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Autore: FrancescaPotter    18/01/2015    1 recensioni
Dal primo capitolo:"C'era una persona della quale la legge le impediva di innamorarsi. Una sola persona sulla faccia della terra e, ovviamente, Emma Carstairs si era innamorata proprio di quella persona. Si trattava del suo migliore amico, Julian Blackthorn. "
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Carstairs, James Carstairs, Julian Blackthorn, Theresa Gray, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mancavano poche ore al tramonto quando parcheggiarono l'auto in un'area di servizio nel mezzo dell'entroterra californiano. Le grotte erano infatti l'ultimo luogo del loro elenco di possibili nascondigli per Camille, ed Emma aveva oramai perso le speranze.
Avevano passato la mattinata a Downtown, dentro e fuori vecchi edifici abbandonati, senza trovare la minima traccia né di vampiri né di altre forme demoniache, ma Emma non si era data per vinta: avevano ancora tutta Los Angeles da esplorare. Nel pomeriggio si erano spostati in centro, nell'antico museo di storia naturale, per poi perlustrare da cima a fondo i tunnel della metropolitana in disuso, e non erano stati più fortunati. Si erano imbattuti in un paio di demoni hydra che avevano eliminato uscendone pressappoco illesi, solamente con qualche escoriazione sulla pelle, presto curata da un iratze.
«Andiamo e facciamola finita, muoio di fame.» Julian le lanciò un'occhiata complice da sopra il volante, e lei scosse la testa amareggiata.
«Mi dispiace di averti trascinato in questa situazione, Jules. Abbiamo solamente perso tempo, dannazione.» Strinse i pugni talmente forte che le unghie le si conficcarono nella carne, ma la sofferenza la distraeva dal groviglio di sensazioni che provava: amarezza, sconfitta, rabbia e rancore, da un lato; mentre dall'altro paura, disperazione, gelosia e un amore tanto profondo da far male al cuore.
Julian le afferrò la mano sinistra, mano con la quale scriveva e brandiva la spada, e le districò piano le dita per poi posarle piano un bacio sul palmo.
«Passare le giornate con te non è mai tempo sprecato.» La guardò fisso con quei suoi meravigliosi occhi del colore del mare e le sorrise, continuando a stringerle la mano. «Sarà meglio che ci sbrighiamo, manca poco al tramonto.»
Emma prese qualche respiro profondo per rallentare il battere impetuoso del proprio cuore, dovuto alla vicinanza di Julian, e si stupii di come una persona che conosceva da tutta la vita potesse farle ancora quell'effetto. Sembrava che i suoi sentimenti crescessero di giorno in giorno, rendendo quasi impossibile trattenerli.
Si morse la lingue e concordò con lui. «Hai ragione, diamoci una mossa.»
Scesero dalla macchina e si guardarono attorno con circospezione, per controllare che non ci fossero demoni in agguato dietro l'angolo.
Basse montagne rocciose si ergevano a pochi metri da loro, illuminate dal rosso sole prossimo al tramonto. Ai piedi del primo massiccio, dove sorgeva una profonda grotta buia, trovarono la carcassa di una volpe del deserto sgozzata.
Emma guardò Julian, che aveva già estratto la stregaluce con una mano e inforcato la balestra con l'altra, e lesse nei suoi occhi la sicurezza di un guerriero pronto ad affrontare l'inferno.
Non appena mise la mano sull'elsa di Cortana, una voce gelida proveniente dai meandri della caverna le fece accapponare la pelle. «Mi chiedevo quando saresti venuta da me, Emma.»
Camille Bealcourt uscì dalle tenebre, colpita dalla luce biancastra emessa dalla pietra angelica di Julian. Indossava un candido abito bianco che la faceva sembrare ancora più pallida e il suo viso, perfetto ma velato dall'ombra di tutti gli anni che aveva vissuto, ricordava quello di un angelo caduto direttamente nelle fauci dell'inferno. I suoi lunghi capelli dorati erano raccolti sul capo in uno chignon morbido, dal quale erano scappate alcune ciocche ribelli, e il suo portamento elegante e distaccato ricordava quello delle dame di corte ottocentesche.
«Cosa ti ha fatto pensare che volessi venire a cercarti?» Emma sfoderò la spada, gesto che suscitò l'ilarità della vampira.
«Non ne avrai bisogno, piccola Nephilim. Non è mia intenzione farvi del male.» Disse con una risata fredda che riecheggiò per tutta la grotta come un tuono temporalesco.
«Davvero»- Chiese sprezzante Emma. «Così come non avevi intenzione di uccidere i miei genitori?»
Un muscolo si contrasse nella mascella di Camille, come se quell'accusa l'avesse colpita nel profondo, ed Emma si chiese che cos'altro le stesse nascondendo.
«Ci sono molte cose che non sai.»
«Siamo qua per scoprirle.» Intervenne Julian che era stato in silenzio fino a quel momento. Anche se non puntava la balestra in direzione di Camille, Emma notò che una freccia era già posizionata, pronta ad essere scagliata ad un suo minimo movimento.
Camille parve accorgersi solo in quel momento di lui e lo osservò con intensità, squadrandolo da cima a fondo. «Un giovane Blackthorn.» Gli si avvicinò rapidamente, con la velocità che poteva essere propria solamente di un redivivo, e lo scrutò con ancora più attenzione. Emma agì di istinto e frappose la spada tra i due con fare protettivo: non le avrebbe permesso di fargli del male.
«Stai lontana da lui.» Disse laconica con uno sguardo che avrebbe potuto incendiare il ghiaccio.
«E' okay, Em.» Fece Julian mettendole una mano sulla spalla.
La sua stretta rassicurante fu un balsamo per la tensione di Emma, che riuscì a rilassarsi impercettibilmente e ad abbassare Cortana, mantenendo però salda la presa sull'elsa.
«Interessante.» Camille spostò lo sguardo dall'uno all'altra e vice versa, annuendo mesta tra sé e sé.
Com'è che tutti si stampano quell'espressione in faccia quando ci vedono? Si domandò Emma, che si stava spazientendo. Voltò la testa e si accorse che ormai il sole era tramontato, il che voleva dire che non era più sicuro per lor stare lì.
«Non abbiamo altro tempo da perdere.» Tuonò perentoria. «Hai ucciso o non hai ucciso i miei genitori?» La sua voce era dura come acciaio temprato, ma tutta quell'indifferenza soppesava litri di odio e rancore verso quell'essere che l'aveva privata dei genitori in così tenera età.
«Diciamo che non era in programma.» Camille sorrise sarcastica mentre si guardava le unghie perfette della mano. «Sono stata ingannata.»
Emma fece per gettarsi su di lei, ma un rumore all'entrata della grotta la paralizzò sul posto. Anche Camille e Julian avevano testo i sensi e si guardavano attorno spaventati.
«Chi altro sa che siete qui?» Chiese Camille, con una nota di panico nella voce che stonava con la sua consueta armonia.
Emma non rispose e si avviò verso l'uscita per controllare che non ci fosse nessuno, ma l'urlo di Camille la raggiunse prima che potesse accertarsene. «Carstairs!» Il tono di urgenza della sua voce la fece voltare. «Chi altro sa che siete qui? Come avete fatto a trovarmi?»
«La Regina del popolo fatato mi ha detto che eri in città.» Si tastò le tasche per qualche secondo e poi le lanciò il pezzo di legno che le era stato consegnato la sera precedente, non capendo il motivo di tanta agitazione.
Fu Julian a comprendere al volo, mentre Camille si precipitava all'aperto imprecando in una lingua antica che Emma non identificò.
«Il legno è stregato, non è vero?- Disse Julian, mettendo a posto i tasselli del puzzle e seguendo la vampira al di fuori della grotta. «Le Fate hanno fatto il doppio gioco: le abbiamo portate direttamente da te.»
Una volta che furono nella landa deserta l'aria fresca della sera investì il viso di Emma facendola rabbrividire. Il cielo aperto sopra di lei era blu cobalto, e non fece in tempo ad osservarlo che la voce agitata di Camille la riporto con i piedi per terra.
«Esattamente, sporchi tradit...»
Una freccia le colpì il braccio facendola ringhiare di dolore e sfoderare i lunghi canini affilati come lame.
Emma alzò Cortana, entrando in modalità di combattimento. In men che non si dica si ritrovarono accerchiati da cinque cavalieri del popolo fatato armati e bardati fino ai denti: era un'imboscata.
«Emma, attenta!» Urlò Julian, proprio mentre lei si girava e schivava una freccia infuocata, per poi conficcare la lama angelica nel petto di un guerriero che le era vicino.
«Dobbiamo proteggerla, Jules.» Disse lei, mentre si tuffava contro un cavaliere che sembrava più possente degli altri. «Ha informazioni che ci servono, non possono ucciderla!»
Non appena pronunciò queste parole si rese conto che Camille si era volatilizzata nel nulla come nebbia al sole, abbandonandoli in balia di una battaglia che stavano chiaramente perdendo. Prima di scomparire, però, aveva squartato la gola a uno degli avversari cosicché ora la sfida adesso era quasi alla pari.
Emma parò un fendente, ma il suo avversario la sbatté forte contro la roccia della montagna facendole vedere le stelle per il dolore. Annaspò e si accasciò al suolo cercando di prendere fiato, e quando spostò gli occhi sul volto del proprio assalitore un grido le si impigliò in gola.
Lì, davanti a lei, un occhio del colore dell'oro e l'altro del colore del mare che tanto amava, stava Mark Blackthorn.


«Mark.» Sussurrò, ma quello la guardava come se fosse una sconosciuta. La sollevò da terra e la spinse contro il muro, puntandole un pugnale alla gola.
«Mark, sono io! Emma!» Tentò di farlo ragionare lei, ma lui sembrava in una sorta di trans: non la riconosceva.
In quel momento si riversarono nell'improvvisato campo di battaglia una miriade di elfi, gnomi e altri abitanti del popolo fatato che li avrebbero sopraffatti nel giro di qualche secondo, se solo non fossero arrivati in loro soccorso grossi lupi pelosi. Infatti una decina di lupi mannari, probabilmente udendo i rumori della battaglia, aveva deciso di intervenire e di schierarsi dalla parte dei due poveri nephilim.
«Mark, lasciami andare.» Chiamò di nuovo Emma sull'orlo della disperazione. «Guardami, guardami e cerca di capire chi sono.»
Lui le ubbidì. La fisso negli occhi per un istante interminabile, durante il quale Emma pregò con ogni cellula del suo corpo che si accendesse in lui il lume del ricordo, e qualcuno sembrò ascoltarla: Mark lasciò andare la presa e si allontanò da lei velocemente.
Emma però non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo che si ritrovò circondata da creature del popolo fatato. In quel momento, mentre sferrava un fendente ad un elfo, sentì un dolore lancinante lambirle le viscere, e per un istante temette di essere stata colpita. Si portò una mano alla vita e si stupì quando non vide sangue sgorgare dalla ferita; e non vide neppure alcuna ferita perché, effettivamente, non ce n'era nessuna. Ma il dolore era lì, forte come se le avessero appena conficcato un pungiglione nella carne, e allora perché...
Alzò lo sguardo di scatto, e quando la consapevolezza di quanto era appena successo la travolse come un'onda anomala, sentì se stessa urlare così forte, che a stento riconobbe la propria voce.
Julian, a qualche metro da lei, era inginocchiato al suolo, una mano stretta sulla pancia e le braccia ricoperte di sangue. Il suo sangue.
Emma dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non dare di stomaco e per rimanere ancorata alla realtà. Intorno a lei continuava ad infuriare la battaglia, ma non ci faceva caso, tutto ciò che riusciva a vedere era Julian moribondo, accasciato al suolo, e un cavaliere del popolo fatato che lo sovrastava come un'alta torre, puntandogli una grossa lama argentata al collo, pronto a decapitarlo.
Emma si alzò di scatto mentre agguantava un pugnale dallo stivale, perse mezzo secondo per prendere la mia, fece un bel respiro e lanciò. Formulò una muta preghiera affinché il tiro andasse a segno: ti prego, papà, fai che lo colpisca. E poi: ti imploro, mamma, se puoi sentirmi, fa che Julian non sia morto. Fa che non sia morto, tutto, ma fa che non sia morto.
Se lo fosse stato lo avrebbe capito, avrebbe sentito parte della propria anima venirle strappa dal petto e ascendere al cielo insieme alla sua, ma il dolore non era ancora tanto atroce, per ora.
Emma non sbagliava mai, e anche quella volta l'arma si andò a conficcare esattamente dove lei aveva programmato, ovvero nel cuore di quell'essere che aveva anche solo osato puntare una spada contro il suo parabatai, contro il ragazzo del quale era innamorata, contro il suo migliore amico e contro la sua famiglia.
Li avrebbe uccisi tutti. Se fosse successo qualcosa a Jules, avrebbe dato loro la caccia e poi li avrebbe distrutti uno per uno senza la minima pietà.
Quando Julian alzò leggermente lo sguardo ed incrociò i suoi occhi, il mondo si fermò per un istante. Poi riprese a muoversi a rallentatore, ed infine accelerò di botto, cogliendola di sorpresa.
Il suo volto era esangue, simile ad un panno sporco, e dalla bocca gli usciva un rivolo di sangue scuro, che si pulì con aria incredula servendosi di un lembo della giacca. Emma non aveva bisogno di guardarlo in faccia per sentire il dolore e la disperazione che stava provando. Percepiva un groviglio di emozioni, ma dal fronte di Julian non arrivava la paura, quasi si fosse ormai rassegnato al suo destino; Emma, invece era logorata dall'angoscia. Lui la guardò, mimò "Mi dispiace" con le labbra spente, ebbe uno spasmo, e poi cadde a terra supino.
Fu questo a sbloccarla. Emma sapeva di essere veloce, ma quella volta superò se stessa. In un millesimo di secondo fu al suo fianco e gli prese la testa tra le mani ponendola nel suo grembo.
«Apri gli occhi, Julian. Ti prego, ti prego.» Quasi come fosse svegliato dalla sua voce, lui la ascoltò, ed Emma si ritrovò immersa in quel mare verde azzurro, che era restato estremamente brillante anche in una situazione del genere. Emma era accecata dalla paura, ed era proprio questo sentimento a permetterle di non uscire di matto: doveva salvare Julian, doveva salvarlo. Doveva, doveva, doveva.
Sfoderò il suo stilo ed iniziò a disegnare quanti più iratze possibili sulla parte lesa, concentrandosi e pensando con tutta se stessa guarisici, guarisci, guarisci. Ma i suoi sforzi sembravano essere vani, il sangue continuava a sgorgare impetuoso imbrattando ad entrambi i vestiti.
Julian borbottò qualcosa di incomprensibile ed Emma avvicinò l'orecchio alla sua bocca. «Veleno.» Riuscì a dire appena lui.
Ma certo, quella lamina doveva essere avvelenata, perché le rune non sembravano svolgere il loro dovere. Avevano bisogno dell'antidoto, ma prima ancora avevano l'impellente necessità di mettersi al riparo dall'impeto della battaglia.
Si scarabocchiò una runa della forza sull'avambraccio e poi sollevò di peso Julian, il quale sembrava leggero come una piuma. Corse fino alla loro auto, tra lance volanti e dardi infuocati, spalancò con forza la portiera e lo fece adagiare sul sedile posteriore.
«Emma»- Il suono della voce di Julian arrivò alle sue orecchie come un sussurrò lontano, ma abbastanza forte da imprimersi nel suo cervello e spingerla ad agire.
Si tolse la giacca e la poggiò sul suo fianco destro, laddove il sangue usciva copioso, per cercare di bloccare l'emorragia.
«Emma.» Ripeté Julian con le labbra sporche di sangue. «Emma, vieni qui.»
Lei premette la fronte contro la sua così forte che i loro nasi si scontrarono. Sentì l'odore del sangue inondarle le narici ma mantenne salde le mani sulla giacca.
«Io...» Iniziò lui, ed Emma lo zittì.
«Zitto, stai zitto e non dire niente. Pensa solo a non morire, Julian Blackthorn, perché se muori, sappi che ti odierò per sempre.» Julian colse la nota di panico nella sua voce ed ingaggiò una piccola lotta con le poche forze che gli restavano per liberarle le mani e prenderle tra le sue.
«Prenditi cura... degli altri, Em.» Disse con un rantolo. «Prenditi cura di loro.»
Julian stava iniziando ad assumere una tonalità vagamente simile al verdognolo ed Emma dovette stringere con forza i pugni per impedirsi di crollare e di iniziare a piangere.
«Promettimi che starai bene.»
Il dolore al fianco si stava facendo sempre più intenso, come se fosse lei quella ad avere uno spuntone conficcato nell'anca, e capì che non le restava altro tempo da perdere.
«Basta, chiamo l'Istituto.» Decise, sfoderando il cellulare dalla tasca posteriore dei pantaloni.
«No, non puoi.» Julian cercò di tirarsi a sedere e di avvicinarsi a lei, poi il dolore si fece così forte che fu costretto a rinunciare con una smorfia che fece venire voglia ad Emma di urlare. «Non possiamo, dobbiamo proteggere Mark.»
Allora anche lui lo aveva visto.
Mi dispiace, Jules, mi dispiace tanto.
Emma staccò il cellulare dall'orecchio, e si stupì di quanto la sua voce suonasse ferma in un momento del genere. «Non ho intenzione di lasciarti morire dissanguato nel retro di una macchina.» Scandì piano, irremovibile.
«Lo so.» Disse lui, prendendo il suo stilo e ponendolo nelle mani di lei, quasi come se le stesse affidando la propria vita, e forse era così. «E' per questo che tu ora mi aggiusterai.»



NOTE DELL'AUTRICE
Ciao a tutte!
Chiedo scusa per il rovinoso ritardo, ma tra la scuola e l'altra fan fiction che ho iniziato il tempo è proprio poco, purtroppo.
Spero in una maniera assurda che il capitolo vi piaccia e che non vi abbia deluso, vi ringrazio per le meravigliose recensioni che mi avete lasciato e per essere così fantastici da leggere ciò che scrivo. Grazie mille!
Con tanto affetto,
Francesca

P.S. La parte finale è proprio uno snippet rilasciato dalla Clare in persona :)
  
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