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Autore: Selandora    24/11/2008    10 recensioni
[Ho paura che segua le orme di Minato!]
Era ironico che l'uomo che aveva creato il sigillo di Naruto fosse quello che lo avrebbe aiutato una volta che esso avesse iniziato a spezzarsi. NaruSaku
Traduzione
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Yondaime
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
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Edo Tensei
Capitolo terzo - Prima parte










La bara era sorta dal suolo e s’era messa per diritto. Naruto l’aveva osservata, mentre si apriva, con occhi orripilati e quella rivelò un uomo di cui Naruto aveva solo sentito parlare in racconti di eroi tempo prima.

E i loro sguardi cerulei si erano incontrati.

Il cuore gli era balzato in gola e una rabbia cieca gli aveva offuscato la vista. L’uomo responsabile di tutte le sue sofferenze era in piedi di fronte a lui e tutto ciò che Naruto voleva era tirare fuori una katana e distruggerlo. Qualcosa lo aveva fermato, un irrazionale bisogno di parlargli, di chiedergli perché
- perché - avesse scelto Naruto.

Prima che potesse chiederglielo, Yondaime aveva sorriso. Era un sorriso che aveva visto così tante volte da non poterle contare, un sorriso che aveva ardentemente desiderato, ma mai ricevuto. Era un sorriso pieno dell’amore spontaneo e non corrisposto di un genitore e tutte le domande che Naruto avrebbe potuto fare scomparvero nell’oblio.

Scosse decisamente la testa e si disse che era un genjutsu. Non era Yondaime quello di fronte a lui. Quel sorriso non era rivolto a lui. Però non riusciva a convincersi mentre il suono di passi veniva smorzato dalla pioggia che cadeva in gocce come distrazioni d’argento. Naruto non riusciva a muoversi e poteva solo fissare il suo riflesso e il suo più grande nemico morto e incarnato.

”E’ da tanto che volevo vederti, sai,” la voce di Yondaime era stata sommessa e malinconica.

La pioggia veniva giù a dirotto su entrambi in protesta contro la loro riunione impossibile, ma nessuno dei due uomini l’aveva notato. Centinaia di risposte crudeli si erano affacciate nella mente di Naruto, ma lui non riusciva a pronunciarle. Il mantello bianco, il mantello che Naruto aveva inseguito per tutta la vita, frusciò e poi fu subito rimesso a tacere.

Quella scena si era già svolta nella mente di Naruto come una scena ben provata, leggermente diversa e migliore a ogni prova. Però seguiva ogni volta lo stesso copione; Naruto uccideva sempre Yondaime, rivelava l’Hokage una volta amato per il mostro che solo Naruto sapeva fosse e la Kyuubi, in qualche modo, svaniva nel nulla. Lui veniva accettato come l’eroe quale era e diventava Hokage.

Ma ora che il sipario s’era alzato ed era a un passo dall’esibizione finale, Naruto aveva dimenticato tutte le battute e anche l’argomento che all’inizio doveva essere trattato.

“Dev’essere stato difficile crescere da solo. Ci sono state tante volte in cui avrei voluto tornare indietro e mettere le cose a posto,” mormorò Yondaime.

Quell’uomo che conosceva da meno di cinque minuti già si era fatto strada sotto la sua pelle e amava Naruto così profondamente, così incondizionatamente che Naruto si ritrovò a domandare perché,
perché quell’uomo non era vissuto?

L’espressione sul volto di Yondaime era abbastanza da far cadere in ginocchio l’uomo più forte. Allungò esitante una mano callosa prima di posarla sulla sua spalla ampia, e incontrò lo sguardo fremente di un ragazzo cresciuto troppo in fretta.

“Mi dispiace così tanto,” disse alla sua eredità in un sussurro.

I suoi occhi blu elettrico si aprirono di scatto quando un dolore inimmaginabile gli esplose nello stomaco. Istintivamente si raggomitolò, stringendosi la pancia mentre a tratti il dolore si diffondeva in tutto il corpo. Sentiva distintamente grida familiari d’angoscia nella parte posteriore della mente, ma il dolore aveva la meglio.

Poi il tormento scomparve. Se n’era andato così in fretta che Naruto dovette fermarsi e pensare se non si fosse immaginato tutto. Era stato così intenso che non avrebbe potuto sperare di esserselo immaginato nemmeno nei suoi sogni più sfrenati.

Mentre incespicava verso il bagno decise di non dire a nessuno del suo breve mal di pancia. Era stato dimesso dall’ospedale appena tre giorni prima e non aveva intenzione di tornarci. Mentre si passava dell’acqua fredda sul volto fissò sovrappensiero lo specchio macchiato sopra il lavandino. Un viso simile a quello del doloroso ricordo lo fissò di rimando.

Namikaze Minato. Il nome gli lasciò un sapore amaro in bocca e allo stesso tempo lo riempì di un inaspettato calore.

Odiava Yondaime per avergli cacciato dentro un demone senza il suo consenso? Sì. Odiava Namikaze Minato? Non ne era ancora sicuro. Il loro strano incontro la notte della morte di Sasuke, non troppo tempo prima, aveva scosso le fondamenta in quel momento fragili della sua torreggiante antipatia per Yondaime, e onestamente non aveva più idea di cosa pensare di quell’uomo.

Un forte colpo battuto alla finestra lo fece sussultare e lui uscì dal bagno con la faccia abbronzata gocciolante. Vide un insistente falco messaggero e corrugò le sopracciglia dorate. Quando aprì la finestra l’uccello volò nella stanza e si posò comodamente sul letto. Lo fissò dal basso con sguardo curioso e Naruto sentì uno slancio di odio incontrollato contorcergli la faccia e resistette alla tentazione di distruggere l’uccello. Spalancagli occhi azzurri e improvvisamente scosse la testa per schiarirsela da qualunque insana intenzione avesse contro il volatile, chiedendosi da dove diavolo fosse venuta.

Il falco sollevò una delle zampe squamate e gliela porse in attesa. Naruto s’abbassò e slegò la stretta cordicella che teneva fermo un rotolo ancor più stretto. Quando ebbe finito di togliere il messaggio, il volatile schizzò via e volò fuori dalla finestra, diretto verso la torre dell’Hokage.

Il lettò s’abbassò quando Naruto vi si sedette e diede un’occhiata alla radiosveglia posata innocua sul comodino. Erano le quattro del mattino. Maledisse Tsunade tra sé e sé, chiedendosi se mandasse dettagli di missioni alla gente a quegli orari assurdi solo per farla incazzare. Non appena ebbe aperto il rotolo lo lesse velocemente.

Era una missione di livello C: doveva scortare una ragazza fino a Suna. Eraun’abitante del Paese del Tè e, siccome non sarebbe arrivata a Konoha se non due giorni dopo, Naruto aveva il tempo di fare i bagagli e prepararsi. Fu sollevato quando vide che Sai, Sakura e il maestro Kakashi sarebbero stati suoi compagni in quella missione, ma non potè che disperarsi nel vedere quanto essa fosse noiosa.

Fissando fuori dalla finestra il sole che, sorgendo, faceva splendere i tetti, sospirò. Voleva vedere Sakura.


***




“Vedi… Tsunade, mi dispiace,” la voce di Jiraiya era riluttante e bassa, ma risuonò nell’ufficio chiara come un campanello.

La Godaime alzò lo sguardo su di lui con curiosità e mise giù la penna. Riflettè che tutti i loro conflitti finivano così, con Jiraiya che si scusava per qualcosa che non aveva nemmeno iniziato a fare. Molto tempo prima sarebbe finita con Sandaime che insisteva perché ne riparlassero o Orochimaru che forniva quel po’ di buonsenso che riteneva necessario. Ma il passato se n’era andato da un pezzo e il presente li trascinava via. Non c’erano nessun Sandaime e nessun Orochimaru in quel momento.

“Per favore, potresti… Solo lasciare che mi occupi di Naruto?” chiese lui.

Lei sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia, incrociando le braccia sul petto. Il suo sguardo castano era accusatorio e Jiraiya lo incontrò con determinazione.

“Sai, non approvo quel che stai facendo,” disse dopo un lungo silenzio e lui sentì un piccolo sorriso distendergli il volto di fronte al suo benestare.

“Lo hai mai fatto?” domandò.

Le labbra di Tsunade si piegarono in un sorriso, che però non raggiunse i suoi occhi solenni. Con un sospiro si alzò, andò alla finestra e si mise ad osservare l’imponente monumento degli Hokage. La scultura di pietra che la raffigurava aveva la stessa espressione stoica che aveva velocemente portato via il tentativo di espressione felice sul volto vero. Risuonarono dei passi volutamente forti perché lei sentisse che l’eremita dai capelli bianchi le si stava avvicinando.

“Vorrei ancora che fosse finita diversamente,” la sua voce era incerta e riluttante. Il suo sguardo era fisso sulla giovanile scultura del profilo di Yondaime.

“Minato ha scelto di sacrificarsi per Konoha. Se non fosse stato per lui, saremmo tutti morti,” rispose lei più aspramente del voluto.

Lui rimase impassibile alle sue parole, scosse la testa e spiegò, “Non parlavo di Minato. Parlo di Orochimaru.”

La guardò con la coda dell’occhio, aspettando la sua reazione. Lei mosse gli occhi per un momento, colta alla sprovvista dalla spiegazione inaspettata. Tra loro s’allargò uno spiacevole silenzio mentre lei lottava per assimilare il significato dietro alle sue parole. Era come se si fosse ricordata che Orochimaru una volta era stato una persona a cui avrebbero affidato le loro stesse vite e che una volta pensavano di conoscere.

Jiraiya fece una piccola risata priva di divertimento. Nella sua voce c’era una sfumatura d’incredulità mentre domandava, “Non puoi aver dimenticato che una volta eravamo un gruppo, giusto? Io facevo sempre casino o cazzeggiavo, tu ti arrabbiavi con me e attaccavamo gran combattimenti. Però Sarutobi-sensei era un gran maestro e Orochimaru-“

“Lo so,” la sua voce era calma, ma tagliò le parole di Jiraiya come un coltello.

Da quanto tempo non pensava a lui? Il traditore dal volto pallido veniva sempre spinto in fondo alla sua mente, perché alcune cose erano troppo dolorose da ricordarsi. Immaginava che Jiraiya avesse ragione quando diceva che lei scappava quando non voleva fare i conti con la verità. Aveva nascosto anche i loro giorni di gloria, di quando tutto ciò di cui dovevano preoccuparsi erano le scadenze delle missioni e gli esami per diventare jonin e gli unici documenti con cui aveva a che fare erano rapporti di missioni lunghi tre pagine. Era come se avesse tagliato via da sé ogni ricordo che si collegasse a ciò che erano stati un tempo e solo allora Jiraiya li avesse ricavati fuori.

Il ragazzo dagli occhi ambrati era sempre stato a conoscenza del fatto che lei era attratta da lui, ma non ci aveva mai prestato attenzione ed era rimasto il silenzioso e misterioso personaggio che l’aveva inizialmente avvicinata a sé. Una missione di livello A andò male e una sospensione di un ponte che si ruppe fu, ironicamente, ciò che li legò assieme. Quando la corda si era spezzata e non aveva più sentito il legno marcescente sotto di sé, in un lampo tutta la sua vita le era passata davanti agli occhi ed era precipitata venti metri più giù, nelle rapide scroscianti del fiume.

Uno strato di sudore gli aveva incollato i capelli neri al volto pallido mentre le stringeva forte una mano. Anche lui stava scivolando e si sentivano le assi scricchiolare sotto di lui. Avrebbe trascinato di sotto pure lui, se fosse caduta, ed era l’ultima cosa che Tsunade voleva.

Lasciami andare, aveva gridato, devi continuare la missione

Lui aveva stretto i denti, la prima volta in cui lei vedeva qualcosa di simile a un’espressione sul suo volto solitamente indifferente. Sta’ zitta, Tsunade, ne usciremo insieme

E aveva tirato, i muscoli che si gonfiavano e il collo che si tendeva per lo sforzo. Lei aveva cercato di lasciare la sua mano, ma le sue dita sottili si erano infilate tra quelle della ragazza per tenere le loro mani assieme.

“Secondo te abbiamo mai significato qualcosa per lui?” la sua voce era quasi inudibile, ma lui ascoltò.

Il dolore nella sua voce tesa gli fece stringere il cuore. Un villaggio poneva delle responsabilità sui propri Kage, ma dimenticava che essi erano umani ed avevano necessità umane. Si domandò quale fosse stata l’ultima volta in cui lei aveva parlato con qualcuno, oltre a lui, di cose essenziali come gossip del villaggio e, molto più importante, Dan, e il collasso del loro gruppo.

“Se non avessimo significato nulla per Orochimaru non saremmo vivi. Ha avuto tante occasioni per ucciderci, ma non le ha mai sfruttate”, rispose semplicemente.

Vide la mano della donna contrarsi, come se lei avesse preso in considerazione l’idea di raggiungere la sua mano, ma ci avesse ripensato. La grande mano callosa di Jiraiya le toccò esitante la spalla prima di scendere lungo il braccio, fino alla mano, finché non infilò le proprie dita spesse tra quelle aggraziate di lei, come per tenere insieme due cuori spezzati.


***




Non appena Naruto ebbe chiuso la porta dietro di sé, il dolore esplose nuovamente nella sua pancia. Annaspò per la sua intensità e s’appoggiò contro il legno per sostenersi, chiudendo gli occhi mentre aspettava che passasse. Sembrava che un centinaio di spade avvelenate accoltellassero ripetutamente il suo stomaco, al punto che vide puntini bianchi danzare davanti ai suoi occhi. Di lì a poco sarebbe svenuto, pensò.

“Ehi, Naruto!” lo chiamò una voce familiare.

Strinse i denti, meravigliandosi dell’impeccabile tempismo di Sakura. Forse qualcuno aveva pianificato la sua intera vita per procurargli le condizioni più miserabili. Scuotendo la testa per liberarsi di quei pensieri pessimisti, capì che non tutto era stato terribile. C’erano stati il Gruppo Sette, e Sakura…

Una piccola mano s’aggrappò alla sua spalla e una scarica di elettricità, scorrendo lungo tutto il suo corpo, lo riempì di calore. Una rinnovata ondata di dolore prese velocemente il posto del calore e Naruto annaspò, con la faccia sudata.

“Sakura-chan, mi fa male lo stomaco,” confessò con voce roca, e lei aggrottò la fronte.

“Su, torniamo al tuo appartamento,” gli disse, facendosi scivolare sulla spalla un suo braccio.

Lei cercò le chiavi nella sua larga tasca e le infilò nella toppa. Girarono con un suono stridente che la fece trasalire, e Sakura aprì la pesante porta di legno con un piede. Lo avrebbe portato sul divano, ma non ce n’era uno; così riuscirono a raggiungere il letto, in un angolo della sua stanza, e Naruto vi si adagiò debolmente. Lei, mentre cingeva il suo stomaco con il chakra freddo e setoso che Naruto si era trovato a bramare inconsciamente nei giorni passati, si morse un labbro con aria preoccupata.

“Naruto, io ti porto all’ospedale,” decise a voce alta.

Lui le strinse improvvisamente un polso, gli occhi non a fuoco per il dolore, ma mortalmente seri. In un tono che non ammetteva repliche disse, tagliente, “No, non devi parlare a nessuno di tutto questo.”

“Sei stato male molto spesso, sta iniziando a preoccuparmi. Non riesco a capire cosa ci sia che non va, e penso che dovresti farti controllare,” spiegò.

Naruto scosse la testa e le disse, “Non voglio più andare all’ospedale, Sakura. Mi ricorda troppo della…”

La frase rimase incompiuta nell’aria tesa, ma era chiaro quale fosse la fine. La missione per ritrovare Sasuke. Sakura distolse lo sguardo di giada.

“Non puoi… Non puoi curarmi qui? Sei uno dei migliori medici, sai sicuramente curare qualcosa di stupido come questo,” Naruto borbottò debolmente, e Sakura sospirò, passandosi una mano tra i capelli.

Esitò prima di rispondere, “Se Tsunade mi scopre mi ucciderà,” Naruto rivolse le labbra all’insù in un leggero sorriso senza divertimento, “ma sei assolutamente sicuro di non aver bisogno di andare all’ospedale?”

“Sì, mi è successo nelle ultime notti, devo aver mangiato qualcosa che m’ha fatto male,” riflettè.

Il silenzio cadde tra loro due, e Naruto si trovò a fissare con aria assente Sakura, l’oggetto del suo amore non richiesto. Era così bella mentre sedeva lì, con la mattina che proiettava luce sulle sue fattezze affilate, da donna, che non fallivano mai nell’attirare senza sforzo l’attenzione degli uomini. Un piccolo, contemplativo sorriso gli piegò le labbra mentre capiva che gli piaceva averla lì, sul suo letto, nella sua stanza, con sé. Era un’idea sciocca e fugace, ma anche una che lasciò un profondo segno nella sua mente.

Alzò la mano verso il volto di Sakura e toccò con le sue ruvide dita le sue labbra piene e morbide, pensieroso. Stava nuotando in acque pericolose, ma per Sakura avrebbe fatto qualsiasi cosa. Le sue dita passarono alla guancia, poi allontanò lentamente la mano dalla sua faccia, evitando il suo sguardo per la vergogna.

Forse si stava muovendo troppo velocemente – no, sapeva che si stava muovendo troppo velocemente. Il loro migliore amico e l’uomo che lei aveva amato fedelmente per tanti anni era appena morto. Lei non avrebbe mai -

Delle sopracciglia sottili si chiusero sulle sue guance graffiate e improvvisamente Sakura fu troppo vicina. Comunque era troppo tardi, perché lei aveva già premuto le labbra, come il veleno più dolce, contro le sue e Naruto seppe in un secondo che avrebbe venduto l’anima al demonio per provare un altro attimo come quello.

Lei si staccò per prima, lo sguardo ardente che catturava il suo, sorprendentemente calmo e raccolto. La mente di Naruto era piena di ipotesi. Una delle più amare si fece avanti prepotentemente, quella in cui lei non lo amava, ma aveva solo bisogno di conforto e chi glielo avrebbe dato meglio di Naruto? Lui avrebbe potuto essere il rimpiazzo per quel Sasuke che non era mai stato.

Ma quando il rossore iniziò a salire sulle guance di Sakura e la ragazza distolse lo sguardo con un imbarazzo che gli faceva tenerezza, Naruto si trovò a desiderare di credere che lei lo amasse davvero.





T/N: Alloooora, eccomi di nuovo sui vostri schermi. Mi dispiace di avervi fatto aspettare tanto, ma tra i compiti estivi prima e la scuola adesso… ç__ç
Comunque ho diviso in due questo terzo capitolo per non allungare ulteriormente i tempi di aggiornamento. Questo capitolo è lungo qualcosa come otto pagine, quindi se avessi aspettato di aver finito la traduzione per pubblicarlo tutto intero ce ne sarebbe voluto ancora, di tempo… >__>
Prometto che cercherò di essere più assidua negli aggiornamenti…
Ah, e mi fa molto piacere che un paio di persone mi abbiano anche chiesto di aggiornare. Diciamo che grazie a loro mi son data una svegliata; è grazie a loro se ora sono qui con il terzo capitolo! ^.^

Kirjava


Se volete sapere a che punto sono con la traduzione, andate a vedere nel mio account. Troverete degli aggiornamenti sulla situazione =)
  
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