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Autore: Locked    17/01/2015    7 recensioni
Crossover: Glee/Colpa delle Stelle. AU!Klaine.
Dal testo:
Ci sono storie d’amore che iniziano al contrario.
Storie d’amore che non hanno senso, ma forse la verità è che ne hanno troppo.
Storie d’amore che valgono la pena di essere raccontate anche se fa male, anche se frantumano il cuore e lo calpestano fin quando non c’è più niente.
Questa è la storia di Kurt e Blaine – la storia di un amore avversato dalle stelle, che forse è solo una favola con un lieto fine diverso.
*
“Perché mi fissi così?”
“Perché sei bellissimo.” Blaine spalanca gli occhi e si ritrova a perdersi nel sorriso sbilenco di Kurt e nelle mille lentiggini sparse sulle sue guance come stelle in una galassia. “E perché se c’è una cosa che questo stupido cancro mi ha insegnato è godermi i piaceri della vita, e guardare le persone belle rientra tra questi.”
“Non sono –“
“Lascia decidere a me per cosa vale la pena perdere la testa, okay?”
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel, Santana Lopez, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Brevissime note iniziali:

Vi rubo dieci secondi, sul serio, ma ci tengo da morire a ringraziare ogni singola persona che abbia aperto questa storia, tutte quelle che l'hanno seguita, ricordata o addirittura preferita, e un abbraccio a Zurry, Fé, kissmycollarbones, Anto, alli, Paola, Anna_Vik, mia moglie Je, Dakota Auree e Mary che l'hanno addura recensito.
Siete la dolcezza, e mi togliete il fiato ogni volta. <3

 


Capitolo 2



Se Blaine dovesse scegliere un solo aggettivo per descrivere il viaggio in macchina con Kurt, è sicuro che sarebbe qualcosa di molto simile a scombussolante, poco importa che non sia neanche sicuro che sia una parola vera. Si prepara all’ennesimo impatto contro il materiale rigido della cintura di sicurezza e trattiene un po’ il respiro, quando vede la figura di un semaforo avvicinarsi.
“Giuro che la patente ce l’ho davvero. Ho passato l’esame al quarto tentativo. L’esaminatore disse che avevo una tecnica interessante.” Blaine ridacchia un po’ e maledice ogni legge della fisica che implica quel gioco di forze che ad ogni frenata lo fa sentire come una palla da basket nelle mani di un cestista.
“Un Premio Cancro?” Kurt si volta giusto per un attimo e annuisce, il sorriso sbilenco ancora fisso sul suo viso, e Blaine si ritrova a pensare che è strano. E’ strano parlare con qualcuno che ha vissuto esattamente quel che ha vissuto lui eppure non sembra curarsene. Qualcuno che sa che i Premi Cancro non sono altro che quei regali inaspettati che vorresti che una persona che tiene a te ti donasse di sua spontanea volontà – che invece ti ritrovi davanti solo perché sei malato, e che a quel punto non sei nemmeno più sicuro di desiderare davvero – , ma non ne parla con quella punta di rimpianto che pizzica nella gola di tutti gli altri.
“Blaine Anderson, non dirmi che la mia interessante tecnica da provetto guidatore ti ha fatto addormentare.” Blaine gli regala una risata brillante in gli risposta.
“Credo che sia altamente improbabile.” Kurt alza gli occhi al cielo e la macchina sobbalza – letteralmente – sotto di loro.
“Come stai, Blaine?” Blaine si volta e fissa il suo profilo – la curva dolce della mascella, le labbra sottili, il naso all’insù e gli occhi acquosi – e si ritrova a parlare senza neanche rendersene conto.
“Me l’hanno diagnosticato a tredici anni. Alla tiroide. E’ stato un periodo – buio. Prima un’operazione, poi tonnellate di farmaci che non servivano a nulla, chemioterapia e flebo. A quattordici anni stavo solo peggiorando, tanto che per un po’ tutti temettero la fine. Mia madre, mio padre, mio fratello – tutti erano con me in ospedale e mi ripetevano che ero pronto, che sarebbe andato tutto bene comunque. E poi mi somministrarono questo farmaco, il Phalanxifor, una medicina sperimentale che apparentemente funzionava solo su una minima parte delle persone a cui veniva propinato. Inesplicabilmente, ero in quella minima parte. Ora ho due polmoni. Due polmoni che come polmoni fanno schifo, ma che in qualche strano modo funzionano – grazie all’ossigeno e a dosi massicce e regolari di Phalanxifor, quindi be’ – è tutto.”
L’auto di Kurt singhiozza altre due o tre volte, prima di arenarsi sul vialetto acciottolato di quella che Blaine presuppone sia casa Hummel. Sente il familiare click di una cintura slacciata e poi la sua voce rimbombare nei propri timpani – nonostante Kurt abbia appena sussurrato.
“Credo che tu sia una persona molto coraggiosa, Blaine Anderson.”
 
*
 
“Ecco a te la mia umile dimora.” Blaine si guarda un po’ intorno nel piccolo atrio accogliente e si attorciglia un ricciolo alle dita. Un piccolo quadretto appeso al muro – più che quadretto è uno stralcio di stoffa infilato in una cornice colorata – attira la sua attenzione. La famiglia è per sempre, è la breve frase che vi è ricamata con un sottile filo azzurro; inarca appena le sopracciglia e si volta verso Kurt.
“I miei li chiamano gli Incoraggiamenti. Principalmente la moglie di mio padre, in realtà. Mio padre è più il tipo di persona che adora questo genere di cose ma non sarebbe in grado neanche tra un milione di anni di crearle.” Blaine sbuffa una risata e alza gli occhi al cielo.
“E’ carino,” mormora.
“Tesoro? Sei tornato?” Una voce dolce e femminile rimbomba  contro le pareti dell’atrio e Kurt alza appena il tono per risponderle “Sì, Carole!”, e fa come per afferrare la mano di Blaine non aggrappata al carrellino e trascinarlo con sé. Si ferma giusto un attimo prima di chiudere le proprie dita attorno alle sue, e Blaine si ritrova ad assaporare il fantasma di quella stretta col respiro incastrato in gola.
 
Attraversano un corridoio abbastanza largo che sbuca direttamente nella cucina – Blaine si rende conto con una punta di stupore che quei quadretti sono disseminati su ogni parete della casa –, dove una donna bella in un modo materno e un uomo dagli occhi azzurri e la testa priva di capelli stanno rimestando qualcosa di apparentemente complicato da preparare in una ciotola gialla.
“Burt, forse è meglio che faccia io – “
“Giuro che ce la sto facendo, è solo che questa cosa sta diventando molliccia – ehi, figliolo!” Kurt alza gli occhi al cielo e si avvicina all’uomo, schioccandogli un bacio sul naso e rubando una ditata dell’impasto; si porta il dito alle labbra – Blaine sposta il peso da un piede all’altro a disagio, a quel gesto – e torna accanto a Blaine, che è rimasto per tutto il tempo ancorato alla porta.
“Papà, Carole, lui è Blaine Anderson. Uno dei ragazzi del gruppo di supporto. E noi stiamo andando a colmare le sue lacune cinematografiche nel seminterrato. Loro sono mio padre e la moglie di mio padre, nonché madre del –“
“MAMMA!”
“—mio fratellastro dalle corde vocali di un tenore, Finn.” Un tornado colorato sbuca dalla porta della cucina come a sottolineare le sue parole – Blaine fa appena in tempo a scansare il carrellino, prima che venga travolto assieme a lui stesso – e un ragazzo esageratamente alto fa il suo ingresso in cucina in tutta la sua goffaggine.
“Mamma, devo passare a prendere Rachel tra –“, una breve pausa in cui Finn controlla freneticamente l’orologio al proprio polso, “—tre minuti e mezzo e non trovo la felpa blu!”
“Tesoro, è nell’armadio, dov’è sempre stata.” Finn sembra risvegliarsi tutt’un tratto; saltella appena e abbraccia velocemente Carole, prima di voltarsi e quasi – scontrarsi di nuovo con Blaine.
“Finn, ti presento Blaine Anderson.”
“Solo Blaine,” dice lui porgendogli la mano per una stretta veloce.
“E’ il tuo ragazzo?” chiede Finn, e Blaine sente la pelle delle guance sfiorare la stessa tonalità della propria felpa rossa scolorita.
“Oh – no! Voglio dire, noi siamo solo – uhm. Solo compagni di gruppo di supporto?” Kurt ridacchia mentre incespica nelle parole e Blaine gli scocca un’occhiata violenta. Non è propriamente sicuro che delle occhiate possano essere violente, ma tant’è. A quel punto Finn lo guarda meglio – lo scannerizza, in realtà, ma per la prima volta dopo troppo tempo a Blaine non dà fastidio – e gli offre un sorriso appena accennato.
“Be’, solo – Blaine, devi essere una persona speciale, perché Kurt  non ha mai portato a casa solo – un – compagno – del – gruppo – di – supporto.” Kurt gli tira un pugno sul braccio destro.
“Fratellino, non hai detto che Rachel ti sta aspettando?” Finn sbuffa e si lancia fuori dalla porta tanto veloce quanto vi è entrato. Kurt alza gli occhi al cielo e si rivolge alla schiena di suo padre, momentaneamente impegnato a rovesciare l’impasto in una teglia che sembra avere tutta l’intenzione di spiaccicarsi al suolo, “Io e Blaine andiamo di sotto a vedere un film.”
“Non se ne parla.”
“Ma papà!
“Il nostro divano è comodissimo, potete vederlo qui.” Kurt arriccia appena il naso – forse Blaine dovrebbe smetterla di trovarlo adorabile, ogni volta che lo fa – e borbotta “Ma volevo far vedere a Blaine il seminterrato!”
“Va bene, poi tornate su a vedere il film.”
“Vuoi fermarti a cena, tesoro?” La testa di Carole spunta dallo sportello della piccola credenza da cui sta racimolando qualche bicchiere. Blaine alza la testa dalle mattonelle quadrate e levigate del pavimento, prima di aprirsi in un’espressione vagamente stupita. Si ritrova a guardare alternativamente Carole, Burt, Kurt e di nuovo Carole, prima di offrire un “Sono vegetariano” a mezza voce.
“Non c’è problema!” esclama lei, regalandogli un sorriso che non è completamente sicuro di meritarsi.
“Allora – sì, be’, grazie signori Hummel …?” Si rende conto che sembra più una domanda che un’affermazione troppo tardi, ma i due coniugi devono prenderla abbastanza bene, perché scoppiano a ridere entrambi.
“Chiamaci Burt e Carole, figliolo. Non farci sembrare più vecchi di quanto già non siamo.” A quel punto anche le labbra mordicchiate di Blaine si sciolgono in un sorriso; “Lo terrò a mente.”
L’ultima cosa che sentono provenire dalla cucina, quando si voltano per dirigersi verso il famigerato seminterrato, è il “Porta aperta!” urlato da Burt e soffocato appena, verso la fine, dalla risata genuina di Carole.
 
*
 
E’ semplice riconoscere la camera di Kurt – che si è scoperta essere proprio il seminterrato che Blaine doveva “assolutamente vedere” – rispetto al resto della casa. Innanzitutto, non esistono Incoraggiamenti,lì.
La compattezza delle pareti azzurrine è interrotta solo dalla presenza di un armadio gigantesco e una scrivania disordinata altrettanto larga addossati al muro. Altrimenti ci sono solo mensole. Mensole alte, basse, sottili e di legno o colorate e spesse. E sono ricolme di fotografie incorniciate. Ci sono letteralmente centinaia di momenti intrappolati in scatti particolarmente artistici – un’alba violacea, una manciata di gocce di pioggia sparse sulla superficie liscia di una foglia verde, il sorriso brillante di una ragazza –; alcuni sono addirittura autografati con una piccola dedica all’angolo della fotografia.
“Se te lo stessi chiedendo, sì: le ho scattate io.” Blaine spalanca la bocca e si volta a guardare Kurt, appoggiato di sbieco alla cornice della porta, un sorriso divertito che gli gioca sulle labbra. “Tranne quelle autografate, ovviamente. Quelle sono state scattate da fotografi famosi e mi sono state regalate. Premi Cancro, sai.”
“Be’, quelle scattate da te sono bellissime.” Kurt ridacchia, quando lo vede afferrare cautamente una cornice e portarsela vicino agli occhi per osservarla meglio.
“Grazie, suppongo? In realtà non mi piace la fotografia.” Blaine gli scocca un’occhiata che è un po’ incredula e un po’ adorabile, e lui continua, stringendosi un braccio attorno alle spalle fasciate dal maglioncino celeste. “Magari all’inizio, credo. Ho imparato a scattare fotografie con la vecchia macchina fotografica di mia madre, a sei anni, e finché lei è rimasta con me – ad insegnarmi, a condividere con me la sua passione – era qualcosa di meraviglioso. Poi lei è morta, quando avevo nove anni.” Blaine è sicuro che il respiro che ha appena preso sia stato troppo rumoroso, perché si ritrova gli occhi asciutti e azzurri di Kurt puntati nei suoi e per un attimo quell’aria gli si incastra in gola e tutto resta immobile.
“Da quel momento in poi ho semplicemente – smesso. Non riuscivo neanche più a tenere in mano una macchina fotografica, ma ero in grado di vedere quanto questo ferisse mio padre. Lui – non mi ha mai imposto nulla. Credo semplicemente che soffrisse nel vedere come anche quell’ultimo frammento di lei che era rimasto in me si stesse inevitabilmente sbriciolando. Quindi col passare del tempo ho ripreso a scattare fotografie, fino a quando tutti non hanno iniziato a credere che fosse la mia unica vera passione. E da qui i Premi Cancro,” soffia, gesticolando appena con le mani per indicare le mensole. Blaine vorrebbe chiedergli qualcosa in più, vorrebbe andare lì e abbracciarlo – perché quanto può aver sofferto un ragazzo del genere, in soli diciassette miseri anni di vita? –  e allo stesso tempo vorrebbe essere in grado di dirgli qualcosa di più sensato, ma tutto ciò che riesce ad articolare è un piccolo scusami, prima di incespicare verso il letto cercando di non gettare a terra il carrellino. Affonda nel materasso e si porta le mani alla fronte, respirando profondamente per cercare di ricordare ai propri polmoni che sì, fanno schifo, ma non adesso, non adesso non adesso non adesso.
Kurt gli si avvicina cautamente e si siede affianco a lui, mormorando un ehi sottovoce; Blaine si volta e sorride appena. “Scusa, polmoni inutili,” soffia con la voce che assomiglia più a un sospiro; “Mi dispiace,” dice poi, e per la prima volta Kurt sente che quelle due insignificanti parole che nessuno perde mai l’occasione di rivolgergli forse così tanto insignificanti non sono.
 
*
 
Sono sprofondati nel divano del salotto a guardare I love shopping da una discreta quantità di tempo, quando Kurt si volta verso di lui e Blaine distrae l’attenzione dai riccioli rossicci della protagonista – Hugh Dancy tra l’altro è un attore bellissimo, e non ha assolutamente idea di cosa ci trovi Kurt di così affascinante, dato che Blaine si è sempre visto come tutto ciò che di non-sexy esista su questo pianeta.
“Prima mi hai detto che deve esserci sempre qualcosa – una … hamartia?” Blaine gli rivolge un’occhiata incuriosita – più che altro è abbastanza sorpreso dal fatto che se ne ricordi –, prima di percepire le proprie guance scottare.
“La mia scenata è stata melodrammatica, puoi ammetterlo.”
“Mmmh, già,” Kurt ridacchia e si becca una gomitata tra le costole, il che lo fa solo ridere di più, tanto che alla fine sta praticamente sghignazzando e Blaine solo ha voglia di sprofondare la faccia in un cuscino. “Ma non è stato niente di esagerato. Dovresti conoscere la ragazza di mio fratello, lei sì che è melodrammatica.
 
“Una hamartia è un’imperfezione fatale, letteralmente.  Praticamente è tutto ciò che ti fa rendere conto che la perfezione non esiste. La costante che ti ricorda che dopotutto siamo umani.” C’è un piccolo silenzio imbarazzato, prima che Blaine riprenda a parlare; “L’ho imparato dal mio libro preferito, Un’imperiale afflizione, di Peter Van Houten.” Kurt si stiracchia appena contro lo schienale del divano.
“Credo di volerlo leggere.”
“E’ – davvero bello.”
“Parlami di te, Blaine Anderson.” E Blaine sa che dovrebbe essersi abituato a questo genere di uscite di Kurt – imprevedibili, eppure dettate da quel genere di ordine che ti porta a passare una serata sul divano di un semisconosciuto a trangugiare pizza vegetariana e bere coca-cola mentre parli di tutto e non parli di niente – ma la verità è che ancora lo destabilizzano.
“Uhm. Te l’ho detto, me l’hanno diagnosticato a tredici anni –“
“No, non della tua malattia. Di te.” A quel punto Blaine lo guarda – volontariamente. Cerca il suo sguardo di proposito e si ritrova ad aprire la bocca e a dire – tutto.
“Amo leggere. Tutto. Dai pretenziosi romanzi ottocenteschi agli stupidi romanzetti rosa che mia madre dissemina in ogni angolo della casa. Uhm – ho sempre desiderato viaggiare, anche se per me è praticamente impossibile. Non vado più a scuola, mi hanno ritirato tre anni fa e mi sono diplomato seguendo dei corsi da privatista. Mi piaceva cantare, mi piaceva tanto, ma ora i miei polmoni fanno schifo e ho ripiegato sul suonare – che è bellissimo, ma non è … non è la stessa cosa. Credo sia tutto qui.” Alla fine gli manca il fiato – ma non nell’accezione letterale di quell’espressione, quella che gli è più familiare. Gli manca il fiato in un modo bello e completamente nuovo.
“Sei proprio un bel tipo, Blaine Anderson.” Blaine sbuffa una risata e alza gli occhi al cielo.
“Ah, e sono gay. Se te lo stessi chiedendo.” Kurt lo guarda dritto negli occhi per un secondo.
“Non me lo stavo chiedendo—mpfh—“ A quel punto Blaine inizia a fargli il solletico e Kurt capisce che è completamente inutile rettificare che anche lui lo è.
 
*
 
“Blaine, posso lasciarti questo?” Kurt ha un’aria imbarazzata e Blaine deve letteralmente impedirsi di  stropicciarsi gli occhi per verificare se sta sognando o meno, perché se c’è una versione di Kurt che è sicuro di non aver mai visto è quella imbarazzata. Ad ogni modo, afferra il libro che gli sta porgendo e lancia un’occhiata alla copertina, mentre un’aria interrogativa gli si dipinge sul viso.
“George Orwell?” Gli abbaglianti dell’auto di Pam Anderson lampeggiano dietro di loro e rendono tutto bianco per un istante.
“Hai già letto 1984?” gli chiede Kurt.
“No, è sulla lista dei libri che leggerò prima o poi ma –“
“Allora leggilo. Vedrai che ne vale la pena.” Blaine sorride al suo entusiasmo e annuisce, mordicchiandosi appena il labbro inferiore. Alla fine decide che alle proprie paranoie penserà dopo, perché tutto quello che ha voglia di fare adesso è chiedere a Kurt “Ti va di rivederci?”, e quasi non riesce a credere di averlo detto a voce alta senza balbettare neanche una volta.
Lui comunque non sembra essersi offeso; al contrario, si apre in uno dei suoi sorrisi sghembi – anche se questo sembra più dolce degli altri. Ma forse è solo la mente di Blaine che così è ubriaca di sorrisi sghembi da non rendersi più conto di niente – ed annuisce.
“Perché ho come l’impressione che tu abbia già pensato a tutto e tra le pagine di questo libro ci sia il tuo numero di telefono?”
“A quanto pare mi conosci già fin troppo bene, Blaine Anderson.” A quel punto i fari dell’automobile sul vialetto di casa Hummel li abbagliano più di quanto i loro stessi sorrisi non stessero già facendo, e Kurt sbuffa una risata vagamente musicale; “Buonanotte,” gli dice, regalandogli uno sguardo diverso dagli altri.
“Buonanotte Kurt.” 








Note finali:
WELL, questo è sicuramente uno dei capitoli - tra quelli che ho già scritto - che più si discostano dall'originale. Kurt è più Kurt e meno Augustus e -- la fotografia. So che adesso può sembrare senza senso che sia quello il suo hobby-non-così-hobby, ma se vi fidate di me vi assicuro che tutto avrà un perché, poi.
Poi, 1984, parliamo di quel libro? *-* No, non ne parliamo perché altrimenti io inizio a sproloquiare e non finisco più. Dico solo una cosa: leggetelo. Anzi, ne dico anche un'altra, che ho scoperto per caso: 1984 ha ispirato il fumetto V perVendetta, da cui è stato tratto l'omonimo film. Ora, io non so se voi ve lo ricordate, ma il film che Augustus e Hazel guardano in TFIOS è proprio quel V per Vendetta, quello con Natalie Portman. E nulla, è una coincidenza ma mi ha fatto awware tantissimo. *-*

Ancora grazie ad ognuno di voi: ogni parola significa il mondo per me e non avete idea di quanto mi renda felice sapere ciò che pensate di un lavoro a cui tengo così tanto.
Vi abbraccio. *-*

PS: Guys, per chi volesse: Pagina Facebook & Ask.






 
   
 
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