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Autore: _Blue_Rose_    24/11/2008    3 recensioni
Questa è la conclusione di una storia molto triste...
è semplicemente il finale di un amore proibito, illusorio, senza nessun futuro, ma troppo bello per non provare a viverlo...
comunque vada a finire...
Questa è la mia prima one-shot, quindi spero che vogliate aiutarmi a migliorare con un commento o una critica costruttiva...
Buona lettura, Sara
Introduzione modificata in quanto era presentehtml pesante.
Nausicaa212, assistente amministratrice.
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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nessuna ragione per vivere

 

Questa è la prima one-shot che scrivo

Decisamente non è a lieto fine, ma spesso le emozioni tristi e dolorose sono quelle che ti coinvolgono di più.

Spero che quello che ho scritto vi possa far provare delle emozioni...

e che mi lasciate qualche commento, anche solo per criticare... "sbagliando si impara"

Baci Sara

NESSUNA RAGIONE PER VIVERE

 

Una stanza, fredda, spoglia: un letto a baldacchino con le coperte blu oltremare,  un comodino in mogano, una cassettone nello stesso stile spoglio e una toletta ottocentesca con uno specchio e una panchetto imbottito su cui sedeva una ragazza.

O ciò che rimaneva di lei.

Un guscio vuoto, privo di anima e con un cuore che ormai batteva solo per fare male.

Si spazzolava i lunghi capelli neri e lisci che le arrivavano a metà schiena.

Si specchiava e vedeva solo un corpo, vuoto, un viso dolce dalla pelle serafica, gli occhi neri, una volta profondi e intensi, ma adesso solo due pietre fredde e dure.

Guardava, ma non vedeva.

Provava solo fitte allucinanti al petto, dove una volta si trovava il suo cuore, come tante schegge ghiacciate che la perforavano e per quanto fredde bruciavano più delle fiamme dell’inferno.

Ma lei era già all’inferno.

Dal piano di sopra venivano gemiti sommessi, prova del piacere che una donna, la sua padrona, stava ricevendo grazie a lui.

Continuava imperterrita a pettinarsi i crini neri e lucenti, mentre le lacrime ormai a lei così famigliari solcavano il suo bel volto.

Perché era bella.

Eccome se era bella.

Bella come un angelo, ma ormai spenta.

I ricordi le ottenebrarono la mente.

Si trovava in un letto, coperta da dei lenzuoli di seta che avevano assistito alla consumazione dell’amore che fiammeggiava fra lei e il bellissimo ragazzo, nudo, che era abbracciato a lei.

-         Ti amo…- un sussurro appena accennato, ma perfettamente udibile alle sue orecchie.

-         Ti amo anch’io… non sai quanto… vorrei che tutto questo non finisse mai…- già, un desiderio tanto semplice e perfetto quanto difficile da  realizzare, se non impossibile.

Il ragazzo la strinse ancora più forte, inspirando profondamente, a pieni polmoni, il profumo di rose che proveniva dai capelli del suo amore.

Una lacrima gli solcò il viso pallido.

-         Mi dispiace, mi dispiace tantissimo, sento che dopo che avrò detto queste parole morirò, morirò dentro, lasciando solo delle apparenze, una menzogna al mio posto…

-         Di che stai parlando?-

La ragazza aveva un brutto presentimento, come se sapesse che da li a pochi attimi la sua vita sarebbe diventata inutile.

-         Ieri pomeriggio mio padre è venuto qui. È ancora un uomo potente, per quanto io non voglia averlo come padre, non posso ignorare la realtà, soprattutto se lui mi costringe… mi ha dato una scelta: o sposerò Rosalie Sonier o ti ucciderà davanti ai miei occhi…-

Quelle parole affondarono lentamente nella mente di lei, che proprio non riusciva a ascoltare.

Lui continuò imperterrito

-         Non posso assolutamente lasciarti morire, ma non voglio nemmeno perderti… non ho scelta. Il mondo non è abbastanza grande per sfuggire alle minacce di mio padre.

O Selene, non voglio lasciarti, non ce la faccio, non ho tutto questo coraggio… eppure non posso sapere di essere la causa della tua morte, è insopportabile anche solo il pensiero.

Ti prego, perdonami…-

Ma Selene non ascoltava più, sapeva perfettamente che lui aveva ragione, non c’era via d’uscita…

Lentamente il suo corpo si svuotava e rimaneva solo lo spettro della sua persona, destinata a soffrire fin che vive.

 

L’ennesima lacrima solcò il suo viso.

Un anno aveva vissuto il suo amore e un anno era passato da quella notte di sussurri d’amore e parole di abbandono.

Con calma si alzò dalla toletta.

Indossava una vestaglia da notte, bianca, semplice, uno scollo quadrato ricoperto di pizzo, un nastrino di seta le circondava lo sterno appena sotto il seno, per poi lasciare libera la stoffa dell’indumento, che ondeggiava a ogni suo movimento, quasi fosse un fantasma.

Ma lei era un fantasma.

Uscì tranquillamente dalla sua stanza, i piedi scalzi non facevano nessun rumore sul pavimento di marmo bianco.

I suoi padroni dormivano al piano di sopra, inconsapevoli della loro serva che usciva di per andare incontro a l’unico rimedio alla sua sofferenza.

Il padre di Edward era stato davvero cattivo.

Vedendo il figlio cedere a quella richiesta aveva aggiunto la beffa al danno, facendo di lei la serva della nuova coppietta di sposini.

La moglie non faceva una piega, poco le importava di quello che c’era e che tutt’ora c’è tra i due innamorati, ma che non avevano nemmeno il permesso di sfiorarsi.

Ricordava perfettamente tutte le notti come quella in cui i neo- sposati avevano consumato il loro matrimonio per dare un erede alle loro nobili casate.

Queste erano stati i momenti peggiori…

Credeva che almeno le stanze fossero insonorizzate, ma così non era.

La casa era veccia, ristrutturata, certo, ma i muri erano sempre quelli.

 

La villa sorgeva vicino a una scogliera che cadeva a picco sul mar di Bretagna, sempre pronto ad accogliere coloro che cercavano il riposo eterno.

 

Nella sua stanza padronale, quel ragazzo, costretto ad una vita di torture guardava assorto il paesaggio di fronte a lui: una scogliera…

Quante volte aveva desiderato potersi buttare di sotto e finirla con quel dolore.

Anche quella notte era stato costretto ad adempire ai suoi doveri di marito, a infliggere ancora un altro dolore all’angelo che aveva per serva, ma che era la padrona del sul cuore.

Poi una figura, un fantasma, bianco, con un mantello di capelli neri, che alla luce della luna si avviava lento e calmo verso la scogliera.

Un nome, il SUO nome gli rimbombò nella mente.

No, non poteva essere, lei non poteva fargli quello….

La figura esile avanzava inesorabile, senza nessun ripensamento o incertezza, solo la voglia di smettere di soffrire.

-         No!!!-

Il suo urlo fece sobbalzare la sua sposa nel letto, che corse ad affiancare il marito, che scioccato fissava la finestra e la scena che gli si presentava: la sua serva era al limite della scogliera, la vestaglia da notte bianca, ben visibile sotto quel cielo stellato, gonfiata dal vento, mentre i capelli le svolazzavano intorno al viso.

Edward non sapeva che fare, ormai era troppo tardi per fermarla, non avrebbe fatto in tempo, inoltre non riusciva a distogliere lo sguardo.

Il suo amore, il suo angelo, la sua unica ragione di vita stava per lanciarsi nel vuoto.

E lui non poteva fermarla.

La giovane donna allargò le braccia, come a voler accogliere il vento freddo che la investiva.

Poi si lasciò cadere.

Una sola frase, un solo pensiero sulle labbra.

Ti amo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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