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Autore: fra_piano for ever    20/01/2015    2 recensioni
La vita a volte può essere complicata e particolarmente difficile. Questo i ragazzi dello Studio On Beat lo sanno bene perchè ciascuno di loro quotidianamente si confronta con una realtà più o meno dura e la affronta nel modo che ritiene più giusto. Quest'anno, però, sembrano tutti intenzionati a raddrizzare un po' le cose e a migliorare la propria situazione. Piano piano i protagonisti impareranno a leggere tra le righe del cuore e comprenderanno che, nascosti nel profondo, tra disperazione e dolore, si trovano ancora amore e speranza.
Pairings: Leonetta, Pangie, Diemilla e altri
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Leon, Pablo, Un po' tutti, Violetta
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Il suono acuto e fastidioso della campanella risuonò nell'edificio dello Studio On Beat, decretando la fine delle lezioni. “Forza andiamo.” sussurrò nervosamente e con parecchia impazienza Federico a suo fratello. Aveva saputo, infatti, che la Torres era venuta a conoscenza del suo comportamento vergognoso nei confronti di Francesca e non ci teneva proprio ad incappare nelle ire della rossa. Non conosceva Camilla che di vista, ma dalle voci che circolavano su di lei e sul suo carattere manesco aveva subito capito che era meglio non mettersi mai contro di lei. Perciò il giovane, quatto quatto, uscì dall'aula, uniformandosi alla mischia degli studenti, sperando di non essere visto dalla ragazza. Purtroppo per lui, però, la Torres aveva una vista da falco e, immediatamente, lo individuò tra la folla. “Guarda un po' quell'idiota!” esclamò sommessamente. “Ma adesso mi sentirà! Eccome se mi sentirà!” 
Velocemente la rossa lo inseguì, per poi prenderlo con violenza per un polso e voltarlo verso di sé.
“Dove pensi di scappare?!” 
Vedendola Federico sbiancò di colpo, assumendo un'aria estremamente spaventata. Credeva ormai di averla seminata, da dove era sbucata fuori la Torres? Possibile che quella ragazza, qualunque cosa facesse per starle lontano, riuscisse comunque sempre ad individuarlo? Aveva forse dei radar al posto degli occhi? Preoccupato pensò subito ad una scusa da poter inventare per sfuggire dalle grinfie della rossa e cercò in qualche modo di aggirarla, per raggiungere la porta principale. “Ehm... Mi fermerei volentieri a parlare con te, ma mi hai beccato in una giornata un po' scomoda, vado proprio di fretta oggi...”
Camilla, però, non era una stupida e prontamente aumentò la stretta sul suo polso, trattenendolo.
“Perchè tanta fretta, Juarèz?” domandò con un sorriso maligno sul volto. “Te l'ho già detto: ho parecchio da fare...” tentò di svicolare il giovane. “Non mi inganni! Pensi davvero che io potrei bermi una simile scusa?” La rossa partì subito in quarta e, abbandonando l'aria fintamente gentile che aveva avuto sul volto fino a quel momento, diventò una vera e propria furia. “Adesso tu non vai  da nessuna parte: dobbiamo prima parlare del tuo comportamento vergognoso nei confronti di Francesca! TI AVEVO AVVERTITO DI NON PROVARE A FARLA SOFFRIRE!” esclamò rabbiosamente, stringendo sempre di più il polso di Federico, che non riuscì a mascherare una smorfia di dolore. “Ahi!” urló osservandosi la parte lesa, che si stava arrossando rapidamente. Ma quanto era forte quella ragazza? Era assolutamente certo che dopo quella presa ferrea della Torres gli sarebbe rimasto proprio un bel livido, di quelli violacei ed enormi. “Io non... non volevo... davvero!” balbettò Federico, titubante di fronte alla rabbia della Torres. “Quando mi sono accorto di quanto Francesca valesse realmente le ho chiesto scusa e le ho proposto di essere buoni amici, ma lei ha rifiutato...” 
“Ovvio, cosa ti aspettavi, che dopo tutto quello che le hai fatto accettasse questa tua idea folle?!” L'arrabbiatura di Camilla, se possibile, aumentò ancora di più, ma la ragazza non fece in tempo a dargli la sberla che, a suo parere, il giovane meritava. Due figure in uniforme, infatti, si fecero spazio tra la folla e si fermarono al centro dell'ingresso dello Studio, a pochi passi da loro. Camilla, immediatamente lasciò il polso del castano, avvicinandosi ancor di più per cercare di capire cosa stesse succedendo. “Chi tra voi sono i fratelli Federico e Dionisio Juarèz?” domandò l'agente più alto, che aveva degli orribili baffetti neri, tra i quali spuntava qualche pelo biancastro. A quelle parole Federico sobbalzò spaventato e confuso, mentre tutti si giravano nella sua direzione. Cosa diamine era successo? Perchè quei due uomini cercavano lui e suo fratello? “Che hai combinato?” gli domandò la Torres, scuotendolo per le spalle. Il ragazzo non rispose, lo shock per quanto stava accadendo gli aveva tolto la capacità di parola e lo aveva paralizzato sul posto. Dj, che nel frattempo gli si era avvicinato, gli diede una leggera pacca sulla spalla, come per tranquillizzarlo, nonostante fosse piuttosto spaventato anche lui. “Allora! Dove diamine sono Federico e Dionisio Juarèz?” domandò con un tono di voce piuttosto alterato l'agente con i baffetti. “Non abbiamo tutta la giornata, quindi fatevi avanti!” “Eccoci, siamo qui.” Dj avanzò verso i due, trascinandosi dietro anche il suo gemello, che non oppose resistenza. “Finalmente vi siete fatti avanti! Siete in arresto per traffico di sostanze stupefacenti, dovete seguirci in commissariato.”
Fu una vera e propria fortuna che suo fratello lo avesse afferrato per le spalle, perchè Federico per poco non svenne a quelle parole. Spacciatori loro? Non era possibile, ci doveva per forza essere un errore! Certo, lui e Dj non erano mai stati dei santi, ma di lì a trafficare droga... Persino Camilla, che non aveva mai avuto una buona opinione sui fratelli Juarèz, appariva sorpresa da quella situazione, così come gli altri studenti. Lentamente tutti gli alunni dello Studio elaborarono quanto avevano ascoltato e iniziarono ad allontanarsi sempre di più dai due gemelli, terrorizzati da quanto avevamo appreso sul loro conto. Federico si guardò intorno stupefatto: tutti coloro che li avevano sempre appoggiati nelle loro bravate e che avevano riso e scherzato con loro, ora li guardavano con disprezzo e paura. Non poteva essere! Quello era un incubo, doveva per forza esserlo! Tra tutta quella ressa si fece largo Pablo, uscito proprio in quel momento dall'aula professori. “Che cosa sta succedendo qui?” domandò l'uomo, non capendo il perchè di tutto quel trambusto. “Lei è un insegnate di questa scuola di musica, immagino.” ipotizzò il collega del tipo coi baffetti. “Sì, esatto...” confermò il direttore, “ma mi vuole spiegare per quale motivo siete qui?”
“Due dei suoi allievi, più precisamente i fratelli Juarèz, sono implicati in un caso di traffico di droga e noi siamo qui per portarli in carcere.” riassunse brevemente l'agente. “Cosa?! Federico e Dj?” domandò Galindo, certo che i due gemelli, per quanto fossero piuttosto vivaci, non avrebbero mai potuto fare una cosa del genere. “Ma come fate ad essere sicuri di quello che li accusate?” 
“Una telecamera ha filmato lo scambio di droga e pare che le targhe di due dei ciclomotori degli spacciatori corrispondando a quelle di questi ragazzi.” Pablo ammutolì, non sapendo proprio cosa dire. Era assolutamente certo dell'innocenza dei gemelli Juarèz, ma di fronte a quelle prove così schiaccianti non sapeva come ribattere. “Non siamo stati noi!” urlò Federico, ripresosi dallo shock iniziale e dimenandosi per cercare di sfuggire all'agente coi baffetti, che lo aveva afferrato per il colletto della camicia. “E stai un po' fermo!” esclamò stizzito l'uomo, cercandolo di infilargli le manette. “E così adesso sei anche un criminale? Complimenti!” esclamò ironica la Torres.
“NOOO! LASCIATEMI ANDARE!!! IO NON HO FATTO NIENTE! SONO INNOCENTE... Sono innocente.” continuò a ripetere il giovane, dapprima con più convinzione e poi sempre più flebilmente, quasi con le lacrime agli occhi. I due agenti, ignorando le sue parole, lo trascinarono via con la forza, convinti che le sue fossero solo scuse. L'ultima cosa che Federico riuscì a vedere prima di essere portato fuori dall'edificio furono le iridi castane di Francesca, accorsa non appena era riuscita a farsi largo nel tumulto, che si incatenarono con i suoi occhi per qualche secondo. Tutto ciò che il giovane potè fare fu esprimere il desiderio di riuscire a dimostrare la sua innocenza. Non sapeva perchè ma il pensiero di poter aver deluso quella ragazza era straziante per lui, non poteva accettare il fatto che lei potesse vederlo come un criminale, come aveva fatto Camilla. Per il momento, però, era consapevole di essere completamente impotente e perciò, piano piano, incominciò a calmarsi e si lasciò condurre in carcere insieme a suo fratello, che fin da subito aveva abbandonato ogni proposito di lamentarsi, certo che quello non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. 











Aumentando il passo, Angie si sistemò una ciocca sfuggita all'alta coda in cui aveva raccolto i lunghi capelli biondi dietro l'orecchio, con aria parecchio nervosa. Aveva sentito Violetta parlare dell'arresto dei due gemelli Juaréz e ancora non riusciva a crederci. Certo quei due non si erano mai comportati da angioletti caduti dal cielo, ma non riusciva neanche a pensare che potessero essere dei criminali. Tra l'altro il reato di cui erano accusati non era affatto un qualcosa di banale come una rissa tra adolescenti, che era un fatto abbastanza comune tra i ragazzi di quell'età. Niente del genere, Federico e Dj erano degli spacciatori! Dire che fosse sconvolta da quel fatto era dire poco, quando aveva appreso quella notizia inizialmente non aveva neanche voluto crederci ed era convinta che fosse solo uno scherzo di cattivo gusto architettato da quella ribelle di sua nipote. Successivamente, però, aveva sentito i fatti raccontati da persone decisamente più affidabili e aveva dovuto credere a tutto quello, nonostante non avesse assistito di persona all'arresto dei due gemelli. Quella mattina, infatti, lei non era presente allo Studio, poichè aveva chiesto e ottenuto un permesso, per poter aiutare sua sorella e suo cognato a preparare il loro ritorno a Buenos Aires.
Già, stranamente German e Maria avevano improvvisamente cambiato i loro piani ed in poco tempo avevano preso la decisione di tornare finalmente a casa. Angie, ovviamente, era l'unica a sapere tutto ciò e non poteva fare a meno di essere preoccupata della reazione che avrebbe avuto la nipote quando si sarebbe trovata faccia a faccia con i suoi genitori. Cosa avrebbe fatto Violetta? Li avrebbe ignorati, spinta dal risentimento per la loro prolungata assenza o, guidata dall'immenso amore che provava per loro, li avrebbe perdonati, dimenticando tutta la sofferenza che le avevano causato? Sinceramente Angie non ne aveva idea, sua nipote non era più quella di tempo, nell'ultimo periodo era cambiata parecchio e non sapeva proprio cosa aspettarsi da lei. Lo sconcerto per la scoperta fatta sui gemelli Juaréz e l'ansia per il ritorno imminente dei genitori di Violetta, l'avevano portata a fare l'unica cosa che in quel momento riteneva giusta: andare a cercare Pablo. Lui sapeva sempre esprimere le sue opinioni sui fatti in modo molto coinciso e chiaro, senza mai giudicare nessuno ed era proprio quello che le serviva adesso. Inoltre Galindo era l'unico in grado di rassicurarla e di farle sempre sentire il suo appoggio, anche quando non lo meritava affatto, come era già successo in passato. Non riusciva a spiegarsi perchè ma quell'uomo le trasmetteva una sensazione di tranquillità assoluta: le bastava specchiarsi in quei suoi occhi scuri e profondi per tranquillizzarsi. Era come se quelle iridi fossero magiche, esse infatti avevano un effetto incredibilmente calmante per una come lei che era sempre nervosa ed agitata. Considerava una vera fortuna avere Galindo come amico e non sapeva proprio come avrebbe potuto fare senza di lui. E, ovviamente, non era solo per quella pace che con un solo sguardo lui le trasmetteva a determinare l'immenso affetto che provava per l'uomo. Pablo possedeva moltissimi pregi: era gentile, dolce, estremamente tollerante, diligente e capace nel suo lavoro... e l'elenco delle sue qualità avrebbe potuto continuare all'infinito. Doveva ammettere che negli ultimi tempi si era sorpresa parecchie volte a pensare a lui come qualcosa in più che un amico, specialmente dopo quella serata in cui erano usciti insieme. Si era trovata magnificamente con lui e quando, sulla strada per arrivare alla macchina, Galindo si era fermato e aveva preso a fissarla intensamente con quei suoi occhioni scuri aveva avvertito un moto di felicità prendere possesso del suo cuore. Ricordava ancora perfettamente quella notte: i loro volti persi l'uno nella contemplazione dell'altro, i loro fiati che si fondevano diventando uno solo e le loro labbra così vicini eppure così dannatemente lontane, separate dai quei pochi millimetri d'aria che avevano impedito loro di unirsi in un dolce bacio. Se solo quelle campane non fossero suonate, interrompendo quel momento da sogno, chissà cosa sarebbe successo! Angie si passò distrattamente una mano tra i capelli biondo dorato, costringendosi a cacciare fuori dalla sua mente quei pensieri. In quel momento aveva da pensare a ben altro e di gran lunga più importante di quelle sue stupide fantasticherie amorose! La sera della loro uscita non era successo niente con Pablo, perciò doveva mettersi l'animo in pace e smetterla di perdere tempo con quelle cavolate! Convinta di questa sua opinione riprese a camminare velocemente, fino a quando non si ritrovò davanti ad una piccola villetta dai mattoni a vista, semplice ma piuttosto curata. Un sorriso spontaneo naque sul volto della Saramengo: quella casa già dall'estreno rispecchiava perfettamente il carattere del suo proprietario. Si avvicinò al campanello e suonò più volte prima che finalmente qualcuno si presentasse ad aprire. Da dietro la porta di casa Galindo apparve un bimbo che doveva avere all'incirca sette o otto anni, di corporatura esile e dagli occhi di un color cioccolato fondente che tanto assomigliavano a quelli del suo migliore amico. Il bimbo si stroppicciò nervosamente le manine e si scompigliò nervosamente i ribelli capelli neri, che, mossi dal vento di quella giornata invernale, ondeggivano a destra e sinistra. Era chiaro che la sua presenza lo intimidisse un po', ma allo stesso tempo quell'esserino sembra curioso di conoscerla, tant'é che di tanto in tanto alzava gli occhi dal terreno e li puntava per pochi secondi nella sua direzione, scrutandola velocemente. Angie si diede mentalmente della stupida: doveva sicuramente sbagliato abitazione, d'altronde quella era la prima volta che si recava a casa del suo migliore amico. Che imbranata che era! “Ehm... Scusami piccolo, io... credo di aver sbagliato indirizzo. Sto cercando Pablo Galindo, ma é evidente che questa non é casa sua: lui non ha bambi...” Le parole le morirono in gola alla vista del moro che proprio in quel momento si presentò sulla soglia della porta, avendo sentito il rumore del campanello, suonato da Angie solo pochi istanti prima. La bionda, confusa, fece passare lo sguardo dall'uomo al bimbo e viceversa, mentre una serie di dubbi e ipotesi iniziavano a formarsi nella sua testa. Si soffermò ad osservare il volto del ragazzino, i suoi capelli scuri, i suoi occhi così espressivi e rimase assolutamente scioccata nel rendersi conto che lui e Pablo si assomigliavano moltissimo. Stesso aspetto, stesso sguardo sveglio, persino stesso modo di cammuffare il disagio stroppicciandosi nervosamente il naso: insomma chiunque sarebbe potuto arrovare alla conclusione che quei due erano, senza alcun'ombra di dubbio, parenti. Ma perché Pablo le aveva tenuto nascosta l'esistenza di auel bambino? Non erano forse migliori amici? Lei era sempre stata molto sincera e, nel bene o nel male, si era sempre confidata con lui e glo aveva confessato ogni suo singolo segreto. Perché allora lui non aveva fatto altrettanto con lei? Forse non si fidava abbastanza... Con questo improvviso pensiero avvertì una forte fitta di dolore, proprio al centro del petto: aveva sempre pensato che l'amicizia che legava lei e Galindo fosse qualcosa di speciale, indissolubile e invece ora scopriva che lui le aveva nascosto una cosa tanto importante come la presenza di un figlio. Già, perchè era ovvio che quel bimbo fosse il figlio del direttore dello Studio: era identico a lui, gli assomigliava in ogni singolo particolare. Amareggiata ed estremamente delusa la donna si allontanò da casa Galindo senza neanche aprir bocca, dapprima camminando a passo svelto per poi prendere a correre sempre più veloce, mentre le grida di Pablo, che aveva tentato invano di fermarla, continuavano a riecheggiare nella sua mente.










Violetta si rigirò stancamente nel letto, cercando di scacciare il volto di Leon dalla sua testa e, soprattutto, dal suo cuore. Possibile che, persino quando fosse in casa propria, nella sua stanza quel ragazzo trovasse comunque il modo di perseguitarla? Erano ormai parecchi giorni che continuava pensare a lui, tant'é che non riusciva neppure più a concentrarsi alle lezioni di musica allo Studio On Beat. Nella sua mente continuava a ripetersi ininterrottamente le immagini di quello che poco tempo prima era avvenuto in quell'aula vuota, in cui lei si era rifugiata per poter sfogare in un pianto liberatori tutto il dolore e la sofferenza che aveva accumulato in quegli ultimi mesi. Le cose, però, non erano andate come lei aveva previsto, e, invece di rimanere da sola come avrebbe voluto, ad un certo punto era apparso dal nulla Leon. Doveva ammettere che quel suo abbraccio l'aveva un po' destabilizzata, ma allo stesso tempo le aveva fatto un gran bene. Quando quelle braccia forti l'avevano stretta per la prima volta dopo tanto tempo si era sentita protetta, si era sentita amata. E, sebbene avesse rinunciato a provare ogni tipo di affetto per paura di soffrire ancora, per un momento aveva avuto l'impulso di lasciar perdere tutto e di abbandonarsi al calore che, a quel gesto così dolce da parte di Leon, le aveva invaso l'anima. Non sapeva neanche lei dove avesse trovato le forza per sciogliere quell'abbraccio e allontanare da sé il giovane Vargas, urlandogli contro frasi non esattamente gentili. Violetta sbuffò sonoramente: non era una stupida e   si rendeva benissimo conto che quella che era nata come una banale cotta si stava rapidamente trasformando in qualcosa di molto più serio e profondo. Doveva fare qualcosa e subito, quella situazione stava diventando ogni giorno sempre più insostenibile per lei: Vargas occupava prepotentemente i suoi pensieri e non aveva idea di come cacciarlo dalla sua testa. Il rumore assordante del campanello le risuonò con prepotenza nelle orecchie, interrompendo tutte le sue riflessioni. Violetta nascose la testa nel comodo e soffice cuscino, cercando di ignorare tutto quel fracasso, ma ben presto rinunciò a continuare a stare a letto, sentendo un vociare confuso proveniente dal piano di sotto. Infastidita scostò le coperte e balzò giù dal letto con aria scocciata, ormai consapevole che, tra i suoi pensieri stupidi che, in un modo o nell'altro, la riconducevano sempre a Leon e tutto quel baccano, non sarebbe mai riuscita a prendere sonno come invece aveva sperato, essendo tornata distrutta dalla giornata allo Studio. Possibile che lei non potesse mai avere un attimo di pace? Dopo essersi sistemata i capelli alla bell'e meglio e aver tentato di rendersi quantomeno presentabile, la giovane decise di scendere al piano di sotto, per vedere chi fosse arrivato di tanto importante da scombussolare così la tranquillità che di solito regnava in quella casa. Seguendo il rumore delle voci, ben presto si ritrovò in cucina, dove, subito notò un'Olga ancora più vivace e allegra del solito e, incuriosita, le si avvicinò. “Ho sentito il campanello, chi era?” domandò afferrando un biscotto da un piattino posto al centro del tavolo. “Oh, tesoro! Non puoi neanche immaginare che grande sorpresa ti aspetti!” esclamò la cuoca emozionata. La Castillo la guardò confusa: a cosa si riferiva la donna? “Ecco, ecco! Voltati piccola mia.” le sussurrò    dolcemente Olga, che stava guardando oltre le sue spalle con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto. Violetta obbedì prontamente alla domestica e quello che vide la lasciò scioccata, con la mano in cui teneva il dolcezzo ferma a mezz'aria e lo sguardo impietrito. German e Maria, i suoi genitori, coloro che in assoluto l'avevano fatta soffrire più di tutti, erano lì, a pochi passi da lei. Cosa diamine ci facevano a casa? L'ultima volta che aveva sentito suo padre per telefono aveva capito che erano intenzionati a passare ancora parecchio tempo all'estero, quindi perché avevano cambiato repentinamente idea ed erano tornati a Buenos Aires? Non riusciva proprio a spiegarselo... “Violetta, tesoro mio! Finalmente ci rivediamo!” esclamò felice Castillo, avvicinandosi e stringendola forte. Violetta rimase rigida, schiacciata contro il petto dell'uomo, senza dare alcun segno di voler ricambiare quell'abbraccio, che, dopo tutto quel tempo passato senza avere neanche notizie dai suoi genitori, le sembrava così falso. Accorgendosi che qualcosa non andava, German sciolse la stretta e si allontanò leggermente dalla figlia, poterla guardare meglio negli occhi. “Vilu, che hai? Non sei felice di vederci?” domandò Maria, che aveva assistito a tutta la scena ed era rimasta sorpresa dalla gelida accoglienza della ragazza. Si soffermò a osservarla: la sua bambina era cresciuta così tanto dall'ultima volta che l'aveva vista! L'espressione ingenua che aveva sempre caratterizzato il suo volto era sparita, lasciando il posto ad un'aria molto più matura, più da donna. Inoltre la ragazza doveva essersi anche alzata di qualche centimetro perché le pareva decisamente più alta di come l'aveva lasciata. Ció che peró di più colpí la donna fu il lampo di ribellione che notó nei vispi occhi color nocciola della figlia. Che cosa significava tutto quello? Cos'era successo in loro assenza? “Sì, certo che sono felice...” commentò ironicamente Violetta, aggirando i suoi genitori con l'intenzione di fiondarsi in camera sua e di barricarsi lì affinché la lasciassero in pace. Erano appena arrivati e già lei non li sopportava! E in più avevano anche il coraggio di chiederle se fosse che contenta che loro erano tornati! Come potevano farle una simile domanda con tanta tranquillità? Per tre lunghissimi mesi aveva sofferto per colpa loro e, proprio ora che era riuscita a trovare una relativa stabilità nei panni della bulletta della Studio, sua madre e suo padre piombavano lì, senza alcun tipo di preavviso, scumbossolando tutto. Questo non lo poteva accettare! “Vilu dove vai?” domandò suo padre, rincorrendola fuori dalla cucina. “In camera mia, dove non potrò essere disturbata!” sbottò furiosa la Castillo. “Ma perché ci tratti così, tesoro? Che cosa ti abbiamo fatto di male?” le chiese Maria, sfiorandole con dolcezza una spalla. “Non mi toccare!” sibilò minacciosa la ragazza, allontandosi come se avesse preso la scossa. “Che cosa mi avete fatto? Non riuscite proprio a capirlo da soli? Per mesi ho aspettato invano che voi vi preoccupaste di farmi avere vostre notizie, che pensaste un po' a me o che, quanto meno, vi sforzasse di farmi una breve telefonata per chiedermi come stessi e invece niente! MI AVETE ABBANDONATA, ECCO COSA MI AVETE FATTO!” urlò con rabbia la giovane. “Ma no tesoro, non abbiamo fatto niente del genere! Eri qui a casa, con zia Angie, Roberto ed Olga che si occupavano di te, non eri da sola!” cercò invano di farla ragionare sua madre. “E voi dov'eravate?! DOV'ERAVATE QUANDO STAVO MALE, QUANDO AVEVO BISOGNO DI VOI?! A più di 10.000 chilometri di distanza! Complimenti: siete davvero degli ottimi genitori!” esclamò sarcastica Violetta, battendo le mani in un ironico applauso. A quelle parole sia a Maria che a German sembrò mancare la terra sotto i piedi. Durante tutti quei mesi non avevano neanche avuto il dubbio che la ragazza avesse potuto avvertire la loro mancanza, convinti com'erano che a Buenos Aires sarebbe stata bene tra i suoi amici e nella città in cui era sempre vissuta. E invece quanto si erano sbagliati! Non erano riusciti a comprendere i veri sentimenti e bisogni di quella che, ai loro occhi, restava sempre la loro bambina, nonostante ormai fosse vicina al raggiungimento della maggiore etá. Violetta aveva ragione: che razza di genitori erano?! German sbatté con forza una mano contro il muro, furioso con se stesso, mentre Maria, da sempre più fragile di suo marito, sentì gli occhi farsi lucidi, finché grosse lacrime amare presero a rotorarle giù per le guance. Subito Castillo le si fece vicino, stringendola tra le sue forti braccia, quasi come se, cosí facendo, potesse in qualche modo lenire il forte dolore misto a senso di colpa che entrambi provavano al pensiero di tutta la sofferenza che loro figlia aveva dovuto sopportare per causa loro. “Abbiamo sbagliato tutto German, abbiamo sbagliato tutto...” soffiò debolmente la donna, con gli tristi e la testa bassa. L'uomo non rispose, limitandosi ad aumentare la stretta e prendendo ad accarezzarle con dolcezza i capelli, mentre rifletteva su cosa avrebbe potuto fare per sistemare quella situazione... Lui e sua moglie avevano commesso un grande errore e ora, ne era certo, avrebbero pagato care le conseguenze. Proprio in quell'istante la porta d'ingresso si spalancò cigolando leggermente ed Angie entrò in casa Castillo con aria distrutta. Era ancora parecchio sconvolta e delusa per quello che aveva visto a casa di Pablo, ma appena notò le lacrime di sua sorella tutto il resto passò in secondo piano. “Maria... Cos'é successo?” domandò avvicinandosi ai due coniugi. “Oh Angie... Ho fatto un errore enorme!” singhiozzò la maggiore delle Saramengo, staccandosi da suo marito e gettandole le braccia intorno al collo. “É per Violetta, vero?” domandò la bionda, intuendo subito tutto. “Sì... noi l'abbiamo lasciata sola, l'abbiamo abbandonata!” Angie scosse la testa, fissando dispiaciuta il volto umido e triste di sua sorella. “Non é così, Violetta adesso é molto arrabbiata con voi e vi avrà detto cose che non pensa neanche lei, ma vedrete che, una volta che avrà sbollito la rabbia, vi perdonerà, ne sono certa. Lei vi ama molto.” sorrise, convinta delle sue parole, la bionda. “Non é così Angie, noi credevamo di fare il bene di nostra figlia con questo viaggio e invece é stato tutto il contrario...” borbottò Castillo, passandosi una mano sul volto con aria disperata. 










NOTE AUTRICE: Hola a todos! Perdonate il mio solito ritardo, ma in questo periodo sono stata parecchio impegnata... Ma passiamo a parlare del capitolo, dove ci sono parecchi colpi di scena a partire dall'arresto dei due gemelli! E adesso cosa succederà? Saranno veramente colpevoli? Intanto Angie si reca a casa di Pablo e scopre di Ángel, fraintendendo la situazione e arrivando alla conclusione erronea che il bimbo sia il figlio del suo migliore amico. Nel frattempo ritornano a Buenos Aires German e Maria, che trovano un'accoglienza piuttosto fredda da parte di Violetta, che gli rinfaccia tutti gli errori che hanno commesso con lei. Ringrazio tutti quelli che continuano a seguire la storia e a lasciare commenti: siete davvero gentilissimi!
Besos,
fra_piano for ever







   
  
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