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Autore: Gens    11/01/2015    2 recensioni
La vita non è semplice. Non lo è mai.
Camille perde tutto, conquista qualcos'altro. Ma il passato è meglio del presente?
Riuscirà a mantenere ciò che ha ricevuto? O tutto scomparirà come in un sogno?
"Se non lotti per ciò che desideri, non piangere per ciò che perdi."
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Camille aprì gli occhi, e sbadigliò appena portandosi una mano alla bocca.
Si stropicciò la faccia ancora assonnata e si mise seduta, posando lo sguardo sull’orologio del comodino.
Era ancora presto.
Sua madre Clarissa aprì la porta ed entrò in stanza, dirigendosi verso la sedia dove erano ammucchiati i vestiti sporchi che doveva lavare.
“Sei già sveglia?” le chiese sua madre, scegliendo quali magliette lavare prima.
La ragazza annuì, ricordandosi il perché era già sveglia a quell’ora.
“Va tutto bene?” le chiese ancora, vedendo lo sguardo turbato della figlia e i suoi occhi lucidi.
Lei annuì ancora. Sua madre lasciò cadere le cose sulla sedia e si avvicinò al letto, sedendosi ai piedi della ragazza. “È successo qualcosa?” le domandò, accarezzandole i capelli.
Camille scosse la testa. “Ho avuto un incubo” sussurrò, con la voce rotta.
Abbassò lo sguardo, e cercò in tutti i modi di cacciare via le immagini di quell’incubo dalla mente, ma queste non sembravano fermarsi, anzi; erano chiuse in un ciclo di pensieri che sembrava non interrompersi mai.
“Vuoi parlarne?” chiese Clarissa, che aspettò una qualche reazione della figlia.
Lei sollevò la testa e con le lacrime agli occhi e la voce rotta, disse solo: “Non te ne andrai, vero?”.
Sua madre spalancò gli occhi sorpresa da quella domanda, ma subito capì quale era stato l’incubo di sua figlia. “No che non me ne andrò, rimarrò sempre qui” le promise, abbracciandola e lasciando che quel terrore scivolasse via da lei.
“Promettimelo” sussurrò Camille.
“Te lo prometto”.
-
Camille corse fuori di casa e a passo svelto si diresse verso il luogo dove la sua amica Isabelle l’aspettava per andare a scuola. L’incubo e la conversazione con la madre l’avevano turbata a tal punto che aveva ritardato e adesso doveva fare in fretta affinché entrambe arrivassero a scuola in tempo.
Quando arrivò al luogo stabilito, Isabelle giocava col cellulare. Era una persona troppo attiva per starsene ferma con le mani in mano.
“Eccomi!” si fece notare dall’amica, che mise il telefono in tasca e l’affiancò, mentre si incamminavano verso la scuola.
“Come va stamattina?” le chiese Isabelle. Era una domanda di routine, quella che fai per iniziare una conversazione.
“Bene, tu?” le chiese Camille, giocando con le dita.
Non voleva dirle dell’incubo e della conversazione con sua madre, perché ora, a distanza di tempo, sembrava una cosa stupida e per bambini piccoli.
Avere gli incubi era una cosa normale, tutti ce li avevano, e molte persone li avevano di quel tipo. Semplicemente quella volta era toccato a lei.
“Bene. Sono in ansia per l’interrogazione, ma quello è normale” Isabelle sospirò, sollevando le spalle.
Camille annuì. Anche a lei quell’interrogazione metteva ansia, ci teneva alla scuola così come ai voti. Erano qualcosa di fondamentale per lei. Non poteva andare male, la scuola era tutto in quel momento della sua vita.
“Penso che tutti lo siamo, tre ore sono tante. Potrebbe interrogare tutti se solo lo volesse” affermò Camille, storcendo la bocca in segno di disappunto.
“Quella stronza” si lamentò Isabelle.
Varcarono il cancello principale e si incamminarono verso il loro posto preferito del cortile, quello sotto l’albero. “È il mio peggior incubo” continuò, passandosi una mano tra i capelli.
“Ci sono incubi peggiori” le rispose, ma Isabelle non riuscì a sentirla, perché la campanella suonò e il rumore coprì la sua voce.
“Cosa?” le chiese Isabelle quando tutto quel caos cessò.
“Niente, dicevo solo che stava per suonare la campanella ed è suonata mentre lo dicevo” Camille le sorrise, prendendo un po’ di quella vitalità che quella mattina le mancava.
“Solita veggente” scherzò Isabelle, prima di prenderle il polso e trascinarla dentro scuola con la massa di studenti che, di malavoglia, si accalcava all’ingresso.
Mentre salivano le scale parlando del più e del meno, Camille diede una gomitata ad Isabelle, facendola smettere di parlare: “C’è Harry!” le disse entusiasta.
“Dove?” chiese la ragazza, guardandosi intorno.
“Lì!” Camille fece un cenno col capo verso la direzione giusta.
“Lì dove?” chiese Isabelle, visibilmente irritata.
“Lì, sulla scala a sinistra” le fece un altro piccolo cenno col viso.
Isabelle guardò in quella direzione e finalmente lo vide. Le strinse il polso e: “Quanto è bello?” chiese, con le scintille negli occhi.
Camille rise, divertita da quella situazione. “Non lo so, dimmelo tu” scherzò, continuando a ridere.
“Perché non sono popolare” si lamentò Isabelle continuando a guardare il ragazzo dai capelli ricci e gli occhi verdi. “Devo rinunciarci, vero?”.
L’amica ci pensò un po’ prima di rispondere. Isabelle poteva essere popolare se solo l’avesse voluto, ma aveva scelto lei, e il fatto che fosse sua amica la allontanava un po’ da quello che era il resto del mondo.
“Ma no, non devi. Non sai mai quello che può succedere” le disse, alzando le spalle.
“Già” rispose Isabelle, che donando un ultimo sguardo a Harry entrò in classe, seguita da Camille.
-
La giornata scolastica era stata lunga e pesante. Il momento peggiore era sicuramente stato quello delle tre ore di interrogazione, dal quale Camille era uscita con un nove e mezzo, mentre Isabelle con un otto. Avevano discusso molto su questo, su quanto difficile fosse stata e su come Camille avesse fatto a prendere un voto così alto, anche se non era una novità.
Quando uscirono da scuola, videro correre loro incontro un bambino piccolo, di appena cinque anni, e i capelli scuri come la sorella. Isabelle era uguale a suo fratello se non per gli occhi: quelli di lui erano di un azzurro intenso, che contrastavano coi suoi color cioccolato.
“Alex!” lo salutò, prendendolo in braccio. Alexander serrò le piccole braccia intorno al suo collo e le diede un bacio sulla guancia.
“La mamma è fuori che ci aspetta” disse il bambino, giocando coi capelli della sorella.
Camille guardò intenerita quella scena, aveva sempre desiderato avere un fratello.
“D’accordo, allora io vado” fece per congedarsi Camille, ma il suo tentativo fu vano.
“No Lille” disse Alex, che il nome intero della ragazza non lo sapeva proprio dire. “Vieni con noi” continuò ancora.
“Sì, ti diamo un passaggio, ovviamente” sorrise Isabelle.
Succedeva sempre così: i genitori di una delle due un giorno si presentavano a scuola per riportarle a casa e l’altra faceva per andarsene, ma prontamente veniva bloccata dall’offerta di un passaggio.
Isabelle lasciò andare Alexander che si mise a correre verso l’uscita, seguito dalle due ragazze che non distavano molto da lui.
Il bambino correva fino a quando non si scontrò contro qualcuno e cadde col sedere a terra. Gli occhi gli si fecero lucidi e iniziò a piangere.
Il ragazzo che l’aveva preso in pieno proprio non si era accorto di lui, e mentre il resto del suo gruppo si allontanava, lui si piegò sulle ginocchia e rimise in piedi il bambino.
“No bel bambino, non piangere” cercò di rassicurarlo, asciugandogli le lacrime e togliendogli lo sporco dai pantaloni.
Le sue consolazioni però furono bloccate dall’arrivo della sorella, che preoccupata si assicurò che suo fratello stesse bene.
“Scusami, io non l’avevo proprio visto” si scusò il ragazzo, che piegato sulle ginocchia controllava ancora le condizioni del bambino.
Isabelle spostò lo sguardo dal bambino per incontrare gli occhi verde scuro del ragazzo e quando si accorse di chi aveva di fronte a sé, spalancò la bocca per la sorpresa.
“Non preoccuparti, stava correndo, era alta la possibilità che cadesse” gli rispose, senza riuscire a staccare lo sguardo dai suoi occhi.
Harry si alzò, e Isabelle fece lo stesso, sotto lo sguardo divertito di Camille.
“Mi spiace ancora” si scusò il ragazzo, infilando le mani in tasca.
Isabelle sorrise, e prese suo fratello in braccio.
“Io sono Harry” continuò ancora il ragazzo, senza staccarle lo sguardo di dosso, porgendole una mano.
“Isabelle” rispose lei, stringendogliela e tenendo Alexander in equilibrio su un braccio.
Lui le sorrise, per poi accorgersi della presenza di Camille. Porse la mano anche a lei e “Harry” si presentò.
Lei gliela strinse e “Camille”, sussurrò.
Harry sorrise ancora una volta a Isabelle e se ne andò, lasciando la ragazza con la bocca ancora semiaperta.
Dopo questo evento per niente previsto, continuarono ad incamminarsi verso l’uscita e nel frattempo Isabelle dava baci sulla guancia ad Alexander e gli ripeteva: “Io ti amo. Sei il bambino più bello e fantastico che esista! Per questo dovrei regalarti tutto quello che vuoi. Ti amo!” e Camille rideva.
Arrivati all’auto salirono tutti e tre nei sedili posteriori, accompagnati dal saluto della madre di Isabelle: “Ciao ragazze! Come è andata oggi a scuola?” chiese accendendo il motore e dirigendosi verso casa di Camille.
“Bene” risposero all’unisono le ragazze, e Camille pensò che ad Isabelle era andata davvero bene.
La guardò con la coda dell’occhio e si accorse che teneva lo sguardo fisso fuori dal finestrino, e sorrideva. Sorrideva come se fosse il giorno più bello della sua vita.
“Avete tanto da studiare per domani?” chiese ancora la madre di Isabelle.
La figlia era così persa nei suoi pensieri che toccò a Camille rispondere: “Un po’”.
La signora annuì, svoltando a destra e avvicinandosi sempre di più a casa sua.
Arrivati di fronte al vialetto di casa, Camille scese e dopo aver salutato tutti, si avvicinò al portone d’ingresso e prese le chiavi dalla tasca, aprendo la serratura.
“Sono tornata!” urlò per farsi sentire. Appese le chiavi e salì al piano di sopra per lasciare la giacca e lo zaino.
Dopo aver lasciato tutto ed essere scesa in soggiorno, vide sua madre con gli occhiali intenta a fare dei calcoli e Camille si stese sul divano, chiudendo gli occhi e rilassandosi un po’.
“Papà?” chiese dopo alcuni minuti di silenzio.
“Torna tra un po’” le rispose sua madre, senza staccare gli occhi dal foglio che aveva sotto il naso.
Camille lanciò uno sguardo verso l’orologio e si accorse che era tardi, doveva iniziare a studiare, così salì al piano di sopra e preso il libro di francese cominciò a studiare tutti gli argomenti che avrebbe trattato il compito il giorno successivo.
Erano le otto e mezza quando scese con il libro in mano per prendere qualcosa da bere. Presa la sua lattina di Coca Cola, che era una fortuna vedere nel frigorifero, e continuò a studiare stando sul divano.
“Sei proprio sicura di non voler venire con noi stasera?” esordì suo padre, sedendosi sulla poltrona lì vicino e continuando ad aggiustarsi il collo della camicia.
“Lo sai che verrei se non avessi questo compito domani” si lamentò Camille, sfogliando il libro nel tentare di fissare gli argomenti in testa.
“Non sei abbastanza pronta?” le chiese lui, rilassandosi sulla poltrona.
Camille scosse la testa in segno di negazione.
“Hai finito Jace? Tra poco dobbiamo andare” disse sua madre, entrando in cucina.
“Sì, aspettiamo un po’ o arriveremo troppo in anticipo” disse lui, e sua moglie si accomodò sull’altra poltrona, chiudendo gli occhi, stanca da quella lunga giornata.
“Sai mamma” disse Camille, chiudendo il libro ma lasciandoci un dito dentro per non perdere il segno. “Sei giovane ancora, potresti farmi un fratellino”.
La madre guardò suo padre, che le sorrise.
“A volte mi sento sola, voi vi siete mai sentiti soli?” chiese Camille, alternando lo sguardo dal padre alla madre. Quando vide le loro espressioni confuse, cercò di spiegarsi meglio. “Intendo, mi sento sola senza un fratello o una sorella, è una mancanza che non si può soddisfare con altro” disse, prendendo un sorso dalla sua lattina.
Sua madre abbassò lo sguardo, e subito dopo si alzò: “Quando hai una sorella e questa ti abbandona, beh, quella mancanza fa più male” disse, e mettendosi alle sue spalle, gliele strinse delicatamente.
“Andiamo?” chiese al marito.
Lui annuì, e si recò verso l’ingresso, ma non prima di rivolgersi alla figlia un’ultima volta: “C’è del prosciutto nel frigo e dei panini per cena”.
Camille annuì, ma prima che i suoi potessero andarsene domandò qualcosa che era nella sua testa da troppo tempo. “Sentite! Ma per quel concerto che vi ho chiesto?” chiese, sollevando la testa per guardarli meglio.
“Dobbiamo parlarne proprio ora?” chiese suo padre, che già cominciava ad innervosirsi.
“Sì” rispose acida Camille. Erano settimane che cercava di parlarne e i suoi evitavano sempre l’argomento, ma il tempo passava e i biglietti finivano.
“Non è momento” le rispose sua madre, che spingeva suo marito verso l’ingresso.
“Per voi non è mai momento! Vi odio!” rispose infuriata Camille, prima di andare in cucina e sbattersi la porta alle spalle.
Poté sentire la porta di ingresso chiudersi e l’auto del vialetto allontanarsi sempre più, e lei non ebbe alcuna risposta.
-
Dopo aver cenato, si era lanciata nuovamente sul divano e si era dedicata alcuni minuti di televisione prima di continuare a ripetere francese. Dopo aver fatto un po’ di zapping e aver sbollito la rabbia che aveva accumulato, riprese gli argomenti concentrandosi solo su quelli.
 
Da come scattò al suono ripetitivo del campanello, Camille capì di essersi addormentata sul divano.
Imprecò: sicuramente i suoi genitori avevano dimenticato le chiavi. Lanciò uno sguardo al grosso orologio appeso alla parete e si accorse che era veramente tardi.
Andò all’ingresso e aprì il portone, ma quello che vide non fu quello che si aspettava.
Due auto della polizia erano parcheggiate nel vialetto con le luci accese, e due uomini erano in piedi davanti la porta.
Camille sollevò le sopracciglia, sorpresa.
“Lei è Camille Smith?” chiese l’agente sulla sinistra.
La ragazza lo guardò ancora sorpresa, per poi rispondere: “Sì, sono io”.
L’uomo annuì: “Dobbiamo parlarle”.











Salve! Questa è la prima fanfiction che ho scritto sui 5sos.
Ci tengo particolarmente, proprio perché è la prima, e ci lavoro su da settembre, se non anche qualche mese in più.
Il prologo, come potete vedere, è semplicemente uno spaccato della vita quotidiana di Camille. Possiamo dire che la storia vera e propria inizierà dal prossimo capitolo.
Spero che mi lascerete un parere, e per ora è tutto. Alla prossima!
(Se ci sono errori chiedo scusa, li correggerò presto anche se credo che vada tutto abbastanza bene visto le numerose volte che l'ho riletto hahaha)
  
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