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Autore: Happy_Pumpkin    24/11/2008    11 recensioni
Anni dopo il caso Kira Near inaspettatamente si ritrova nell'orfanotrofio, dove incontra Matt, Mello e infine Elle. Ha la possibilità, dopo tanto tempo, di poter parlare loro un'ultima volta... eppure sente che c'è qualcosa di strano.
“Sto sognando?” chiese Near
 Elle alzò gli occhi verso il soffitto, infine tornò a scrutarlo chiedendogli:
“Tu cosa ne pensi?”
Genere: Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Matt, Mello, Near
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOGNO

SOGNO


Near aprì gli occhi con lentezza, infastidito da tutto quel brusio che si era venuto a creare attorno a lui.
Non ricordava nulla di quello che era successo da quando, nemmeno sapeva quante ore fa, si era addormentato.

Da tanto non gli accadeva di cadere in un sonno così profondo: chiudere gli occhi e lasciarsi cullare da un tepore che lo aveva fatto stare talmente bene da indurlo a non volersi muovere dal letto nel quale era sprofondato.


Ma ora era completamente sveglio e non capiva perché la gente con cui usualmente lavorava si fosse radunata nella sua stessa stanza. Non parlavano bensì bisbigliavano, come se avessero paura di disturbarlo.

Eppure lo sapevano che lui voleva stare da solo.
Tutto perché si era concesso il lusso di addormentarsi e, per una volta, non reggere le fila delle numerose indagini che stava svolgendo.

Chiaramente imbarazzato si alzò in piedi, abbassando lo sguardo nascondendosi dietro il ciuffo di folti capelli bianchi, quel colore eterno ed immutabile, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, che erano talmente tanti da potersi dire prossimo al pensionamento.

Con le mani lungo i fianchi, come per paura di toccare qualcuno, coperte dalle lunghe maniche bianche della camicia troppo larga per il suo fisico che da sempre era stato minuto, si allontanò dalla stanza evitando di parlare con gli astanti.

Ma questi non parevano fare troppo caso a lui, sembrava che l'unica cosa importante per loro fosse stata sapere che Near, meglio conosciuto come Elle, stesse continuando a lavorare.

Nonostante stesse male, nonostante il suo fisico non reggesse molto bene quei ritmi di lavoro che da anni continuava a fare.
Lui sarebbe andato avanti, in ogni caso.
Non aveva nulla da perdere, tutte le persone per lui importanti lo avevano lasciato molto tempo fa.

Camminò per un lungo corridoio, deserto e silenzioso, toccandosi con una certa tensione le ciocche dei capelli che, nonostante l'età, non volevano saperne di abbandonarlo.

Non aveva incontrato nessuno. Ne era contento, detestava gli altri... o meglio, lo mettevano a disagio perché erano imprevedibili e lui voleva che ogni cosa fosse perfettamente calcolata.

Si sentiva più leggero, mentre camminava, come se il suo corpo non fosse più tormentato dalle odiose fitte dovute ai troppi giorni passati chinato a terra, dove adorava stare per sentirsi completamente a suo agio.

Improvvisamente vide una porta semi aperta dalla quale traspariva una luce intensa.
Non seppe il perché ma ne fu terribilmente attratto.
Lì, pensò, nessuno lo avrebbe disturbato. Erano tutti troppo poco curiosi e banali per andarsene dalla sua stanza.
Aprì con lentezza la maniglia e attese di vedere cosa vi era oltre quell'apertura che lui non aveva mai notato.



In un primo momento fu avvolto solo da un bianco totale, quasi accecante. Poi mano a mano quel colore così intenso si diradò per lasciare il posto ad una stanza piuttosto piccola, dall'odore di vecchio e con le pareti dalla tappezzeria rovinata.

Un raggio di sole filtrava attraverso una finestra impolverata.

Si guardò un istante le mani che erano piccole, lisce, nascoste da un abito troppo grande per lui e infine i suoi occhi dardeggiarono verso uno specchio semplice, senza decorazioni, appeso alla parete accanto a diversi poster, foto e ritagli di giornale.

Era tornato giovane. Era tornato quel Near piccolo e debole che era sempre stato. Quel Near pallido con gli occhi nascosti dai rigogliosi capelli dal colore del latte.

Si ricordò, con una fitta dolorosa, di quella stanza che aveva visto per la prima e unica volta il giorno in cui Roger l'aveva portato a conoscere i suoi vicini di camera.

“Matt?” chiese quasi in un sussurro.
E vide il ragazzo a pochi metri da lui, sdraiato sul letto disfatto, le scarpe gettate a terra ed in mano una di quelle stupide consolle portatili con le quali tanto amava perdere il suo tempo.

Matt era morto. Eppure era li, con in bocca una sigaretta e sul comodino un posacenere dal quale si levava una sottile nuvoletta di fumo.

Pareva non essersi accorto di lui.
Con lentezza Near si accovacciò, toccando il pavimento freddo e rimanendo qualche istante seduto, contemplando quel ragazzo che, nella sua presunzione, aveva guardato ben poco.
I suoi mormorii, il suo spostarsi frenetico delle dita... sembrava tutto così vero, persino l'odore acre della sigaretta accesa.

In quel preciso momento, di assoluta perdita da parte del ragazzino, qualcuno bussò alla porta con una certa impazienza.

Near sussultò, scattando in piedi.
“Ehi vedi di muoverti ad aprire! Mi devi ancora quegli yen che ti ho prestato!”

Riconobbe quella voce. A tratti isterica ma terribilmente secca e graffiante.

Il ragazzo dai ribelli capelli rossi alzò gli occhi al cielo, sospirando, finché continuando a non staccare lo sguardo dallo schermo del videogioco si alzò con lentezza, andando ad aprire senza nemmeno volgersi in direzione del suo ospite.

Mello.


Mello con la frangetta calata sugli occhi ed i capelli biondi lunghi fino alle spalle ma senza la cicatrice che, negli ultimi giorni di vita, aveva cambiato tanto il suo aspetto.

Quando lo osservò, intento a protestare ad alta voce contro Matt, che sghignazzava nel vederlo perdere la pazienza, Near senza che lo volesse avvertì gli occhi umidi.
Si portò un dito vicino alle ciglia e sentì una lacrima bagnargli la pelle diafana.

Possibile?


Possibile che si sentisse tanto sconvolto nel ritrovare Mello, il suo primo ed unico rivale?

Il biondo orfano era esploso, nella maniera più crudele possibile... ma si trovava in quella stanza, con quello stesso atteggiamento di superiorità e aperta ostilità che dimostrava quando doveva parlare con gli altri.

Near senza pensarci si avvicinò. Mosse un passo, poi due, poi tre... fino a che non fu davanti a Mello e Matt, che continuavano a parlare come se lui non esistesse.

E infine, istintivamente, toccò la croce che Mello portava sempre al petto: quello era un sogno, un suo stupido e disperato sogno, che male c'era se osava fare una cosa impensabile quando il proprietario di quel monile era in vita?

Quest'ultimo improvvisamente si voltò e smise di parlare, così che anche Matt tacque, girandosi come lui verso Near.

Questi li fissò un istante ma stranamente non si sentì a disagio... lo aveva sempre voluto... che lo notassero che, in un modo o nell'altro, parlassero con lui.
E in tutti quegli anni di completa solitudine, avvolto solo dalla consapevolezza che non avrebbe avuto un'altra occasione per rivederli, aveva riflettuto a lungo sul fatto che non era mai riuscito a dir loro addio. Se n'erano andati quando lui era ancora troppo stupido ed orgoglioso per capire.

“Che ci fai qui nanerottolo?”


Improvvisamente Near ritrasse la mano. L'ultima volta che aveva parlato con Mello in modo così diretto, guardandolo negli occhi, era stato più di vent'anni fa...


“Non lo so.” rispose semplicemente lui.


Matt lasciò che la sua sigaretta, ormai ridotta ad un mozzicone, cadesse a terra e mostrò uno sguardo perplesso. Mello incrociò le braccia inarcando le sopracciglia finché non commentò:

“Sei sempre stato deboluccio, lo sapevamo già, ma non pensavo che tornassi qui tanto presto. Stavo davvero bene senza te fra le scatole.”

Near lo avvertì... tra quelle parole, apparentemente incomprensibili e irritate, c'era affetto... forse nostalgia.

Mello non avrebbe mai ammesso che in fondo il piccoletto gli mancava nonostante, al di là di tutto, per lui provasse un forte rispetto. Anche Near da giovane la pensava allo stesso modo... invece ora aveva la possibilità di trovarsi in quel corpo di bambino ma con la mentalità da adulto, lui che era sempre stato razionale e calcolatore, forse troppo.
Mello e Matt  invece non erano potuti crescere, non avevano avuto la stessa occasione di assaporare la vita che aveva avuto lui. Occasione davvero sprecata, concluse amaramente Near, perché da grande egoista lui aveva snobbato la propria esistenza.


Quante cose di cui pentirsi.


Il ragazzino comunque non replicò... dentro di sé si sentiva confuso, confuso da quell'incontro così spiazzante che gli ricordava i giorni nei quali erano insieme alla Wammy's house, nei quali avevano ancora il tempo per maturare delle sane rivalità, nei quali non avevano ancora sperimentato il dolore di una morte.


Infine, dopo un sorriso indecifrabile di Matt, Mello disse guardandolo con una certa aria di sfida ma al tempo stesso con qualcosa di vicino al sollievo.

“Lui è di là. Ti aspettava.”

Il cuore di Near fece fatica a battere il colpo seguente nell'istante in cui Mello pronunciò quelle parole.


Il ragazzo si scostò dallo stipite della porta per farlo passare e Near, tenendo la testa bassa, dopo un attimo di incertezza si decise.

Portando il piede oltre quel varco si arrestò un istante e si girò verso i due ragazzi che erano rimasti a guardarlo: Matt con le spalle appoggiate alla parete, Mello con le braccia incrociate.

“Mi dispiace.”


Matt fece un sospiro e chiese quasi con divertimento incredulo: “Per cosa?”


“Per non essere riuscito a salvarvi.”


Mello rimase in silenzio finché la sua bocca, prima corrucciata in una smorfia, non si distese in un leggero sorriso.

A modo loro lo avevano perdonato per quel suo distacco apparente che aveva dovuto indossare davanti agli estranei; perché non era stato abbastanza pronto così da evitare che altri morissero a causa di Kira.

Infine entrò nella stanza. Quando alzò lo sguardo vide l'ufficio di Roger.

Ma questa volta non c'era lui, seduto magnanimo alla scrittoio, bensì la persona che fra tutte Near ammirava di più.

Era di spalle, ne intravedeva soltanto il profilo curvo ed i capelli disordinati neri come la pece mentre era circondato da un'ampia scrivania inondata di dolci di ogni tipo e dotata di un computer acceso con una serie di messaggi sul monitor.

Senza che ne fosse pienamente consapevole Near trattenne il fiato.

“Mi sorprendi. Non mi sarei aspettato una tua visita così presto.” quella era la sua voce, a volte armoniosa, a volte monocorde, ma non più falsata dietro il microfono dove si nascondeva.

Al suo fianco vi era Watari, il quale fece un leggero inchino con un sorriso gentile e disponibile.

E infine si girò.


Gli occhi incavati dalle occhiaie lo fissarono per un lungo, interminabile, attimo mentre l'unghia del pollice veniva mordicchiata con noncuranza.

Le dita affusolate che andavano ad appoggiarsi sulle ginocchia magre mentre stava accovacciato su una formale sedia d'ufficio.

“Benvenuto.” disse semplicemente.


“Elle.” fu l'unica parola, quasi sussurrata come se stesse per soffocare, che Near emise.


Gli fece uno strano effetto pronunciare quel nome, lo stesso che tanti avevano usato per rivolgersi a lui in quegli anni da quando, come successore, aveva preso in mano le redini del caso Kira.

Ma Near, lo sapeva troppo bene, non era Elle bensì il suo semplice sostituto: il vero Elle era morto, parecchio tempo fa.
Quante volte nel corso della sua vita aveva finito per criticare il modo di agire di colui che aveva preso ad esempio... eppure nel profondo sapeva che nessuno al mondo mai avrebbe potuto anche solo eguagliarlo.
Perché Elle era diretto e al tempo stesso razionale.
Mentre lui era incompleto.

Ironico. Per la prima volta, ora che era in un sogno ed era ormai anziano, poteva parlare faccia a faccia con lui.

Poteva vederlo mentre osservava i dolci, mentre si tormentava le unghie con il labbro pensoso. Lo aveva proprio davanti a sé, così reale da sembrare di poter respirare il suo stesso ossigeno, da riuscire quasi ad avvertire i battiti di quel cuore che pulsavano frenetici.

“Immagino che tu sia un po' confuso – concluse Elle afferrando un pasticcino con la punta delle dita scarne – anch'io ero così quando entrai in questo luogo.”


Stava parlando dei primi giorni in cui era arrivato all'orfanotrofio?

Near lo scrutò pensoso... non ne era sicuro...
Tutta la situazione era confusa... era davvero in un sogno? Eppure era così vero... e lui? Quello era il suo corpo? Chiaramente no... sarebbe stato troppo giovane.

“Sto sognando?” chiese Near con tono di voce basso, guardandosi di sfuggita le mani da bambino.


Elle alzò gli occhi verso il soffitto, mentre Watari lo guardava silenzioso, picchiettando l'indice sul labbro, infine tornò a scrutarlo senza battere ciglio chiedendogli:


“Tu cosa ne pensi?”


Near non parlò subito. Calcolò la sua risposta, come aveva sempre fatto:

“Ho incontrato Matt e Mello prima.. sembravano veri. E adesso vedo te... vedo Watari... tutto l'orfanotrofio che anni fa è stato demolito...” parlare gli costava una ferita immensa, perché il forte groppo che aveva in gola per l'emozione, per un'agitazione che gli contorceva lo stomaco, gli impediva quasi di respirare.

“Curioso – ammise Elle, reclinando leggermente la testa – siamo tutti scomparsi.”


Near spalancò gli occhi. Aveva iniziato ad intuire...

Ad Elle non sfuggì quel guizzo sul volto adombrato dai capelli e fece un accennato sorriso.

“Io mi sono addormentato.” Disse infine Near, con logica semplicità.


E i suoi collaboratori erano entrati nella stanza.

Ora ricordava un particolare che prima non aveva avuto molta importanza:
quella gente stava piangendo.

“Qui è dove noi ci ritroviamo, dove riallacciamo i nostri legami... il nulla è nulla per chi non è parte di questi legami – ci fu una lunga pausa di silenzio – capisci cosa ti è successo?”


Near pianse, lui che era sempre stato freddo ed impassibile al punto da sembrare inumano.


Pianse perché da un lato non se lo aspettava, ma dall'altro perché aveva ritrovato il  mondo nel quale era nato, la sua stanza coi giochi da tempo dimenticati, le persone con cui aveva condiviso i suoi veri giorni felici...

Sarebbe rimasto li per sempre.

Ora capiva perché non ricordava niente di quel sonno senza sogni e perché si sentisse così leggero... fissando intensamente Elle, in quegli occhi grandi e scrutatori, rispose:


“Io... sono morto.”
    



One-shot pensata un po' per caso. Avevo semplicemente voglia di scriverla e mi sentivo particolarmente nostalgica. Molto bene, quindi perdonatemi se vi è sembrata una cosa assolutamente inutile... ^_^''
Eppure mi piacerebbe pensare che Near, una volta anziano, possa reincontrare la sua "famiglia" dopo aver passato anni a riflettere su tutto quello che gli era successo. Ecco perché in fondo appare un Near un po' meno razionale e più confuso.


   
 
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