se James fosse stato una donna, sarebbe stata piantata in asso da suo marito.
“Che mi faranno? Dove andrò?” chiese Camille tra i singhiozzi, ancora stretta tra le braccia di William. Adesso stava avendo paura. Che ne sarebbe stato di lei?
“Non lo sappiamo, siamo qui proprio per questo” disse William, staccandosi e rispondendo lucidamente. Anche nei momenti peggiori sapeva essere forte, ed era per questo che sua moglie l’amava. Sarebbe sempre stato la sua ancora.
Camille annuì e si risedette, con accanto William e Tessa. Quest’ultima le stringeva forte la mano, per darle forza. Ma Camille non ci riusciva, ad essere forte.
“Eccovi” una voce, seguita da passi di corsa.
La ragazza si girò, e vide James venirle incontro. L’abbracciò.
L’avevano vista crescere, era anche la loro, di bambina.
“Salve” esordì un uomo, che ruppe quel momento di dolore e lacrime.
“Voi dovete essere Theresa, William e James” disse l’uomo, indicandoli uno ad uno. Questi annuirono, e restarono in silenzio, mentre James accarezzava una spalla di Camille per tranquillizzarla.
“Potrei parlarvi nel mio ufficio?” domandò ancora l’uomo.
Tutti lo seguirono nell’ufficio e prima di chiudersi la porta alle spalle, James le dedicò un ultimo sguardo.
-
Camille era rimasta sola per troppo tempo, e continuavano a tenerla fuori da tutto.
Si stava davvero innervosendo quando vide i tre adulti uscire dall’ufficio.
“Verrai con noi a casa” le disse Tessa avvicinandosi e circondandole le spalle. “E starai con noi. Il funerale è venerdì pomeriggio, ce la vedremo noi, tu non devi preoccuparti di nulla”.
Dire quelle parole sembrava molto stupido, perché come poteva una ragazza che aveva perso i suoi genitori non preoccuparsi di nulla?
“Rimarrò con voi?” chiese lei, a bassa voce. Dire quelle parole già le costava troppo.
“Per il momento sì, tesoro” le rispose Tessa.
Per il momento.
Tutti e quattro uscirono dal municipio, Camille ancora stretta a Tessa, il dolore a renderli una cosa sola.
 -
Quel venerdì mattina anche solo alzarsi dal letto si rivelò qualcosa di impossibile per Camille.
Sentiva ancora la ferita della perdita che bruciava, la sofferenza che non accennava a placarsi.
Non uscì dalla stanza in cui stava per tutto il giorno fino a quando William, che bussò alla porta nel pomeriggio, le comunicò che di lì a venti minuti sarebbero andati al cimitero e che doveva essere pronta.
E venti minuti dopo Camille si ritrovò nel vialetto della casa che non era la sua casa, pronta per andare al funerale dei suoi genitori.
Ma lei non era pronta, non era pronta a nulla.
Non era preparata a dover vedere due tombe nere che custodivano i corpi dei suoi genitori, non era pronta a rassegnarsi alla loro perdita, non era pronta a tutte quelle facce che avrebbero detto ‘Mi dispiace’ senza che sentissero la metà del dolore che lei provava.
Così, quando scoppiò a piangere, non tentò nemmeno di trattenersi perché lei non era pronta.
Niente le impedì di correre dentro la chiesetta non appena mise piede fuori dall’auto, né i richiami disperati di Tessa, né la voce di Will. Si avvicinò alle bare e cadde sulle ginocchia. Non poteva farcela.
James, che era già dentro la chiesa, le si avvicinò e alzandola di peso la mise a sedere sul primo banco, continuando a ripeterle parole rassicuranti.
Pian piano arrivarono tutti: amici, conoscenti, colleghi, tutti venuti ad assistere a quella che era l’avventura più pericolosa della vita: la morte.
La cerimonia fu semplice, e tutti decisero di parlare, e toccò anche a Camille.
Tessa l’aveva avvisata e la ragazza aveva annuito, ma sapeva che non ce l’avrebbe fatta.
Salì sull’altare e si avvicinò al microfono posto tra le due bare, le guardò entrambe, prima di sussurrare: “Io…” la sua voce riecheggiò per tutta la chiesa. “Io volevo solo dire che…” tentò di nuovo, ma un singhiozzo le impedì di continuare.
Sentiva il suo cuore distruggersi, perdere pezzi ad ogni parola pronunciata, ad ogni singhiozzo soffocato.
“Vi voglio bene” sussurrò. “Mi dispiace” si scusò, prima di scendere dall’altare e abbandonarsi sul banco, come se quegli ultimi cinque minuti fossero stati i più faticosi della sua vita.
Pochi furono quelli che restarono dopo aver fatto le condoglianze.
Le due bare sul prato stavano per essere seppellite e per essere allontanate per sempre.
Camille si guardò intorno, e tutte le persone che vide non furono altro che ombre grigie sullo sfondo nero del suo dolore. C’erano i visi più familiari, come quello della sua migliore amica Isabelle, o del suo vicino di casa Simon, e quelli che non riconosceva, come quello di un ragazzo della sua età dai capelli ricci e chiari, che vestito di nero teneva le mani abbandonate lungo il suo corpo, il viso contratto dal dispiacere.
Non gli interessava di loro, niente aveva importanza.
Stavano per portarli via da lei, per sempre.
Si avvicinò alla tomba della madre: “Me l’avevi promesso” sussurrò. “Tu me l’avevi promesso!” urlò questa volta, battendo un pugno sulla tomba. “Avevi promesso che non te ne saresti andata, che saresti rimasta!” continuò ad urlare Camille, coi singhiozzi che le riempivano il petto e gli occhi pieni di lacrime.
“Me l’avevi promesso” sussurrò abbandonando la fronte sulla tomba.
“Tesoro, dobbiamo lasciarli andare…” cominciò Tessa, cercando di tirarla via.
“NO!” urlò Camille, divincolandosi. “Io… Io non li ho neanche salutati per bene! Loro non sanno che li amo con tutta me stessa!” la spinse via.
“Sì che lo sanno” le disse, cercando di prenderle il braccio.
“No che non lo sanno! Lo sai cosa è successo prima che uscissero di casa, quella maledetta notte?” Camille la sfidò, e Tessa non le rispose. “È successo che abbiamo litigato e le ultime parole che ho detto sono state ‘Vi odio’. Vi odio, capisci Tessa? Sono morti con la consapevolezza che li odiassi!” sputò fuori Camille, che non ce la faceva più a tenere quel peso sul cuore.
La ragazza si avvicinò alla tomba del padre, strisciando con le ginocchia. “Mi dispiace tanto, papà. Mi dispiace per tutto” disse, accarezzando la bara come se fosse il volto di suo padre.
William le si avvicinò e la sollevò di peso,  e Camille lo lasciò fare.
“Mi dispiace, vi amo” furono le ultime parole che disse, prima che le bare entrassero nel terreno e venissero seppellite, allontanate da lei per sempre.
-
Camille era seduta a terra, poco distante dal luogo di sepoltura dei suoi genitori, e aspettava Tessa e William. Aveva visto James dire loro qualcosa per poi avvicinarsi ad una coppia, che era affiancata dal ragazzo che aveva visto prima. La donna con cui Jem stava parlando le dava un non so che di famigliare, ma in realtà non ci stava pensando molto.
Sollevò appena lo sguardo dall’erba per vedere William, Tessa e James avvicinarsi, accompagnati dalla strana coppia col ragazzo e un uomo con una cartellina sotto il braccio.
Tessa le si sedette accanto e la strinse a sé, e quando Camille le rivolse un’occhiata confusa, lei fece un leggero cenno del capo verso l’uomo con la cartellina.
“Salve signorina Smith. Innanzi tutto accetti le mie più sincere condoglianze per la sua perdita” cominciò l’uomo.
Camille annuì e si tirò su, perché era stanca di osservarlo con la testa sollevata e il collo piegato.
“Sono il giudice che si sta occupando del suo caso, e sono venuto a dirle cosa le accadrà ora” quelle parole fecero gelare il sangue nelle vene della ragazza, che si prese le braccia tra le mani e se le strinse, in ansia.
“Probabilmente sarebbe stata data in affidamento ai signori Campbell, se non avessimo scoperto dell’esistenza di una sorella da parte di madre. L’abbiamo contattata e lei si è resa disponibile nell’accoglierla a casa sua” finì l’uomo.
“Che cosa?” sbottò Camille, che sperava di non aver capito bene.
“Le presento sua zia, Maia Collins” disse l’uomo, indicando la donna. Ecco perché le era così familiare, era identica a sua madre: riusciva a riconoscere i tratti del viso, il verde brillante degli occhi, il modo di stringersi continuamente il labbro inferiore tra i denti.
“Mi vuole far credere che alla donna a cui non è mai importato dei miei genitori e di me, e che ha abbandonato mia madre facendole del male, adesso importi di tenermi con sé?” urlò Camille, che era davvero arrabbiata.
Tutti diventarono più tesi, e nessuno sembrava voler proferire parola.
Ma Maia Collins ruppe il silenzio: “Ho avuto i miei motivi per fare quello che ho fatto” rispose, in modo che a Camille parve cattivo. “Ma adesso ti vogliamo con noi, siamo l’unica famiglia che ti è rimasta” continuò, addolcendo la voce. Tentò di avvicinarsi per sfiorarle un braccio, ma lei si allontanò bruscamente.
“Voi non siete la mia famiglia!” la contraddisse Camille, stringendo le mani in due pugni che le fecero sbiancare le nocche.
“Io non vivrò con loro, mai” sottolineò l’ultima parola, facendola pesare tonnellate.
“Mi dispiace” le rispose il giudice. “Ma lei non ha scelta. Loro sono la sua famiglia e-”
“Loro non sono la mia famiglia!” urlò.
Tutto il dolore accumulato si stava trasformando in rabbia, una rabbia più che giusta agli occhi di Camille.
“Il vincolo di sangue la costringe a stare con loro, mi spiace davvero. Però credo sia la scelta migliore per lei, ne sono sicuro. Ci risentiremo” disse, prima di congedarsi.
“Tu non dici niente?” sbraitò contro Tessa, che però non si tirò indietro.
“Io non posso fare niente, e neanche Will o Jem, ci spiace tanto” si scusò.
Tessa le accarezzò il braccio, per calmarla un po’, ma Camille si scostò.
Non voleva essere toccata, non voleva essere più toccata da nessuno.
Camille si sentì gli occhi pizzicare.
“Ti verremo a trovare, te lo prometto” disse Jem. “A costo di volare dieci volte al mese”.
“Basta – si lamentò Camile – basta promesse! E che significa che volerete?” domandò, sperando che i suoi sospetti non fossero giusti.
“Abbiamo il volo lunedì mattina, spero che riuscirai ad organizzare tutto” disse Maia.
E il mondo le crollò addosso.










SALVE! 
Mi ero ripromessa che avrei aggiornato presto, ma c'è stato un inizio settimana che mi ha tipo sconvolto tutto, perché ho scoperto di essere una delle poche fortunate ad aver vinto il concorso dei 5sos che mi permette di andare al concerto e al m&g e quindi non ho fatto (e faccio ancora) altro che pensare a questo e piangere e tremare ogni volta che ci penso. I'm not okay.
Nonostante questo, il capitolo è qui. Quello precedente aveva delle visite, nessuna recensione, ma pazienza: ci tengo troppo per smettere di pubblicare.
Per ora è tutto. A presto! :)
  
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